martedì, agosto 31, 2010

Sotto una stella chiamata Sole/6. 13, ulica Rubinštejna



Il treno mi porta là dove non voglio andare
Viktor Coj, "Električka",
45


Nel 1981, al numero 13 di via Rubinštein, apre il Leningradskij Rok-Klub, il Rock Club di Leningrado. Cambia così il volto degli ambienti underground cittadini: dopo aver ufficialmente negato e combattuto la cultura rock le autorità sovietiche decidono di cambiare approccio e di controllarla. È opinione comune, confermata da Boris Grebenščikov, che il club non sarebbe mai stato creato senza la tacita approvazione del KGB.

C'erano dei precedenti: quasi vent'anni prima a Leningrado aveva aperto lo storico caffè Saigon, zona di scambio di libri e di idee, di incontro con l'altro sesso, di fuga dalle costrizioni famigliari. Il nome Saigon nasceva dalla critica espressa dagli organi ufficiali contro la guerra imperialista americana in Vietnam, ma acquisì presto nuovi significati e perse la connotazione politica negativa mantenendo il riferimento all'esotismo e alla decadenza. I frequentatori del Saigon si dividevano rigorosamente in gruppi ed erano accomunati dal disinteresse per la politica (i pochi dissidenti venivano tenuti a distanza): c'erano i poeti, gli artisti, i tossicomani, i borsaneristi, quelli che compravano scarpe e vestiti dai turisti occidentali per rivenderli ai sovietici. Tutto ciò rese il caffè un punto d'osservazione ideale per il KGB. Per questo non chiuse mai ed ebbe pochi fastidi. La potenziale minaccia rappresentata dagli organi di sicurezza era vissuta con una certa indifferenza dai frequentatori: aggiungeva semmai un tocco romantico e avventuroso all'ambiente, e in ogni caso permise che questi gruppi e sottoculture sopravvivessero e prosperassero. Ricorda lo storico Lev Lur'e che al Saigon circolavano le opere di Platonov, Bulgakov, Proust, Joyce, Miller: "Negli anni Settanta la formazione letteraria e filosofica che ci si faceva al Saigon era migliore di quella fornita dai dipartimenti dell'Università di Leningrado".

Con il Rok-Klub succede qualcosa di simile. Il tentativo dello Stato di controllare le band concentrandole in uno stesso spazio significa dar loro una sorta di legittimazione e soprattutto un palcoscenico su cui esibirsi e confrontarsi. La creatura del Komsomol e del KGB contribuisce così allo sviluppo della vitalissima sottocultura rock leningradese degli anni Ottanta.

I Garin i Giperboloidy, che ormai godono dell'attenzione e degli incoraggiamenti di Boris Grebenščikov, si presentano all'audizione per entrare nel Klub. Qui si scontrano con la vecchia guardia del rock di Leningrado, musicisti conservatori degli anni Settanta attenti ai contenuti e al messaggio. "Cosa volete dire con le vostre canzoni? Quali idee ispirano il vostro lavoro? Che siete dei fannulloni? E che questo è un bene? E che vi fermate 'solo ai chioschi della birra'? Cosa vorrebbe dire, che la gente deve ubriacarsi? Questo, volete dire? Scusate, ma sono cose che ci si aspetta di sentire in un vicolo buio, o roba del genere", obietta una certa Tanja del comitato del Klub. Questa è gente che crede ancora alle istanze rivoluzionarie espresse dai gruppi rock occidentali degli anni Sessanta e Settanta, mentre Coj e i suoi amici sono figli della zastoj, la stagnazione brežneviana: poca fede negli ideali marxisti-leninisti, scarso dissenso e una generale sfiducia nella possibilità di cambiare il mondo in un senso o nell'altro.

Contro tutte le previsioni, però, cantando di chioschi della birra, di bitniki, di sfaccendati e di treni che portano dove non si vuole andare, i Garin passano l'audizione.
"Ovvio, i ragazzi devono imparare, lavorare sui pezzi..."
"Prendiamoli, dobbiamo aiutare i giovani."
"Prendiamoli."
"Ma sì."

lunedì, agosto 30, 2010

Sotto una stella chiamata Sole/5. Elvis e Lenin

Il rock'n'roll è morto, ma io ancora no
Akvarium, "Rok-n-roll mёrtv", Radio Afrika (1983)

Scrive Aleksej Rybin in Kino s samogo načala:
Una volta Grebenščikov ha detto che in quegli anni il rock'n'roll era l'unica cosa giusta fino in fondo di questo paese. Sono completamente d'accordo con lui. Solo questo ci dava gioia. E intendo proprio gioia, non risate o ghigni. Quelli che fanno la coda per rendere bottiglie vuote e comprare bottiglie piene e che si sentono liberi solo dopo averle svuotate non sanno cos'è la gioia. Ridono sempre: per una barzelletta sporca, o per un film, o per le storie degli scrittori satirici su com'è terribile vivere in questo paese. Ridono della miseria, della povertà e della depravazione, ma non sanno cos'è la gioia. Noi quella gioia l'abbiamo cercata e trovata. Nel rock'n'roll di Elvis e nelle ballate dei Beatles scoprivamo più significati che nei testi di Lenin studiati a scuola. Criticare ciò che accadeva attorno a noi ci ripugnava, e anche se qualche volta ci lasciavamo coinvolgere nelle discussioni cercavamo soprattutto di evitarle. Dialogare con lo Stato significava accettare le regole del suo gioco, e questo ci disgustava profondamente. I valori che ci venivano proposti erano ridicoli: sembravano così assurdi e improbabili che era inutile perderci tempo ed energie.
"Avresti potuto essere un eroe, se solo ci fosse stata una causa", canta Viktor Coj in "Podrostok" ("Adolescente"). I testi delle sue prime canzoni sono semplici, non politicizzati, spesso parlano di solitudine ed esprimono un vago senso di ribellione. Lui e i suoi amici non combattono lo Stato sovietico: meglio li definisce il concetto di vnutrennaja emigracija, emigrazione interna, lo stare contemporaneamente fuori e dentro il sistema e tutta l'ambivalenza che deriva da questa condizione oscillante.
Avrebbero potuto essere eroi.
Invece trovano la felicità nel rock'n'roll.

lunedì, agosto 23, 2010

Sotto una stella chiamata Sole/4. Iperboloidi


Una serie di fatti enigmatici e di morti misteriose alla periferia di Leningrado fa pensare che il professor Garin stia lavorando a un'arma di incredibile potenza. È proprio così: il suo raggio della morte, unito a un'altra prodigiosa invenzione, l'iperboloide, gli permette di controllare le menti a distanza ma anche di bucare la Terra fino a raggiungere uno strato di oro puro. Grazie a un accesso illimitato al materiale prezioso Garin mina la parità aurea, si impadronisce dell'industria americana e conquista il potere negli Stati Uniti. Presto però la sua dittatura crolla, grazie a una rivolta operaia e alle gesta di una femme fatale e dell'onesto poliziotto Šel'ga: vinti i magnati del capitalismo, lo scienziato-inventore viene dunque sconfitto dal popolo rivoluzionario.
L'iperboloide dell'ingegner Garin, scritto da Aleksej Tolstoj nel 1925 e uscito in quattro versioni tra il 1925 e il 1937, è il prototipo del romanzo di fantascienza antimperialista e antifascista. Garin i Giperboloidy (Garin e gli iperboloidi) è il nome del gruppo formato da Viktor Coj con Aleksej Rybin e Oleg Valinksij dopo lo scioglimento di Palata No. 6. Due chitarre e batteria, hanno vita breve perché presto Valinskij parte per il servizio militare. Scriverà Pavel Krusanov: "La canzone 'Bezdel'nik' di Coj ('vado, tutto solo vado... '), due chitarre e batteria, perfettamente sviluppato a tre voci, era impareggiabile: forse è stato il suo momento più alto. Non scherzo, chi ha avuto il modo di ascoltare i Garin vi dirà la stessa cosa".

È il 1981, e la scena musicale sovietica sta cambiando: l'anno prima i Mašina Vremeni hanno vinto il festival rock di Tbilisi battendo i VIA nonostante una giuria composta prevalentemente da rappresentanti degli organi ufficiali, i vecchi gruppi si stanno sciogliendo, emergono altre realtà musicali. Il tardo rock sovietico prende dal rock occidentale la componente sperimentale, futuristica e innovativa e vi innesta i residui dell'ethos socialista, la tradizione letteraria russa, il viaggio nello spazio e nel tempo, il sogno di mondi immaginari. I nomi delle band sono sempre più spesso russi ed evocativi di un altrove fisico o immaginario: Argonafty (Gli Argonauti), Mify (I Miti), Skify (Gli Sciti), Zemliane (I Terrestri), Zelenye Murav'i (Le Formiche Verdi), Nautilus Pompilius, Zoopark (Zoo). Garin e i suoi Iperboloidi. Nel 1981 esce lo storico Sinyj Al'bom ("Album blu") degli Akvarium di Boris "BG" Grebenščikov. Ricorda Aleksej Rybin:
Le regole del gioco ci venivano da BG. Quell'anno avevamo ascoltato il Sinyj Al'bom e ne eravamo rimasti storditi. Non assomigliava a niente di quello che si suonava allora in Russia, dai seminterrati sporchi alle sale del Palazzo dei Soviet. Nei seminterrati c'erano dei ragazzi pelosi che cantavano l'amore usando espressioni pompose e astruse, nei saloni ufficiali c'erano uomini e donne dall'aspetto curatissimo che cantavano l'amore in una lingua da malati di mente. Grebenščikov cantava l'amore come noi ne parlavamo nelle birrerie, con gli amici, a casa, solo che lui lo faceva in modo molto più sintetico e chiaro, e con un vocabolario più ricco.
Non riuscivamo a immaginare come si potesse parlare di Dio, Amore, Libertà e Vita, e soprattutto cantarne, senza neanche nominarli. Era incredibile.
[...]
E poi Grebenščikov non era per niente aggressivo, non prendeva a pugni i muri, non si schiantava contro le porte chiuse, non si batteva con nessuno, stava semplicemente da parte, apriva un'altra porta – invisibile alla sorveglianza – e ci entrava. Nella sua semplicità e mancanza di aggressività c'era più forza che negli urli selvaggi e nel fragore dei rocker primitivi. Loro volevano la libertà, combattevano disperatamente per ottenerla. BG invece era già libero, non combatteva: gli bastò decidere, ed ecco che divenne libero.
Una sera Viktor Coj conosce Boris Grebenščikov: lo incontra per caso su un treno locale, di ritorno da un concerto in periferia.

giovedì, agosto 19, 2010

Sotto una stella chiamata Sole/3. Bitniki


Ricorda Aleksej Rybin, amico e compagno di band di Coj, nel suo libro intitolato Kino s samogo načala:
Ci chiamavamo "bitniki", anche se non eravamo beatnik nel significato tradizionale del termine. Era una via di mezzo tra il tipo classico del beatnik e una specie di proto-punk. A essere veramente punk era forse solo il gruppo di Svin [soprannome di Andrej Panov, fondatore degli Avtomatičeskie Udovletvoriteli, N.d.T]. Gradualmente sviluppammo atteggiamenti, riti e abitudini tutti nostri. Ogni gesto, quotidiano o rituale che fosse, era caratterizzato da una specifica dinamica. Quando si incontravano, i bitniki si stringevano la mano in un modo particolare, le dita piegate a formare un gancio, ed emettevano un breve suono gutturale, "yarrtcchhrrr". Per le occasioni speciali avevamo elaborato la "postura del bitnik": ginocchia leggermente flesse, corpo piegato in avanti, la schiena quasi ricurva, le braccia diritte, le dita delle mani strette a pugno, gli occhi scintillanti: una postura che doveva mostrare potenza e determinazione.
Quando ci incontravamo non ci chiedevamo quanti anni hai, dove lavori. Ci interessava solo sapere quale musica ascoltasse l'altro. La musica era il principale criterio di valutazione, e così ci tenevamo in contatto con un sacco di idioti, se questi idioti avevano collezioni di dischi interessanti. Invece di chiedere: "Dove lavori?", noi chiedevamo: "Suoni?"
Suonavano o volevano suonare tutti.
Viktor Coj comincia prestissimo a suonare la chitarra. Alla scuola d'arte conosce il giovane musicista Maksim Paškov e a 13 anni fonda con lui il gruppo Palata No. 6 (Reparto 6). Per qualche anno i due suonano insieme, passando gradualmente dalle cover dei Black Sabbath a un repertorio originale.

La scena musicale sovietica di quegli anni opera su due livelli distinti. Ci sono le band "non ufficiali", come i celebrati Mašina Vremeni (Macchina del tempo) e gruppi hard-rock come gli Skifi (Gli Sciti) e i Rossijane (I Russi), che vanno per la maggiore a Leningrado alla fine degli anni Settanta. E poi ci sono i VIA, cioè i Vokal'no-Instrumental'nyj Ansambl, gli Ensemble Vocali Strumentali appoggiati dallo Stato: melodie dolci, testi dedicati alla patria, alla natura, all'amicizia e alla fratellanza.

Viktor e i suoi amici sono lontanissimi dal pop giovanilista di fabbricazione governativa ma non si entusiasmano neanche per i Mašina Vremeni.
Quando Coj e Rybin si conoscono, Viktor risponde alla cruciale domanda sui gusti musicali citando i Beatles, gli Stones, i Genesis ed Elvis Costello. Quel giorno indossa "pantaloni neri, camicia nera, una specie di soprabito di cerata nera coperto di spille".
Nel 1981 il bitnik Coj comincia a scrivere canzoni.

martedì, agosto 17, 2010

Sotto una stella chiamata Sole/2. Costole


Il regime sovietico ha sempre mantenuto un atteggiamento ambivalente verso le tendenze e i generi musicali occidentali. Nel dopoguerra, per esempio, il jazz viene positivamente associato alla vittoria sui nazisti, ma in seguito attaccato durante la lotta al cosmopolitismo. Criticato e insieme tollerato, viene presto adattato al contesto sovietico: si fa strada l'idea che un bravo sovietico possa e debba apprezzare le forme culturali occidentali a patto che sia capace di distinguere tra la creatività della classe lavoratrice e il materialismo della borghesia.

Negli anni Cinquanta la domanda (non assecondata ufficialmente dallo Stato) di jazz e rock'n'roll occidentali porta all'invenzione di una tecnologia indipendente per copiare la musica. Grazie a un metodo messo a punto dagli studenti di ingeneria navale di Leningrado i vinili vengono duplicati su lastre radiografiche: di qui il nome di "muzyka na kostiach" o "muzyka na rebrach", "musica su ossa" o "musica su costole". Nel suo libro Back in the USSR: The True Story of Rock in Russia, il giornalista e produttore musicale Artemij Trojckij ricorda che "Si trattava di vere e proprie radiografie – toraci, colonne vertebrali, fratture – arrotondate ai bordi con le forbici, provviste di un piccolo foro al centro e con solchi appena visibili. La scelta di questo stravagante supporto è presto spiegata: le lastre erano la fonte più economica e più facilmente reperibile di plastica". Il processo è anche chiamato roentgenizdat (da roentgen, come vengono chiamate le radiografie in Russia, e izdat, edizione, con un evidente richiamo al samizdat, cioè all'edizione in proprio) e risulta in uso ancora negli anni Settanta. La qualità delle "costole" è bassissima, ma lo è anche il prezzo. Sono osteggiate dal Komsomol, che organizza vere e proprie "pattuglie musicali" per arginare questo commercio sotto banco. Non mancano nemmeno le brutte sorprese: può capitare che dopo pochi minuti di rock'n'roll americano l'acquirente di questi dischi si imbatta in una sardonica voce russa che dice "Ah, così volevi provare le novità musicali, eh?".
Scrive Alexei Yurchak nel suo libro Everything Was Forever, Until It Was No More che i fan sovietici erano consapevoli del senso di intimità che le ossa e le arterie del corpo sovietico donavano a suoni provenienti da un altrove immaginato e fantasticato. I dischi sulle ossa diventavano così la metafora per eccellenza di culture ingegnose e sperimentali che erano al contempo fuori e dentro il corpo dello Stato sovietico.

Negli anni Sessanta si è intanto diffusa la registrazione su nastro. Nonostante l'atteggiamento critico, lo Stato sovietico dà il via alla produzione di massa di registratori. In una ventina d'anni, dagli inizi dei Sessanta agli inizi degli Ottanta, l'Unione Sovietica vive un'enorme trasformazione culturale: quella che Pëtr Vail' e Aleksandr Genis ispirandosi al celebre slogan di Lenin ("Il comunismo è soviet più elettrificazione") definiscono magnitoficacija del Paese. Arrivano così alla rinfusa i Beatles, i Black Sabbath, Alice Cooper, i Creedence Clearwater Revival, i Kiss, gli Abba, i Boney M. Nel 1976 Leonid, un diciassettenne di Jakutsk, scrive al suo amico Nikolaj di Leningrado: "Non vedo l'ora di procurarmi le ultime registrazioni, anche se è da un po' che non faccio raccolta. Però un po' di roba ce l'ho già: gli album del 1975 e del 1976 di Alice Cooper, i Bee Gees, Made in Japan dei Deep Purple, le loro canzoni "Smoke on the Water" e "Child in Time", 24 Carat dei Deep Purple, ho anche un po' di cose vecchie – i Beatles, McCartney e Band on the Run dei Wings – perché qua sono considerate vecchie. Per quanto riguarda J. S. Bach, è proprio una gran cosa, anche qui lo amiamo molto, specie la musica per organo. Volevo chiederti di procurarmi i Creedence e anche qualcosa di nuovo che avete voi lì. Poi ti mando i soldi". (Yurchak, 189-190.)

J. S. Bach e Deep Purple.
È l'audiocassettizzazione dell'URSS.

Il 21 luglio 1962, a Leningrado, da padre coreano e madre russa, nasce Viktor Coj.

domenica, agosto 15, 2010

Sotto una stella chiamata Sole/1. La fine

La collisione tra la vettura "Moskv-2141" di colore blu scuro e l'autobus di linea "Ikarus-250" ha avuto luogo alle 12 e 28 del 15 agosto 1990 al chilometro 35 della strada Sloka-Talsi. L'automobile viaggiava a non meno di 130 km/h. Al volante si trovava Viktor Robertovič Coj, morto sul colpo. Il conducente dell'autobus è rimasto illeso.
Verbale di polizia

Una leggenda lettone dice che a nuotare a mezzogiorno nel lago di Vilkmuizhas, nei pressi di Talsi, si finisce trascinati sott'acqua dai lupi. Viktor Robertovič è appena stato a pescare, ma in un altro lago, e sta tornando a Plien'ciemse, dove da qualche anno trascorre le vacanze estive in una casa priva di via e di numero civico chiamata semplicemente "Zeltini". Comunque mezzogiorno è già passato.

Quella che da Talsi porta a Sloka è una strada bella e un po' trascurata, non molto ampia, che si snoda tra boschi di conifere e latifoglie. A un certo punto incrocia un ruscello stretto e poco profondo, il Tejtupe. È in prossimità del piccolo ponte che Viktor Robertovič si addormenta al volante. L'auto percorre 233,6 metri sul ciglio della strada, poi Viktor Robertovič si sveglia, sterza troppo bruscamente per rimettersi in carreggiata e invade la corsia opposta. Lì viaggia l'Ikarus-250, a una velocità di 60-70 chilometri orari. Viktor Robertovič non lo vede. La Moskvič urta con lo spigolo destro anteriore contro lo spigolo sinistro anteriore dell'Ikarus. L'auto viene scagliata 18 metri più in là, l'autobus finisce nel ruscello. La Moskvič è completamente distrutta, tanto che uno dei pneumatici non verrà mai ritrovato.

Ripensando all'URSS e al 1990 mi torna in mente la telefonata di Alex, brevissima, della quale sulle prime non capii niente: neanche se fosse in russo semplificato o in inglese stentato, né se Alex stesse piangendo o ridendo (risultò poi che semplicemente urlava). Ripensandoci ora mi dico che l'Unione Sovietica finì lì, non con un crollo ma con uno schianto seguito dal tuffo dell'Ikarus nel ruscello, mentre Viktor Coj volava.

Probabilmente sto esagerando.

Questa comunque è la storia di Viktor Coj, rockstar, poeta, attore, caldaista, ultimo eroe sovietico.

giovedì, agosto 05, 2010

Sogni d'oro, sweet cesspool

Stai lì a guardarlo, ma con i nervi tesi, mai sereno ("sono sereno" era la frase preferita dei politici un attimo prima del tintinnar di manette, questo lo ricordo come fosse ieri). Ci fosse un raggio verde, chi può mai dire? E in quel caso, l'opportunità di brillare, vedendolo per primo in un istante preciso, indimenticabile, collocabile nello spazio della memoria, lasciando un'indelebile incisione nell'immaginario altrui: "Guarda! Hai visto?!".

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domenica, agosto 01, 2010

Bum

Bum
di Federico Tavan

Noi inchiodati
qui
a scrivere poesie.
E so
che questa
non è poesia.
È la storia di un treno.
So
che su quel treno
c’erano
un barbone
un emigrante
un operaio
una studentessa
un padre di famiglia.
So
che il barbone
ha la mia età
senza denti
senza capelli
e ride e piange
e non va da nessuna parte
e non ha nessuna valigia.
So
che l’emigrante ha cinquantatré anni
e viene dalla Germania.
So
che va in Sicilia
e nella valigia
una stecca di cioccolata.
So
che l’operaio
lavora all’Alfa Romeo.
So
che ha quarantadue anni
nella valigia
l’ultima busta paga.
So
che la studentessa
è molto bella
e ha diciassette anni.
So
che va a vedere Roma,
nella valigia
la macchina fotografica.
So
che il padre di famiglia
ha gli occhiali sessantadue anni
un nipote a Bari
e nella valigia
"la cena per i suoi rondinini".
So
che stanno aspettando qualcosa
e ridono
e il treno ride
e le valigie ridono
e la democrazia
nascosta sotto i binari
come sempre
ride.
BUM

"Bum", in Amalârs, antologjie de leterature furlane, Kappa Vu, Udine 2001.