"Non fatevi ingannare una seconda volta. Vi hanno detto che la Gran Bretagna doveva invadere l'Iraq a causa delle armi di distruzione di massa. Avevano torto. Ora dicono che le truppe britanniche devono restare in Iraq, altrimenti sarà il caos.
Questa seconda bugia sta infettando tutti. Ne vanno parlando i laburisti e i conservatori contrari alla guerra e perfino il portavoce liberaldemocratico, Sir Menzies Campbell. Il suo assioma è che i soldati occidentali sono così competenti che, ovunque vadano, ne può solo venir del bene. È loro dovere non lasciare l'Iraq finché l'ordine non sarà stato ristabilito, le infrastrutture ricostruite e la democrazia inculcata.
Notate la congiunzione "finché". Nasconde un sanguinoso mezzo secolo fatto di illusioni e di arroganza. Il fardello dell'uomo bianco è ancora vivo e vegeto nei cieli sopra Baghdad (le strade sono ormai troppo pericolose). Possono morire centinaia di soldati e di civili. Si possono sperperare milioni. Ma Tony Blair ci dice che solo i valori occidentali imposti con la canna di un fucile sono in grado di salvare il povero musulmano dal suo peggior nemico, se stesso.
[...]
Blair ha fatto quello che nessun primo ministro dovrebbe fare. Ha messo i suoi soldati alla mercé di una potenza straniera. Prima quella potenza era l'America. Ora, secondo il ministro della difesa, John Reid, è una banda di coraggiosi ma disperati iracheni sepolti nella Zona Verde di Baghdad. Dice che resterà finché non gli chiederanno di andarsene, finché le truppe irachene non saranno ben addestrate e le infrastrutture ricostruite. Significa fino al giorno del giudizio. Tutti lo sanno.
[...]
Le infrastrutture non sono state ricostruite. A Baghdad l'acqua, la corrente elettrica e le fognature stanno peggio di dieci anni fa. Ingenti somme di denaro - come il miliardo di dollari per forniture militare - vengono rubate e riposte in banche giordane. La nuova costituzione è lettera morta, eccetto la parte della sharia, che è già di fatto in vigore nelle aree sciite.
I soldati britannici combattono una guerra sul cui corso, condotta ed esito i loro governanti non hanno alcun controllo. La strategia di uscita non è più realistica, anzi, è disonesta. Non si parla più di ridurre il numero delle truppe da 8000 a 3000 il prossimo anno.
[...]
Le presunta ragione dell'occupazione dell'Iraq era di portarvi sicurezza e democrazia. Abbiamo smantellato la prima e mancato di costruire la seconda. L'Iraq è un fallimento senza paragoni nella recente politica britannica. Adesso ci dicono che dobbiamo "mantenere la rotta" o accadrà il peggio. Questo è il codice che usano i ministri che si rifiutano di ammettere un errore e che sperano che lo faccia qualcun altro dopo di loro. Per quella volta i curdi si saranno ancora più separati, i sunniti saranno ancora più infuriati e gli sciiti più fondamentalisti. Saranno morti un centinaio di soldati britannici.
L'America ha lasciato il Vietnam e il Libano al loro destino. Sono sopravvissuti. Noi abbiamo lasciato Aden e altre colonie. Alcune, come la Malaya e Cipro, hanno conosciuto scontri sanguinosi e la divisione. Abbiamo giustamente detto che erano affari loro. Lo è anche l'Iraq per gli iracheni. Abbiamo già fatto abbastanza guai laggiù.
Può davvero essere che i soldati britannici siano i migliori del mondo. Ma perché allora Blair li sta portando all'umiliazione?"
Simon Jenkins, "To say we must stay in Iraq to save it from chaos is a lie", The Guardian.
mercoledì, settembre 21, 2005
Un fallimento senza paragoni
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Avanzo di galera
Avete presente i saccheggi di New Orleans il giorno dopo l'uragano? I disordini, la minaccia di esecuzioni sommarie, la situazione ingestibile.
Ecco qua: questo avanzo di galera ha 73 anni e ha passato 16 giorni in carcere con l'accusa di aver rubato generi alimentari per un valore di 63 dollari.
"Il martedì dopo l'uragano avevano un bel po' d'acqua, stavamo al Motel Six, e loro avevano un bel po' d'acqua. Allora sono scesa a prendere un po' d'acqua per il gabinetto. Poi sono tornata giù e c'era tanta gente, sono andata in macchina a caricare il telefono e a prendere delle salsicce che tenevo nel bagagliaio.
Beh, ho visto parecchia gente, ma non sapevo cosa stesse succedendo. Così ho preso le mie salsicce e mi sono guardata attorno, e ho visto un poliziotto. Mi ha chiamata, 'venga qui', e io sono andata. Mi sono avvicinata e lui mi ha detto che quelle cose venivano da un negozio e che stavo saccheggiando.
Prima di tutto, sa, non sapevo cosa voleva dire saccheggiare, così ho detto 'non sono andata in nessun negozio. non sono entrata con la forza in nessun negozio. E Dio mi sia testimone, non sono andata in nessun negozio.' Sa, sono diabetica, perché mai dovrei andare a rubare in un negozio?"
Ma è accusata anche di aver rubato della birra:
"Come prima cosa, non bevo. Non avevo della birra. Ho sempre una borsa frigo nel bagagliaio. Mi porto sempre del cibo nel bagagliaio. Tutti quelli che mi conoscono sanno che tengo del cibo nel bagagliaio quando vado da qualche parte. Ero andata a prendere il resto del cibo per dar da mangiare a mio marito. Ho un marito di 80 anni e l'avevo lasciato di sopra quando mi hanno arrestata, non l'ho più visto fino a venerdì scorso."
"Mi hanno portata a Gretna dove credo di esser stata circa una settimana da martedì a martedì, a Gretna. Da là mi hanno portata alla stazione degli autobus o alla stazione dei treni, e lì ho dormito sul pavimento tutta la notte. Non ci volevano dire - non mi volevano dire dove mi avrebbero portata. Semplicemente continuavano a portarmi in giro. Il mattino dopo mi hanno messa su un autobus e così mi hanno portata a Saint Gabriel [il penitenziario di stato], e lì sono rimasta fino a venerdì."
La cauzione sarebbe stata di 50.000 dollari, ma sembra che il giudice si sia impietosito.
Ecco qua: questo avanzo di galera ha 73 anni e ha passato 16 giorni in carcere con l'accusa di aver rubato generi alimentari per un valore di 63 dollari.
"Il martedì dopo l'uragano avevano un bel po' d'acqua, stavamo al Motel Six, e loro avevano un bel po' d'acqua. Allora sono scesa a prendere un po' d'acqua per il gabinetto. Poi sono tornata giù e c'era tanta gente, sono andata in macchina a caricare il telefono e a prendere delle salsicce che tenevo nel bagagliaio.
Beh, ho visto parecchia gente, ma non sapevo cosa stesse succedendo. Così ho preso le mie salsicce e mi sono guardata attorno, e ho visto un poliziotto. Mi ha chiamata, 'venga qui', e io sono andata. Mi sono avvicinata e lui mi ha detto che quelle cose venivano da un negozio e che stavo saccheggiando.
Prima di tutto, sa, non sapevo cosa voleva dire saccheggiare, così ho detto 'non sono andata in nessun negozio. non sono entrata con la forza in nessun negozio. E Dio mi sia testimone, non sono andata in nessun negozio.' Sa, sono diabetica, perché mai dovrei andare a rubare in un negozio?"
Ma è accusata anche di aver rubato della birra:
"Come prima cosa, non bevo. Non avevo della birra. Ho sempre una borsa frigo nel bagagliaio. Mi porto sempre del cibo nel bagagliaio. Tutti quelli che mi conoscono sanno che tengo del cibo nel bagagliaio quando vado da qualche parte. Ero andata a prendere il resto del cibo per dar da mangiare a mio marito. Ho un marito di 80 anni e l'avevo lasciato di sopra quando mi hanno arrestata, non l'ho più visto fino a venerdì scorso."
"Mi hanno portata a Gretna dove credo di esser stata circa una settimana da martedì a martedì, a Gretna. Da là mi hanno portata alla stazione degli autobus o alla stazione dei treni, e lì ho dormito sul pavimento tutta la notte. Non ci volevano dire - non mi volevano dire dove mi avrebbero portata. Semplicemente continuavano a portarmi in giro. Il mattino dopo mi hanno messa su un autobus e così mi hanno portata a Saint Gabriel [il penitenziario di stato], e lì sono rimasta fino a venerdì."
La cauzione sarebbe stata di 50.000 dollari, ma sembra che il giudice si sia impietosito.
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martedì, settembre 20, 2005
Il piccolo problema di Usamah
Usamah Nabil, un bambino iracheno di 10 anni che vive a Baghdad, ha un problema che non dipende in alcun modo da lui, che gli è toccato suo malgrado e nonostante i suoi tentativi di liberarsene:
"Questo problema lo segue ovunque vada. Non è un problema di salute, o sociale, o umanitario: il problema è che questo bambino assomiglia moltissimo a George W. Bush. Al punto che i suoi genitori e i suoi amici e compagni di scuola hanno smesso di chiamarlo con il suo vero nome, e lo chiamano 'Bush'."
Dice suo padre: "Mio figlio Usamah ha un'intelligenza vivace e lavora molto bene nel mio negozio. Ma il problema è il suo aspetto che somiglia a quello di... Bush, tanto che i clienti non lo chiamano più con il suo nome, lo chiamano "Piccolo Bush", e questo gli dà dispiacere, e qualche volta mi mette in imbarazzo quando reagisce a quel nome usando parole forti... Ha cominciato a odiare la scuola per quel soprannome... Ma io cerco di convincerlo che Bush verrà dimenticato tra qualche anno, e solo pochi lo ricorderanno, e che lui potrà vivere con il suo vero nome e il suo vero aspetto."
Ho capito, ma intanto.
La porastella è qui. Via Angry Arab.
Sì, va bene: Usamah Nabil "Bush".
Non c'è niente da ridere.
"Questo problema lo segue ovunque vada. Non è un problema di salute, o sociale, o umanitario: il problema è che questo bambino assomiglia moltissimo a George W. Bush. Al punto che i suoi genitori e i suoi amici e compagni di scuola hanno smesso di chiamarlo con il suo vero nome, e lo chiamano 'Bush'."
Dice suo padre: "Mio figlio Usamah ha un'intelligenza vivace e lavora molto bene nel mio negozio. Ma il problema è il suo aspetto che somiglia a quello di... Bush, tanto che i clienti non lo chiamano più con il suo nome, lo chiamano "Piccolo Bush", e questo gli dà dispiacere, e qualche volta mi mette in imbarazzo quando reagisce a quel nome usando parole forti... Ha cominciato a odiare la scuola per quel soprannome... Ma io cerco di convincerlo che Bush verrà dimenticato tra qualche anno, e solo pochi lo ricorderanno, e che lui potrà vivere con il suo vero nome e il suo vero aspetto."
Ho capito, ma intanto.
La porastella è qui. Via Angry Arab.
Sì, va bene: Usamah Nabil "Bush".
Non c'è niente da ridere.
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Negoziati
Sai di vivere in un paese occupato "quando non puoi arrestare persone che sparano ai tuoi poliziotti e non puoi tenerle in carcere. Un esercito straniero demolisce i muri della tua prigione, porta via i suoi connazionali e consente la fuga di 150 detenuti".
[...]
"Oh, di certo qualcuno dirà che il sistema giudiziario iracheno è ingiusto, poco credibile, e che non gli si può affidare delle persone, ecc. Tutto questo può anche essere vero, e io non sono il genere di persona che pensa che un arresto sia un fatto indiscutibile. Ma questo non spiega la situazione dei soldati britannici: dopo tutto non erano stati rapiti in Gran Bretagna mentre badavano ai loro affari. Erano in Iraq, armati, "sotto copertura", e sparavano ai civili per la strada.
Secondo le autorità irachene questi uomini avevano aperto il fuoco contro ufficiali di polizia iracheni a un posto di blocco, e questo mi sembra molto verosimile. Dopo tutto, quale iracheno ha il diritto di chiedere all'Uomo occidentale di fermarsi a un posto di blocco? Nessuno, ovviamente, e se qualcuno osa farlo bisogna reagire sparando.
Naturalmente questi uomini erano anche sotto copertura, vestiti da arabi. Ma, anche così, gli iracheni avrebbero dovuto rendersi conto che questi erano Soldati Occidentali "con compiti speciali di sicurezza" e tenersene ben lontani. Possibile che non abbiano un po' di giudizio, questi indigeni?"
Under the Same Sun
Il portavoce del Ministro della Difesa inglese ha detto: "Non abbiamo avuto conferma dei dettagli. Non abbiamo appreso nulla che suggerisca che abbiamo assaltato la prigione. Sappiamo che ci sono stati negoziati."
E infatti. Non c'è niente di male a negoziare con i carri armati.
Nuova versione: "Due soldati britannici sono stati fermati e portati a un commissariato di polizia iracheno. Abbiamo cominciato a negoziare con le autorità irachene per ottenere la loro liberazione. Pensiamo che le autorità abbiano ordinato la loro liberazione, ma purtroppo non sono stati liberati e ci siamo preoccupati per la loro sicurezza e quindi un blindato di fanteria Warrier ha sfondato il muro di cinta in quel posto".
(a proposito: le mie traduzioni sono stranine, ma quelle di Repubblica di più)
Tutta colpa dell'Iran, comunque.
Aggiornamento con foto: "Minor damage was caused to the prison compound wall and to the house in which our two soldiers were held."
Brigadiere John Lorimer, Comandante della 12ma Brigata Meccanizzata.
[...]
"Oh, di certo qualcuno dirà che il sistema giudiziario iracheno è ingiusto, poco credibile, e che non gli si può affidare delle persone, ecc. Tutto questo può anche essere vero, e io non sono il genere di persona che pensa che un arresto sia un fatto indiscutibile. Ma questo non spiega la situazione dei soldati britannici: dopo tutto non erano stati rapiti in Gran Bretagna mentre badavano ai loro affari. Erano in Iraq, armati, "sotto copertura", e sparavano ai civili per la strada.
Secondo le autorità irachene questi uomini avevano aperto il fuoco contro ufficiali di polizia iracheni a un posto di blocco, e questo mi sembra molto verosimile. Dopo tutto, quale iracheno ha il diritto di chiedere all'Uomo occidentale di fermarsi a un posto di blocco? Nessuno, ovviamente, e se qualcuno osa farlo bisogna reagire sparando.
Naturalmente questi uomini erano anche sotto copertura, vestiti da arabi. Ma, anche così, gli iracheni avrebbero dovuto rendersi conto che questi erano Soldati Occidentali "con compiti speciali di sicurezza" e tenersene ben lontani. Possibile che non abbiano un po' di giudizio, questi indigeni?"
Under the Same Sun
Il portavoce del Ministro della Difesa inglese ha detto: "Non abbiamo avuto conferma dei dettagli. Non abbiamo appreso nulla che suggerisca che abbiamo assaltato la prigione. Sappiamo che ci sono stati negoziati."
E infatti. Non c'è niente di male a negoziare con i carri armati.
Nuova versione: "Due soldati britannici sono stati fermati e portati a un commissariato di polizia iracheno. Abbiamo cominciato a negoziare con le autorità irachene per ottenere la loro liberazione. Pensiamo che le autorità abbiano ordinato la loro liberazione, ma purtroppo non sono stati liberati e ci siamo preoccupati per la loro sicurezza e quindi un blindato di fanteria Warrier ha sfondato il muro di cinta in quel posto".
(a proposito: le mie traduzioni sono stranine, ma quelle di Repubblica di più)
Tutta colpa dell'Iran, comunque.
Aggiornamento con foto: "Minor damage was caused to the prison compound wall and to the house in which our two soldiers were held."
Brigadiere John Lorimer, Comandante della 12ma Brigata Meccanizzata.
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lunedì, settembre 19, 2005
Macabro puzzle/The sunshine girls
Esterno giorno, spiaggia. Due donne sui settanta, sedute in riva al mare. Bassa marea, gabbiani, luce settembrina.
– E poi, quei tocchi trovati a Doberdò?
– Nei sacchi delle scovazze, sì sì.
– L'altro giorno un torso...
– E poi dei arti: bracci, gambe.
– Ma niente teste.
– Niente. Per forza...
– Colle teste...
– Se fa il brodo!
– E poi, quei tocchi trovati a Doberdò?
– Nei sacchi delle scovazze, sì sì.
– L'altro giorno un torso...
– E poi dei arti: bracci, gambe.
– Ma niente teste.
– Niente. Per forza...
– Colle teste...
– Se fa il brodo!
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martedì, settembre 13, 2005
Il macabro puzzle
A causa di elaborati lavori di rifacimento del vialetto sotto casa che prevedono un impiego smodato e mattiniero di martello pneumatico e ruspa mi assento per qualche giorno, metto pianeta e colonie in vacation mode e vi affido i commenti del blog per i soliti festini (ai quali potrei partecipare anch'io).
Questo per dire che, se sentite parlare del ritrovamento di un numero x di sacchetti contenenti resti umani in località Medeazza (Medja Vas) tra il Carso triestino (competenza del Calavera) e quello goriziano (doline mie), io ho ancora tutti i miei pezzetti al loro posto: il "macabro puzzle" con il quale sono alle prese "gli inquirenti" non condurrà alla mia foto segnaletica o al mio grazioso dna. Qui l'unico puzzle sarà il vialetto in questione, che i miei pretenziosi vicini vorranno lastricare di mattonelle zebrate Dolce e Gabbana o di mosaici pornosoft fintoromani.
Insomma, non sono stata depezzata.
Né ho bevuto del succo di frutta avvelenato da acquabomber.
Né (benché mi piaccia raccontarlo in giro e ne manifesti tutti i sintomi) sono stata rapita dagli alieni.
Vi bacio.
Questo per dire che, se sentite parlare del ritrovamento di un numero x di sacchetti contenenti resti umani in località Medeazza (Medja Vas) tra il Carso triestino (competenza del Calavera) e quello goriziano (doline mie), io ho ancora tutti i miei pezzetti al loro posto: il "macabro puzzle" con il quale sono alle prese "gli inquirenti" non condurrà alla mia foto segnaletica o al mio grazioso dna. Qui l'unico puzzle sarà il vialetto in questione, che i miei pretenziosi vicini vorranno lastricare di mattonelle zebrate Dolce e Gabbana o di mosaici pornosoft fintoromani.
Insomma, non sono stata depezzata.
Né ho bevuto del succo di frutta avvelenato da acquabomber.
Né (benché mi piaccia raccontarlo in giro e ne manifesti tutti i sintomi) sono stata rapita dagli alieni.
Vi bacio.
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lunedì, settembre 12, 2005
L'innocente prima o poi si risente
Secondo fonti dell'esercito statunitense una buona parte (circa il 75%) degli iracheni catturati dagli americani in Iraq vengono rilasciati per mancanza di prove che attestino la loro pericolosità (traduzione: "perché sono innocenti"). Molti - circa la metà - sono rimessi in libertà pochi giorni dopo il loro arresto, ma altre migliaia di persone finiscono in carceri come Abu Ghraib, dove attendono in media sei mesi prima di esser scarcerate. Lo dice il tenente Kristy Miller, portavoce del sistema di dentenzione militare in Iraq.
Dall'inizio dell'invasione dell'Iraq fino agli inizi dello scorso mese 42.228 detenuti iracheni sono entrati in questo sistema di detenzione, e la maggior parte di essi è stata poi liberata. Venerdì scorso i detenuti erano 12.184.
Due membri iracheni del comitato che si occupa delle scarcerazioni hanno rivelato gli errori più comuni che portano all'arresto di innocenti. Un caso per tutti: i soldati statunitensi hanno arrestato un iracheno perché aveva con sé un manifesto con scritte in caratteri arabi e raffigurante un uomo decapitato. I soldati hanno subito pensato che si trattasse di propaganda terroristica e hanno trascinato l'uomo ad Abu Ghraib. Mesi dopo, quando gli avvocati iracheni hanno esaminato il caso si sono immediatamente resi conto che il manifesto era un innocente tributo a Imam Hussein, decapitato nel settimo secolo e profondamente venerato dagli Sciiti.
Se me ne vado in giro con il poster che raffigura (metti, e non ridere) la Salomè con la testa del Battista o il David con la testa di Golia e di consequenza - nell'impossibilità di spiegare l'equivoco ed essendo scambiata per una che va a tagliare la testa alle persone - mi faccio qualche mese di villeggiatura a spese del governo che occupa (ops, democratizza) il mio paese, mentre una commissione con calma si decide a scoprire l'esistenza del Caravaggio-questo-sconosciuto, magari quando esco non voglio tanto bene a quel paese che occupa (ops, democratizza) il mio. Magari a quel punto mio padre e tutti i miei cugini maschi anche di secondo grado si vorranno un po' vendicare. E io ne ho tanti, di cugini maschi anche di secondo grado.
Ovviamente a forza di arrestare innocenti si crea un certo risentimento: "Insurrezione dopo insurrezione, è diventato chiaro che se si gestiscono male le detenzioni si creano più insorti di quanti se ne vogliano eliminare", ha detto Anthony Cordesman del Centro per gli Studi Strategici Internazionali di Washington. Secondo Cordesman tutto questo succede perché gli americani hanno tardato a sviluppare un'accurata rete di intelligence. Semplicemente, non hanno reclutato un numero sufficiente di interpreti arabi.
Niente che non si sapesse già, vero? Però i numeri fanno una certa impressione.
Fonte: ajc.com
Dall'inizio dell'invasione dell'Iraq fino agli inizi dello scorso mese 42.228 detenuti iracheni sono entrati in questo sistema di detenzione, e la maggior parte di essi è stata poi liberata. Venerdì scorso i detenuti erano 12.184.
Due membri iracheni del comitato che si occupa delle scarcerazioni hanno rivelato gli errori più comuni che portano all'arresto di innocenti. Un caso per tutti: i soldati statunitensi hanno arrestato un iracheno perché aveva con sé un manifesto con scritte in caratteri arabi e raffigurante un uomo decapitato. I soldati hanno subito pensato che si trattasse di propaganda terroristica e hanno trascinato l'uomo ad Abu Ghraib. Mesi dopo, quando gli avvocati iracheni hanno esaminato il caso si sono immediatamente resi conto che il manifesto era un innocente tributo a Imam Hussein, decapitato nel settimo secolo e profondamente venerato dagli Sciiti.
Se me ne vado in giro con il poster che raffigura (metti, e non ridere) la Salomè con la testa del Battista o il David con la testa di Golia e di consequenza - nell'impossibilità di spiegare l'equivoco ed essendo scambiata per una che va a tagliare la testa alle persone - mi faccio qualche mese di villeggiatura a spese del governo che occupa (ops, democratizza) il mio paese, mentre una commissione con calma si decide a scoprire l'esistenza del Caravaggio-questo-sconosciuto, magari quando esco non voglio tanto bene a quel paese che occupa (ops, democratizza) il mio. Magari a quel punto mio padre e tutti i miei cugini maschi anche di secondo grado si vorranno un po' vendicare. E io ne ho tanti, di cugini maschi anche di secondo grado.
Ovviamente a forza di arrestare innocenti si crea un certo risentimento: "Insurrezione dopo insurrezione, è diventato chiaro che se si gestiscono male le detenzioni si creano più insorti di quanti se ne vogliano eliminare", ha detto Anthony Cordesman del Centro per gli Studi Strategici Internazionali di Washington. Secondo Cordesman tutto questo succede perché gli americani hanno tardato a sviluppare un'accurata rete di intelligence. Semplicemente, non hanno reclutato un numero sufficiente di interpreti arabi.
Niente che non si sapesse già, vero? Però i numeri fanno una certa impressione.
Fonte: ajc.com
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sabato, settembre 10, 2005
L'amico di John
Aggiornamento: colui che è entrato nel nostro album dei bei ricordi come "amico di John" si chiama Ben Marble ed è un giovane medico del pronto soccorso che nel tempo libero canta e suona in una rock band. La sua casa è stata distrutta dall'uragano, gli è appena nata una bambina, ha perso quasi tutto. Tranne la macchina. Ma i poliziotti costringono lui e gli altri che ancora hanno un'auto a lunghe deviazioni, con quel che costa la benzina. E così, quando sa che Cheney si trova da quelle parti e che verrà intervistato dalla tv, chiama un amico, prende la videocamera e con indosso una vecchia maglietta con su scritto "I pity da fool" parte per la sua piccola missione.
Ma non finisce qui.
Dopo un po' due della polizia militare lo vengono a cercare, mentre scava tra le macerie di casa sua, e lo ammanettano in attesa di ricevere informazioni sul suo conto. Dodici minuti dopo lo lasciano andare: "Hanno detto che non avevo infranto nessuna legge e che ero libero."
Poi il nostro eroe ha messo tutto il video in vendita su Ebay. Però ha dovuto togliere la parola fuck.
Santo paese.
Fonte: OpEdNews
Ma non finisce qui.
Dopo un po' due della polizia militare lo vengono a cercare, mentre scava tra le macerie di casa sua, e lo ammanettano in attesa di ricevere informazioni sul suo conto. Dodici minuti dopo lo lasciano andare: "Hanno detto che non avevo infranto nessuna legge e che ero libero."
Poi il nostro eroe ha messo tutto il video in vendita su Ebay. Però ha dovuto togliere la parola fuck.
Santo paese.
Fonte: OpEdNews
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Il pianeta cadavere
Vi presento la colonia* Antipova, universo sette, quinta galassia:
Lo so, fa paura anche a me. Le luci e i colori sono quelli di un horror spaziale di Mario Bava (ma lui ci avrebbe aggiunto anche il fucsia), e la nube malefica è impossibile da ignorare.
Commento di A: "è come il lato oscuro della mente, l'imprevedibile pazzia, la follia di un impiegato del catasto che spara sulla folla."
Ancora adesso quando accedo alla schermata di riepilogo e vedo la mia nuova creatura (accanto alle più armoniose karenina, rostova, maslova e al pianeta principale mirumir) ho un lieve sobbalzo.
Adesso capisco come si sentiva la mamma del piccolo Charles Manson.
*per colonizzazione si intende prendere possesso di uno spazio vuoto, inospitale, completamente disabitato, e costruirci fabbrichette e laboratori. No, perché lo so che siete sospettosi per natura.
Lo so, fa paura anche a me. Le luci e i colori sono quelli di un horror spaziale di Mario Bava (ma lui ci avrebbe aggiunto anche il fucsia), e la nube malefica è impossibile da ignorare.
Commento di A: "è come il lato oscuro della mente, l'imprevedibile pazzia, la follia di un impiegato del catasto che spara sulla folla."
Ancora adesso quando accedo alla schermata di riepilogo e vedo la mia nuova creatura (accanto alle più armoniose karenina, rostova, maslova e al pianeta principale mirumir) ho un lieve sobbalzo.
Adesso capisco come si sentiva la mamma del piccolo Charles Manson.
*per colonizzazione si intende prendere possesso di uno spazio vuoto, inospitale, completamente disabitato, e costruirci fabbrichette e laboratori. No, perché lo so che siete sospettosi per natura.
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venerdì, settembre 09, 2005
Non una, ma due volte
Voce fuori campo:
"Go fuck yourself Mr. Cheney. Go fuck yourself."
Disponibile in Quicktime e WMP su Crooks and Liars, qui.
E anche sul blog what tian has learned (link diretto, qui).
"Go fuck yourself Mr. Cheney. Go fuck yourself."
Disponibile in Quicktime e WMP su Crooks and Liars, qui.
E anche sul blog what tian has learned (link diretto, qui).
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giovedì, settembre 08, 2005
Ventiquattro volte al secondo
La photographie, c'est la vérité
et le cinéma, c'est vingt-quatre fois la vérité par seconde.
Jean-Luc Godard
Grafica rivoluzionaria, stile inconfondibile, grandi contenuti: correte a vedere Kinobit, il vlog di Strelnik!
et le cinéma, c'est vingt-quatre fois la vérité par seconde.
Jean-Luc Godard
Grafica rivoluzionaria, stile inconfondibile, grandi contenuti: correte a vedere Kinobit, il vlog di Strelnik!
Il Terzo Mondo in casa
Di fronte agli umiliati e offesi di New Orleans il dubbio era venuto a molti, ma ora il rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano conferma che ci sono zone degli Stati Uniti povere come quelle del Terzo Mondo: il documento di 350 pagine - che può essere visto come una risposta insolitamente esplicita agli attacchi degli Stati Uniti all'ONU - critica la politica americana nella lotta alla povertà e afferma che "c'è urgente necessità di sviluppare una rete di sicurezza collettiva che vada oltre le risposte militari al terrorismo."
Per mezzo secolo gli Stati Uniti hanno assistito a un notevole calo della mortalità tra i bambini sotto i cinque anni, ma a partire dal 2000 questa tendenza si è invertita.
Anche se gli Stati Uniti sono primi al mondo nella spesa sanitaria - spendendo pro capite il doppio di quello che spendono in media le altre nazioni ricche dell'OCSE, e cioè il 13 per centro delle entrate nazionali - questo va sporporzionatamente a favore degli americani bianchi.
Il tasso di mortalità infantile negli Stati Uniti è oggi lo stesso della Malesia. Le spese in campo sanitario riflettono le sofisticate tecnologie americane. Ma il paradosso che sta al centro del sistema sanitario americano è che paesi che spendono molto meno degli Stati Uniti hanno in media una popolazione più sana, e questo a causa delle disparità e delle disuguaglianze americane. Un bambino appartenente al 5% costituito dalle famiglie più ricche d'America vivrà il 25% più a lungo di un bambino nato nel 5% costituito dalle famiglie più povere, e il tasso di mortalità infantile è lo stesso della Malesia che ha un quarto delle entrate degli Stati Uniti.
Tra i neri di Washington DC c'è una percentuale di mortalità infantile più alta dello stato indiano del Kerala.
La salute dei cittadini statunitensi dipende da molti fattori: l'assicurazione sanitaria, il reddito, la lingua e il livello di istruzione. Le madri nere hanno una doppia probabilità di mettere al mondo bambini sottopeso rispetto alle madri bianche, e i loro bambini hanno una probabilità maggiore di ammalarsi.
In tutti gli Stati Uniti i bambini neri hanno una doppia probabilità di morire prima di compiere un anno rispetto ai bambini bianchi.
Gli ispanoamericani hanno una doppia probabilità di non possedere un'assicurazione sanitaria.
Gli Stati Uniti sono l'unico paese ricco a non avere un sistema universale di assicurazione sanitaria. Più di una persona su sei in età lavorativa è priva di assicurazione. Tra le famiglie che vivono sotto la soglia della povertà, una su tre non è assicurata. Solo il 13% degli americani bianchi sono privi di assicurazione, in contrasto con il 21% dei neri e il 34% degli ispanoamericani. Nascere in una famiglia priva di assicurazione aumenta di circa il 50% le probabilità di morire entro il primo anno di vita.
Se fosse colmato il divario tra bianchi e neri nell'assistenza sanitaria, si salverebbero 85.000 vite all'anno.
La percentuale di povertà infantile (definita come l'appartenenza a una famiglia che ha un reddito inferiore al 50% del reddito medio nazionale) è attualmente superiore al 20%.
Fonti:
Human Development Report 2005
"UN hits back at US in report saying parts of America are as poor as Third World", The Independent
Per mezzo secolo gli Stati Uniti hanno assistito a un notevole calo della mortalità tra i bambini sotto i cinque anni, ma a partire dal 2000 questa tendenza si è invertita.
Anche se gli Stati Uniti sono primi al mondo nella spesa sanitaria - spendendo pro capite il doppio di quello che spendono in media le altre nazioni ricche dell'OCSE, e cioè il 13 per centro delle entrate nazionali - questo va sporporzionatamente a favore degli americani bianchi.
Il tasso di mortalità infantile negli Stati Uniti è oggi lo stesso della Malesia. Le spese in campo sanitario riflettono le sofisticate tecnologie americane. Ma il paradosso che sta al centro del sistema sanitario americano è che paesi che spendono molto meno degli Stati Uniti hanno in media una popolazione più sana, e questo a causa delle disparità e delle disuguaglianze americane. Un bambino appartenente al 5% costituito dalle famiglie più ricche d'America vivrà il 25% più a lungo di un bambino nato nel 5% costituito dalle famiglie più povere, e il tasso di mortalità infantile è lo stesso della Malesia che ha un quarto delle entrate degli Stati Uniti.
Tra i neri di Washington DC c'è una percentuale di mortalità infantile più alta dello stato indiano del Kerala.
La salute dei cittadini statunitensi dipende da molti fattori: l'assicurazione sanitaria, il reddito, la lingua e il livello di istruzione. Le madri nere hanno una doppia probabilità di mettere al mondo bambini sottopeso rispetto alle madri bianche, e i loro bambini hanno una probabilità maggiore di ammalarsi.
In tutti gli Stati Uniti i bambini neri hanno una doppia probabilità di morire prima di compiere un anno rispetto ai bambini bianchi.
Gli ispanoamericani hanno una doppia probabilità di non possedere un'assicurazione sanitaria.
Gli Stati Uniti sono l'unico paese ricco a non avere un sistema universale di assicurazione sanitaria. Più di una persona su sei in età lavorativa è priva di assicurazione. Tra le famiglie che vivono sotto la soglia della povertà, una su tre non è assicurata. Solo il 13% degli americani bianchi sono privi di assicurazione, in contrasto con il 21% dei neri e il 34% degli ispanoamericani. Nascere in una famiglia priva di assicurazione aumenta di circa il 50% le probabilità di morire entro il primo anno di vita.
Se fosse colmato il divario tra bianchi e neri nell'assistenza sanitaria, si salverebbero 85.000 vite all'anno.
La percentuale di povertà infantile (definita come l'appartenenza a una famiglia che ha un reddito inferiore al 50% del reddito medio nazionale) è attualmente superiore al 20%.
Fonti:
Human Development Report 2005
"UN hits back at US in report saying parts of America are as poor as Third World", The Independent
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Di questo non si parla
Oggi è il nono giorno di sciopero della fame dei sette compagni che chiedono al Ministero degli Esteri e al governo italiano di garantire i visti ai sei esponenti della società civile irachena invitati alla Conferenza di Chianciano dell'1-2 ottobre 2005.
È bene ricordare chi sono questi esponenti:
Sheikh Jawad al Khalesi, leader dell'Iraqi National Foundation Congress; professore universitario sciita che si è opposto alle elezioni del 30 gennaio. Sta cercando di formare un fronte politico interconfessionale dell’opposizione. È già intervenuto diverse volte all’estero ed anche in Europa.
Ayatollah Sheikh Ahmed al Baghdadi, una delle più importanti autorità religiose sciite.
Salah al Mukhtar, già ambasciatore iracheno in India e Vietnam. Intellettuale dell’ambiente nazionalista-progressista. Attualmente esiliato in Yemen, collabora con numerosi giornali arabi.
Sheikh Hassan al Zargani, Portavoce internazionale del movimento di Muqtada al Sadr e editore del giornale Hawza chiuso dagli americani. Attualmente esule in Siria.
Mohamad Faris, Comunista patriottico iracheno residente in Siria. Sta lavorando per l’unificazione delle forze della Resistenza.
Ibrahim al Kubaisi, Medico di Falluja, fratello del segretario dell’Alleanza Patriottica Irachena, rapito dagli americani il 4 settembre 2004. Anch’egli ha già avuto modo di lasciare alcune volte l’Iraq.
Va ricordato anche che (come si è appreso agli inizi di agosto) 44 membri del Congresso degli Stati Uniti hanno inviato una richiesta formale al governo italiano, invitandolo ad impedire lo svolgimento del convegno. L’ambasciata italiana a Baghdad, nei giorni successivi, ha comunicato che i visti richiesti per gli esponenti iracheni non sarebbero stati più concessi per decisione politica del Ministero degli Esteri.
Ora, l'impressione è che i mezzi di informazione ad ampia diffusione siano finora stati indecisi tra il non parlare affatto di questa vicenda e il parlarne in modo confuso e poco informato (per fare un esempio, si confonde tra l'organizzazione della conferenza e la presunta raccolta di fondi a favore della resistenza irachena).
Non sto parlando di solidarietà con il popolo iracheno e di critica dell'occupazione angloamericana (benché le trovi legittime e perfettamente sensate), mi fermo molto prima: non capisco perché quei sei esponenti della società civile irachena sono considerati pericolosi dal nostro Ministero degli Esteri (e lasciamo perdere discorsi vaghi sul terrorismo e la sicurezza del nostro paese: quellesei persone, e i loro tre interpreti, via), e se la decisione di non rilasciare i visti è conseguenza diretta delle pressioni americane e della lettera dei 44 membri del congresso degli Stati Uniti. A questo punto sono curiosa: c'è il pericolo che questi signori vengano qui ad "attentare alla nostra sicurezza"? E come? Ah, già, parlando: di elezioni irachene, di governi fantoccio, di Abu Ghraib, degli scontri interconfessionali alimentati dagli Stati Uniti, di guerra e di occupazione.
Un grazie ai "pericolosi" Sette che digiunano.
Tutte le informazioni sullo sciopero e le iniziative in corso, qui.
È bene ricordare chi sono questi esponenti:
Sheikh Jawad al Khalesi, leader dell'Iraqi National Foundation Congress; professore universitario sciita che si è opposto alle elezioni del 30 gennaio. Sta cercando di formare un fronte politico interconfessionale dell’opposizione. È già intervenuto diverse volte all’estero ed anche in Europa.
Ayatollah Sheikh Ahmed al Baghdadi, una delle più importanti autorità religiose sciite.
Salah al Mukhtar, già ambasciatore iracheno in India e Vietnam. Intellettuale dell’ambiente nazionalista-progressista. Attualmente esiliato in Yemen, collabora con numerosi giornali arabi.
Sheikh Hassan al Zargani, Portavoce internazionale del movimento di Muqtada al Sadr e editore del giornale Hawza chiuso dagli americani. Attualmente esule in Siria.
Mohamad Faris, Comunista patriottico iracheno residente in Siria. Sta lavorando per l’unificazione delle forze della Resistenza.
Ibrahim al Kubaisi, Medico di Falluja, fratello del segretario dell’Alleanza Patriottica Irachena, rapito dagli americani il 4 settembre 2004. Anch’egli ha già avuto modo di lasciare alcune volte l’Iraq.
Va ricordato anche che (come si è appreso agli inizi di agosto) 44 membri del Congresso degli Stati Uniti hanno inviato una richiesta formale al governo italiano, invitandolo ad impedire lo svolgimento del convegno. L’ambasciata italiana a Baghdad, nei giorni successivi, ha comunicato che i visti richiesti per gli esponenti iracheni non sarebbero stati più concessi per decisione politica del Ministero degli Esteri.
Ora, l'impressione è che i mezzi di informazione ad ampia diffusione siano finora stati indecisi tra il non parlare affatto di questa vicenda e il parlarne in modo confuso e poco informato (per fare un esempio, si confonde tra l'organizzazione della conferenza e la presunta raccolta di fondi a favore della resistenza irachena).
Non sto parlando di solidarietà con il popolo iracheno e di critica dell'occupazione angloamericana (benché le trovi legittime e perfettamente sensate), mi fermo molto prima: non capisco perché quei sei esponenti della società civile irachena sono considerati pericolosi dal nostro Ministero degli Esteri (e lasciamo perdere discorsi vaghi sul terrorismo e la sicurezza del nostro paese: quellesei persone, e i loro tre interpreti, via), e se la decisione di non rilasciare i visti è conseguenza diretta delle pressioni americane e della lettera dei 44 membri del congresso degli Stati Uniti. A questo punto sono curiosa: c'è il pericolo che questi signori vengano qui ad "attentare alla nostra sicurezza"? E come? Ah, già, parlando: di elezioni irachene, di governi fantoccio, di Abu Ghraib, degli scontri interconfessionali alimentati dagli Stati Uniti, di guerra e di occupazione.
Un grazie ai "pericolosi" Sette che digiunano.
Tutte le informazioni sullo sciopero e le iniziative in corso, qui.
martedì, settembre 06, 2005
Guarda chi si rivede
La FEMA, l'Agenzia federale per la gestione delle emergenze, qualche giorno fa aveva elencato sul suo sito le associazioni a cui mandare contributi in denaro per aiutare le vittime dell’uragano Katrina. Oggi quella pagina non esiste più (io ho fatto in tempo a vederla grazie a una segnalazione di Pino), ma, in breve, metteva a disposizione i nomi e i numeri di telefono della Croce Rossa, di Operation Blessing e di America's Second Harvest, una rete nazionale di banche del cibo.
Operation Blessing, con il suo bilancio di 190 milioni di dollari, è parte integrante dell'impero di Pat Robertson, il telepredicatore fondatore della Christian Coalition. E questo si sa.
Quello che si sa meno sta scritto oggi sul New York Daily News.
Nel 1994, durante il genocidio del Ruanda, Robertson usò il suo circuito televisivo 700 Club per raccogliere donazioni pubbliche a favore dei profughi ruandesi.
Nel 1999 un'indagine dell'ufficio del procuratore generale della Virginia concluse che gli aerei acquistati per portare nello Zaire gli aiuti umanitari per i rifugiati furono in realtà principalmente usati per trasportare apparecchiature in una miniera di diamanti gestita da una compagnia chiamata African Development Corp.
Chi dirigeva quella compagnia mineraria e ne era l'unico azionista? Pat Robertson stesso.
Si era assicurato la concessione mineraria da Mobutu Sese Seko, suo amico di lunga data e all’epoca dittatore dello Zaire.
Fonte: “Disaster used as political payoff”, New York Daily News.
(via War and Piece)
Operation Blessing, con il suo bilancio di 190 milioni di dollari, è parte integrante dell'impero di Pat Robertson, il telepredicatore fondatore della Christian Coalition. E questo si sa.
Quello che si sa meno sta scritto oggi sul New York Daily News.
Nel 1994, durante il genocidio del Ruanda, Robertson usò il suo circuito televisivo 700 Club per raccogliere donazioni pubbliche a favore dei profughi ruandesi.
Nel 1999 un'indagine dell'ufficio del procuratore generale della Virginia concluse che gli aerei acquistati per portare nello Zaire gli aiuti umanitari per i rifugiati furono in realtà principalmente usati per trasportare apparecchiature in una miniera di diamanti gestita da una compagnia chiamata African Development Corp.
Chi dirigeva quella compagnia mineraria e ne era l'unico azionista? Pat Robertson stesso.
Si era assicurato la concessione mineraria da Mobutu Sese Seko, suo amico di lunga data e all’epoca dittatore dello Zaire.
Fonte: “Disaster used as political payoff”, New York Daily News.
(via War and Piece)
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Fallimenti
Scrive oggi Eugene Robinson sul Washington Post:
"Ogni città grande o piccola della Louisiana che non sia stata colpita dall’uragano è piena di sfollati. E poi ci sono le decine di migliaia in Texas e le moltitudini che si ritrovano sparse negli stati vicini. Le comunità che ospitano queste persone hanno le migliori intenzioni, ma molte non saranno in grado di sostenere economicamente il peso aggiuntivo. Dove andranno queste persone? Perché non c’era un piano?
Ed è qui che comincio a puntare il dito, perché pochi giorni sul posto del disastro mi hanno convinto che due sono le cose in cui il governo federale ha fallito, e che di questo fallimento possiamo incolpare unicamente il presidente.
Primo, un’amministrazione che a partire dall’11 settembre 2001 ci ha detto che un grande attentato terroristico è inevitabile avrebbe dovuto prevedere un buon piano per evacuare una grande città americana. Anche se non ci fosse stato un piano specifico per New Orleans – benché si sapesse che una rottura degli argini era una delle catastrofi naturali più probabili – avrebbe dovuto esserci un piano generico. George W. Bush ci ha detto più volte che le nostre città erano minacciate. Non avrebbe dovuto ordinare un piano per sgomberarle?
Secondo, qualcuno avrebbe dovuto pensare a cosa fare di centinaia di migliaia di sfollati, sia nell’immediato sia a lungo termine. Mentre la gente lasciava in massa New Orleans, sono state le autorità locali e statali a far fronte alla sfida, inventandosi cosa fare man mano che i problemi si ponevano. Portate quel gruppo di persone all’Astrodome. Abbiamo un albergo vuoto che possiamo usare. Mandatene un centinaio in chiesa e faremo del nostro meglio.
Le tendopoli non sono un’ipotesi entusiasmante, ma neanche l’improvvisazione. Qual è il problema? Il fervore ideologico dell’amministrazione Bush per lo “small government” (“meno governo”)? La Casa Bianca pensa davvero che la responsabilità maggiore debba ricadere sui volontari, sulle parrocchie, sugli individui? O si tratta solo di incredibile incompetenza e scarsa lungimiranza?"
Fonte: "It's your failure too, Mr Bush"
"Ogni città grande o piccola della Louisiana che non sia stata colpita dall’uragano è piena di sfollati. E poi ci sono le decine di migliaia in Texas e le moltitudini che si ritrovano sparse negli stati vicini. Le comunità che ospitano queste persone hanno le migliori intenzioni, ma molte non saranno in grado di sostenere economicamente il peso aggiuntivo. Dove andranno queste persone? Perché non c’era un piano?
Ed è qui che comincio a puntare il dito, perché pochi giorni sul posto del disastro mi hanno convinto che due sono le cose in cui il governo federale ha fallito, e che di questo fallimento possiamo incolpare unicamente il presidente.
Primo, un’amministrazione che a partire dall’11 settembre 2001 ci ha detto che un grande attentato terroristico è inevitabile avrebbe dovuto prevedere un buon piano per evacuare una grande città americana. Anche se non ci fosse stato un piano specifico per New Orleans – benché si sapesse che una rottura degli argini era una delle catastrofi naturali più probabili – avrebbe dovuto esserci un piano generico. George W. Bush ci ha detto più volte che le nostre città erano minacciate. Non avrebbe dovuto ordinare un piano per sgomberarle?
Secondo, qualcuno avrebbe dovuto pensare a cosa fare di centinaia di migliaia di sfollati, sia nell’immediato sia a lungo termine. Mentre la gente lasciava in massa New Orleans, sono state le autorità locali e statali a far fronte alla sfida, inventandosi cosa fare man mano che i problemi si ponevano. Portate quel gruppo di persone all’Astrodome. Abbiamo un albergo vuoto che possiamo usare. Mandatene un centinaio in chiesa e faremo del nostro meglio.
Le tendopoli non sono un’ipotesi entusiasmante, ma neanche l’improvvisazione. Qual è il problema? Il fervore ideologico dell’amministrazione Bush per lo “small government” (“meno governo”)? La Casa Bianca pensa davvero che la responsabilità maggiore debba ricadere sui volontari, sulle parrocchie, sugli individui? O si tratta solo di incredibile incompetenza e scarsa lungimiranza?"
Fonte: "It's your failure too, Mr Bush"
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Usa
lunedì, settembre 05, 2005
Il problema di questi graffiti
- Stai dipingendo il muro, lo fai sembrare bello.
- Grazie.
- Non vogliamo che sia bello, odiamo questo muro, vattene via.
Il problema è che i graffiti di Banksy in Cisgiordania sono proprio belli.
(via electronic intifada)
domenica, settembre 04, 2005
Chiedo scusa se parlo di Cuba
E adesso se permettete parliamo anche di Cuba.
Ne parliamo partendo da quello che scrive sulla catastrofe di New Orleans Stan Goff nel suo Feral Scholar:
"Niente di tutto questo è naturale. La guerra non è naturale, e non lo è neanche la povertà. Di questo sta morendo la gente, non di un uragano.
[...]
Cuba ha evacuato 660.000 persone prima dell’Uragano Dennis, un Categoria 4 che l’ha colpita in luglio, e ha contato dieci morti. E questo perché Cuba non solo investe nella preparazione alle calamità e in difesa civile, ma perché c’è un forte coinvolgimento sociale nelle infrastrutture mediche, nel conseguimento di alti livelli di alfabetismo, nell’appoggio che il governo offre agli organizzatori delle comunità locali, solo per citare alcune delle ragioni.
Noi abbiamo fatto un’evacuazione da libero mercato, abbiamo detto alle persone di andarsene con i propri mezzi e quando era troppo tardi. Cuba è povera di risorse. Gli Stati Uniti sono ricchi di risorse. Immaginate un po’.”
Goff cita un rapporto dell'Oxfam America sul modello cubano di preparazione ai disastri. Il documento sottolinea l'importanza di alcuni elementi di fondamentale importanza nell'arginare gli effetti delle calamità:
- Accesso universale ai servizi (istruzione, salute, ecc.)
- Politiche per ridurre le disparità sociali ed economiche
- Notevole investimento in capitale umano
- Investimenti del governo nelle infrastrutture
- Organizzazione economica e sociale
Secondo il rapporto dell'Oxfam gli ultimi tre elementi del modello di sviluppo cubano producono effetti moltiplicatori che migliorano la prevenzione del rischio in vari modi. Basti considerare che il 95,9% della popolazione è alfabetizzata e in grado di accedere al materiale informativo sulle calamità. I bambini vanno a scuola fino alla nona classe. In tutto il paese c’è un sistema di strade adeguato che facilita le rapide evacuazioni. Ci sono regole edilizie che contribuiscono a limitare la vulnerabilità degli edifici. E poi il 95% delle case ha l’elettricità, così che le persone possano ricevere le notizie sui disastri dalla televisione e dalla radio.
Di Cuba, ma questa volta in relazione all'Uragano Ivan, parla anche Marjorie Cohn in un pezzo dal titolo "The Two Americas":
"Nel settembre dello scorso anno un uragano di categoria 5 ha spazzato la piccola isola di Cuba con venti di 250 chilometri orari. Più di 1,5 milioni di cubani sono stati evacuati in zone sicure prima dell’arrivo dell’uragano. Sono state distrutte 20.000 case, ma non c’è stato nessun morto.
Qual è il segreto di Fidel Castro? Secondo il Dr. Nelson Valdes, professore di sociologia all’Università del New Mexico e specializzato in America Latina, 'tanto per cominciare, l’intera difesa civile è radicata nella comunità. La gente sa in anticipo dove deve andare.'
'I capi cubani vanno in TV e prendono in mano la situazione,' ha detto Valdes.
[...]
Limitarsi a pigiare la gente in uno stadio è impensabile' a Cuba. 'In tutti i rifugi è presente personale medico del quartiere. A Cuba i medici di base prendono parte all’evacuazione con i loro assistiti, e sanno già, per esempio, chi può avere bisogno di insulina.'
Vengono portati via anche gli animali, gli apparecchi TV e frigoriferi, 'così che le persone non esitino ad andarsene per timore che qualcuno rubi le loro cose.'
Dopo l’uragano Ivan il Segretariato Internazionale delle Nazioni Unite per la Riduzione dei Disastri ha citato Cuba come un modello per la preparazione agli uragani. Il direttore dell’ISDR Salvano Briceno ha detto: 'Il sistema cubano potrebbe facilmente essere applicato ad altri paesi con condizioni economiche simili e perfino a paesi con risorse più ingenti che però non riescono a proteggere la popolazione come fa Cuba.'
[...]
Quando l’Uragano Ivan ha colpito Cuba non è stato imposto nessun coprifuoco. Non ci sono stati saccheggi o violenze. Tutti erano nella stessa barca.
Fidel Castro, che ha paragonato i preparativi del governo per l’Uragano Ivan ai preparativi per l’invasione degli Stati Uniti a lungo temuta, ha commentato: 'Ci prepariamo a questo da 45 anni.'"
Ne parliamo partendo da quello che scrive sulla catastrofe di New Orleans Stan Goff nel suo Feral Scholar:
"Niente di tutto questo è naturale. La guerra non è naturale, e non lo è neanche la povertà. Di questo sta morendo la gente, non di un uragano.
[...]
Cuba ha evacuato 660.000 persone prima dell’Uragano Dennis, un Categoria 4 che l’ha colpita in luglio, e ha contato dieci morti. E questo perché Cuba non solo investe nella preparazione alle calamità e in difesa civile, ma perché c’è un forte coinvolgimento sociale nelle infrastrutture mediche, nel conseguimento di alti livelli di alfabetismo, nell’appoggio che il governo offre agli organizzatori delle comunità locali, solo per citare alcune delle ragioni.
Noi abbiamo fatto un’evacuazione da libero mercato, abbiamo detto alle persone di andarsene con i propri mezzi e quando era troppo tardi. Cuba è povera di risorse. Gli Stati Uniti sono ricchi di risorse. Immaginate un po’.”
Goff cita un rapporto dell'Oxfam America sul modello cubano di preparazione ai disastri. Il documento sottolinea l'importanza di alcuni elementi di fondamentale importanza nell'arginare gli effetti delle calamità:
- Accesso universale ai servizi (istruzione, salute, ecc.)
- Politiche per ridurre le disparità sociali ed economiche
- Notevole investimento in capitale umano
- Investimenti del governo nelle infrastrutture
- Organizzazione economica e sociale
Secondo il rapporto dell'Oxfam gli ultimi tre elementi del modello di sviluppo cubano producono effetti moltiplicatori che migliorano la prevenzione del rischio in vari modi. Basti considerare che il 95,9% della popolazione è alfabetizzata e in grado di accedere al materiale informativo sulle calamità. I bambini vanno a scuola fino alla nona classe. In tutto il paese c’è un sistema di strade adeguato che facilita le rapide evacuazioni. Ci sono regole edilizie che contribuiscono a limitare la vulnerabilità degli edifici. E poi il 95% delle case ha l’elettricità, così che le persone possano ricevere le notizie sui disastri dalla televisione e dalla radio.
Di Cuba, ma questa volta in relazione all'Uragano Ivan, parla anche Marjorie Cohn in un pezzo dal titolo "The Two Americas":
"Nel settembre dello scorso anno un uragano di categoria 5 ha spazzato la piccola isola di Cuba con venti di 250 chilometri orari. Più di 1,5 milioni di cubani sono stati evacuati in zone sicure prima dell’arrivo dell’uragano. Sono state distrutte 20.000 case, ma non c’è stato nessun morto.
Qual è il segreto di Fidel Castro? Secondo il Dr. Nelson Valdes, professore di sociologia all’Università del New Mexico e specializzato in America Latina, 'tanto per cominciare, l’intera difesa civile è radicata nella comunità. La gente sa in anticipo dove deve andare.'
'I capi cubani vanno in TV e prendono in mano la situazione,' ha detto Valdes.
[...]
Limitarsi a pigiare la gente in uno stadio è impensabile' a Cuba. 'In tutti i rifugi è presente personale medico del quartiere. A Cuba i medici di base prendono parte all’evacuazione con i loro assistiti, e sanno già, per esempio, chi può avere bisogno di insulina.'
Vengono portati via anche gli animali, gli apparecchi TV e frigoriferi, 'così che le persone non esitino ad andarsene per timore che qualcuno rubi le loro cose.'
Dopo l’uragano Ivan il Segretariato Internazionale delle Nazioni Unite per la Riduzione dei Disastri ha citato Cuba come un modello per la preparazione agli uragani. Il direttore dell’ISDR Salvano Briceno ha detto: 'Il sistema cubano potrebbe facilmente essere applicato ad altri paesi con condizioni economiche simili e perfino a paesi con risorse più ingenti che però non riescono a proteggere la popolazione come fa Cuba.'
[...]
Quando l’Uragano Ivan ha colpito Cuba non è stato imposto nessun coprifuoco. Non ci sono stati saccheggi o violenze. Tutti erano nella stessa barca.
Fidel Castro, che ha paragonato i preparativi del governo per l’Uragano Ivan ai preparativi per l’invasione degli Stati Uniti a lungo temuta, ha commentato: 'Ci prepariamo a questo da 45 anni.'"
Imparare (anche) dal Bangladesh
Nei commenti abbiamo parlato delle inondazioni che ogni anno provocano migliaia di morti in Cina. C'è più di un paese che potrebbe insegnare qualcosa agli Stati Uniti nella gestione di queste emergenze, soprattutto quando si tratta di provvedere nell'immediato alla salute dei più deboli e degli indifesi.
Nel blog di Daniel Brett c'è un post molto interessante sull'alluvione del Bangladesh di poco più di un anno fa:
"Sono stati colpiti 41 distretti su 64, 30 milioni di abitanti hanno perso o abbandonato le loro abitazioni e ci sono stati almeno 600 morti.
Rispetto all'uragano Katrina si è trattato di una catastrofe di proporzioni ben maggiori, e il numero di morti è stato probabilmente inferiore. Ma il disastro è stato contenuto grazie all'istinto di sopravvivenza del popolo del Bangladesh, alla sua capacità di ingegnarsi di fronte alle avversità e a un forte senso del lavoro.
Invece di sparare e saccheggiare, i bangladesi hanno immediatamente usato le loro modeste risorse per limitare l'impatto delle inondazioni prima che giungessero gli aiuti internazionali.
Scrisse allora il blogger bangladese Rezwan:
'Adesso la vera sfida sta nel tenere lontane le vittime dalle epidemie e dalle malattie e nel riabilitarle. Sul territorio si sono distribuite quasi 5000 unità mediche per cercare di contenere il diffondersi di malattie. In tutto il paese si è fatto molto per fornire cibo alle vittime dell'alluvione, che ora si trovano raccolte in rifugi improvvisati (di solito le istituzioni scolastiche governative). Nel mio quartiere in una sola via ci sono ben due iniziative per raccogliere le donazioni sotto forma di farina, sale, acqua e porzioni di cibo da mandare alle vittime.'
Paragonate questo con New Orleans, dove si spara agli elicotteri dei soccorritori, dove i corpi marciscono per strada, gli ospedali non hanno capacità né medicine e solo i mass media sembrano essere in grado di mobilitarsi.
Il Bangladesh è uno dei paesi più poveri del mondo, ma è riuscito comunque a raggiungere una crescita dello 0,3% del prodotto agricolo tra il luglio 2004 e il giugno 2005, rispetto al 4,3% dell'anno finanziario precedente. Se il raccolto totale di grano è sceso del 4,0%, il riso raccolto nel febbraio-marzo del 2005 è aumentato del 9,4% rispetto all'anno precedente, e questo accadeva meno di sei mesi dopo l'inondazione. Il prodotto interno lordo è crollato dell'1,1%, ma è stata una conseguenza dell'abolizione delle quote di commercio nei mercati occidentali più che dell'inondazione.
Il fatto che l'economia sia stata capace di riprendersi così presto dall'inondazione testimonia la capacità dei bangladesi di rimettersi in piedi e ricominciare a costruire. Questo istinto di sopravvivenza probabilmente deve molto alla guerra di liberazione del 1970-71 contro il Pakistan, in cui sono morte centinaia di migliaia di bangladesi.
Gli americani non hanno mai veramente dovuto affrontare avversità di questo tipo. La loro società è stata atomizzata dal capitalismo del libero mercato e i legami sociali sono deboli, rendendo molto più difficile la solidarietà e l'aiuto reciproco. Invece i bangladesi attribuiscono una grande importanza ai legami sociali e familiari, che li hanno accompagnati attraverso una moltitudine di disastri umani e naturali. Le esperienze del Bangladesh ci dimostrano che, di fronte alle catastrofi, il denaro non rende la società più compatta o meglio organizzata.
Gli americani hanno molto da imparare dal Bangladesh in termini di ordine sociale e di gestione delle emergenze. È tempo di rinunciare a questo atteggiamento di superiorità."
Nel blog di Daniel Brett c'è un post molto interessante sull'alluvione del Bangladesh di poco più di un anno fa:
"Sono stati colpiti 41 distretti su 64, 30 milioni di abitanti hanno perso o abbandonato le loro abitazioni e ci sono stati almeno 600 morti.
Rispetto all'uragano Katrina si è trattato di una catastrofe di proporzioni ben maggiori, e il numero di morti è stato probabilmente inferiore. Ma il disastro è stato contenuto grazie all'istinto di sopravvivenza del popolo del Bangladesh, alla sua capacità di ingegnarsi di fronte alle avversità e a un forte senso del lavoro.
Invece di sparare e saccheggiare, i bangladesi hanno immediatamente usato le loro modeste risorse per limitare l'impatto delle inondazioni prima che giungessero gli aiuti internazionali.
Scrisse allora il blogger bangladese Rezwan:
'Adesso la vera sfida sta nel tenere lontane le vittime dalle epidemie e dalle malattie e nel riabilitarle. Sul territorio si sono distribuite quasi 5000 unità mediche per cercare di contenere il diffondersi di malattie. In tutto il paese si è fatto molto per fornire cibo alle vittime dell'alluvione, che ora si trovano raccolte in rifugi improvvisati (di solito le istituzioni scolastiche governative). Nel mio quartiere in una sola via ci sono ben due iniziative per raccogliere le donazioni sotto forma di farina, sale, acqua e porzioni di cibo da mandare alle vittime.'
Paragonate questo con New Orleans, dove si spara agli elicotteri dei soccorritori, dove i corpi marciscono per strada, gli ospedali non hanno capacità né medicine e solo i mass media sembrano essere in grado di mobilitarsi.
Il Bangladesh è uno dei paesi più poveri del mondo, ma è riuscito comunque a raggiungere una crescita dello 0,3% del prodotto agricolo tra il luglio 2004 e il giugno 2005, rispetto al 4,3% dell'anno finanziario precedente. Se il raccolto totale di grano è sceso del 4,0%, il riso raccolto nel febbraio-marzo del 2005 è aumentato del 9,4% rispetto all'anno precedente, e questo accadeva meno di sei mesi dopo l'inondazione. Il prodotto interno lordo è crollato dell'1,1%, ma è stata una conseguenza dell'abolizione delle quote di commercio nei mercati occidentali più che dell'inondazione.
Il fatto che l'economia sia stata capace di riprendersi così presto dall'inondazione testimonia la capacità dei bangladesi di rimettersi in piedi e ricominciare a costruire. Questo istinto di sopravvivenza probabilmente deve molto alla guerra di liberazione del 1970-71 contro il Pakistan, in cui sono morte centinaia di migliaia di bangladesi.
Gli americani non hanno mai veramente dovuto affrontare avversità di questo tipo. La loro società è stata atomizzata dal capitalismo del libero mercato e i legami sociali sono deboli, rendendo molto più difficile la solidarietà e l'aiuto reciproco. Invece i bangladesi attribuiscono una grande importanza ai legami sociali e familiari, che li hanno accompagnati attraverso una moltitudine di disastri umani e naturali. Le esperienze del Bangladesh ci dimostrano che, di fronte alle catastrofi, il denaro non rende la società più compatta o meglio organizzata.
Gli americani hanno molto da imparare dal Bangladesh in termini di ordine sociale e di gestione delle emergenze. È tempo di rinunciare a questo atteggiamento di superiorità."
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venerdì, settembre 02, 2005
Coloro che hanno scelto di restare
"Nella distruzione di New Orleans sono confluite molte delle tendenze più pericolose della politica e della cultura americane: la povertà, il razzismo, il militarismo, l'avidità delle élite del potere, i danni ambientali, la corruzione e il decadimento della democrazia a ogni livello.
Molto di tutto ciò si rispecchia nello strano linguaggio che anche i mezzi di informazione più cauti hanno usato per descrivere le vittime maggiormente colpite dall'uragano e dalle sue devastanti conseguenze: "coloro che hanno scelto di restare." La situazione è stata subito descritta in modo da lusingare i pregiudizi dei benestanti e negare la realtà dei più vulnerabili.
È ovvio che la grande maggioranza di coloro che non sono scappati sono poveri: non avevano un luogo dove andare, non avevano la possibilità di andarci, non avevano i mezzi per mantenere se stessi e le proprie famiglie in posti estranei. Se ci sono sicuramente state delle persone che sono rimaste per scelta, i più sono rimasti perché non avevano scelta.
Sono rimasti intrappolati dalla loro povertà, e hanno pagato con la vita.
E tuttavia, attraverso lo spettro mediatico, dagli osservatori privilegiati filtra una leggera sfumatura di disapprovazione, la chiara insinuazione che le vittime sono semplicemente state troppo pigre o incapaci per mettersi in salvo. Non c'è comprensione - nemmeno un tentativo di comprensione - per la miseria, l'isolamento, l'immobilità dei poveri, dei malati e dei disperati che vivono tra noi.
[...]
Per quanto colpevole, criminale e odiosa sia l'amministrazione Bush, è solo l'apoteosi di una tendenza della società americana che è diventata sempre più forte e che dura da decenni: la distruzione dell'idea di un bene comune, di un settore pubblico i cui benefici e le cui responsabilità sono condivisi da tutti, e amministrati con il consenso dei cittadini. Per più di trent'anni la destra corporativa ha condotto un'implacabile e concentrata campagna contro il bene comune, cercando di atomizzare gli individui in isolate "unità di consumo" le cui energie politiche - tenute in uno stato di scarsa informazione dagli onnipresenti mezzi di informazione corporativi - possono essere sviate a piacimento verso temi "caldi" (i matrimoni gay, la preghiera a scuola, il vilipendio alla bandiera [...] la minaccia del terrorismo, ecc. ecc.] che non mettono mai in pericolo la realtà del Big Money, dei soldi veri."
Chris Floyd, "The Perfect Storm. New Orleans and the Death of the Common Good", su Counterpunch.
Molto di tutto ciò si rispecchia nello strano linguaggio che anche i mezzi di informazione più cauti hanno usato per descrivere le vittime maggiormente colpite dall'uragano e dalle sue devastanti conseguenze: "coloro che hanno scelto di restare." La situazione è stata subito descritta in modo da lusingare i pregiudizi dei benestanti e negare la realtà dei più vulnerabili.
È ovvio che la grande maggioranza di coloro che non sono scappati sono poveri: non avevano un luogo dove andare, non avevano la possibilità di andarci, non avevano i mezzi per mantenere se stessi e le proprie famiglie in posti estranei. Se ci sono sicuramente state delle persone che sono rimaste per scelta, i più sono rimasti perché non avevano scelta.
Sono rimasti intrappolati dalla loro povertà, e hanno pagato con la vita.
E tuttavia, attraverso lo spettro mediatico, dagli osservatori privilegiati filtra una leggera sfumatura di disapprovazione, la chiara insinuazione che le vittime sono semplicemente state troppo pigre o incapaci per mettersi in salvo. Non c'è comprensione - nemmeno un tentativo di comprensione - per la miseria, l'isolamento, l'immobilità dei poveri, dei malati e dei disperati che vivono tra noi.
[...]
Per quanto colpevole, criminale e odiosa sia l'amministrazione Bush, è solo l'apoteosi di una tendenza della società americana che è diventata sempre più forte e che dura da decenni: la distruzione dell'idea di un bene comune, di un settore pubblico i cui benefici e le cui responsabilità sono condivisi da tutti, e amministrati con il consenso dei cittadini. Per più di trent'anni la destra corporativa ha condotto un'implacabile e concentrata campagna contro il bene comune, cercando di atomizzare gli individui in isolate "unità di consumo" le cui energie politiche - tenute in uno stato di scarsa informazione dagli onnipresenti mezzi di informazione corporativi - possono essere sviate a piacimento verso temi "caldi" (i matrimoni gay, la preghiera a scuola, il vilipendio alla bandiera [...] la minaccia del terrorismo, ecc. ecc.] che non mettono mai in pericolo la realtà del Big Money, dei soldi veri."
Chris Floyd, "The Perfect Storm. New Orleans and the Death of the Common Good", su Counterpunch.
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Google mon amour
Il Premio "Chiave di Ricerca" di oggi è già stato assegnato:
"e 'corretto' dire che ho battuto la testa vicino un letto?"
Ha anche avuto la sensibilità di mettere "corretto" tra virgolette, ché non si sa mai.
"e 'corretto' dire che ho battuto la testa vicino un letto?"
Ha anche avuto la sensibilità di mettere "corretto" tra virgolette, ché non si sa mai.
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giovedì, settembre 01, 2005
Un due tre via: Aserejé in tibetano
Toni_i scrive:
"Ho sentito (ma purtroppo non sono riuscito a trovare nei negozi di cd) una versione di Aserejé (il tormentone delle Las Ketchup!) in... tibetano! Propongo una gara tra i frequentatori del blog per trovare la versione in mp3. La proporrei come nuovo inno dei lavoratori e delle lavoratrici della regione himalaiana.
'Aserejé, ja deje tejebe tude jebere
Sebiunouba majabi an de bugui an de buididipí...'"
E così, per celebrare il 40° anniversario della fondazione della Regione Autonoma Tibetana, la gara parte... ora! e durerà fino all'esaurimento dei concorrenti.
Sebiunouba a tutti.
"Ho sentito (ma purtroppo non sono riuscito a trovare nei negozi di cd) una versione di Aserejé (il tormentone delle Las Ketchup!) in... tibetano! Propongo una gara tra i frequentatori del blog per trovare la versione in mp3. La proporrei come nuovo inno dei lavoratori e delle lavoratrici della regione himalaiana.
'Aserejé, ja deje tejebe tude jebere
Sebiunouba majabi an de bugui an de buididipí...'"
E così, per celebrare il 40° anniversario della fondazione della Regione Autonoma Tibetana, la gara parte... ora! e durerà fino all'esaurimento dei concorrenti.
Sebiunouba a tutti.
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mercoledì, agosto 31, 2005
Terroristi assassini
La puntata di Controcorrente di ieri sera su SkyTg24 avrebbe dovuto essere dedicata al Convegno di Chianciano. In realtà del convegno non si è parlato moltissimo, e la colpa non è stata di Leonardo Mazzei, portavoce del Comitato Iraq Libero, né di Franco Cardini: il livello di approfondimento è stato zero. Il conduttore ha esordito ponendo il problema morale di fronte allo sgozzamento dei civili. Conosco modi migliori per cominciare a parlare del Convegno sull'Iraq, del mancato rilascio dei visti, delle pressioni americane e della sudditanza italiana. Insomma, argomenti ce ne sarebbero stati, per un'ora di trasmissione compreso il Tg.
Ma non voglio parlare di questo. Voglio parlare di Massimo Teodori, ospite in studio.
Ebbene, Teodori è riuscito a nominare:
"terrorismo assassino"/"terroristi assassini": 10 volte.
"terrorismo"/"terroristi": 9 volte.
Nel tempo rimanente a sua disposizione:
ha finto di voler abbandonare lo studio: 1 volta
si è rivolto a Franco Cardini ricordandogli le sue posizioni di "estrema destra" ("più a destra dell'MSI"), senza che vi fosse alcun collegamento con il contesto: 2 volte.
E non è neanche facile, in una trasmissione di un'ora. Non escludo che si sia lasciato scappare qualche balbettio sul "terror.. assass.."; in tal caso il mio calcolo andrebbe rivisto.
Mentre scorrevano i titoli di coda, lettura di e-mail da casa ("I resistenti iracheni sono come i repubblichini?"), risposta secca di Cardini, tazza di cappuccino offerta dal conduttore a Mazzei che poche ore dopo avrebbe cominciato lo sciopero della fame.
Non voglio deprimermi.
Voglio solo espatriare.
Ma non voglio parlare di questo. Voglio parlare di Massimo Teodori, ospite in studio.
Ebbene, Teodori è riuscito a nominare:
"terrorismo assassino"/"terroristi assassini": 10 volte.
"terrorismo"/"terroristi": 9 volte.
Nel tempo rimanente a sua disposizione:
ha finto di voler abbandonare lo studio: 1 volta
si è rivolto a Franco Cardini ricordandogli le sue posizioni di "estrema destra" ("più a destra dell'MSI"), senza che vi fosse alcun collegamento con il contesto: 2 volte.
E non è neanche facile, in una trasmissione di un'ora. Non escludo che si sia lasciato scappare qualche balbettio sul "terror.. assass.."; in tal caso il mio calcolo andrebbe rivisto.
Mentre scorrevano i titoli di coda, lettura di e-mail da casa ("I resistenti iracheni sono come i repubblichini?"), risposta secca di Cardini, tazza di cappuccino offerta dal conduttore a Mazzei che poche ore dopo avrebbe cominciato lo sciopero della fame.
Non voglio deprimermi.
Voglio solo espatriare.
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martedì, agosto 30, 2005
Nouvelle cuisine
Ormai le statistiche degli accessi a questo blog mi danno più soddisfazione della pagina delle rettifiche del Guardian.
Insomma.
Il fatto che ogni tanto faccia riferimento a un'improbabile pietanza per burlarmi degli spavaldi accostamenti culinari di mia suocera, non significa che questa pietanza esiste.
Se esiste, la ricetta del "coniglio con le cozze" non venite a chiederla a me.
Insomma.
Il fatto che ogni tanto faccia riferimento a un'improbabile pietanza per burlarmi degli spavaldi accostamenti culinari di mia suocera, non significa che questa pietanza esiste.
Se esiste, la ricetta del "coniglio con le cozze" non venite a chiederla a me.
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Records are made to be broken
In termini di impopolarità (si veda l'ultimo sondaggio Gallup) Bush batte Roosevelt, Eisenhower, Kennedy, Johnson, Ford e Clinton e si porta al livello di Ronald Reagan al suo minimo livello di gradimento.
Ma può fare di peggio? Gli esperti dicono che è quali impossibile. Per aumentare il suo tasso di impopolarità tra i Repubblicani Bush dovrebbe perdere una guerra, far esplodere il debito nazionale, o governare in un periodo di profonda crisi morale.
Ma può fare di peggio? Gli esperti dicono che è quali impossibile. Per aumentare il suo tasso di impopolarità tra i Repubblicani Bush dovrebbe perdere una guerra, far esplodere il debito nazionale, o governare in un periodo di profonda crisi morale.
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If
La storia fatta dai blogger (se fossero esistiti): link simpatico.
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domenica, agosto 28, 2005
Pandemia, pandemia, per piccina che tu sia...
Da queste parti non vogliamo preoccupare nessuno, eccetera eccetera, però tanto lo sapete che se l'H5N1 va per i cazzi suoi non ci sono sufficienti medicine o vaccinazioni per tutti.
Nel Regno Unito è stato calcolato che se nei prossimi mesi ci sarà una pandemia di influenza aviaria i farmaci saranno sufficienti a proteggere meno del 2% della popolazione per una settimana. Pensateci un attimo. Ok, adesso cercate di non pensarci. È stata quindi stilata una lista di persone che riceveranno le scarse pastiglie e le poche fiale di vaccino antinfluenzale: tra queste, i membri del governo e i giornalisti della BBC. Il sindaco di Londra Ken Livingstone ha già speso un milione di sterline del denaro pubblico per assicurare ai suoi collaboratori e dipendenti una scorta di 100.000 pastiglie contro il virus.
Nella lista prioritaria stilata dal Ministero della Sanità non hanno ancora deciso se inserire gli esponenti dell'opposizione, comunque i giornalisti della BBC sono salvi perché in tempi di calamità nazionale ci sarà bisogno di qualcuno che dia le notizie.
Oddio.
Scommetto che noi siamo messi peggio di loro.
Finora me la sono cavata, non mangio carne, non mangio grassi, praticamente non mangio, rispetto la catena del freddo, evito la maionese di mia suocera e il salmone norvegese, sto lontana dall'amianto e dalle antenne (e a Gorizia ne hanno tirata su una che sembra la torre della British Telecom), non uso mai l'asciugacapelli con le mani bagnate, e cosa mi tocca sentire.
Non ci saranno medicine per tutti, e quelle poche non potremo giocarcele in allegria, la va o la spacca (con il più grande Risiko di tutti i tempi, per esempio, o una megalotteria con ricchi ed effimeri premi di consolazione, sesso, droghe, panna e cioccolata per tutti): no, ci diranno che c'è già una lista, e su quella lista ci sono Berlusconi e Bruno Vespa.
Non ditelo in giro, così almeno la lotteria la facciamo lo stesso.
Non mi sono inventata niente, mi sono lasciata andare solo nell'ultima parte.
Notizia del Times.
Link
Nel Regno Unito è stato calcolato che se nei prossimi mesi ci sarà una pandemia di influenza aviaria i farmaci saranno sufficienti a proteggere meno del 2% della popolazione per una settimana. Pensateci un attimo. Ok, adesso cercate di non pensarci. È stata quindi stilata una lista di persone che riceveranno le scarse pastiglie e le poche fiale di vaccino antinfluenzale: tra queste, i membri del governo e i giornalisti della BBC. Il sindaco di Londra Ken Livingstone ha già speso un milione di sterline del denaro pubblico per assicurare ai suoi collaboratori e dipendenti una scorta di 100.000 pastiglie contro il virus.
Nella lista prioritaria stilata dal Ministero della Sanità non hanno ancora deciso se inserire gli esponenti dell'opposizione, comunque i giornalisti della BBC sono salvi perché in tempi di calamità nazionale ci sarà bisogno di qualcuno che dia le notizie.
Oddio.
Scommetto che noi siamo messi peggio di loro.
Finora me la sono cavata, non mangio carne, non mangio grassi, praticamente non mangio, rispetto la catena del freddo, evito la maionese di mia suocera e il salmone norvegese, sto lontana dall'amianto e dalle antenne (e a Gorizia ne hanno tirata su una che sembra la torre della British Telecom), non uso mai l'asciugacapelli con le mani bagnate, e cosa mi tocca sentire.
Non ci saranno medicine per tutti, e quelle poche non potremo giocarcele in allegria, la va o la spacca (con il più grande Risiko di tutti i tempi, per esempio, o una megalotteria con ricchi ed effimeri premi di consolazione, sesso, droghe, panna e cioccolata per tutti): no, ci diranno che c'è già una lista, e su quella lista ci sono Berlusconi e Bruno Vespa.
Non ditelo in giro, così almeno la lotteria la facciamo lo stesso.
Non mi sono inventata niente, mi sono lasciata andare solo nell'ultima parte.
Notizia del Times.
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Stop, hey, what's that sound?
La guerra in Iraq ricorda sempre più quella del Vietnam, o forse, come ha scritto David M. Shribman, "L'impatto del Vietnam sulla cultura americana [...] è così irresistibile che abbiamo irragionevolmente fatto in modo che l'Iraq sembrasse il Vietnam": e allora "sappiamo già quello che dirà il presidente ('manteniamo la rotta'); sappiamo quello che diranno gli oppositori ('una guerra immorale nutrita di bugie'), sappiamo perfino quello che canterà Joan Baez ('where have all the flowers gone?'). È il remake di un film che è stato girato quando John F. Kerry e Donald H. Rumsfeld erano giovani."
(Link)
Ne hanno parlato il senatore repubblicano Chuck Hagel e Henry Kissinger (anche se quello che gli riporta alla mente la "spiacevole sensazione" è la mobilitazione dell'opinione pubblica contro la guerra, figuriamoci), la Gallup ci ha fatto un sondaggio: a torto o a ragione il "Vietnam template", come lo ha chiamato Tom Engelhardt, viene spesso applicato alla guerra di occupazione dell'Iraq.
Oggi Lewis M. Simons sul Washington Post dice di aver sentito a Baghdad gli echi della Saigon del '67 ("Siamo incapaci di capire oggi in Iraq quello che siamo stati incapaci di capire allora in Vietnam: che un popolo che vuole cacciare gli invasori stranieri dal proprio paese è pronto a sopportare ogni tipo di privazione e di pericolo, per tutto il tempo necessario.")
(Link)
E Frank Rich sul New York Times parla di "vietnamizzazione" delle vacanze di Bush: con Cindy Sheehan alle porte del suo ranch, la situazione in Iraq che è quella che è e Pat Robertson che straparla solo per dire che bisognerebbe far fuori Chavez "per evitare un'altra guerra da 200 miliardi di dollari", "il presidente per la prima volta è stato costretto a fare quello che per lui è il sacrificio estremo: sprecare giorni di vacanza per andare a difendere la guerra in tutti i fortini dello Utah e dell'Idaho che riesce a trovare."
(Link)
Con questo insistente parlare di Vietnam, non mi meraviglia che si sia risvegliata dal suo torpore cosmetico anche Jane Fonda, intenzionata ad accompagnare George Galloway nel suo tour americano contro la guerra in Iraq.
Il commento di Galloway, britannico, ex laburista ora eletto nella coalizione Respect*, è stato: "È con piacere ed emozione che torno in America per manifestare contro una guerra e un'occupazione illegali. Avere con me Jane Fonda è fantastico. Finalmente riuscirò a farmi fare l'autografo."
(Link)
*questo blog ha un debole per George Galloway, per ora.
(Link)
Ne hanno parlato il senatore repubblicano Chuck Hagel e Henry Kissinger (anche se quello che gli riporta alla mente la "spiacevole sensazione" è la mobilitazione dell'opinione pubblica contro la guerra, figuriamoci), la Gallup ci ha fatto un sondaggio: a torto o a ragione il "Vietnam template", come lo ha chiamato Tom Engelhardt, viene spesso applicato alla guerra di occupazione dell'Iraq.
Oggi Lewis M. Simons sul Washington Post dice di aver sentito a Baghdad gli echi della Saigon del '67 ("Siamo incapaci di capire oggi in Iraq quello che siamo stati incapaci di capire allora in Vietnam: che un popolo che vuole cacciare gli invasori stranieri dal proprio paese è pronto a sopportare ogni tipo di privazione e di pericolo, per tutto il tempo necessario.")
(Link)
E Frank Rich sul New York Times parla di "vietnamizzazione" delle vacanze di Bush: con Cindy Sheehan alle porte del suo ranch, la situazione in Iraq che è quella che è e Pat Robertson che straparla solo per dire che bisognerebbe far fuori Chavez "per evitare un'altra guerra da 200 miliardi di dollari", "il presidente per la prima volta è stato costretto a fare quello che per lui è il sacrificio estremo: sprecare giorni di vacanza per andare a difendere la guerra in tutti i fortini dello Utah e dell'Idaho che riesce a trovare."
(Link)
Con questo insistente parlare di Vietnam, non mi meraviglia che si sia risvegliata dal suo torpore cosmetico anche Jane Fonda, intenzionata ad accompagnare George Galloway nel suo tour americano contro la guerra in Iraq.
Il commento di Galloway, britannico, ex laburista ora eletto nella coalizione Respect*, è stato: "È con piacere ed emozione che torno in America per manifestare contro una guerra e un'occupazione illegali. Avere con me Jane Fonda è fantastico. Finalmente riuscirò a farmi fare l'autografo."
(Link)
*questo blog ha un debole per George Galloway, per ora.
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sabato, agosto 27, 2005
Mille
Quei mille detenuti scarcerati ad Abu Ghraib.
Non sono colpevoli di "attentati dinamitardi, uccisioni, torture o rapimenti".
D'accordo, si sono pentiti, hanno promesso di rinunciare alla violenza e di diventare bravi cittadini di un Iraq democratico.
Ma tutte quelle multe per sosta vietata adesso chi le paga?
Non sono colpevoli di "attentati dinamitardi, uccisioni, torture o rapimenti".
D'accordo, si sono pentiti, hanno promesso di rinunciare alla violenza e di diventare bravi cittadini di un Iraq democratico.
Ma tutte quelle multe per sosta vietata adesso chi le paga?
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venerdì, agosto 26, 2005
Com'è andata a finire
Lo Specialista Glendale Wells si è dichiarato colpevole di aver spinto un detenuto contro il muro e ha ammesso di non aver fatto nulla per impedire gli abusi compiuti da altri soldati della base statunitense di Bagram. In effetti due mesi per una spinta sono tanti, no? Ah, già, ma ci sono state delle torture e due morti.
Forse ve la ricordate, la storia di Dilawar. Ho pensato che vi interessasse sapere com'è andata a finire. Due mesi.
Tom Engelhardt qualche giorno fa commentava la storia di abusi, umiliazioni, incarcerazioni senza imputazioni né prove, torture e impunità che sembra essere il tratto distintivo della politica estera dell'amministrazione Bush:
"Non sorprende che non sia stato fatto un calcolo preciso delle persone incarcerate senza imputazioni né possibilità di ricorso. Sono forse 15.000 i detenuti rinchiusi nelle carceri militari americane in Iraq; 505 quelli di Guantanamo; un numero imprecisato di prigionieri è passato poi per le basi militari e i centri di prigionia dell'Afghanistan (che è diventato una specie di gigantesca Guantanamo dell'Asia Centrale per detenuti che vengono da tutte le parti del mondo); e poi ci sono centinaia di "prigionieri fantasma" rinchiusi in carceri fantasma in luoghi sconosciuti (forse anche sulle navi da guerra della marina statunitense, sull'isola di Diego Garcia conrollata dagli americani e nelle prigioni di vari paesi alleati, specialmente quelli particolarmente favorevoli all'uso della tortura); e alcuni si trovano anche nelle carceri militari degli Stati Uniti. Tra tutti questi prigionieri, per lo più privati di ogni diritto e lontani dal resto del mondo e dalle persone che li conoscono e li amano, molti sono - come si è visto, caso dopo caso - uomini, donne e in alcuni casi bambini innocenti, travolti dall'isteria della 'guerra al terrore' intrapresa dall'amministrazione Bush e dalle guerre e dalle occupazioni che sono seguite."
Link: contiene un pezzo molto interessante di Karen J. Greenberg, "The Achilles Heel of Torture".
Forse ve la ricordate, la storia di Dilawar. Ho pensato che vi interessasse sapere com'è andata a finire. Due mesi.
Tom Engelhardt qualche giorno fa commentava la storia di abusi, umiliazioni, incarcerazioni senza imputazioni né prove, torture e impunità che sembra essere il tratto distintivo della politica estera dell'amministrazione Bush:
"Non sorprende che non sia stato fatto un calcolo preciso delle persone incarcerate senza imputazioni né possibilità di ricorso. Sono forse 15.000 i detenuti rinchiusi nelle carceri militari americane in Iraq; 505 quelli di Guantanamo; un numero imprecisato di prigionieri è passato poi per le basi militari e i centri di prigionia dell'Afghanistan (che è diventato una specie di gigantesca Guantanamo dell'Asia Centrale per detenuti che vengono da tutte le parti del mondo); e poi ci sono centinaia di "prigionieri fantasma" rinchiusi in carceri fantasma in luoghi sconosciuti (forse anche sulle navi da guerra della marina statunitense, sull'isola di Diego Garcia conrollata dagli americani e nelle prigioni di vari paesi alleati, specialmente quelli particolarmente favorevoli all'uso della tortura); e alcuni si trovano anche nelle carceri militari degli Stati Uniti. Tra tutti questi prigionieri, per lo più privati di ogni diritto e lontani dal resto del mondo e dalle persone che li conoscono e li amano, molti sono - come si è visto, caso dopo caso - uomini, donne e in alcuni casi bambini innocenti, travolti dall'isteria della 'guerra al terrore' intrapresa dall'amministrazione Bush e dalle guerre e dalle occupazioni che sono seguite."
Link: contiene un pezzo molto interessante di Karen J. Greenberg, "The Achilles Heel of Torture".
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martedì, agosto 23, 2005
Intermezzo comico
Questa va letta così com'è, per gustarsela meglio.
Q I'll ask you about the Iraqi constitution. You said you're confident that it will honor the rights of women.
THE PRESIDENT: Yes.
Q If it's rooted in Islam, as it seems it will be, is that still -- is there still the possibility of honoring the rights of women?
THE PRESIDENT: I talked to Condi, and there is not -- as I understand it, the way the constitution is written is that women have got rights, inherent rights recognized in the constitution, and that the constitution talks about not "the religion," but "a religion." Twenty-five percent of the assembly is going to be women, which is a -- is embedded in the constitution.
Okay. It's been a pleasure.
Link
Q I'll ask you about the Iraqi constitution. You said you're confident that it will honor the rights of women.
THE PRESIDENT: Yes.
Q If it's rooted in Islam, as it seems it will be, is that still -- is there still the possibility of honoring the rights of women?
THE PRESIDENT: I talked to Condi, and there is not -- as I understand it, the way the constitution is written is that women have got rights, inherent rights recognized in the constitution, and that the constitution talks about not "the religion," but "a religion." Twenty-five percent of the assembly is going to be women, which is a -- is embedded in the constitution.
Okay. It's been a pleasure.
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lunedì, agosto 22, 2005
Punti di vista
"The only way to defend our citizens where we live is to go after the terrorists where they live."
George W. Bush, oggi.
A Camp Casey, intanto...
George W. Bush, oggi.
A Camp Casey, intanto...
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giovedì, agosto 18, 2005
Cambiare la femmina
Tu, che hai lasciato traccia nelle mie statistiche degli accessi con la chiave di ricerca "creative zen micro cambiare la femmina": non ci sai fare con lo zen micro. Ma, soprattutto, io credo di non essere quel genere di femmina.
(Era una vita che sognavo di dirlo.)
(Era una vita che sognavo di dirlo.)
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Pensavo una cosa
Un paio di giorni fa. Sento bussare alla porta del bagno: è O., con la Repubblica in mano, impassibile anche se sottilmente esasperato:
- Pensavo una cosa. Ma una mappa della Striscia di Gaza e della West Bank?
- La stai chiedendo alla persona giusta.
D'accordo, mi arrendo: non ne posso più neanch'io delle foto di coloni israeliani in lacrime, degli articoli commossi e partecipi, della fetta di vita del colono medio di Gush Katif. Ha ragione Sharif Hamadeh quando parla di "pornography of the disengagement".
Se personalmente riesco a fare i conti con la malafede (e un Fassino qualunque quando dice che bisogna rivalutare Sharon è in assoluta e flagrante malafede), l'ignoranza mi dà ancora qualche problema.
L'occupazione militare del territorio palestinese continua, come continua la colonizzazione della West Bank. Se da un lato Israele sgombera le colonie nella Striscia di Gaza (che costituisce solo il 4,8% del territorio palestinese occupato), dall'altro continuerà a costruire le proprie colonie e il Muro nella West Bank (il Muro, ce lo ricordiamo, il Muro?), prendendosi più del 45% del territorio palestinese occupato.
I coloni sono stati la causa dell’occupazione militare israeliana del territorio palestinese. La terra palestinese è stata confiscata per costruirvi colonie e strade di esclusiva proprietà di israeliani, spesso in nome della “sicurezza”; case palestinesi e siti storici sono stati demoliti. Sul territorio palestinese occupato è stato imposto un duplice sistema di leggi: i coloni israeliani, che sono circa 430.000, sono sottoposti al diritto civile israeliano e hanno maggiori diritti dei 3,5 milioni di palestinesi che sono sottoposti alla legge militare di Israele, e dunque privati della libertà.
Agli israeliani è garantita la completa libertà di movimento nel territorio palestinese occupato e in Israele, mentre i palestinesi sono relegati alle strade esclusivamente palestinesi (che conducono solo in aree palestinesi), vivono dietro centinaia di posti di blocco e di barriere stradali (situate sul territorio palestinese occupato) e necessitano del permesso di Israele per attraversare quei posti di blocco.
L'economia palestinese langue, i commerci sono ostacolati dai numerosi controlli che costringono a un sistema di trasporto fondato su un continuo carico e scarico dei prodotti. Per esempio, le merci che vengono da Hebron (nella West Bank) e sono destinate a Nablus (anch’essa nella West Bank) devono essere caricate e scaricate circa sette volte, con un aumento dei costi e dei tempi. E le serre delle colonie ora sgomberate? Producevano prodotti organici, prevalentemente da esportazione, e godevano degli ingenti sussidi dello Stato israeliano. E siccome la falda acquifera costiera di Gaza è inquinata, potevano contare sul trasporto di acqua da Israele. Come potranno funzionare senza finanziamenti e senz'acqua pulita, e con un sistema di distribuzione reso tanto lento e oneroso dai controlli e dalle ispezioni israeliane?
C'era anche un aeroporto, a Gaza, inaugurato nel 1998 da Clinton e dal presidente Arafat. È stato chiuso dagli israeliani, che poi hanno distrutto la pista e la torre di controllo. Non che ci fossero le premesse perché un Aeroporto Internazionale di Gaza potesse operare regolarmente.
Attualmente i palestinesi necessitano di permessi israeliani per spostarsi all’interno della West Bank occupata, tra la West Bank occupata e la Striscia di Gaza occupata e verso Israele. I palestinesi della Striscia di Gaza hanno bisogno del permesso israeliano anche per attraversare confini internazionali se vogliono visitare altri paesi e questo permesso viene concesso raramente (meno del 30% della popolazione palestinese lo ottiene).
E, dimenticavo (meglio scriverlo): la Striscia di Gaza ha un’area di 365 kmq, e ha una popolazione palestinese stimata in 1,3 milioni di abitanti, che vivono su 55 kmq di terra edificata. Questo ne fa il luogo più densamente popolato della terra.
E poi sulle prime pagine dei giornali leggo del dramma dei coloni israeliani.
Ma no, devo essere giusta: ieri anche i palestinesi sono riusciti a far parlare di sé. Per farlo, come al solito, hanno dovuto lasciarsi ammazzare in tre.
- Pensavo una cosa. Ma una mappa della Striscia di Gaza e della West Bank?
- La stai chiedendo alla persona giusta.
D'accordo, mi arrendo: non ne posso più neanch'io delle foto di coloni israeliani in lacrime, degli articoli commossi e partecipi, della fetta di vita del colono medio di Gush Katif. Ha ragione Sharif Hamadeh quando parla di "pornography of the disengagement".
Se personalmente riesco a fare i conti con la malafede (e un Fassino qualunque quando dice che bisogna rivalutare Sharon è in assoluta e flagrante malafede), l'ignoranza mi dà ancora qualche problema.
L'occupazione militare del territorio palestinese continua, come continua la colonizzazione della West Bank. Se da un lato Israele sgombera le colonie nella Striscia di Gaza (che costituisce solo il 4,8% del territorio palestinese occupato), dall'altro continuerà a costruire le proprie colonie e il Muro nella West Bank (il Muro, ce lo ricordiamo, il Muro?), prendendosi più del 45% del territorio palestinese occupato.
I coloni sono stati la causa dell’occupazione militare israeliana del territorio palestinese. La terra palestinese è stata confiscata per costruirvi colonie e strade di esclusiva proprietà di israeliani, spesso in nome della “sicurezza”; case palestinesi e siti storici sono stati demoliti. Sul territorio palestinese occupato è stato imposto un duplice sistema di leggi: i coloni israeliani, che sono circa 430.000, sono sottoposti al diritto civile israeliano e hanno maggiori diritti dei 3,5 milioni di palestinesi che sono sottoposti alla legge militare di Israele, e dunque privati della libertà.
Agli israeliani è garantita la completa libertà di movimento nel territorio palestinese occupato e in Israele, mentre i palestinesi sono relegati alle strade esclusivamente palestinesi (che conducono solo in aree palestinesi), vivono dietro centinaia di posti di blocco e di barriere stradali (situate sul territorio palestinese occupato) e necessitano del permesso di Israele per attraversare quei posti di blocco.
L'economia palestinese langue, i commerci sono ostacolati dai numerosi controlli che costringono a un sistema di trasporto fondato su un continuo carico e scarico dei prodotti. Per esempio, le merci che vengono da Hebron (nella West Bank) e sono destinate a Nablus (anch’essa nella West Bank) devono essere caricate e scaricate circa sette volte, con un aumento dei costi e dei tempi. E le serre delle colonie ora sgomberate? Producevano prodotti organici, prevalentemente da esportazione, e godevano degli ingenti sussidi dello Stato israeliano. E siccome la falda acquifera costiera di Gaza è inquinata, potevano contare sul trasporto di acqua da Israele. Come potranno funzionare senza finanziamenti e senz'acqua pulita, e con un sistema di distribuzione reso tanto lento e oneroso dai controlli e dalle ispezioni israeliane?
C'era anche un aeroporto, a Gaza, inaugurato nel 1998 da Clinton e dal presidente Arafat. È stato chiuso dagli israeliani, che poi hanno distrutto la pista e la torre di controllo. Non che ci fossero le premesse perché un Aeroporto Internazionale di Gaza potesse operare regolarmente.
Attualmente i palestinesi necessitano di permessi israeliani per spostarsi all’interno della West Bank occupata, tra la West Bank occupata e la Striscia di Gaza occupata e verso Israele. I palestinesi della Striscia di Gaza hanno bisogno del permesso israeliano anche per attraversare confini internazionali se vogliono visitare altri paesi e questo permesso viene concesso raramente (meno del 30% della popolazione palestinese lo ottiene).
E, dimenticavo (meglio scriverlo): la Striscia di Gaza ha un’area di 365 kmq, e ha una popolazione palestinese stimata in 1,3 milioni di abitanti, che vivono su 55 kmq di terra edificata. Questo ne fa il luogo più densamente popolato della terra.
E poi sulle prime pagine dei giornali leggo del dramma dei coloni israeliani.
Ma no, devo essere giusta: ieri anche i palestinesi sono riusciti a far parlare di sé. Per farlo, come al solito, hanno dovuto lasciarsi ammazzare in tre.
mercoledì, agosto 17, 2005
Sa leggere
Gli addetti alle pubbliche relazioni di George W. Bush fanno sapere che il presidente si è portato in vacanza nel suo ranch texano questi libri:
Salt: A World History di Mark Kurlansky.
Alexander II: the Last Great Tsar di Edvard Radzinsky
The Great Influenza: The Epic Story of the Deadliest Plague in History di John M Barry.
("Neanche un libro da spiaggia!" "Scommettiamo che George Bush è l'unica persona in tutti gli Stati Uniti a portarsi tre libri da leggere in vacanza?").
L'autore del libro di 484 pagine sulla storia del sale, Mark Kurlansky, si è mostrato sorpreso: "La mia prima reazione è stata: oh, legge libri?"
Link: The Guardian
Salt: A World History di Mark Kurlansky.
Alexander II: the Last Great Tsar di Edvard Radzinsky
The Great Influenza: The Epic Story of the Deadliest Plague in History di John M Barry.
("Neanche un libro da spiaggia!" "Scommettiamo che George Bush è l'unica persona in tutti gli Stati Uniti a portarsi tre libri da leggere in vacanza?").
L'autore del libro di 484 pagine sulla storia del sale, Mark Kurlansky, si è mostrato sorpreso: "La mia prima reazione è stata: oh, legge libri?"
Link: The Guardian
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A clean place
Lenin's Tomb segnala questo interessante pezzo di ITV News sull'uccisione di Jean Charles De Menezes, che la mattina del 22 luglio fu scambiato per Hussain Osman - "sospetto terrorista" - e ucciso con dieci colpi alla testa e alla parte superiore del corpo. I documenti e le fotografie resi pubblici da ITV News dimostrano che Jean Charles non portava alcuna borsa, indossava un giubbino di jeans e non un cappotto pesante. Si comportò normalmente, non scavalcò i girevoli d'accesso della metropolitana, e si fermò perfino a prendere un giornale gratuito. Cominciò a correre solo quando si accorse che il treno stava partendo.
Un documento descrive la scena ripresa dalle telecamere di sorveglianza: il signor De Menezes entrò nella stazione di Stockwell a "un'andatura normale" e scese lentamente le scale mobili. Dice il documento: "A un certo punto, ai piedi delle scale mobili lo si vede correre verso il vagone della metropolitana, entrare e accingersi a sedersi in un posto libero". Quasi simultaneamente, i poliziotti armati ricevono la notizia dell'identificazione "sicura" di De Menezes. Il rapporto cita la dichiarazione di un uomo della sorveglianza: "Sentii delle grida, compresa la parola 'polizia', e mi voltai verso l'uomo in giubbino di jeans. L'uomo si alzò subito e avanzò verso di me e i poliziotti del CO19. Lo afferrai cingedogli il torace con entrambe le braccia e bloccandogli i movimenti. Poi lo costrinsi a sedersi nuovamente al suo posto. In quel momento sentii uno sparo vicinissimo al mio orecchio sinistro e fui trascinato a terra."
Il rapporto dice anche che l'autopsia ha rivelato che il signor De Menezes fu colpito sette volte alla testa e una alla spalla. Altri tre colpi mancarono il bersaglio (i bossoli sono stati trovati nel vagone della metropolitana).
Avevano detto che indossava un cappotto pesante, che correva, che aveva scavalcato i girevoli d'accesso della metropolitana, che era stato identificato con certezza, che non si era fermato all'alt. Avevano detto che le telecamere di sorveglianza quel giorno non funzionavano. Che aveva dei lineamenti asiatici, no? Anzi, "Mongolian eyes".
Tempo prima De Menezes aveva rassicurato sua madre, preoccupata per lui: "È un posto tranquillo, la gente è educata. In Inghilterra non c'è violenza. Nessuno va in giro armato, neanche la polizia".
Non bisogna dimenticare questa storia.
Un documento descrive la scena ripresa dalle telecamere di sorveglianza: il signor De Menezes entrò nella stazione di Stockwell a "un'andatura normale" e scese lentamente le scale mobili. Dice il documento: "A un certo punto, ai piedi delle scale mobili lo si vede correre verso il vagone della metropolitana, entrare e accingersi a sedersi in un posto libero". Quasi simultaneamente, i poliziotti armati ricevono la notizia dell'identificazione "sicura" di De Menezes. Il rapporto cita la dichiarazione di un uomo della sorveglianza: "Sentii delle grida, compresa la parola 'polizia', e mi voltai verso l'uomo in giubbino di jeans. L'uomo si alzò subito e avanzò verso di me e i poliziotti del CO19. Lo afferrai cingedogli il torace con entrambe le braccia e bloccandogli i movimenti. Poi lo costrinsi a sedersi nuovamente al suo posto. In quel momento sentii uno sparo vicinissimo al mio orecchio sinistro e fui trascinato a terra."
Il rapporto dice anche che l'autopsia ha rivelato che il signor De Menezes fu colpito sette volte alla testa e una alla spalla. Altri tre colpi mancarono il bersaglio (i bossoli sono stati trovati nel vagone della metropolitana).
Avevano detto che indossava un cappotto pesante, che correva, che aveva scavalcato i girevoli d'accesso della metropolitana, che era stato identificato con certezza, che non si era fermato all'alt. Avevano detto che le telecamere di sorveglianza quel giorno non funzionavano. Che aveva dei lineamenti asiatici, no? Anzi, "Mongolian eyes".
Tempo prima De Menezes aveva rassicurato sua madre, preoccupata per lui: "È un posto tranquillo, la gente è educata. In Inghilterra non c'è violenza. Nessuno va in giro armato, neanche la polizia".
Non bisogna dimenticare questa storia.
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martedì, agosto 16, 2005
Me and Mr. G
16 agosto, martedì, ore 08:15. Sto inciampando per casa vestita di un pigiama fucsia della collezione Oviesse girl estate 2004 (età 7-8 anni) mentre cerco di organizzarmi la giornata ("un salto veloce in banca e all'ufficio postale, gli auguri di compleanno ad Ale, il tempo di rispondere a qualche e-mail e poi parto con il motore a combustione e finalmente il cargo piccolo"). Mi accorgo che il signor G. emette un suono inquietante (tipo "blibliblibli [pausa] blibliblibli [pausa]") abbinato a un'espressione indifferente ("chi, io?") che mi piace poco. Poi mi accorgo che si è sdraiato sul cordless.
- Pronto.
- Salve. Vorrei ordinare un volume dal titolo [...].
- Certo, è disponibile. Se mi dà il suo indirizzo glielo spediamo in giornata.
- Se mi dà il suo, di indirizzo, vengo a prenderlo tra dieci minuti.
- Se viene tra cinque minuti, glielo lancio dalla finestra.
Ha poi optato per la spedizione postale.
Il sarcasmo funziona sempre.
Domani mi faccio la sonda spia.
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mercoledì, agosto 03, 2005
Tartarughe del fango del Mississippi
Il padre di un mio amico, ieri sera:
"Non invecchiare mai, mi raccomando. Ci si rincoglionisce.
Io mi sono affezionato a una tartaruga del fango del Mississippi.
E mi manca."
Lascio il pianeta in modalità vacanza per un po'. Forse troverò un internet point per rimettere in moto le miniere e leggere la posta, forse no. Non posso evitare di invecchiare, ma per il rincoglionimento posso fare ancora qualcosa.
Fate le/i brave/i. Sicuramente vi penso. Potete usare i commenti di questo post per organizzare picnic, riunioni politiche, appuntamenti galanti e incontri surrealisti. Basta che a intervalli di tempo prestabiliti diciate che vi manco terribilmente.
Comunque la tartaruga del fango del Mississippi ha uno sguardo dolcissimo, dicono.
"Non invecchiare mai, mi raccomando. Ci si rincoglionisce.
Io mi sono affezionato a una tartaruga del fango del Mississippi.
E mi manca."
Lascio il pianeta in modalità vacanza per un po'. Forse troverò un internet point per rimettere in moto le miniere e leggere la posta, forse no. Non posso evitare di invecchiare, ma per il rincoglionimento posso fare ancora qualcosa.
Fate le/i brave/i. Sicuramente vi penso. Potete usare i commenti di questo post per organizzare picnic, riunioni politiche, appuntamenti galanti e incontri surrealisti. Basta che a intervalli di tempo prestabiliti diciate che vi manco terribilmente.
Comunque la tartaruga del fango del Mississippi ha uno sguardo dolcissimo, dicono.
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Tecniche creative/Il sacco a pelo
Stanza degli interrogatori 6, Iraq occidentale.
Il generale iracheno Abed Hamed Mowhoush, 56 anni, non si decideva a parlare, nonostante le percosse e le tattiche di interrogatorio “creative” dei suoi carcerieri. Allora la mattina del 26 novembre 2003 una guardia e un addetto agli interrogatori dell’esercito americano presero un sacco a pelo, ci misero dentro Mowhoush, lo legarono con un cavo elettrico, lo stesero sul pavimento e ricominciarono il lavoro.
Due giorni prima, un gruppo paramilitare segreto al soldo della CIA che prendeva parte agli interrogatori aveva percosso Mowhoush fino quasi a fargli perdere i sensi, usando i pugni, una mazza e un tubo di gomma.
L’idea del sacco a pelo fu di un soldato che ricordava come suo fratello ricorresse a quel metodo per farlo sentire vulnerabile e per spaventarlo. Gli ufficiali superiori, del resto, ritenevano che l’uso di “tecniche claustrofobiche” per ottenere informazioni dai detenuti fossero approvate, in quanto parte di ciò che il regolamento militare definisce una tattica “per aumentare il livello di paura”.
L’interrogatorio del sacco a pelo aveva luogo a Qaim più o meno mentre i soldati di Abu Ghraib terrorizzavano i detenuti con i cani, mettevano loro in testa mutande femminili, li costringevano a spogliarsi di fronte alle soldatesse e li umiliavano attaccandoli a un guinzaglio: tutte personali e improvvisate elaborazioni su categorie che stanno nei Manuali dell’esercito, come “alzare il livello della paura”, “abbattere l’orgoglio e l’autostima” o “senso di inutilità”.
Due ufficiali dell’esercito appartenenti al 3° Reggimento Cavalleria di Fort Carson, Colorato, sono stati accusati dell’uccisione di Mowhoush con la tecnica del sacco a pelo.
Però, “anche se l’indagine indica che la morte è direttamente connessa con i metodi d’interrogatorio non convenzionali impiegati il 26 novembre, le circostanze sono ulteriormente complicate dal fatto che Mowhoush fu interrogato e – stando a quel che è stato riferito - percosso da membri di una squadra di Forze Speciali e da dipendenti di un'altra agenzia governativa (OGA)”, sta scritto in una nota dell’Esercito datata 10 maggio 2004.
Altra agenzia governativa.
Qualche ora dopo la morte di Mowhoush, l’esercito americano emise un comunicato stampa in cui si affermava che il prigioniero era morto per cause naturali dopo aver accusato un malore. Ufficiali dell’esercito esperti in operazioni psicologiche si affrettarono a diffondere volantini per far sapere alla gente del posto che il generale aveva parlato, facendo i nomi di altri insorti.
Gli Stati Uniti avevano inizialmente comunicato alla stampa che Mowhoush era stato catturato durante un raid. In realtà, si era presentato volontariamente alla Base di Qaim il 10 novembre 2003 chiedendo di poter parlare con i comandanti americani per ottenere la liberazione dei suoi figli, arrestati 11 giorni prima. Il 14 agosto 2003 i responsabili degli interrogatori ricevettero un’e-mail dei loro superiori a Baghdad, in cui si diceva che bisognava “passare alle maniere forti” e si chiedeva loro di elaborare una “wish list” di tattiche che avrebbero voluto usare. Un addetto agli interrogatori rispose con vari suggerimenti (isolamento, privazione del sonno, uso di cani per spaventare il detenuto) e aggiunse che era proprio ora di passare alle maniere forti.
Si passò alle maniere forti. Se non ottenevano le informazioni che cercavano, gli addetti agli interrogatori consegnavano i detenuti a una piccola squadra di paramilitari iracheni al soldo della CIA, nome in codice Scorpioni. A volte, le guardie e i funzionari dell’intelligence utilizzavano la semplice esistenza della squadra come minaccia per indurre i detenuti a parlare, come è stato rivelato da un soldato americano: “i detenuti sapevano che se finivano nelle mani di quella gente sarebbe accaduto qualcosa di brutto […] serviva da minaccia per convincerli a parlare. Non volevano andare con gli uomini mascherati.” Gli Scorpioni avevano soprannomi come Alligatore e Cobra. Furono costituiti dalla CIA prima della guerra, con il compito di condurre piccoli sabotaggi. Dopo la caduta di Baghdad hanno svolto attività di infiltrazione tra gli insorti e di interpreti. La CIA ha tentato in tutti i modi di nascondere la loro esistenza.
Il rapporto dell’esame autoptico sulla morte di Mowhoush redatto dall’Istituto di Patologia delle Forze Armate statunitensi è stato manipolato per evitare i riferimenti alla CIA e alla squadra di torturatori.
CIA, insomma. Si fa per dire. Altra agenzia governativa, ecco.
Link:
"Documents Tell of Brutal Improvisation by GIs", di Josh White, Washington Post.
Sugli Scorpioni, sui milioni di dollari spesi dalla CIA per costituire la squadra, e sui loro compiti (dal sabotaggio, agli interrogatori, al "lavoro sporco"): "Before the War, CIA Reportedly Trained a Team of Iraqis to Aid U.S.", Dana Priest e Josh White, Washington Post.
Il generale iracheno Abed Hamed Mowhoush, 56 anni, non si decideva a parlare, nonostante le percosse e le tattiche di interrogatorio “creative” dei suoi carcerieri. Allora la mattina del 26 novembre 2003 una guardia e un addetto agli interrogatori dell’esercito americano presero un sacco a pelo, ci misero dentro Mowhoush, lo legarono con un cavo elettrico, lo stesero sul pavimento e ricominciarono il lavoro.
Due giorni prima, un gruppo paramilitare segreto al soldo della CIA che prendeva parte agli interrogatori aveva percosso Mowhoush fino quasi a fargli perdere i sensi, usando i pugni, una mazza e un tubo di gomma.
L’idea del sacco a pelo fu di un soldato che ricordava come suo fratello ricorresse a quel metodo per farlo sentire vulnerabile e per spaventarlo. Gli ufficiali superiori, del resto, ritenevano che l’uso di “tecniche claustrofobiche” per ottenere informazioni dai detenuti fossero approvate, in quanto parte di ciò che il regolamento militare definisce una tattica “per aumentare il livello di paura”.
L’interrogatorio del sacco a pelo aveva luogo a Qaim più o meno mentre i soldati di Abu Ghraib terrorizzavano i detenuti con i cani, mettevano loro in testa mutande femminili, li costringevano a spogliarsi di fronte alle soldatesse e li umiliavano attaccandoli a un guinzaglio: tutte personali e improvvisate elaborazioni su categorie che stanno nei Manuali dell’esercito, come “alzare il livello della paura”, “abbattere l’orgoglio e l’autostima” o “senso di inutilità”.
Due ufficiali dell’esercito appartenenti al 3° Reggimento Cavalleria di Fort Carson, Colorato, sono stati accusati dell’uccisione di Mowhoush con la tecnica del sacco a pelo.
Però, “anche se l’indagine indica che la morte è direttamente connessa con i metodi d’interrogatorio non convenzionali impiegati il 26 novembre, le circostanze sono ulteriormente complicate dal fatto che Mowhoush fu interrogato e – stando a quel che è stato riferito - percosso da membri di una squadra di Forze Speciali e da dipendenti di un'altra agenzia governativa (OGA)”, sta scritto in una nota dell’Esercito datata 10 maggio 2004.
Altra agenzia governativa.
Qualche ora dopo la morte di Mowhoush, l’esercito americano emise un comunicato stampa in cui si affermava che il prigioniero era morto per cause naturali dopo aver accusato un malore. Ufficiali dell’esercito esperti in operazioni psicologiche si affrettarono a diffondere volantini per far sapere alla gente del posto che il generale aveva parlato, facendo i nomi di altri insorti.
Gli Stati Uniti avevano inizialmente comunicato alla stampa che Mowhoush era stato catturato durante un raid. In realtà, si era presentato volontariamente alla Base di Qaim il 10 novembre 2003 chiedendo di poter parlare con i comandanti americani per ottenere la liberazione dei suoi figli, arrestati 11 giorni prima. Il 14 agosto 2003 i responsabili degli interrogatori ricevettero un’e-mail dei loro superiori a Baghdad, in cui si diceva che bisognava “passare alle maniere forti” e si chiedeva loro di elaborare una “wish list” di tattiche che avrebbero voluto usare. Un addetto agli interrogatori rispose con vari suggerimenti (isolamento, privazione del sonno, uso di cani per spaventare il detenuto) e aggiunse che era proprio ora di passare alle maniere forti.
Si passò alle maniere forti. Se non ottenevano le informazioni che cercavano, gli addetti agli interrogatori consegnavano i detenuti a una piccola squadra di paramilitari iracheni al soldo della CIA, nome in codice Scorpioni. A volte, le guardie e i funzionari dell’intelligence utilizzavano la semplice esistenza della squadra come minaccia per indurre i detenuti a parlare, come è stato rivelato da un soldato americano: “i detenuti sapevano che se finivano nelle mani di quella gente sarebbe accaduto qualcosa di brutto […] serviva da minaccia per convincerli a parlare. Non volevano andare con gli uomini mascherati.” Gli Scorpioni avevano soprannomi come Alligatore e Cobra. Furono costituiti dalla CIA prima della guerra, con il compito di condurre piccoli sabotaggi. Dopo la caduta di Baghdad hanno svolto attività di infiltrazione tra gli insorti e di interpreti. La CIA ha tentato in tutti i modi di nascondere la loro esistenza.
Il rapporto dell’esame autoptico sulla morte di Mowhoush redatto dall’Istituto di Patologia delle Forze Armate statunitensi è stato manipolato per evitare i riferimenti alla CIA e alla squadra di torturatori.
CIA, insomma. Si fa per dire. Altra agenzia governativa, ecco.
Link:
"Documents Tell of Brutal Improvisation by GIs", di Josh White, Washington Post.
Sugli Scorpioni, sui milioni di dollari spesi dalla CIA per costituire la squadra, e sui loro compiti (dal sabotaggio, agli interrogatori, al "lavoro sporco"): "Before the War, CIA Reportedly Trained a Team of Iraqis to Aid U.S.", Dana Priest e Josh White, Washington Post.
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sabato, luglio 30, 2005
In una galassia lontana lontana
A: Prima di riuscire a mettere in piedi delle sonde spia devo ancora aspettare. E poi il mio è un pianeta pacifico, ecco.
M: Anche il mio è un pianeta pacifico. Svilupperemo tecnologie e arricchiremo uranio solo per scopi scientifici.
A: Ieri però nel pianeta vicino al mio hanno catturato un somalo.
Ho scoperto OGame, sto nell'Universo 7, non attaccatemi.
M: Anche il mio è un pianeta pacifico. Svilupperemo tecnologie e arricchiremo uranio solo per scopi scientifici.
A: Ieri però nel pianeta vicino al mio hanno catturato un somalo.
Ho scoperto OGame, sto nell'Universo 7, non attaccatemi.
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venerdì, luglio 29, 2005
Fiori, probabilmente
Secondo questo articolo del New York Times il Dipartimento della Sicurezza Nazionale consiglia alle autorità di confine degli Stati Uniti di cercare alcuni "indicatori di terroristi suicidi": tra questi, "testa rasata o capelli tagliati corti. Un taglio corto o barba e baffi rasati di fresco possono essere individuati grazie alle zone di pelle più chiare sul viso o sulla testa. È possibile che odorino di erbe o di fiori (più probabilmente di fiori), poiché potrebbero essersi spruzzati del profumo sul corpo, sui vestiti e sulle armi per prepararsi al Paradiso." [sulle armi? le armi non sarebbero di per sé un indicatore, dunque, ma due gocce di acqua di rose sì?]
A ciascuno le sue istruzioni. Secondo lo Spiegel circolerebbe in rete una Guida della Jihad all'Iraq, a cura di un certo "Dottor Islam", con consigli di viaggio per facilitare l'attraversamento della frontiera: "girate in piccoli gruppi", "portatevi dei jeans e un Walkman... con qualunque tipo di musica."
Altrove, come si sa, per non farsi notare è meglio non correre nella metropolitana, soprattutto se si ha con sé uno zainetto, si indossa un cappotto e si sembra un po' stranieri.
È un mondo difficile.
A ciascuno le sue istruzioni. Secondo lo Spiegel circolerebbe in rete una Guida della Jihad all'Iraq, a cura di un certo "Dottor Islam", con consigli di viaggio per facilitare l'attraversamento della frontiera: "girate in piccoli gruppi", "portatevi dei jeans e un Walkman... con qualunque tipo di musica."
Altrove, come si sa, per non farsi notare è meglio non correre nella metropolitana, soprattutto se si ha con sé uno zainetto, si indossa un cappotto e si sembra un po' stranieri.
È un mondo difficile.
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Musa offresi, casa vendesi: the summer files
Troppo sintetica
Ho sempre avuto una tendenza a sottrarre. Da quello che leggo normalmente riesco a ricavare poche righe di commento, povere stringhe laconiche. Al professor B. piaceva la mia capacità di sintesi: sembrava colpito dal fatto che andassi spedita al nocciolo senza divagazioni né compromessi. Poi, una mattina, gli feci scivolare sotto il naso un foglio protocollo riempito a metà sul bifrontismo tassiano. La prima facciata, riempita a metà. "Ottimo. Forse troppo sintetico".
Lo giudicai un friendly warning da prendere in considerazione: ho cercato di imparare da allora l'utilità della ridondanza e dell'abbellimento, con risultati alterni e scarsa soddisfazione personale. Se posso, ricado nel vecchio vizio della scrittura senza fronzoli, informativa, di pura segnalazione (e - se sono in vena - di divertito commento). E visto che miei diari o taccuini si sono sempre interrotti tutti alla data del primo gennaio ("Propositi per il nuovo anno", e altre 364 pagine bianche), mi stupisce il fatto di esser riuscita finora a riempire un blog. Spero che il professor B. abbia di meglio da fare che passar di qui (credo che sia diventato preside, nel frattempo, e mi auguro che sia uscito dal tunnel della Gerusalemme Liberata), però c'è da dire che non avrebbe dovuto assecondarmi.
The Summer Files
Quando poi fa molto caldo e i miei neuroni stanno al parco giochi o in fila davanti all'acquasplash vado in eccesso di sottrazione: saltano i nessi, si moltiplicano i vuoti, e può sembrare che la logica vada per i cavoli suoi. Questo significa che mi accontenterò di riportare alcune cose interessanti che leggo qua e là, con e senza commenti e/o conclusioni. Fate finta che stia ragionando tra me: i tempi sono confusi e difficili, restare indifferenti mi sembra impossibile e non mi pare che ci siano facili spiegazioni a portata di mano. Tra sparizioni e riapparizioni estive conto di continuare a raccogliere del materiale, in modo intermittente e meno sistematico del solito. Potreste aspettarvi fonti disparate, sporadici rants, imbarazzanti dichiarazioni d'amore ad attori orientali o a scrittori anglo-pachistani e playlist fricchettone: oppure anche no, e potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante.
Vendo casa
Due giorni fa ho firmato la procura a vendere casa. Perché c'è bisogno di spazio per il lavoro e tutti questi libri, e il vicino del piano di sotto non sarebbe entusiasta del crollo del soffitto suo/pavimento mio: immaginatevi uno che un secondo prima si guarda la replica di Don Matteo con un birrino in mano, e un secondo dopo si ritrova in braccio il Miro in braghette da casa, il signor Giti in tenuta sportiva e venti volumi dell'Enciclopedia Utet più la Cronologia Universale. Queste cose si mettono poco a trasformarsi in tragedia, e io mica voglio le telecamere di Mimun sotto le finestre.
Quindi cambio casa, devo separarmi da questa qui, e tanto per dire ho già staccato dal muro il ritratto del maresciallo Tito: ché da queste parti sono parecchio sensibili all'argomento e con la sfiga che ho mi ritrovo come possibile acquirente il nipote di uno dei duemila di Monfalcone, come minimo. Mi consolo pregustando il trasloco nel borghesissimo condominio nuovo e l'entrata impettita in ascensore con il famoso ritratto sotto gli occhi allarmati dei nuovi vicini. Prima o poi ve lo fotografo, il mio Tito, perché merita.
Ma insomma, non so come farò a lasciare questo posto. Il vicinato un po' pazzo da casa di periferia. La coppia di mezz'età - lui foggiano, lei istriana - che litiga rispettando l'orario condominiale. Il rompiballe che in assemblea si porta il dizionario dei sinonimi e quello che vuole portare il bilancio di fine anno "alla Corte dei Conti". Il ramo di ciliegio che nella stagione giusta arriva proprio all'altezza giusta. Gli stipiti della porta con i segni lasciati dalla signorina Silvestra che ci si arrampicava con gusto. Come accidenti si smontano, gli stipiti?
E il signor G. non lo sa ancora.
Mi rendo conto che sto facendo la lagna. Per esempio Lia se la sta cavando alla grande. Soffermatevi solo un attimo a immaginarmi nei suoi panni: mi vedete mentre percorro la strada verso l'aeroporto baciando ogni centimetro di suolo egiziano, piangendo esageratamente e invocando Allah? O mentre tento di convincere l'addetto al check in che un materasso di quattro metri quadri è classificabile come bagaglio a mano?
Peggy G.
D. è andato da un indovino, e il vegliardo ne ha azzeccate parecchie. Poi se n'è uscito con la faccenda della scrittura: "sei destinato a scrivere, ma c'è un ostacolo: se procederai da solo quell'ostacolo si rivelerà insuperabile, non riuscirai a giungere alla forma finale. Vedo però una donna che ti aiuterà a superarlo". Una donna che non è l'amata, non è la mamma, non è la sorella, non è la nonna. Ergo, conclude il D. dopo breve riflessione, non può essere che il Miro. Eccomi dunque nei panni di lettrice, con la licenza di incalzare, criticare, pungolare, correggere, smontare, rimontare, riscrivere. E pensare che io già cullavo la fantasia di diventare una musa part time, immagine che nella mia mente si associa a lunghe tuniche, capelli spettinati ad arte, cavigliere d'argento e sigarette con il bocchino. No, dice D., saresti più una specie di Peggy Guggenheim (intesa come occhialuta rompicoglioni nevrotica, non come collezionista milionaria). Ecco.
Il vegliardo dice che il tutto si spiega con il fatto che D. è un saturnino. Ma non dovrebbe essere il suo lavoro, sapere che sono saturnina anch'io?
E gliela devo raccontare, a D., la faccenda della sintesi? Ché qui non siamo mica Pound e Eliot, e non so quanto potranno giovargli le mie operazioni cesaree su quelle che lui continua a chiamare "le [sue] quattro righe".
La mia tentazione è di farci un blog, su questa vicenda tutta saturnina di talenti attempati, di appiccicarci su una licenza Creative Commons e di vedere un po' l'effetto che fa. Almeno fino a quando D. non consulterà un lettore di rune o un facitore di oroscopi celtici che sbotterà: "Quella lì? Ma scherziamo?", mi verrà revocata per sempre la licenza di Peggy e io tornerò a sognare impossibili tuniche e cavigliere d'argento. Nel frattempo, potrei anche divertirmi.
Ho sempre avuto una tendenza a sottrarre. Da quello che leggo normalmente riesco a ricavare poche righe di commento, povere stringhe laconiche. Al professor B. piaceva la mia capacità di sintesi: sembrava colpito dal fatto che andassi spedita al nocciolo senza divagazioni né compromessi. Poi, una mattina, gli feci scivolare sotto il naso un foglio protocollo riempito a metà sul bifrontismo tassiano. La prima facciata, riempita a metà. "Ottimo. Forse troppo sintetico".
Lo giudicai un friendly warning da prendere in considerazione: ho cercato di imparare da allora l'utilità della ridondanza e dell'abbellimento, con risultati alterni e scarsa soddisfazione personale. Se posso, ricado nel vecchio vizio della scrittura senza fronzoli, informativa, di pura segnalazione (e - se sono in vena - di divertito commento). E visto che miei diari o taccuini si sono sempre interrotti tutti alla data del primo gennaio ("Propositi per il nuovo anno", e altre 364 pagine bianche), mi stupisce il fatto di esser riuscita finora a riempire un blog. Spero che il professor B. abbia di meglio da fare che passar di qui (credo che sia diventato preside, nel frattempo, e mi auguro che sia uscito dal tunnel della Gerusalemme Liberata), però c'è da dire che non avrebbe dovuto assecondarmi.
The Summer Files
Quando poi fa molto caldo e i miei neuroni stanno al parco giochi o in fila davanti all'acquasplash vado in eccesso di sottrazione: saltano i nessi, si moltiplicano i vuoti, e può sembrare che la logica vada per i cavoli suoi. Questo significa che mi accontenterò di riportare alcune cose interessanti che leggo qua e là, con e senza commenti e/o conclusioni. Fate finta che stia ragionando tra me: i tempi sono confusi e difficili, restare indifferenti mi sembra impossibile e non mi pare che ci siano facili spiegazioni a portata di mano. Tra sparizioni e riapparizioni estive conto di continuare a raccogliere del materiale, in modo intermittente e meno sistematico del solito. Potreste aspettarvi fonti disparate, sporadici rants, imbarazzanti dichiarazioni d'amore ad attori orientali o a scrittori anglo-pachistani e playlist fricchettone: oppure anche no, e potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante.
Vendo casa
Due giorni fa ho firmato la procura a vendere casa. Perché c'è bisogno di spazio per il lavoro e tutti questi libri, e il vicino del piano di sotto non sarebbe entusiasta del crollo del soffitto suo/pavimento mio: immaginatevi uno che un secondo prima si guarda la replica di Don Matteo con un birrino in mano, e un secondo dopo si ritrova in braccio il Miro in braghette da casa, il signor Giti in tenuta sportiva e venti volumi dell'Enciclopedia Utet più la Cronologia Universale. Queste cose si mettono poco a trasformarsi in tragedia, e io mica voglio le telecamere di Mimun sotto le finestre.
Quindi cambio casa, devo separarmi da questa qui, e tanto per dire ho già staccato dal muro il ritratto del maresciallo Tito: ché da queste parti sono parecchio sensibili all'argomento e con la sfiga che ho mi ritrovo come possibile acquirente il nipote di uno dei duemila di Monfalcone, come minimo. Mi consolo pregustando il trasloco nel borghesissimo condominio nuovo e l'entrata impettita in ascensore con il famoso ritratto sotto gli occhi allarmati dei nuovi vicini. Prima o poi ve lo fotografo, il mio Tito, perché merita.
Ma insomma, non so come farò a lasciare questo posto. Il vicinato un po' pazzo da casa di periferia. La coppia di mezz'età - lui foggiano, lei istriana - che litiga rispettando l'orario condominiale. Il rompiballe che in assemblea si porta il dizionario dei sinonimi e quello che vuole portare il bilancio di fine anno "alla Corte dei Conti". Il ramo di ciliegio che nella stagione giusta arriva proprio all'altezza giusta. Gli stipiti della porta con i segni lasciati dalla signorina Silvestra che ci si arrampicava con gusto. Come accidenti si smontano, gli stipiti?
E il signor G. non lo sa ancora.
Mi rendo conto che sto facendo la lagna. Per esempio Lia se la sta cavando alla grande. Soffermatevi solo un attimo a immaginarmi nei suoi panni: mi vedete mentre percorro la strada verso l'aeroporto baciando ogni centimetro di suolo egiziano, piangendo esageratamente e invocando Allah? O mentre tento di convincere l'addetto al check in che un materasso di quattro metri quadri è classificabile come bagaglio a mano?
Peggy G.
D. è andato da un indovino, e il vegliardo ne ha azzeccate parecchie. Poi se n'è uscito con la faccenda della scrittura: "sei destinato a scrivere, ma c'è un ostacolo: se procederai da solo quell'ostacolo si rivelerà insuperabile, non riuscirai a giungere alla forma finale. Vedo però una donna che ti aiuterà a superarlo". Una donna che non è l'amata, non è la mamma, non è la sorella, non è la nonna. Ergo, conclude il D. dopo breve riflessione, non può essere che il Miro. Eccomi dunque nei panni di lettrice, con la licenza di incalzare, criticare, pungolare, correggere, smontare, rimontare, riscrivere. E pensare che io già cullavo la fantasia di diventare una musa part time, immagine che nella mia mente si associa a lunghe tuniche, capelli spettinati ad arte, cavigliere d'argento e sigarette con il bocchino. No, dice D., saresti più una specie di Peggy Guggenheim (intesa come occhialuta rompicoglioni nevrotica, non come collezionista milionaria). Ecco.
Il vegliardo dice che il tutto si spiega con il fatto che D. è un saturnino. Ma non dovrebbe essere il suo lavoro, sapere che sono saturnina anch'io?
E gliela devo raccontare, a D., la faccenda della sintesi? Ché qui non siamo mica Pound e Eliot, e non so quanto potranno giovargli le mie operazioni cesaree su quelle che lui continua a chiamare "le [sue] quattro righe".
La mia tentazione è di farci un blog, su questa vicenda tutta saturnina di talenti attempati, di appiccicarci su una licenza Creative Commons e di vedere un po' l'effetto che fa. Almeno fino a quando D. non consulterà un lettore di rune o un facitore di oroscopi celtici che sbotterà: "Quella lì? Ma scherziamo?", mi verrà revocata per sempre la licenza di Peggy e io tornerò a sognare impossibili tuniche e cavigliere d'argento. Nel frattempo, potrei anche divertirmi.
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martedì, luglio 26, 2005
Riapparizione
You appear with the tedious inevitability of an unloved season.
(Hugo Drax, Mooonraker)
I danesi sono di una gentilezza quasi offensiva, quando ti dicono "prego" lo fanno tutti compresi, con uno sguardo serissimo e molto ma molto gentile, solitamente di colore blu. Anche di fronte a domande banali tipo "Dov'è la buca delle lettere più vicina?" esibiscono una precisione da navigatore satellitare, percorsi alternativi inclusi. Strada panoramica, inclusa.
Io non ci sono abituata. Troppa bionditudine, forse.
A proposito della battuta:
"Come si fa a mantenere pulita la Danimarca?"
"Si portano gli svedesi a prendere il traghetto",
beh, forse c'è qualcosa di vero.
Ma quando O. oggi mi ha chiesto:
"Cosa ti è piaciuto di più della Danimarca?"
io ho risposto distrattamente:
"La Svezia".
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martedì, luglio 12, 2005
It's the occupation, baby
Il Professor Robert Pape dell'Università di Chicago ha raccolto con l'aiuto dei suoi studenti una vastissima documentazione sui terroristi suicidi: negli ultimi due anni ha messo insieme una banca dati che comprende tutti gli attacchi compiuti da terroristi suicidi in tutto il mondo, dal 1980 al 2004. La sua ricerca tiene conto di fonti in lingua araba, in ebraico, in russo e in tamil, e si basa non solo sui giornali ma anche sulle notizie delle comunità locali. Questa ricchezza di informazioni rende possibile una nuova interpretazione delle motivazioni del terrorismo suicida, che vanno cercate nell'occupazione, non nel fondamentalismo religioso.
Ecco cosa dice Pape in un'intervista della quale questi sono solo estratti:
"Il fatto centrale è che gli attacchi terroristici suicidi non sono tanto guidati dalla religione quanto da un chiaro obiettivo strategico: costringere le moderne democrazie a ritirare le loro truppe dal territorio che i terroristi considerano la propria terra. Dal Libano allo Sri Lanka alla Cecenia al Kashmir e alla Cisgiordania, l'obiettivo principale di ogni campagna di terrorismo suicida - o almeno in più del 95 % dei casi - è stato quello di costringere uno stato democratico a ritirarsi.
[...]
Dato che il terrorismo suicida è principalmente una reazione all'occupazione straniera e non una manifestazione del fondamentalismo islamico, l'utilizzo della forza militare per trasformare le società musulmane può solo finire - in un certo senso - per aumentare il numero di terroristi suicidi che vengono da noi.
Dal 1990 gli Stati Uniti hanno posizionato decine di migliaia di truppe di terra sulla Penisola araba, e da lì viene il principale appello alla mobilitazione di Osama bin Laden e Al Qaeda. Quelli che dicono che è bene che ci attacchino laggiù non capiscono che il terrorismo suicida non è un fenomeno dalle riserve limitate in cui vi sono solo poche centinaia di persone disposte a metterlo in atto perché agiscono sulla base del fanatismo religioso. È un fenomeno basato sulla domanda. Cioè si basa sulla presenza di truppe straniere su un territorio che i terroristi vedono come la propria terra. L'operazione in Iraq ha stimolato il terrorismo suicida dandogli nuovi orizzonti.
[...]
È dimostrato che la presenza di truppe americane è chiaramente il fattore decisivo che dà la spinta al terrorismo suicida. Se il fattore decisivo fosse il fondamentalismo islamico, dovemmo vedere in alcuni dei più grandi paesi fondamentalisti del mondo, come l'Iran, che ha una popolazione di 70 milioni di abitanti (tre volte quella dell'Iraq e tre volte quella dell'Arabia Saudita) dei gruppi molto attivi di terroristi suicidi disposti ad agire contro gli Stati Uniti. Invece, non c'è mai stato un terrorista suicida di Al Qaeda di provenienza iraniana, e non abbiamo alcuna prova che ci siano terroristi suicidi in Iraq che provengano dall'Iran.
[...]
Io possiedo il primo insieme completo di dati su tutti i terroristi suicidi di Al Qaeda dal 1995 al 2004, e non vengono dalle più grandi nazioni fondamentaliste del mondo. Due terzi vengono da paesi in cui gli Stati Uniti hanno dislocato le loro truppe da combattimento a partire dal 1990.
Un altro aspetto riguarda proprio l'Iraq. Prima della nostra invasione in tutta la storia dell'Iraq non c'era mai stato un attacco suicida. Mai. Dalla nostra invasione, il terrorismo suicida si è intensificato rapidamente con 20 attacchi nel 2003, 48 nel 2004, e più di 50 nei soli primi mesi del 2005.
[...]
Ho raccolto dati demografici da tutto il mondo sui 462 terroristi suicidi che sono riusciti a portare a termine la loro missione, a partire dal 1980. I miei dati indicano che la maggior parte sono volontari. Ben pochi sono criminali. Pochi fanno effettivamente parte di un gruppo terroristico. Per la maggior parte di loro il primo contatto con la violenza è proprio l'attacco suicida.
Non vi sono prove che vi fossero organizzazioni terroristiche suicide in attesa in Iraq prima della nostra invasione. Quello che sta succedendo è che questo tipo di terrorismo è stato prodotto dall'invasione."
Il professor Pape dice varie altre cose interessanti e fa anche delle previsioni; consiglio la lettura di tutta l'intervista. E no, non l'ho trovata su un sito di controinformazione. È apparsa sull'American Conservative.
Link.
Ecco cosa dice Pape in un'intervista della quale questi sono solo estratti:
"Il fatto centrale è che gli attacchi terroristici suicidi non sono tanto guidati dalla religione quanto da un chiaro obiettivo strategico: costringere le moderne democrazie a ritirare le loro truppe dal territorio che i terroristi considerano la propria terra. Dal Libano allo Sri Lanka alla Cecenia al Kashmir e alla Cisgiordania, l'obiettivo principale di ogni campagna di terrorismo suicida - o almeno in più del 95 % dei casi - è stato quello di costringere uno stato democratico a ritirarsi.
[...]
Dato che il terrorismo suicida è principalmente una reazione all'occupazione straniera e non una manifestazione del fondamentalismo islamico, l'utilizzo della forza militare per trasformare le società musulmane può solo finire - in un certo senso - per aumentare il numero di terroristi suicidi che vengono da noi.
Dal 1990 gli Stati Uniti hanno posizionato decine di migliaia di truppe di terra sulla Penisola araba, e da lì viene il principale appello alla mobilitazione di Osama bin Laden e Al Qaeda. Quelli che dicono che è bene che ci attacchino laggiù non capiscono che il terrorismo suicida non è un fenomeno dalle riserve limitate in cui vi sono solo poche centinaia di persone disposte a metterlo in atto perché agiscono sulla base del fanatismo religioso. È un fenomeno basato sulla domanda. Cioè si basa sulla presenza di truppe straniere su un territorio che i terroristi vedono come la propria terra. L'operazione in Iraq ha stimolato il terrorismo suicida dandogli nuovi orizzonti.
[...]
È dimostrato che la presenza di truppe americane è chiaramente il fattore decisivo che dà la spinta al terrorismo suicida. Se il fattore decisivo fosse il fondamentalismo islamico, dovemmo vedere in alcuni dei più grandi paesi fondamentalisti del mondo, come l'Iran, che ha una popolazione di 70 milioni di abitanti (tre volte quella dell'Iraq e tre volte quella dell'Arabia Saudita) dei gruppi molto attivi di terroristi suicidi disposti ad agire contro gli Stati Uniti. Invece, non c'è mai stato un terrorista suicida di Al Qaeda di provenienza iraniana, e non abbiamo alcuna prova che ci siano terroristi suicidi in Iraq che provengano dall'Iran.
[...]
Io possiedo il primo insieme completo di dati su tutti i terroristi suicidi di Al Qaeda dal 1995 al 2004, e non vengono dalle più grandi nazioni fondamentaliste del mondo. Due terzi vengono da paesi in cui gli Stati Uniti hanno dislocato le loro truppe da combattimento a partire dal 1990.
Un altro aspetto riguarda proprio l'Iraq. Prima della nostra invasione in tutta la storia dell'Iraq non c'era mai stato un attacco suicida. Mai. Dalla nostra invasione, il terrorismo suicida si è intensificato rapidamente con 20 attacchi nel 2003, 48 nel 2004, e più di 50 nei soli primi mesi del 2005.
[...]
Ho raccolto dati demografici da tutto il mondo sui 462 terroristi suicidi che sono riusciti a portare a termine la loro missione, a partire dal 1980. I miei dati indicano che la maggior parte sono volontari. Ben pochi sono criminali. Pochi fanno effettivamente parte di un gruppo terroristico. Per la maggior parte di loro il primo contatto con la violenza è proprio l'attacco suicida.
Non vi sono prove che vi fossero organizzazioni terroristiche suicide in attesa in Iraq prima della nostra invasione. Quello che sta succedendo è che questo tipo di terrorismo è stato prodotto dall'invasione."
Il professor Pape dice varie altre cose interessanti e fa anche delle previsioni; consiglio la lettura di tutta l'intervista. E no, non l'ho trovata su un sito di controinformazione. È apparsa sull'American Conservative.
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sabato, luglio 09, 2005
La carovana si è fermata a Bregana
La Carovana per la Palestina è stata bloccata al confine tra Slovenia e Croazia, pare a causa di una pistola giocattolo e di un ragazzo palestinese privo di visto. I poliziotti croati non sono stati comprensivi.
Sì, t., in bicicletta era meglio.
Non si fa così, però.
Link in inglese.
Link in italiano.
Sì, t., in bicicletta era meglio.
Non si fa così, però.
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venerdì, luglio 08, 2005
E la sciagurata rispose
Via Babsi m'è arrivato il meme dei libri. Uhm, ci sto.
Libri della mia biblioteca
A occhio, moltiplicando numeri di libri ammucchiati/allineati su ogni scaffale per il numero di scaffali, e aggiungendoci la casa dei miei ("li lascio qui per un po', ripasso a prenderli tra un paio di lustri"), potrebbero essere circa 4000-4500. Poi ci sono quelli prestati e quelli persi (curiosità: i libri lasciati a casa degli ex-fidanzati diventano ex-libri?).
Più o meno, i romanzi sono classificati per lingua, la saggistica per argomento, poi ci sono i libri d'arte, quelli di cinema e la sezione "linguistica" e "grafica/editoria". I gialli hanno una sezione a parte.
All'interno di queste categorie ci sono una simpatica anarchia, diversi colpi di scena e anche varie puttanate.
Naturalmente sottolineo a matita, prendo appunti, brutalizzo le copertine e qualche volta salto le pagine.
L’ultimo libro che ho comprato
La Scala di Dioniso, Luca Di Fulvio (Mondadori).
Storia della Palestina moderna, di Ilan Pappe (Einaudi).
Il libro che sto leggendo ora
Dio benedica l'America, le religioni della Casa Bianca, Sébastien Fath (Carocci).
Donne eccellenti, Barbara Pym (La Tartaruga).
Tre libri che consiglio
(mi limito a scrittori recenti e viventi, non mi limito a tre)
Domani nella battaglia pensa a me, Javier Marías (Einaudi),
Manuale di pittura e calligrafia, José Saramago (Einaudi),
The Master, Colm Tóibín (Fazi)
Cani neri, Ian McEwan (Einaudi)
Imperium, Riszard Kapuscinski (Feltrinelli).
Regalerei il Dialogo sulla Società Americana di Roberto Giammanco (Nuova Italia).
Ho deciso di infettare (perdonatemi):
Frammento, Da Queen, il Calavera
Libri della mia biblioteca
A occhio, moltiplicando numeri di libri ammucchiati/allineati su ogni scaffale per il numero di scaffali, e aggiungendoci la casa dei miei ("li lascio qui per un po', ripasso a prenderli tra un paio di lustri"), potrebbero essere circa 4000-4500. Poi ci sono quelli prestati e quelli persi (curiosità: i libri lasciati a casa degli ex-fidanzati diventano ex-libri?).
Più o meno, i romanzi sono classificati per lingua, la saggistica per argomento, poi ci sono i libri d'arte, quelli di cinema e la sezione "linguistica" e "grafica/editoria". I gialli hanno una sezione a parte.
All'interno di queste categorie ci sono una simpatica anarchia, diversi colpi di scena e anche varie puttanate.
Naturalmente sottolineo a matita, prendo appunti, brutalizzo le copertine e qualche volta salto le pagine.
L’ultimo libro che ho comprato
La Scala di Dioniso, Luca Di Fulvio (Mondadori).
Storia della Palestina moderna, di Ilan Pappe (Einaudi).
Il libro che sto leggendo ora
Dio benedica l'America, le religioni della Casa Bianca, Sébastien Fath (Carocci).
Donne eccellenti, Barbara Pym (La Tartaruga).
Tre libri che consiglio
(mi limito a scrittori recenti e viventi, non mi limito a tre)
Domani nella battaglia pensa a me, Javier Marías (Einaudi),
Manuale di pittura e calligrafia, José Saramago (Einaudi),
The Master, Colm Tóibín (Fazi)
Cani neri, Ian McEwan (Einaudi)
Imperium, Riszard Kapuscinski (Feltrinelli).
Regalerei il Dialogo sulla Società Americana di Roberto Giammanco (Nuova Italia).
Ho deciso di infettare (perdonatemi):
Frammento, Da Queen, il Calavera
We watch Porta a Porta so you don't have to
News Hounds vanta questo sottotitolo: "We watch FOX so you don't have to". Insomma, guardiamo FOX News al vostro posto, non è necessario che lo facciate voi.
Servizio utilissimo: leggete per esempio l'ultima trovata dell'analista militare David Hunt (nel programma di O'Reilly ha spiegato che gli Stati Uniti dovrebbero trovare il modo di entrare nei computer delle banche saudite e yemenite e rubare quei 500 miliardi di dollari che servono a finanziare il terrorismo internazionale. e questa cosa lui la chiama giustizia biblica. imperdibile).
Allora ho pensato: uno può fare benissimo a meno di guardare RaiUno, i tg e Bruno Vespa, però avere una vaga idea di quello che viene detto, per quanto tempo e con quale dose di sfrontatezza sarebbe anche utile. Spiacevole, ma forse divertente.
Se qualcuno avesse lo stomaco e la forza morale per farci su un weblog io lo leggerei di sicuro.
Quella persona, è ovvio, non voglio essere io. Però, se qualcuno è disposto a metterci lo stomaco, da qualche parte dovrei avere ancora un po' di forza morale e dello spazio web malamente utilizzato.
Servizio utilissimo: leggete per esempio l'ultima trovata dell'analista militare David Hunt (nel programma di O'Reilly ha spiegato che gli Stati Uniti dovrebbero trovare il modo di entrare nei computer delle banche saudite e yemenite e rubare quei 500 miliardi di dollari che servono a finanziare il terrorismo internazionale. e questa cosa lui la chiama giustizia biblica. imperdibile).
Allora ho pensato: uno può fare benissimo a meno di guardare RaiUno, i tg e Bruno Vespa, però avere una vaga idea di quello che viene detto, per quanto tempo e con quale dose di sfrontatezza sarebbe anche utile. Spiacevole, ma forse divertente.
Se qualcuno avesse lo stomaco e la forza morale per farci su un weblog io lo leggerei di sicuro.
Quella persona, è ovvio, non voglio essere io. Però, se qualcuno è disposto a metterci lo stomaco, da qualche parte dovrei avere ancora un po' di forza morale e dello spazio web malamente utilizzato.
giovedì, luglio 07, 2005
Hold tight London/post in aggiornamento
Notizie aggiornate da Londra su Europhobia.
(via Chicken Yoghurt).
Adesso anche sul blog del Guardian.
Project nothing! mette insieme un po' di fonti e di notizie.
Altri aggiornamenti sul sito della BBC.
E poi c'è Wikipedia.
The London Bomb Blasts Pool su Flickr.
Liveblogging anche da Perfect.co.uk.
Kinja digest.
Surviving a terrorist attack.
Commenti del giorno:
"It's probably the French" (Wibbler.com).
"Tomorrow's Daily Mail:
Asylum Seeker Terror Attacks Hit House Prices"
(Shot by both sides)
"No one has told the Big Brother housemates, have they?"
the journal of flaming kitties
"And then there was a very gentle boom.
We all screamed a little, like people on a slow rollercoaster, and then relaxed and smiled. Some of us giggled with relief. Whatever that was, it wasn't us.
Only when biking in, listening to Radio 5's brilliant coverage, did I realise I'd heard the bus bomb go off in Tavistock Square.
Tavistock Square is actually dedicated to peace. It's got a lovely garden with statues of peacemakers and pacifists."
Skip's Acorn Treasury
(via Chicken Yoghurt).
Adesso anche sul blog del Guardian.
Project nothing! mette insieme un po' di fonti e di notizie.
Altri aggiornamenti sul sito della BBC.
E poi c'è Wikipedia.
The London Bomb Blasts Pool su Flickr.
Liveblogging anche da Perfect.co.uk.
Kinja digest.
Surviving a terrorist attack.
Commenti del giorno:
"It's probably the French" (Wibbler.com).
"Tomorrow's Daily Mail:
Asylum Seeker Terror Attacks Hit House Prices"
(Shot by both sides)
"No one has told the Big Brother housemates, have they?"
the journal of flaming kitties
"And then there was a very gentle boom.
We all screamed a little, like people on a slow rollercoaster, and then relaxed and smiled. Some of us giggled with relief. Whatever that was, it wasn't us.
Only when biking in, listening to Radio 5's brilliant coverage, did I realise I'd heard the bus bomb go off in Tavistock Square.
Tavistock Square is actually dedicated to peace. It's got a lovely garden with statues of peacemakers and pacifists."
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lunedì, luglio 04, 2005
Happy Birthday, America
"There are some who, uh, feel like that, you know, the conditions are such that they can attack us there. My answer is: Bring 'em on. We got the force necessary to deal with the security situation".
George W. Bush, July 2, 2003
Sono passati due anni dal "bring 'em on" di Bush.
Così, oggi, Today in Iraq (che proprio con quell'incitamento apre i suoi post da due anni a questa parte) augura buon compleanno all'America.
Le immagini sono durissime; bisogna guardare.
George W. Bush, July 2, 2003
Sono passati due anni dal "bring 'em on" di Bush.
Così, oggi, Today in Iraq (che proprio con quell'incitamento apre i suoi post da due anni a questa parte) augura buon compleanno all'America.
Le immagini sono durissime; bisogna guardare.
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Burnt on the 4th of July
"È strano che il Congresso abbia approvato un disegno di legge che proibisce di bruciare la bandiera la stessa settimana in cui è stato confermato l'uso del napalm in Iraq da parte dei soldati americani. Apparentemente, ridurre in cenere gli iracheni va bene, ma non va bene bruciare un pezzo di stoffa tricolore."
Mike Whitney, in Show your Independence on the 4th; Burn a Flag.
Mike Whitney, in Show your Independence on the 4th; Burn a Flag.
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Il Live8 con parole non mie
Oh, già, e poi c'è stato il Live8. Vi risparmio la tirata, anche perché K-Punk lo dice meglio:
"La Restaurazione che è in corso da vent'anni fu inaugurata da tre non eventi: il Live Aid, il crollo del Muro di Berlino e la prima Guerra del Golfo.
Nessuna di queste cose è accaduta. Anzi, la loro apparizione sugli schermi mediatici mondiali segnò l'inizio di una nuova era, un'era in cui niente sarebbe successo, mai più.
Il Live Aid era l'anti punk, il suo ricatto ideologico esigeva che rinunciassimo all'estetica e alla politica. Se il post-punk aveva chiesto e per un breve momento aveva ottenuto tutto - innovazione sonora e/in quanto insurrezione politica - il Live Aid ci convinse che in uno stato di emergenza queste pretese eccessive dovevano essere sospese. Queste pretese si stavano già affievolendo, ma il Live Aid colse il clima e catalizzò una nuova ideologia di benessere conformista che ci fu venduto come Realismo Capitalista. Misuratevi con ciò che è possibile.[...] Mangiate un hot dog, cantate assieme a Freddy "Sun City" Mercury, salvate il mondo. Ora il pop non è altro che intrattenimento (ma come, vi ricordate forse un tempo in cui non era così?), e l'intrattenimento fa parte di una sinergia multinazionale, è il far soldi con un nuovo volto altruista. [...] il super-io postmoderno dice: divertiti, per il bene di tutti. [...]
Sono passati vent'anni ed è chiaro che cedere a quel ricatto non ha portato quasi a nulla. L'impatto sull'Africa è stato minimo. Ma l'impatto politico culturale qui è stato immenso, [...] una sistematica subordinazione di ogni aspetto della vita a banale spettacolo. [...] Dovete chiedervi: un mondo che ha reso famosi gli Snow Patrol merita di essere salvato? E ancora gli U2 - sempre gli U2. I pii sacerdoti dell'anti-punk. Il Suono della Restaurazione. Pathos inneggiante. Niente succederà finché gli U2 non saranno distrutti, distrutti definitivamente. Finché non sarà molto più imbarazzante e vergognoso amare gli U2 di quanto lo sia mai stato amare gli Emerson Lake and Palmer e i Pink Floyd."
"La Restaurazione che è in corso da vent'anni fu inaugurata da tre non eventi: il Live Aid, il crollo del Muro di Berlino e la prima Guerra del Golfo.
Nessuna di queste cose è accaduta. Anzi, la loro apparizione sugli schermi mediatici mondiali segnò l'inizio di una nuova era, un'era in cui niente sarebbe successo, mai più.
Il Live Aid era l'anti punk, il suo ricatto ideologico esigeva che rinunciassimo all'estetica e alla politica. Se il post-punk aveva chiesto e per un breve momento aveva ottenuto tutto - innovazione sonora e/in quanto insurrezione politica - il Live Aid ci convinse che in uno stato di emergenza queste pretese eccessive dovevano essere sospese. Queste pretese si stavano già affievolendo, ma il Live Aid colse il clima e catalizzò una nuova ideologia di benessere conformista che ci fu venduto come Realismo Capitalista. Misuratevi con ciò che è possibile.[...] Mangiate un hot dog, cantate assieme a Freddy "Sun City" Mercury, salvate il mondo. Ora il pop non è altro che intrattenimento (ma come, vi ricordate forse un tempo in cui non era così?), e l'intrattenimento fa parte di una sinergia multinazionale, è il far soldi con un nuovo volto altruista. [...] il super-io postmoderno dice: divertiti, per il bene di tutti. [...]
Sono passati vent'anni ed è chiaro che cedere a quel ricatto non ha portato quasi a nulla. L'impatto sull'Africa è stato minimo. Ma l'impatto politico culturale qui è stato immenso, [...] una sistematica subordinazione di ogni aspetto della vita a banale spettacolo. [...] Dovete chiedervi: un mondo che ha reso famosi gli Snow Patrol merita di essere salvato? E ancora gli U2 - sempre gli U2. I pii sacerdoti dell'anti-punk. Il Suono della Restaurazione. Pathos inneggiante. Niente succederà finché gli U2 non saranno distrutti, distrutti definitivamente. Finché non sarà molto più imbarazzante e vergognoso amare gli U2 di quanto lo sia mai stato amare gli Emerson Lake and Palmer e i Pink Floyd."
domenica, luglio 03, 2005
Robe degli altri mondi (attenti allo spoiler)
Al cinema. Sullo schermo, dialogo tra padre e figlio a bordo dell'unica auto funzionante in città, mentre i treppiedi giganti si danno da fare per polverizzare New York e i suoi abitanti:
– ma chi sono, papà, terroristi?
– no!
– da dove vengono?
– non lo so!
– dall'Europa?
Con queste premesse, non mi aspettavo che il ragazzino problematico e rompiballe riuscisse ad arrivare fino alla fine del film. E invece ci arriva prima di Tom Cruise e prendendo la strada difficile. C'è da dire che almeno lui non rimane bloccato per mezz'ora in uno scantinato allagato con Tim Robbins (la parte inutile del film) a schivare subdole sonde aliene che si rivelano poi distruggibilissime a colpi d'accetta.
Quando Spielberg fa così (e io trovo che lo faccia quasi sempre) mi ricorda il Milan contro il Liverpool nella finale di Champions.
– ma chi sono, papà, terroristi?
– no!
– da dove vengono?
– non lo so!
– dall'Europa?
Con queste premesse, non mi aspettavo che il ragazzino problematico e rompiballe riuscisse ad arrivare fino alla fine del film. E invece ci arriva prima di Tom Cruise e prendendo la strada difficile. C'è da dire che almeno lui non rimane bloccato per mezz'ora in uno scantinato allagato con Tim Robbins (la parte inutile del film) a schivare subdole sonde aliene che si rivelano poi distruggibilissime a colpi d'accetta.
Quando Spielberg fa così (e io trovo che lo faccia quasi sempre) mi ricorda il Milan contro il Liverpool nella finale di Champions.
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venerdì, luglio 01, 2005
La catapulta e la propaganda
"Credo che il popolo americano dovrebbe capire che non c'è una soluzione rapida al problema che ci troviamo ad affrontare laggiù. Non vorrei profetizzare o predire se sarà una questione di mesi o di anni o di decenni. Non avevamo, che io sappia, una tabella di marcia per vincere la prima guerra mondiale. Penso che nessuno sapesse veramente se ci sarebbero voluti 2 o 4 o 6 anni per uscire vittoriosi dalla seconda guerra mondiale. Io sono convinto che la nostra causa sia giusta. Sono convinto che il nostro scopo e i nostri obiettivi siano indubitabili".
G. W. Bush?
Donald Rumsfeld?
No, Lyndon Johnson, a proposito della guerra in Vietnam.
Citato da Tom Engelhardt, qui.
Engelhardt fa alcune considerazioni sul recente breve discorso di Fort Bragg: Bush ha usato le parole "perdita" e "perdere" sette volte; "prevalere" due volte; "vincere", "vinto", "vittoria" e "trionfo" neanche una volta. L'Iraq è stato nominato 91 volte e l'Afghanistan solo due (nonostante la fresca notizia dell'abbattimento dell'elicottero americano). Gli uomini di Bush sanno leggere i sondaggi, e tra i pochi numeri a favore del presidente c'è quel 52% di americani che ancora ritiene che stia gestendo bene la 'guerra al terrore'. Nel discorso a Fort Bragg Bush è riuscito a mettere insieme gli attacchi dell'11 settembre, la guerra al terrore e la guerra in Iraq. La data 11 settembre è stata nominata 5 volte; le parole "terrore", "terrorismo", "anti-terrorismo" e "terrorista" sono state usate 35 volte (o circa una ogni 100 parole).
Sarà questo che intende Bush quando parla (facendo alla grammatica quello che le truppe americane stanno facendo agli iracheni, talvolta ricambiate) di "kind of catapult the propaganda"? (copiate questo indirizzo nella barra del browser per ascoltare: http://mirumir.altervista.org/propaganda.mp3)
G. W. Bush?
Donald Rumsfeld?
No, Lyndon Johnson, a proposito della guerra in Vietnam.
Citato da Tom Engelhardt, qui.
Engelhardt fa alcune considerazioni sul recente breve discorso di Fort Bragg: Bush ha usato le parole "perdita" e "perdere" sette volte; "prevalere" due volte; "vincere", "vinto", "vittoria" e "trionfo" neanche una volta. L'Iraq è stato nominato 91 volte e l'Afghanistan solo due (nonostante la fresca notizia dell'abbattimento dell'elicottero americano). Gli uomini di Bush sanno leggere i sondaggi, e tra i pochi numeri a favore del presidente c'è quel 52% di americani che ancora ritiene che stia gestendo bene la 'guerra al terrore'. Nel discorso a Fort Bragg Bush è riuscito a mettere insieme gli attacchi dell'11 settembre, la guerra al terrore e la guerra in Iraq. La data 11 settembre è stata nominata 5 volte; le parole "terrore", "terrorismo", "anti-terrorismo" e "terrorista" sono state usate 35 volte (o circa una ogni 100 parole).
Sarà questo che intende Bush quando parla (facendo alla grammatica quello che le truppe americane stanno facendo agli iracheni, talvolta ricambiate) di "kind of catapult the propaganda"? (copiate questo indirizzo nella barra del browser per ascoltare: http://mirumir.altervista.org/propaganda.mp3)
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giovedì, giugno 30, 2005
I scream you scream we all scream for ice cream
Non solo hanno di che vestire e un alloggio.
Non solo ricevono gli articoli igienici di prima necessità.
Ma hanno anche la possibilità di fare esercizio fisico e ricevono cure mediche e odontoiatriche eccellenti (superb).
E poi, quando si tratta di maneggiare un Corano, la guardia si mette i guanti di lattice e afferra il libro saldamente con entrambe le mani.
Ma questo è niente.
Il Brigadier Generale Jay Hood, che dirige il parco divertimenti di Guantanamo, ha detto:
"far from torturing prisoners, ice cream and candy bars are sometimes used to induce them to give up information".
Altro che torture, a volte negli interrogatori si usano gelati e barrette di cioccolato per convincere i detenuti a collaborare.
Chiudere Guantanamo, dopo tutti quei soldi spesi in medici, dentisti, guanti di lattice e variegato al caffè (non riesco a togliermi dalla mente una versione yanqui del barattolino Sammontana)?
La gente è pazza.
Non solo ricevono gli articoli igienici di prima necessità.
Ma hanno anche la possibilità di fare esercizio fisico e ricevono cure mediche e odontoiatriche eccellenti (superb).
E poi, quando si tratta di maneggiare un Corano, la guardia si mette i guanti di lattice e afferra il libro saldamente con entrambe le mani.
Ma questo è niente.
Il Brigadier Generale Jay Hood, che dirige il parco divertimenti di Guantanamo, ha detto:
"far from torturing prisoners, ice cream and candy bars are sometimes used to induce them to give up information".
Altro che torture, a volte negli interrogatori si usano gelati e barrette di cioccolato per convincere i detenuti a collaborare.
Chiudere Guantanamo, dopo tutti quei soldi spesi in medici, dentisti, guanti di lattice e variegato al caffè (non riesco a togliermi dalla mente una versione yanqui del barattolino Sammontana)?
La gente è pazza.
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