venerdì, febbraio 08, 2019

Lessons in Love


Silenziosa, carina, bravissima in matematica quando stavamo allo scientifico, la Paola tendeva a innamorarsi platonicamente di giovani macellai belli come angeli del Beato Angelico oppure di ragazzi floridi ma gioviali conosciuti “per lavoro”, il lavoro essendo quello un po’ tedioso ma efficiente di segretaria nello studio di un avvocato. Gli oggetti del suo desiderio e del suo laconico arrossire avevano una cosa in comune: erano tutti impegnatissimi, e se non ancora sposati almeno promessi sposi a fidanzatine delle medie spesso dispotiche e capricciose, probabilmente noiose. Almeno questo ci dicevamo la Paola e io. Io simpatizzavo per le sue cause perse sentimentali, lei mi premiava con un reticente rispetto per le mie “storie”, quelle tramacce da videoclip che il padre di M. chiamava amorazzi e mia madre filarini. Solo con G. la Paola non era clemente, ma solo perché lui alla fine della quarta le aveva chiesto in prestito il Purgatorio e poi quel Purgatorio era sparito per sempre su qualche bancarella dell’usato. Ma G. non era neanche un mio amorazzo o filarino, e del resto a me aveva sottratto il Paradiso. Per lui la Paola aveva un’antipatia feroce e vendicativa, pur non essendo mai stata una dantista o una sapegnista, mentre tutti gli altri li sopportava ricevendo le mie rare confidenze con stoicismo e rassegnazione.

Un pomeriggio la Paola organizzò un picnic nella casetta dei suoi, una specie di dacia fuori Gorizia ma proprio sul bordo della Statale dove i suoi andavano la domenica a coltivare l’orto e il giardino. Loro la chiamavano baita, con affettuoso disprezzo tutto goriziano. La baita si rifiutava di affacciarsi sul traffico della statale, alla quale offriva una facciata completamente priva di finestre. Non c’erano mai state, le finestre? Erano state murate? Nessuno sapeva o voleva rispondere a questa domanda. La casa introversa riversava tutto il suo moderato entusiasmo sul giardino e sui verdi colli lucinichesi, ostinandosi a negare la presenza della strada come la Paola negava l’esistenza delle fidanzate.

Al picnic di quel pomeriggio era stato invitato l’uomo dei sogni del momento, Francesco, un biondino florido e timido con cui la Paola aveva una storia mezza fantasticata fatta di non detti e di scherzi condivisi che così possiamo riassumere: a un dato momento uno dei due mormorava una battuta misteriosa e poi entrambi arrossivano e attaccavano a ridere. “È tanto caro” diceva lei di lui, pudicamente. “Peccato che sta con quella là.” E le confidenze si fermavano lì.

Gli altri invitati erano un paio di amici di lui e qualche altra persona del nostro giro. Vagavamo tutti un po’ oblomovianamente nel giardino, era del resto maggio e il calore primaverile mescolato allo spritz tagliava le gambe. La Paola indossava per l’occasione una gonna a balze coloratissima che si fermava appena sopra il ginocchio, lui era il genere di ragazzo cui donano i jeans e maglietta, inutile osare complicazioni.

Io ero sentimentalmente in vacanza, cioè nel bel mezzo di un amorazzo proprio con M. M. era il sosia perfetto di Jim Morrison con il vantaggio di non sapere chi fosse Jim Morrison, la configurazione perfetta. Erano del resto gli anni Ottanta. M. era programmato per vivere una lunga storia d’amore financo coniugale con L., ma c’era ancora tempo per gettare qualche sassolino negli ingranaggi. E noi tre, L., M. e io, negli ingranaggi di sassolini ne gettavamo a manciate. Non so se ho già detto che erano gli anni Ottanta.

Il sole già calava dietro le alture di Lucinico quando tra le mani di Francesco si materializzò una busta contenente LP e audiocassette: era ora di mettere un po’ di quella musica che piaceva a lui. Ma cosa piaceva a Francesco? Cosa lo svegliava la mattina, cosa lo muoveva, quali ritmi tamburellava in ufficio pensando un po’ alla fidanzata un po’ ai begli occhi verdi e sempre un po’ arrossati della Paola?

Fu in quel momento che assistemmo alla metamorfosi del “tanto caro”. Il quale ci spiegò come il migliore musicista in assoluto, il maestro indiscusso, fosse il bassista dei Level 42 con il suo inconfondibile slap. E come il migliore gruppo in assoluto fossero i Level 42. Procedemmo poi all’ascolto di alcuni pezzi scelti, con Francesco che mimava nell’aria elastici giri di basso mentre alla Paola sorridevano anche le balze della gonna. Erano gli anni Ottanta, c’erano il funk-jazz e il Live Aid, i Settanta erano lontani e per il momento dimenticati. 

Un’ora dopo Francesco imbustò gli LP e tornò per sempre dalla fidanzata.
 
Oggi ho riascoltato i Level 42, quella canzone che fa “lezioni d’amore perdute senza amore”. Partita dalla retina qualche decennio fa, mi è infine arrivata la visione della gonna a balze della Paola, insieme a un’incongrua e appagante tenerezza.

martedì, febbraio 05, 2019

Il grande Antonius e la piccola Nensi Drev

A un certo punto papà viene travolto dalla passione per la "pesca al sievolo", nella quale si cimenta le domeniche d'inverno in quel bayou monfalconese che sono i canali della bisiacarìa, terra di brume e di fanghi. Lo schema tattico è il seguente: papà si apposta in un luogo selezionato in base a maree, direzione del vento, condizioni meteorologiche, fiuto, tradizione orale, testimonianze più o meno fuorvianti; mamma consuma nella 128 gli schemi liberi della Settimana Engimistica; Antonia e io partiamo in ricognizione.
La tradizionale simbiosi nonna-nipote vorrebbe che la prima approfittasse del contatto con la natura per impartire preziose nozioni di base alla seconda. Fauna, flora, folklore inoffensivo in cui le fate si limitano a pettinarsi, edificanti ricordi d'infanzia.
Noi però ci troviamo in una landa di brume e di fanghi e puntiamo alle macabre scoperte.
Siamo il grande Antonius e la piccola detective Nensi Drev.
– Cosa vedono i miei occhi!
– Orco tocio, un cadavere!
– Attenzione, l'assassino potrebbe non aver abbandonato la scena del crimine.
– Propongo di nasconderci dietro quell'albero.
Inganniamo così l'attesa sgranocchiando biscotti Bucaneve e bevendo succhi Fructal con la cannuccia come insetti panciuti e rumorosi, gli occhi spalancati a scrutare la torbiera.
– Via libera, Antonius!
Antonius pungola il cadavere con un bastone e formula un'ipotesi.
– È un tocco di legno.
Va più o meno sempre così, l'eccitazione evapora tra mucchi di terra e fogliame.
C'è poi la variante Cicuttini. Carlo Cicuttini ha appena tentato di dirottare un aereo a Ronchi per chiedere un riscatto e la liberazione di Freda, è in fuga, è ricercato.
– Cosa vedono i miei occhi!
– Orco tocio, Cicuttini!
– Attenzione, potrebbe essere armato!
– Propongo di nasconderci dietro quell'albero.
E giù Bucaneve e Fructal, mentre papà carica già le canne nel bagagliaio e mamma finisce sospirando il Bartezzaghi.

Cicuttini non è mai Cicuttini, ci sfugge, è di volta in volta un albero, un palo della luce, un'ombra, un addensarsi di foschie, papà appostato immobile tra le canne in conversazione telepatica con i sievoli. Si saprà poi che in quei giorni Cicuttini è già in Spagna a collaborare con i franchisti e a farsi operare le corde vocali con i soldi che gli ha mandato Almirante. Si saprà che Cicuttini è anche quello di Peteano, è lui che ha fatto la telefonata ai carabinieri di Gradisca, "A Peteano c’è una Fiat 500 abbandonata con due fori di pallottola”, e bum. Questo si saprà.
Per ora è solo il 1972, l'anno più lungo della mia infanzia, l'anno della pesca al sievolo, di Antonius e Nensi Drev a caccia di cadaveri e di terroristi neri nel bayou.

lunedì, febbraio 04, 2019

Quindici

- Allacciare il fitness tracker: trenta secondi.
- Rileggere traduzione: venti minuti.
- Esitare nuovamente tra "sporco" e "cattivo" per "nasty": cinque minuti.
- Salvare traduzione tre volte di seguito: un minuto.
- Salutare destinatario con formula adeguata evitando espressioni tipo "buon lunedì" che suonano sempre smaccatamente derisorie: due minuti.
- Allegare file: trenta secondi.
- Cancellare, riallegare file per sicurezza: trenta secondi.
- Sollecitare in maniera ferma e dignitosamente risentita un cliente colpevole di due anni circa di arretrati, salutare con formula adeguata avendo cura di usare l'espressione "buon lunedì" (very nasty): cinque minuti.
- Soffermarsi a immaginare due anni circa di arretrati, visualizzare Paperone che si tuffa nei soldoni mentre Battista gli regge l'asciugamano: due minuti.
- Scoprire che L. sta leggendo "L'arte di ottenere ragione" per il bac: un minuto.
- Fare faceswapping con il musetto di Schopenhauer in copertina: un'ora.
- Totale: 15 passi.

You may be cool, but are you Vittorelli cool?
Are you?