Doveva saperlo, che non c'era da fidarsi e che non mi sarei accontentata di tenerlo lì fermo a fingere indifferenza tra gli esercizi di stima ("mi hai messo nei link, per il 2006 siamo a posto"). E poi aveva insistito troppo sul millesimo post per cavarsela con il basso profilo.
C'è questo blog nuovo. C'è un autore misterioso che non ha voglia di dire io e che vorrebbe occuparsi d'altro (caramelle allo zucchero, forse, o infusi combinati "frutti di bosco più vaniglia"; questo autore non esiste, ma io sono quasi certa di aver assaggiato una sua Tarte Tatin con aggiunta di mele cotogne), un editore a scomparsa che gli commissiona le proprie false memorie, la scelta forzata di uno pseudonimo e la costruzione di un alias stralunato e (sembrerebbe) incompreso, un indiano metropolitano che lavora su poche righe, e le inizia tutte con "oggi", che bara spudoratamente e che si compiace della banalità facendo credere che questa sia una sua scelta retorica. Fuori della cornice della storia ci sono mail e bozze, brevi sessioni di writely e uno scambio di file .doc pasticciati, e non è detto che prima o poi non invadano lo spazio della finzione.
E poi a quanto pare - in cambio del mio silenzio, visto che ho pronto il solito ricatto basato su un paio di volumi di chat history rilegati in peccaminoso marocchino rosso - mi è stato concesso il diritto di ficcare il naso qua e là, di protestare se mi annoio, di scegliere la tappezzeria, di animare il salotto e di decidere come la storia dovrà continuare. In virtù della mia accertata natura felina* posso anche dare zampate a tradimento.
Si gioca, e a me piace giocare. Vi presento Uitanubi.
*sfortunatamente sono petulante come un siamese, curiosa, sfuggente, perfezionista, rompiscatole, indolente, territoriale, addomesticatrice e rieducabile. Graffio e faccio le fusa, tendo a sbuffare per fingere distacco, sono capace di cadere senza sfracellarmi al suolo e ho la deprecabile abitudine di sputare palle di pelo che poi nascondo sotto il tappeto. Quello che si dice in giro, che mi lego alla casa ma non alle persone, è solo un luogo comune: mi affeziono meno ai blog che a chi li scrive.
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mercoledì, marzo 29, 2006
Mille!
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mercoledì, novembre 02, 2005
OGGI
"Cara M.,
Se non fosse per Pasolini e per la poesia che hai inserito nel blog, non ti avrei forse raccontato quanto segue, e che a questo punto diventa una specie di epigrafe personale a lui dedicata.
Giovedì scorso ero in viaggio per il Veneto assieme all'amministratore delegato della società per cui lavoro. È stata una giornata sgradevolissima, a fianco di un uomo con le impazienze, le intemperanze e le parole fastidiose di un bambino viziato. Avrei diversi episodi da descrivere: la sua incazzatura per avere modificato un programma che lui stesso aveva alterato; la sua incazzatura per essere salito nella mia macchina ed aver trovato il seggiolino ad impedirgli la giusta reclinazione del sedile; la sua incazzatura ripetuta ad ogni errore del navigatore satellitare; la sua incazzatura per essere entrato nel palazzo sbagliato all'ultimo degli appuntamenti; la sua incazzatura per non essere stato riportato tempestivamente in autostrada a causa della mia vista non all'altezza del compito.
Imboccando finalmente l'ultimo degli ingressi della Venezia-Milano, a Mestre, ho avuto modo di dirgli due cose. La prima, che se fosse stato un mio parente, lo avrei lasciato a piedi già da un pezzo; la seconda, una citazione di Popper riguardo al fatto che non occorre essere più precisi di quanto la situazione non richieda. Alla sua contestazione che quel tale non facesse il "nostro" lavoro, ho risposto che, purtroppo per lui, non solo il lavoro, ma le leggi, la morale e quant'altro dipendono da gente come Popper (non è del tutto vero, ma in quel momento doveva essere così). È seguito un silenzio di mezz'ora e un 'buonasera' finale.
Non sapevo di aver fatto tutto questo anche per mia madre, ma se lo dice Pasolini è certamente vero.
Un bacio,
D."
Se non fosse per Pasolini e per la poesia che hai inserito nel blog, non ti avrei forse raccontato quanto segue, e che a questo punto diventa una specie di epigrafe personale a lui dedicata.
Giovedì scorso ero in viaggio per il Veneto assieme all'amministratore delegato della società per cui lavoro. È stata una giornata sgradevolissima, a fianco di un uomo con le impazienze, le intemperanze e le parole fastidiose di un bambino viziato. Avrei diversi episodi da descrivere: la sua incazzatura per avere modificato un programma che lui stesso aveva alterato; la sua incazzatura per essere salito nella mia macchina ed aver trovato il seggiolino ad impedirgli la giusta reclinazione del sedile; la sua incazzatura ripetuta ad ogni errore del navigatore satellitare; la sua incazzatura per essere entrato nel palazzo sbagliato all'ultimo degli appuntamenti; la sua incazzatura per non essere stato riportato tempestivamente in autostrada a causa della mia vista non all'altezza del compito.
Imboccando finalmente l'ultimo degli ingressi della Venezia-Milano, a Mestre, ho avuto modo di dirgli due cose. La prima, che se fosse stato un mio parente, lo avrei lasciato a piedi già da un pezzo; la seconda, una citazione di Popper riguardo al fatto che non occorre essere più precisi di quanto la situazione non richieda. Alla sua contestazione che quel tale non facesse il "nostro" lavoro, ho risposto che, purtroppo per lui, non solo il lavoro, ma le leggi, la morale e quant'altro dipendono da gente come Popper (non è del tutto vero, ma in quel momento doveva essere così). È seguito un silenzio di mezz'ora e un 'buonasera' finale.
Non sapevo di aver fatto tutto questo anche per mia madre, ma se lo dice Pasolini è certamente vero.
Un bacio,
D."
Il selvaggio dolore di esser uomini
Mi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d’esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l’antico, vergognoso segreto
d’accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!
Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
Pier Paolo Pasolini, "Ballata delle madri"
da Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d’esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l’antico, vergognoso segreto
d’accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!
Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
Pier Paolo Pasolini, "Ballata delle madri"
da Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964.
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venerdì, luglio 29, 2005
Musa offresi, casa vendesi: the summer files
Troppo sintetica
Ho sempre avuto una tendenza a sottrarre. Da quello che leggo normalmente riesco a ricavare poche righe di commento, povere stringhe laconiche. Al professor B. piaceva la mia capacità di sintesi: sembrava colpito dal fatto che andassi spedita al nocciolo senza divagazioni né compromessi. Poi, una mattina, gli feci scivolare sotto il naso un foglio protocollo riempito a metà sul bifrontismo tassiano. La prima facciata, riempita a metà. "Ottimo. Forse troppo sintetico".
Lo giudicai un friendly warning da prendere in considerazione: ho cercato di imparare da allora l'utilità della ridondanza e dell'abbellimento, con risultati alterni e scarsa soddisfazione personale. Se posso, ricado nel vecchio vizio della scrittura senza fronzoli, informativa, di pura segnalazione (e - se sono in vena - di divertito commento). E visto che miei diari o taccuini si sono sempre interrotti tutti alla data del primo gennaio ("Propositi per il nuovo anno", e altre 364 pagine bianche), mi stupisce il fatto di esser riuscita finora a riempire un blog. Spero che il professor B. abbia di meglio da fare che passar di qui (credo che sia diventato preside, nel frattempo, e mi auguro che sia uscito dal tunnel della Gerusalemme Liberata), però c'è da dire che non avrebbe dovuto assecondarmi.
The Summer Files
Quando poi fa molto caldo e i miei neuroni stanno al parco giochi o in fila davanti all'acquasplash vado in eccesso di sottrazione: saltano i nessi, si moltiplicano i vuoti, e può sembrare che la logica vada per i cavoli suoi. Questo significa che mi accontenterò di riportare alcune cose interessanti che leggo qua e là, con e senza commenti e/o conclusioni. Fate finta che stia ragionando tra me: i tempi sono confusi e difficili, restare indifferenti mi sembra impossibile e non mi pare che ci siano facili spiegazioni a portata di mano. Tra sparizioni e riapparizioni estive conto di continuare a raccogliere del materiale, in modo intermittente e meno sistematico del solito. Potreste aspettarvi fonti disparate, sporadici rants, imbarazzanti dichiarazioni d'amore ad attori orientali o a scrittori anglo-pachistani e playlist fricchettone: oppure anche no, e potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante.
Vendo casa
Due giorni fa ho firmato la procura a vendere casa. Perché c'è bisogno di spazio per il lavoro e tutti questi libri, e il vicino del piano di sotto non sarebbe entusiasta del crollo del soffitto suo/pavimento mio: immaginatevi uno che un secondo prima si guarda la replica di Don Matteo con un birrino in mano, e un secondo dopo si ritrova in braccio il Miro in braghette da casa, il signor Giti in tenuta sportiva e venti volumi dell'Enciclopedia Utet più la Cronologia Universale. Queste cose si mettono poco a trasformarsi in tragedia, e io mica voglio le telecamere di Mimun sotto le finestre.
Quindi cambio casa, devo separarmi da questa qui, e tanto per dire ho già staccato dal muro il ritratto del maresciallo Tito: ché da queste parti sono parecchio sensibili all'argomento e con la sfiga che ho mi ritrovo come possibile acquirente il nipote di uno dei duemila di Monfalcone, come minimo. Mi consolo pregustando il trasloco nel borghesissimo condominio nuovo e l'entrata impettita in ascensore con il famoso ritratto sotto gli occhi allarmati dei nuovi vicini. Prima o poi ve lo fotografo, il mio Tito, perché merita.
Ma insomma, non so come farò a lasciare questo posto. Il vicinato un po' pazzo da casa di periferia. La coppia di mezz'età - lui foggiano, lei istriana - che litiga rispettando l'orario condominiale. Il rompiballe che in assemblea si porta il dizionario dei sinonimi e quello che vuole portare il bilancio di fine anno "alla Corte dei Conti". Il ramo di ciliegio che nella stagione giusta arriva proprio all'altezza giusta. Gli stipiti della porta con i segni lasciati dalla signorina Silvestra che ci si arrampicava con gusto. Come accidenti si smontano, gli stipiti?
E il signor G. non lo sa ancora.
Mi rendo conto che sto facendo la lagna. Per esempio Lia se la sta cavando alla grande. Soffermatevi solo un attimo a immaginarmi nei suoi panni: mi vedete mentre percorro la strada verso l'aeroporto baciando ogni centimetro di suolo egiziano, piangendo esageratamente e invocando Allah? O mentre tento di convincere l'addetto al check in che un materasso di quattro metri quadri è classificabile come bagaglio a mano?
Peggy G.
D. è andato da un indovino, e il vegliardo ne ha azzeccate parecchie. Poi se n'è uscito con la faccenda della scrittura: "sei destinato a scrivere, ma c'è un ostacolo: se procederai da solo quell'ostacolo si rivelerà insuperabile, non riuscirai a giungere alla forma finale. Vedo però una donna che ti aiuterà a superarlo". Una donna che non è l'amata, non è la mamma, non è la sorella, non è la nonna. Ergo, conclude il D. dopo breve riflessione, non può essere che il Miro. Eccomi dunque nei panni di lettrice, con la licenza di incalzare, criticare, pungolare, correggere, smontare, rimontare, riscrivere. E pensare che io già cullavo la fantasia di diventare una musa part time, immagine che nella mia mente si associa a lunghe tuniche, capelli spettinati ad arte, cavigliere d'argento e sigarette con il bocchino. No, dice D., saresti più una specie di Peggy Guggenheim (intesa come occhialuta rompicoglioni nevrotica, non come collezionista milionaria). Ecco.
Il vegliardo dice che il tutto si spiega con il fatto che D. è un saturnino. Ma non dovrebbe essere il suo lavoro, sapere che sono saturnina anch'io?
E gliela devo raccontare, a D., la faccenda della sintesi? Ché qui non siamo mica Pound e Eliot, e non so quanto potranno giovargli le mie operazioni cesaree su quelle che lui continua a chiamare "le [sue] quattro righe".
La mia tentazione è di farci un blog, su questa vicenda tutta saturnina di talenti attempati, di appiccicarci su una licenza Creative Commons e di vedere un po' l'effetto che fa. Almeno fino a quando D. non consulterà un lettore di rune o un facitore di oroscopi celtici che sbotterà: "Quella lì? Ma scherziamo?", mi verrà revocata per sempre la licenza di Peggy e io tornerò a sognare impossibili tuniche e cavigliere d'argento. Nel frattempo, potrei anche divertirmi.
Ho sempre avuto una tendenza a sottrarre. Da quello che leggo normalmente riesco a ricavare poche righe di commento, povere stringhe laconiche. Al professor B. piaceva la mia capacità di sintesi: sembrava colpito dal fatto che andassi spedita al nocciolo senza divagazioni né compromessi. Poi, una mattina, gli feci scivolare sotto il naso un foglio protocollo riempito a metà sul bifrontismo tassiano. La prima facciata, riempita a metà. "Ottimo. Forse troppo sintetico".
Lo giudicai un friendly warning da prendere in considerazione: ho cercato di imparare da allora l'utilità della ridondanza e dell'abbellimento, con risultati alterni e scarsa soddisfazione personale. Se posso, ricado nel vecchio vizio della scrittura senza fronzoli, informativa, di pura segnalazione (e - se sono in vena - di divertito commento). E visto che miei diari o taccuini si sono sempre interrotti tutti alla data del primo gennaio ("Propositi per il nuovo anno", e altre 364 pagine bianche), mi stupisce il fatto di esser riuscita finora a riempire un blog. Spero che il professor B. abbia di meglio da fare che passar di qui (credo che sia diventato preside, nel frattempo, e mi auguro che sia uscito dal tunnel della Gerusalemme Liberata), però c'è da dire che non avrebbe dovuto assecondarmi.
The Summer Files
Quando poi fa molto caldo e i miei neuroni stanno al parco giochi o in fila davanti all'acquasplash vado in eccesso di sottrazione: saltano i nessi, si moltiplicano i vuoti, e può sembrare che la logica vada per i cavoli suoi. Questo significa che mi accontenterò di riportare alcune cose interessanti che leggo qua e là, con e senza commenti e/o conclusioni. Fate finta che stia ragionando tra me: i tempi sono confusi e difficili, restare indifferenti mi sembra impossibile e non mi pare che ci siano facili spiegazioni a portata di mano. Tra sparizioni e riapparizioni estive conto di continuare a raccogliere del materiale, in modo intermittente e meno sistematico del solito. Potreste aspettarvi fonti disparate, sporadici rants, imbarazzanti dichiarazioni d'amore ad attori orientali o a scrittori anglo-pachistani e playlist fricchettone: oppure anche no, e potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante.
Vendo casa
Due giorni fa ho firmato la procura a vendere casa. Perché c'è bisogno di spazio per il lavoro e tutti questi libri, e il vicino del piano di sotto non sarebbe entusiasta del crollo del soffitto suo/pavimento mio: immaginatevi uno che un secondo prima si guarda la replica di Don Matteo con un birrino in mano, e un secondo dopo si ritrova in braccio il Miro in braghette da casa, il signor Giti in tenuta sportiva e venti volumi dell'Enciclopedia Utet più la Cronologia Universale. Queste cose si mettono poco a trasformarsi in tragedia, e io mica voglio le telecamere di Mimun sotto le finestre.
Quindi cambio casa, devo separarmi da questa qui, e tanto per dire ho già staccato dal muro il ritratto del maresciallo Tito: ché da queste parti sono parecchio sensibili all'argomento e con la sfiga che ho mi ritrovo come possibile acquirente il nipote di uno dei duemila di Monfalcone, come minimo. Mi consolo pregustando il trasloco nel borghesissimo condominio nuovo e l'entrata impettita in ascensore con il famoso ritratto sotto gli occhi allarmati dei nuovi vicini. Prima o poi ve lo fotografo, il mio Tito, perché merita.
Ma insomma, non so come farò a lasciare questo posto. Il vicinato un po' pazzo da casa di periferia. La coppia di mezz'età - lui foggiano, lei istriana - che litiga rispettando l'orario condominiale. Il rompiballe che in assemblea si porta il dizionario dei sinonimi e quello che vuole portare il bilancio di fine anno "alla Corte dei Conti". Il ramo di ciliegio che nella stagione giusta arriva proprio all'altezza giusta. Gli stipiti della porta con i segni lasciati dalla signorina Silvestra che ci si arrampicava con gusto. Come accidenti si smontano, gli stipiti?
E il signor G. non lo sa ancora.
Mi rendo conto che sto facendo la lagna. Per esempio Lia se la sta cavando alla grande. Soffermatevi solo un attimo a immaginarmi nei suoi panni: mi vedete mentre percorro la strada verso l'aeroporto baciando ogni centimetro di suolo egiziano, piangendo esageratamente e invocando Allah? O mentre tento di convincere l'addetto al check in che un materasso di quattro metri quadri è classificabile come bagaglio a mano?
Peggy G.
D. è andato da un indovino, e il vegliardo ne ha azzeccate parecchie. Poi se n'è uscito con la faccenda della scrittura: "sei destinato a scrivere, ma c'è un ostacolo: se procederai da solo quell'ostacolo si rivelerà insuperabile, non riuscirai a giungere alla forma finale. Vedo però una donna che ti aiuterà a superarlo". Una donna che non è l'amata, non è la mamma, non è la sorella, non è la nonna. Ergo, conclude il D. dopo breve riflessione, non può essere che il Miro. Eccomi dunque nei panni di lettrice, con la licenza di incalzare, criticare, pungolare, correggere, smontare, rimontare, riscrivere. E pensare che io già cullavo la fantasia di diventare una musa part time, immagine che nella mia mente si associa a lunghe tuniche, capelli spettinati ad arte, cavigliere d'argento e sigarette con il bocchino. No, dice D., saresti più una specie di Peggy Guggenheim (intesa come occhialuta rompicoglioni nevrotica, non come collezionista milionaria). Ecco.
Il vegliardo dice che il tutto si spiega con il fatto che D. è un saturnino. Ma non dovrebbe essere il suo lavoro, sapere che sono saturnina anch'io?
E gliela devo raccontare, a D., la faccenda della sintesi? Ché qui non siamo mica Pound e Eliot, e non so quanto potranno giovargli le mie operazioni cesaree su quelle che lui continua a chiamare "le [sue] quattro righe".
La mia tentazione è di farci un blog, su questa vicenda tutta saturnina di talenti attempati, di appiccicarci su una licenza Creative Commons e di vedere un po' l'effetto che fa. Almeno fino a quando D. non consulterà un lettore di rune o un facitore di oroscopi celtici che sbotterà: "Quella lì? Ma scherziamo?", mi verrà revocata per sempre la licenza di Peggy e io tornerò a sognare impossibili tuniche e cavigliere d'argento. Nel frattempo, potrei anche divertirmi.
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giovedì, febbraio 10, 2005
5 cent/La piccola posta di Miro Van Pelt
C'è questo carissimo amico, D., che attraversa una fase di grandi cambiamenti e ora – tra le altre cose – ha l'idea di avviare una piccola casa editrice.
Poi ci sono io, che per noia o sbadataggine ho l'abitudine di apparire nei sogni altrui comunicando messaggi sibillini e strampalati.
Insomma, immaginate di starvene in fase REM, con i vostri bei movimenti oculari rapidi rapidi, il corpo assolutamente immobile e tutto il resto e – ta-daaa – mi presento io. Non è una bella esperienza, ed è quello che è successo a D.
Non è neanche il massimo avere un io metafisico che se ne va a spasso senza guinzaglio, se volete saperla tutta. Che è quello che spesso succede a me.
Ecco la lettera di D.
La mia interpretazione (commento di D.: "In certi punti non so se mi stai più sul Zolla o più sull'Hillmann", e va' a sapere se è complimento o perfidia) arriva fino a un certo punto, e riguarda i due verbi, ma il senso del gesto mi è oscuro.
Chiedo aiuto.
E no, non porto i numeri del lotto.
"Cara Miro,
ti so molto impegnata per chiederti di prestare attenzione a quanto segue, ma dal momento che tu ne sei la causa, devi rassegnarti e concedermi 5 minuti...
Ieri mattina ti ho sognata. Del sogno mi rimane solo la parte finale, in cui tu sei più una figura metafisica che la Miro in carne ed ossa, ed il messaggio con cui ti congedi lo è ancora di più, tanto che rimbalzo a te un tentativo di spiegazione, o di interpretazione. Vedo la tua "immagine", quasi l'apparizione di te stessa che mi dice che, per far andare le cose in modo semplice, ci vogliono "skip" (ma io vedo la parola scritta come schip) e "shift", e me lo spieghi tracciando con le mani una linea spezzata che sembra un cappello a cilindro. Lo fai come se prendessi la linea dall'esterno delle falde, con pollice ed indice, salendo in verticale e congiungendo le dita in cima. Oggi pensavo che è una specie di Omega, non trovi? In ogni caso la "ricetta" ha a che fare con il mare, o con il navigare, in maniera simbolica, evidentemente. Qui ci vuole il tuo inglese, mia cara, perché, se tanto mi dà tanto, una sana traduzione, eclettica e intuitiva come potrebbe essere la tua, di certo potrebbe scatenare, che ne so, il nome di una casa editrice?"
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giovedì, giugno 03, 2004
5 cent. La piccola posta di Miro Van Pelt
Qualche settimana fa ho proposto a un caro amico di partecipare a questa rubrica di piccola posta su blog. La risposta non si è fatta attendere: "come mi piace l'idea di guastare le menti altrui rendendole simili alla mia... una vera operazione di pulizia psicologica!".
Vi invitiamo a sottoporci i più vari quesiti, reali o surreali che siano. E attenti: potremmo anche rispondervi.
Ho dunque l'onore di presentarvi il professor luca h. moretto, dottore in psicologia panica.
Questa la sua risposta all'ex buono di qualche giorno fa:
Pur con le migliori intenzioni, se si sta a metà, o dentro, non si può che essere confusi. Incerti nella definizione di sé, nella visione. La metà non sta necessariamente in mezzo, in mezzo alla vita intendo: è uno stato permanente, variabile, trasversale. Guardate a voi stessi: non c'è forse un lato, un aspetto, un piglio che conservi un'immmutata purezza, ed immediatamente dopo un altro torbido e irriflesso, e dopo ancora uno dove tutto è completo e si dispone per bene, come in una "piccola collina"?
Da che posizione scrive l'ex buono? Da quali ex verginità e spietatezze è uscito, e in quale direzione si è inoltrato? Consideri di se stesso (ma non si senta raccomandato a farlo, per carità) le molte partenze, i diversi stati di avanzamento. Non mi sorprenderebbe di vederlo rifratto, moltiplicato, ubiquo; a volte ex-buono, il fotogramma successivo non ancora. C'è una ragione per ridursi ad un solo tracciato?
Scriveva il grande poeta pellerossa Uitanubi: "...oggi mi sono rivolto all'acqua che ho bevuto nella mia vita, e mi ha risposto il fragore di un fiume".
luca h. moretto - dottore in psicologia panica
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