sabato, aprile 06, 2024

Quello che ha fatto tante metafore

LE GRANDI INTERVISTE

QUELLO CHE HA FATTO TANTE METAFORE

– Alberi.
– Sì, ho fatto una metafora.
– E ci ha messo sopra.
– Un'altra metafora.
– Uguale.
– Certo, uguale.
– Non le sembra che la macchinina, i cessi, le audiocass
– Ecco qui un'altra mezza tonnellata di metafore, che le sembra?
– Ma veramente io avevo chiesto mezzo etto al massimo.
– E c'è anche una mezza installazione della Donata.
– Ma guardi in casa siamo solo in du
– La Donata mia moglie.
– Ho capito.
– Allora lascio. Dopo i titoli di coda ho messo ancora qualcosina.
– Bòn, lasci i pallet sul marciapiede, che poi passiamo con il TIR.
– Adesso la Donata mette due sedie fuori così le teniamo il parcheggio.
– Va bene grazie.
– Grosse grosse metafore.
– Se se, arrivederci.
– Arrivederci.


mercoledì, marzo 20, 2024

Quella foto di Macron su Insta

LE GRANDI INTERVISTE

QUELLA FOTO DI MACRON SU INSTA

– Buongiorno, disturbo?
– No no, si accomodi.
– Lei è quella foto di Macron su Insta.
– Per servirla.
– Che poi non è una foto sola, sono due.
– Sì, insomma, "la boxe". 
– La boxe. Bianco e nero, faccia un po' così.
– La faccia bellissima del nostro Presidente.
– Mi racconti la giornata tipo di una foto di Macron su Insta.
– È una giornata normale, sveglia alle otto, doccia, un due tre gocciole, non so se si può dire.
– Sarebbe pubblicità.
– Il Presidente, naturalmente è già sveglio da ore.
– E poi, foto.
– Foto.
– In bianco e nero per dare quel non so che di...
– Ma perché, secondo lei Fronte del porto stava a colori?
Fronte del...
– I coulda had class. I coulda been a contender.
– No, dai.
– I coulda been somebody.
– Non faccia così.
– Anche Toro scatenato è in bianco e nero!
– È vero.
– Anche la crisi dei missili di Cuba è in bianco e nero, anche Kennedy è in bianco e nero, anche
Rocky, però.
– No, Rocky è a colori.
– Vede.
– Adrianaaaah.
– Adesso però la smetta.
– La smetto e mi calmo.
– Tenga due gocciole.
– Non posso, sarebbe pubblicità.
– Non importa. 
– Grazie.
– La parte più bella del suo lavoro?
– Il Presidente!
– La parte peggiore?
– Quando sono in bianco e nero e vorrei essere a colori.
– Le sta simpatico Putin?
– Mi fa schifus!
– Le piacerebbe essere una bella foto a colori di Putin?
– No!
– Putin che mangia lo yogurtino, Putin con la giacca a vento blu, Putin che guida il Tir, Putin che gioca a hockey...
– Sempre a colori?
– Certo.
– Ce l'ha altre due gocciole?
– Tenga tutto il cartoccio.
– Grazie.
– Grazie a lei, buonasera!
– Buonasera.


Fonte: https://www.instagram.com/soazigdelamoissonniere/


mercoledì, marzo 06, 2024

Quello che ha firmato e lo scrive su Twitter

LE GRANDI INTERVISTE

QUELLO CHE HA FIRMATO E LO SCRIVE SU TWITTER

– Buonasera, disturbo?
– Buonasera, no no, ma quale disturbo.
– Lei è quello che ha firmato un appello, vero?
– Ho firmato!
– Quello dove c'è anche coso.
– L'appello della sinistra!
– Non solo della sinistra.
– Della sinistra per Israele.
– Valori liberali e progressisti, dico bene?
– Certo!
– Robusta e radicata cultura democratica?
– Rigorosamente, come diceva la bella attrice nella pubblicità degli spaghetti.
– Si parla troppo male del sionismo, che invece.
– Invece in esso vivono i valori di uguaglianza, giustizia, liberazione umana della sinistra democratica e del progressismo.
– Basti pensare alla?
– Straordinaria esperienza dei kibbutz, il progetto e il sogno di una società più
– Come vive uno che firma un appello?
– Normalmente, la mattina mi alzo, faccio la doccia, un po' di yogurt proteico e poi firmo.
– Firma fino a mezzogiorno?
– No, faccio una pausa alle nove e mezza.
– E in quella pausa cosa fa?
– Vado su Twitter e scrivo che ho firmato!
– Reazioni?
– Luci e ombre.
– Ma mi sembrano più ombre, però.
– Ma no, ma no.
– Quell'appello mitizzicchia leggermente, diciamo.
– Non mi pare proprio.
– Un po'.
– No!
– E dài.
– Neanche per sogno.
– Vi fanno schifino i palestinesi, dica la verità.
– Noi vogliamo una rinnovata leadership dell'ANP.
– Vi fanno schifolino.
– Due popoli in due
– Se se. La cosa più bella del suo lavoro?
– Quando metto le cartucce nella stilo.
– La cosa più brutta?
– Quando mi macchio i polsini.
– Grazie buonasera.
– Buonasera.


venerdì, febbraio 09, 2024

I beati anni dei vestiti brutti

Scarpe brutte e vestiti brutti: le Clarks sbagliate, i jeans finti, i maglioni di pannolenci, i piumini 100% sintetici effetto bulbo di Tesla. Di qua una madre bellissima e scontrosa, fantasie geometriche e minigonne, zatteroni con la zeppa di sughero, mèche e tirabaci, una collega con il taglio alla Jane Fonda che passava a prenderla in Vespa. Belle, strane e inafferrabili come due uccellini esotici. Di là un padre che smarmittava allegro sulla Lambretta con i suoi jeans senza marca e la camicia kaki alla Poncharello, o una maglietta nera con l'etichetta "c o b r a" presa in saldo da Bonnes.

Una volta, con la scusa dell'arricchimento culturale, siamo finiti a San Marino anche noi Vittorelli. Al ritorno eravamo tutti accessoriati di Ray-Ban Aviator, con le aste che facevano due giri della morte dietro le orecchie e il galleggiante di madreperla che ci scavava un solco in mezzo agli occhi. Sembravamo una squadra di poliziotti della narcotici.

I finestrini abbassati sul pomeriggio estivo desaturato dalle lenti verde scuro, la sosta canonica in Autogrill. Felici? Ma sì.

C'era qualcuno che in fatto di eleganza stava peggio di noi. Erano gli jugoslavi oltreconfine che venivano di qua a comprare fustini di Dash e abbigliamento a basso costo. Nella parte nord della città c'erano negozietti scadenti che vendevano jeans jugo, magliette jugo, calzature jugo. Per quello stile di recupero avevamo un nome: jugosbriz, un casual di necessità contraddistinto da abbinamenti sbagliati, un rebus di capi completamente fuori sesto.

Perciò noi stupidi starogoriziani con le nostre robette vagamente imitative ci sentivamo decadenti e chic. Ci giudicavamo a vicenda, ma senza malizia. Per esempio l'unica ad avere le Clarks vere era la Ago, che aveva il padre ingegnere. Ma era compensata dalla Zubi, che poteva presentarsi in classe con i sandali da campeggiatore austriaco e i calzettoni di lana, e allora voleva dire che era cominciata la primavera: la Zubi era la nostra rondinella, la nostra pallida primula, la nostra gemma di pruno.

L'immunità al giudizio di stile valeva solo per la contea di Gorizia. Bastava andare in gita a Venezia che subito fiorivano borsette Mandarina Duck e non Maddalina Ciuk, vere polo con il coccodrillo e non con un rettile che aveva perso il tram della selezione naturale. Allora eravamo tutti jugosbriz, anche noi figli di genitori naturalmente belli.

Un giorno mia nonna insieme al panino mi infilò nella borsa anche i soliti Ray Ban di ottone. No, dissi io, pesano troppo. Che tra l'altro guarda che oggi viene piova.

Così se li mise lei, aggiustandosi ben bene le aste dietro le orecchie, e rimase in piedi a guardarmi come un agente della stradale mentre io mi allontanavo con i miei veri Jean's West in una nuvola di Eau Jeune e lucidalabbra alla frutta, sotto un sole che rideva spietato.



mercoledì, febbraio 07, 2024

Vsak patk disko!

Hum, Collio sloveno (Goriška Brda): Hum o Cum sotto l'Austria, faceva parte dell'enclave di Quisca (Kviško o Kojsko) nel comune catastale di San Martino (Sv. Martin o St. Martin) poi divenuto comune di San Martino-Quisca (St. Martin-Quisca, Sv. Martin-Kviško).
1920, Trattato di Rapallo, annessione al Regno d'Italia: nel 1923 Hum diventa Colmo.
1947, Trattato di Parigi, annessione alla Jugoslavia: Hum ridiventa Hum.

A partire dal dopoguerra nella casa della cooperativa di Hum si balla. Negli anni Ottanta è una discoteca e una sala da concerti. 
Aprile 1987: concerto Pankrti. Maggio 1988: concerto Firehose. Novembre 1988: concerto Savage Republic. Che bello vivere, che bella la vita, come cantava il pugile scemo di Vysockij prima di andare K.O.

Mio padre ha sei anni quando lo mandano con suo fratello Pepi in "colonia" in campagna. Mio nonno ha conoscenze nella comunità slava e forse una tessera di qualche tipo, tanto che certi colleghi hanno iniziato a chiamarlo "Vittorellič con la pipa" (la pipa sulla c). Così riesce a procurarsi due posti sulla corriera e ci mette su mio padre e il Pepi. Appena arrivati li mandano tutti nel campo a prendere ciascuno una balla di fieno, cioè il letto su cui dormiranno nella stalla del contadino. Il resto è una lunghissima giornata estiva: marce nei campi, canti patriottici, lavori utili e radici commestibili. Un giorno il Pepi, che ha tre anni più di mio padre, dice: scappo. E scappa. Mio padre, vedendolo correr via tagliando per i prati, già s'immagina suo fratello disperso tra le campagne di questo Paese lontanissimo e misterioso, forse l'Austria, forse il Montenegro, non ricorda quanto tempo ci ha messo la corriera, comunque tanto.

Alla fine della colonia mio padre torna a casa, un vecchietto di sei anni che ha fatto la guerra. Lì trova il Pepi, sazio, lavato e riposato. Solo allora gli spiegano che la colonia stava a Hum, vicino a Quisca. Distanza da Gorizia, Straccis: un'ora e mezzo a piedi, di corsa meno. Il Pepi correva.
Di quel periodo gli restano i canti patriottici, in una lingua a metà tra dialetto sloveno e insalata di consonanti.

A Hum puoi arrivare passando per San Floriano e il Collio goriziano oppure prendendo la strada internazionale del Monte Sabotino/Sabotinska Cesta, cioè la Strada di Osimo, costruita nella prima metà degli anni Ottanta per creare un collegamento diretto tra il collio sloveno e Nova Gorica: il corridoio di circa 1600 metri in cui corre in Italia è costruito in trincea e ha una recinzione alta due metri su entrambi i lati. Secondo il Regolamento sull'uso della Sabotinska cesta, pubblicato il 7 ottobre 1983 in appendice alla Gazzetta ufficiale slovena n. 8 - Trattati internazionali, questo tratto di strada è destinato esclusivamente al traffico di transito ed è vietato sostarvi; non è consentito circolare con veicoli militari; sono vietate le fotografie. 

Per prendere la Strada di Osimo venendo da Salcano svolti a sinistra e poi vai sempre dritto, costeggi il torrente Pevmica/Piumizza e sei a Hum. Subito dopo Quisca e prima di Šmartno/San Martino c'è il monumento di Gonjače ai caduti (315) con annessa torre panoramica che sale a spirale per 23 metri e 144 gradini. Abbastanza per provare una piccola vertigine, ma anche, nelle giornate serene, per vedere il Collio goriziano e sloveno, le Alpi Giulie e le Alpi Carniche, le Dolomiti, la Pianura Friulana, il Carso, la valle del Vipacco, la Selva di Tarnova, il mare.

In corrispondenza della rotonda che porta a Gonjače, sul muro che sta sulla destra, dagli anni Ottanta c'è una grande scritta, scomparsa più volte e più volte rinfrescata, "VSAK PATK DISKO!", "discoteca tutti i venerdì": perché a Hum si ballava, si ballava tutti i venerdì.



 

martedì, febbraio 06, 2024

Bunker

In Italia era l'epoca decadente dei chitarra-bar. Ma a Šempeter pri Gorici, detto in italiano San Pietro, in friulano San Pieri, in tedesco Sankt Peter, a 500 metri da Gorizia, a metà anni Ottanta c'era ancora la Jugoslavia e nel finesettimana ci si metteva in fila ai valichi e si andava ad ascoltare musica al Bunker. Il Bunker quello era, un vecchio rifugio antiatomico, ed era stato ridecorato in economia con gusto costruttivista: scaletta piastrellata multicolore, muri di cemento, graffiti stile avanguardia russa, grosse tubature a vista. Ingresso cinquemila dinari, saranno state mille lire. Pubblico eterogeneo, stile post punk e darkoni, giacche a vento, giubbotti di denim, giacche e cravatte, ragazze in maximaglione con le spalline imbottite. La lingua, un pidgin di frontiera. La musica, da Prince a Frank Zappa a Miles Davis. L'impianto stereo, ottimo.

Oggi lì c'è un edificio delle Poste slovene, ma ricordatevi che una volta in mezzo a quei condomini su una montagnola erbosa accanto a un albero agonizzante c'era il Bunker, dove per qualche anno con la propustnica in tasca e una Lasko in mano abbiamo sognato che tutto cambiasse restando esattamente com'era.


domenica, gennaio 28, 2024

Encuentro de civilizaciones

In Muerte súbita Álvaro Enrigue immagina un dialogo tra Hernán Cortés e uno dei suoi capitani in un momento di pace: quando 'sti selvaggi giocano a palla, dice quello, tagliano la testa al vincitore. Stirpe del demonio, dice Cortés, bisogna insegnargli che la testa si taglia al perdente.   

martedì, gennaio 16, 2024

Oh l'amour

– Mirumir, venga, venga, si accomodi. 
– Grazie. 
– Abbiamo qui la sua candidatura a un posto di traduttore quantico senior. 
– Precisamente. 
– Lei è quella che masterizzava mp3 su CD 12xspeed Traxdata, giusto? 
– Per gli amici. 
– L'altro giorno l'hanno sentita dire "la musica di questo spot era una canzone famosa che mi piaceva tanto". 
– Quella che fa oh l'amooooooour broke my heart and now 
– Tali Erasure. 
– Sì, c'è il video in rete. Sa quei ritmi tuturutututum che si ballavano allora. Le sudate, l'allegra confusione sessuale, le canottiere aderenti tipo Querelle de Brest, le gradazioni fuori norma. 
– Sì. 
– 22 milioni di visualizzazioni, sa? 
– Mirumir, vedo che oggi abbiamo voglia di scherzare. 
– Scusi? 
– 22 milioni sono gli anni. 
– Uh? 
– È un video di 22 milioni di anni fa. 
– Pensavo meno. 
– Lei capisce che il tempo passa. 
– Sì. 
– Lei mi è caduta ancora una volta in una trappola neuronale. Una vecchia canzoncina e i suoi neuroni si cascano con le scarpe e tutto. E mica pochi, quei neuroni.
– Sì. 
– Quei neuroni in questo momento ballano in canottiera e mutande per l'eternità, questo lei lo sa. 
– Lo so. 
– Si è aperta una posizione di data scavenger nella cintura degli asteroidi. 
– Ok. 
– La accendiamo? 
– La accendiamo. 
– Vada, Vittorelli, ci vediamo tra un anno. 
– Vado. 
– 22 milioni "di visualizzazioni". 
– Mi scusi. 
– Arrivederci. 
– Arrivederci.



lunedì, gennaio 15, 2024

La bufera social

LE GRANDI INTERVISTE

LA BUFERA SOCIAL

– Buongiorno, disturbo?
– No no, si figuri, entri e chiuda la porta.
– Ecco.
– Che c'è corrente.
– Lei è la famosa bufera social.
– Così dicono.
– Mi parli della sua giornata.
– Allora io di base non dormo mai, sto sempre sui social.
– Sempre?
– Due occhiaie così guardi.
– Ci sono notizie che le sembrano promettenti...
– Sì, può esserci la cantante con la tosse che sta alle Maldive, il tennista che si fa la fidanzata, il cantante obeso, cose così.
– Oppure.
– Oppure cose più pese che girano attorno agli screen.
– Gli screenshot.
– Sì.
– Come nasce una bufera social? 
– Io nasco di continuo, ma non muoio mai veramente, un po' come il Doctor Who che adesso lo interpreta un bel...
– Ci sono giornate fiacche?
– Quelle sono le migliori. Metta che oggi piove, no?
– Sì.
– La gente ha il nervoso, non vede l'ora di smascherare menzogne, di fare asciutti debunking, di svelare scontrini-truffa, un caffè venti euro più servizio al tavolo.
– E lì.
– E lì c'è bufera social.
– Anche detta gogna mediatica?
– No, siamo due cose distinte. Prima arrivo io, poi entra in scena la gogna.
– Lei e la gogna.
– La notte è piccola per noi.
– Certo.
– Troppo piccolina.
– Il bello del suo lavoro?
– Certe albe meravigliose.
– Il brutto del suo lavoro?
– Le occhiaie e la polizia postale.
– Le parteggia per gli Houthi?
– Certo che parteggio per gli Houthi. Più Houthi per tutti!
– Dica la verità, in questo momento lei sta lavorando.
– Io non smetto mai. 
– Quindi non parteggia veramente.
– E chi lo sa. Chi lo sa. Guardi qui.
– Cosa?
– Titolo di Repubblica: "La sposa interrompe la sua cerimonia nuziale per salvare un animale inaspettato". Bene, noi diremo che è una pantegana, una grossa grossa pantegana.
– Ma non è vero, scusi.
– Una grossa grossa pantegana radioattiva proveniente dal ristorante di un famoso chef fidanzato bene.
– Ma no.
– Grossa grossa pantegana radioattiva che ha morso la futura suocera della sposa!
– Se l'è inventato.
– Il web si divide tra propantegana e panteganofobi, il famoso chef fa un post in cui dice che la suocera e le grossa grossa pantegana radiottiva si conoscevano da prima, lui ha gli screen.
– Addirittura.
– Che le sembra?
– Non male.
– Per un lunedì, no?
– Vero.
– Adesso se non le dispiace.
– Certo.
– Allora la lascio lavorare.
– Hashtag pantegana, hashtag grossa grossa, hashtag famoso chef, hashtag suocera... arrivederci, tante cose!
– E quella cosa degli Houthi...
– Più Houthi per tutti!
– Arrivederci.
– Arrivederci.


venerdì, gennaio 12, 2024

Shutter Austerlitz, incompreso blockbuster storico-basagliano

Più o meno a metà faccio un grande sospiro. Cos'è questo sospirone, dice lui. Mah, dico io. Guarda che è un capolavoro, dice lui, ho finalmente capito da dove viene la storia del matto che si crede Napoleone. È un film ambientato nel 2650 e a un certo punto lui sputerà una chiavetta usb. Capolavoro, ripete.
Poi mi spiega.

"Napoleon", l'incompreso ballo in maschera di Ridley Scott