giovedì, settembre 08, 2005

Il Terzo Mondo in casa

Di fronte agli umiliati e offesi di New Orleans il dubbio era venuto a molti, ma ora il rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano conferma che ci sono zone degli Stati Uniti povere come quelle del Terzo Mondo: il documento di 350 pagine - che può essere visto come una risposta insolitamente esplicita agli attacchi degli Stati Uniti all'ONU - critica la politica americana nella lotta alla povertà e afferma che "c'è urgente necessità di sviluppare una rete di sicurezza collettiva che vada oltre le risposte militari al terrorismo."

Per mezzo secolo gli Stati Uniti hanno assistito a un notevole calo della mortalità tra i bambini sotto i cinque anni, ma a partire dal 2000 questa tendenza si è invertita.
Anche se gli Stati Uniti sono primi al mondo nella spesa sanitaria - spendendo pro capite il doppio di quello che spendono in media le altre nazioni ricche dell'OCSE, e cioè il 13 per centro delle entrate nazionali - questo va sporporzionatamente a favore degli americani bianchi.
Il tasso di mortalità infantile negli Stati Uniti è oggi lo stesso della Malesia. Le spese in campo sanitario riflettono le sofisticate tecnologie americane. Ma il paradosso che sta al centro del sistema sanitario americano è che paesi che spendono molto meno degli Stati Uniti hanno in media una popolazione più sana, e questo a causa delle disparità e delle disuguaglianze americane. Un bambino appartenente al 5% costituito dalle famiglie più ricche d'America vivrà il 25% più a lungo di un bambino nato nel 5% costituito dalle famiglie più povere, e il tasso di mortalità infantile è lo stesso della Malesia che ha un quarto delle entrate degli Stati Uniti.
Tra i neri di Washington DC c'è una percentuale di mortalità infantile più alta dello stato indiano del Kerala.

La salute dei cittadini statunitensi dipende da molti fattori: l'assicurazione sanitaria, il reddito, la lingua e il livello di istruzione. Le madri nere hanno una doppia probabilità di mettere al mondo bambini sottopeso rispetto alle madri bianche, e i loro bambini hanno una probabilità maggiore di ammalarsi.
In tutti gli Stati Uniti i bambini neri hanno una doppia probabilità di morire prima di compiere un anno rispetto ai bambini bianchi.
Gli ispanoamericani hanno una doppia probabilità di non possedere un'assicurazione sanitaria.

Gli Stati Uniti sono l'unico paese ricco a non avere un sistema universale di assicurazione sanitaria. Più di una persona su sei in età lavorativa è priva di assicurazione. Tra le famiglie che vivono sotto la soglia della povertà, una su tre non è assicurata. Solo il 13% degli americani bianchi sono privi di assicurazione, in contrasto con il 21% dei neri e il 34% degli ispanoamericani. Nascere in una famiglia priva di assicurazione aumenta di circa il 50% le probabilità di morire entro il primo anno di vita.
Se fosse colmato il divario tra bianchi e neri nell'assistenza sanitaria, si salverebbero 85.000 vite all'anno.
La percentuale di povertà infantile (definita come l'appartenenza a una famiglia che ha un reddito inferiore al 50% del reddito medio nazionale) è attualmente superiore al 20%.

Fonti:
Human Development Report 2005
"UN hits back at US in report saying parts of America are as poor as Third World", The Independent

Di questo non si parla

Oggi è il nono giorno di sciopero della fame dei sette compagni che chiedono al Ministero degli Esteri e al governo italiano di garantire i visti ai sei esponenti della società civile irachena invitati alla Conferenza di Chianciano dell'1-2 ottobre 2005.

È bene ricordare chi sono questi esponenti:
Sheikh Jawad al Khalesi, leader dell'Iraqi National Foundation Congress; professore universitario sciita che si è opposto alle elezioni del 30 gennaio. Sta cercando di formare un fronte politico interconfessionale dell’opposizione. È già intervenuto diverse volte all’estero ed anche in Europa.
Ayatollah Sheikh Ahmed al Baghdadi, una delle più importanti autorità religiose sciite.
Salah al Mukhtar, già ambasciatore iracheno in India e Vietnam. Intellettuale dell’ambiente nazionalista-progressista. Attualmente esiliato in Yemen, collabora con numerosi giornali arabi.
Sheikh Hassan al Zargani, Portavoce internazionale del movimento di Muqtada al Sadr e editore del giornale Hawza chiuso dagli americani. Attualmente esule in Siria.
Mohamad Faris, Comunista patriottico iracheno residente in Siria. Sta lavorando per l’unificazione delle forze della Resistenza.
Ibrahim al Kubaisi, Medico di Falluja, fratello del segretario dell’Alleanza Patriottica Irachena, rapito dagli americani il 4 settembre 2004. Anch’egli ha già avuto modo di lasciare alcune volte l’Iraq.

Va ricordato anche che (come si è appreso agli inizi di agosto) 44 membri del Congresso degli Stati Uniti hanno inviato una richiesta formale al governo italiano, invitandolo ad impedire lo svolgimento del convegno. L’ambasciata italiana a Baghdad, nei giorni successivi, ha comunicato che i visti richiesti per gli esponenti iracheni non sarebbero stati più concessi per decisione politica del Ministero degli Esteri.

Ora, l'impressione è che i mezzi di informazione ad ampia diffusione siano finora stati indecisi tra il non parlare affatto di questa vicenda e il parlarne in modo confuso e poco informato (per fare un esempio, si confonde tra l'organizzazione della conferenza e la presunta raccolta di fondi a favore della resistenza irachena).
Non sto parlando di solidarietà con il popolo iracheno e di critica dell'occupazione angloamericana (benché le trovi legittime e perfettamente sensate), mi fermo molto prima: non capisco perché quei sei esponenti della società civile irachena sono considerati pericolosi dal nostro Ministero degli Esteri (e lasciamo perdere discorsi vaghi sul terrorismo e la sicurezza del nostro paese: quellesei persone, e i loro tre interpreti, via), e se la decisione di non rilasciare i visti è conseguenza diretta delle pressioni americane e della lettera dei 44 membri del congresso degli Stati Uniti. A questo punto sono curiosa: c'è il pericolo che questi signori vengano qui ad "attentare alla nostra sicurezza"? E come? Ah, già, parlando: di elezioni irachene, di governi fantoccio, di Abu Ghraib, degli scontri interconfessionali alimentati dagli Stati Uniti, di guerra e di occupazione.

Un grazie ai "pericolosi" Sette che digiunano.

Tutte le informazioni sullo sciopero e le iniziative in corso, qui.

martedì, settembre 06, 2005

Guarda chi si rivede

La FEMA, l'Agenzia federale per la gestione delle emergenze, qualche giorno fa aveva elencato sul suo sito le associazioni a cui mandare contributi in denaro per aiutare le vittime dell’uragano Katrina. Oggi quella pagina non esiste più (io ho fatto in tempo a vederla grazie a una segnalazione di Pino), ma, in breve, metteva a disposizione i nomi e i numeri di telefono della Croce Rossa, di Operation Blessing e di America's Second Harvest, una rete nazionale di banche del cibo.
Operation Blessing, con il suo bilancio di 190 milioni di dollari, è parte integrante dell'impero di Pat Robertson, il telepredicatore fondatore della Christian Coalition. E questo si sa.
Quello che si sa meno sta scritto oggi sul New York Daily News.
Nel 1994, durante il genocidio del Ruanda, Robertson usò il suo circuito televisivo 700 Club per raccogliere donazioni pubbliche a favore dei profughi ruandesi.
Nel 1999 un'indagine dell'ufficio del procuratore generale della Virginia concluse che gli aerei acquistati per portare nello Zaire gli aiuti umanitari per i rifugiati furono in realtà principalmente usati per trasportare apparecchiature in una miniera di diamanti gestita da una compagnia chiamata African Development Corp.
Chi dirigeva quella compagnia mineraria e ne era l'unico azionista? Pat Robertson stesso.
Si era assicurato la concessione mineraria da Mobutu Sese Seko, suo amico di lunga data e all’epoca dittatore dello Zaire.

Fonte: “Disaster used as political payoff”, New York Daily News.
(via War and Piece)

Fallimenti

Scrive oggi Eugene Robinson sul Washington Post:

"Ogni città grande o piccola della Louisiana che non sia stata colpita dall’uragano è piena di sfollati. E poi ci sono le decine di migliaia in Texas e le moltitudini che si ritrovano sparse negli stati vicini. Le comunità che ospitano queste persone hanno le migliori intenzioni, ma molte non saranno in grado di sostenere economicamente il peso aggiuntivo. Dove andranno queste persone? Perché non c’era un piano?

Ed è qui che comincio a puntare il dito, perché pochi giorni sul posto del disastro mi hanno convinto che due sono le cose in cui il governo federale ha fallito, e che di questo fallimento possiamo incolpare unicamente il presidente.

Primo, un’amministrazione che a partire dall’11 settembre 2001 ci ha detto che un grande attentato terroristico è inevitabile avrebbe dovuto prevedere un buon piano per evacuare una grande città americana. Anche se non ci fosse stato un piano specifico per New Orleans – benché si sapesse che una rottura degli argini era una delle catastrofi naturali più probabili – avrebbe dovuto esserci un piano generico. George W. Bush ci ha detto più volte che le nostre città erano minacciate. Non avrebbe dovuto ordinare un piano per sgomberarle?

Secondo, qualcuno avrebbe dovuto pensare a cosa fare di centinaia di migliaia di sfollati, sia nell’immediato sia a lungo termine. Mentre la gente lasciava in massa New Orleans, sono state le autorità locali e statali a far fronte alla sfida, inventandosi cosa fare man mano che i problemi si ponevano. Portate quel gruppo di persone all’Astrodome. Abbiamo un albergo vuoto che possiamo usare. Mandatene un centinaio in chiesa e faremo del nostro meglio.

Le tendopoli non sono un’ipotesi entusiasmante, ma neanche l’improvvisazione. Qual è il problema? Il fervore ideologico dell’amministrazione Bush per lo “small government” (“meno governo”)? La Casa Bianca pensa davvero che la responsabilità maggiore debba ricadere sui volontari, sulle parrocchie, sugli individui? O si tratta solo di incredibile incompetenza e scarsa lungimiranza?"

Fonte: "It's your failure too, Mr Bush"

lunedì, settembre 05, 2005

Il problema di questi graffiti



- Stai dipingendo il muro, lo fai sembrare bello.
- Grazie.
- Non vogliamo che sia bello, odiamo questo muro, vattene via.

Il problema è che i graffiti di Banksy in Cisgiordania sono proprio belli.

(via electronic intifada)

domenica, settembre 04, 2005

Chiedo scusa se parlo di Cuba

E adesso se permettete parliamo anche di Cuba.
Ne parliamo partendo da quello che scrive sulla catastrofe di New Orleans Stan Goff nel suo Feral Scholar:

"Niente di tutto questo è naturale. La guerra non è naturale, e non lo è neanche la povertà. Di questo sta morendo la gente, non di un uragano.
[...]
Cuba ha evacuato 660.000 persone prima dell’Uragano Dennis, un Categoria 4 che l’ha colpita in luglio, e ha contato dieci morti. E questo perché Cuba non solo investe nella preparazione alle calamità e in difesa civile, ma perché c’è un forte coinvolgimento sociale nelle infrastrutture mediche, nel conseguimento di alti livelli di alfabetismo, nell’appoggio che il governo offre agli organizzatori delle comunità locali, solo per citare alcune delle ragioni.
Noi abbiamo fatto un’evacuazione da libero mercato, abbiamo detto alle persone di andarsene con i propri mezzi e quando era troppo tardi. Cuba è povera di risorse. Gli Stati Uniti sono ricchi di risorse. Immaginate un po’.”

Goff cita un rapporto dell'Oxfam America sul modello cubano di preparazione ai disastri. Il documento sottolinea l'importanza di alcuni elementi di fondamentale importanza nell'arginare gli effetti delle calamità:

- Accesso universale ai servizi (istruzione, salute, ecc.)
- Politiche per ridurre le disparità sociali ed economiche
- Notevole investimento in capitale umano
- Investimenti del governo nelle infrastrutture
- Organizzazione economica e sociale

Secondo il rapporto dell'Oxfam gli ultimi tre elementi del modello di sviluppo cubano producono effetti moltiplicatori che migliorano la prevenzione del rischio in vari modi. Basti considerare che il 95,9% della popolazione è alfabetizzata e in grado di accedere al materiale informativo sulle calamità. I bambini vanno a scuola fino alla nona classe. In tutto il paese c’è un sistema di strade adeguato che facilita le rapide evacuazioni. Ci sono regole edilizie che contribuiscono a limitare la vulnerabilità degli edifici. E poi il 95% delle case ha l’elettricità, così che le persone possano ricevere le notizie sui disastri dalla televisione e dalla radio.

Di Cuba, ma questa volta in relazione all'Uragano Ivan, parla anche Marjorie Cohn in un pezzo dal titolo "The Two Americas":

"Nel settembre dello scorso anno un uragano di categoria 5 ha spazzato la piccola isola di Cuba con venti di 250 chilometri orari. Più di 1,5 milioni di cubani sono stati evacuati in zone sicure prima dell’arrivo dell’uragano. Sono state distrutte 20.000 case, ma non c’è stato nessun morto.
Qual è il segreto di Fidel Castro? Secondo il Dr. Nelson Valdes, professore di sociologia all’Università del New Mexico e specializzato in America Latina, 'tanto per cominciare, l’intera difesa civile è radicata nella comunità. La gente sa in anticipo dove deve andare.'
'I capi cubani vanno in TV e prendono in mano la situazione,' ha detto Valdes.
[...]
Limitarsi a pigiare la gente in uno stadio è impensabile' a Cuba. 'In tutti i rifugi è presente personale medico del quartiere. A Cuba i medici di base prendono parte all’evacuazione con i loro assistiti, e sanno già, per esempio, chi può avere bisogno di insulina.'
Vengono portati via anche gli animali, gli apparecchi TV e frigoriferi, 'così che le persone non esitino ad andarsene per timore che qualcuno rubi le loro cose.'
Dopo l’uragano Ivan il Segretariato Internazionale delle Nazioni Unite per la Riduzione dei Disastri ha citato Cuba come un modello per la preparazione agli uragani. Il direttore dell’ISDR Salvano Briceno ha detto: 'Il sistema cubano potrebbe facilmente essere applicato ad altri paesi con condizioni economiche simili e perfino a paesi con risorse più ingenti che però non riescono a proteggere la popolazione come fa Cuba.'
[...]
Quando l’Uragano Ivan ha colpito Cuba non è stato imposto nessun coprifuoco. Non ci sono stati saccheggi o violenze. Tutti erano nella stessa barca.
Fidel Castro, che ha paragonato i preparativi del governo per l’Uragano Ivan ai preparativi per l’invasione degli Stati Uniti a lungo temuta, ha commentato: 'Ci prepariamo a questo da 45 anni.'"

Imparare (anche) dal Bangladesh

Nei commenti abbiamo parlato delle inondazioni che ogni anno provocano migliaia di morti in Cina. C'è più di un paese che potrebbe insegnare qualcosa agli Stati Uniti nella gestione di queste emergenze, soprattutto quando si tratta di provvedere nell'immediato alla salute dei più deboli e degli indifesi.
Nel blog di Daniel Brett c'è un post molto interessante sull'alluvione del Bangladesh di poco più di un anno fa:

"Sono stati colpiti 41 distretti su 64, 30 milioni di abitanti hanno perso o abbandonato le loro abitazioni e ci sono stati almeno 600 morti.
Rispetto all'uragano Katrina si è trattato di una catastrofe di proporzioni ben maggiori, e il numero di morti è stato probabilmente inferiore. Ma il disastro è stato contenuto grazie all'istinto di sopravvivenza del popolo del Bangladesh, alla sua capacità di ingegnarsi di fronte alle avversità e a un forte senso del lavoro.
Invece di sparare e saccheggiare, i bangladesi hanno immediatamente usato le loro modeste risorse per limitare l'impatto delle inondazioni prima che giungessero gli aiuti internazionali.
Scrisse allora il blogger bangladese Rezwan:

'Adesso la vera sfida sta nel tenere lontane le vittime dalle epidemie e dalle malattie e nel riabilitarle. Sul territorio si sono distribuite quasi 5000 unità mediche per cercare di contenere il diffondersi di malattie. In tutto il paese si è fatto molto per fornire cibo alle vittime dell'alluvione, che ora si trovano raccolte in rifugi improvvisati (di solito le istituzioni scolastiche governative). Nel mio quartiere in una sola via ci sono ben due iniziative per raccogliere le donazioni sotto forma di farina, sale, acqua e porzioni di cibo da mandare alle vittime.'

Paragonate questo con New Orleans, dove si spara agli elicotteri dei soccorritori, dove i corpi marciscono per strada, gli ospedali non hanno capacità né medicine e solo i mass media sembrano essere in grado di mobilitarsi.
Il Bangladesh è uno dei paesi più poveri del mondo, ma è riuscito comunque a raggiungere una crescita dello 0,3% del prodotto agricolo tra il luglio 2004 e il giugno 2005, rispetto al 4,3% dell'anno finanziario precedente. Se il raccolto totale di grano è sceso del 4,0%, il riso raccolto nel febbraio-marzo del 2005 è aumentato del 9,4% rispetto all'anno precedente, e questo accadeva meno di sei mesi dopo l'inondazione. Il prodotto interno lordo è crollato dell'1,1%, ma è stata una conseguenza dell'abolizione delle quote di commercio nei mercati occidentali più che dell'inondazione.
Il fatto che l'economia sia stata capace di riprendersi così presto dall'inondazione testimonia la capacità dei bangladesi di rimettersi in piedi e ricominciare a costruire. Questo istinto di sopravvivenza probabilmente deve molto alla guerra di liberazione del 1970-71 contro il Pakistan, in cui sono morte centinaia di migliaia di bangladesi.
Gli americani non hanno mai veramente dovuto affrontare avversità di questo tipo. La loro società è stata atomizzata dal capitalismo del libero mercato e i legami sociali sono deboli, rendendo molto più difficile la solidarietà e l'aiuto reciproco. Invece i bangladesi attribuiscono una grande importanza ai legami sociali e familiari, che li hanno accompagnati attraverso una moltitudine di disastri umani e naturali. Le esperienze del Bangladesh ci dimostrano che, di fronte alle catastrofi, il denaro non rende la società più compatta o meglio organizzata.
Gli americani hanno molto da imparare dal Bangladesh in termini di ordine sociale e di gestione delle emergenze. È tempo di rinunciare a questo atteggiamento di superiorità."

venerdì, settembre 02, 2005

Coloro che hanno scelto di restare

"Nella distruzione di New Orleans sono confluite molte delle tendenze più pericolose della politica e della cultura americane: la povertà, il razzismo, il militarismo, l'avidità delle élite del potere, i danni ambientali, la corruzione e il decadimento della democrazia a ogni livello.
Molto di tutto ciò si rispecchia nello strano linguaggio che anche i mezzi di informazione più cauti hanno usato per descrivere le vittime maggiormente colpite dall'uragano e dalle sue devastanti conseguenze: "coloro che hanno scelto di restare." La situazione è stata subito descritta in modo da lusingare i pregiudizi dei benestanti e negare la realtà dei più vulnerabili.
È ovvio che la grande maggioranza di coloro che non sono scappati sono poveri: non avevano un luogo dove andare, non avevano la possibilità di andarci, non avevano i mezzi per mantenere se stessi e le proprie famiglie in posti estranei. Se ci sono sicuramente state delle persone che sono rimaste per scelta, i più sono rimasti perché non avevano scelta.

Sono rimasti intrappolati dalla loro povertà, e hanno pagato con la vita.
E tuttavia, attraverso lo spettro mediatico, dagli osservatori privilegiati filtra una leggera sfumatura di disapprovazione, la chiara insinuazione che le vittime sono semplicemente state troppo pigre o incapaci per mettersi in salvo. Non c'è comprensione - nemmeno un tentativo di comprensione - per la miseria, l'isolamento, l'immobilità dei poveri, dei malati e dei disperati che vivono tra noi.

[...]

Per quanto colpevole, criminale e odiosa sia l'amministrazione Bush, è solo l'apoteosi di una tendenza della società americana che è diventata sempre più forte e che dura da decenni: la distruzione dell'idea di un bene comune, di un settore pubblico i cui benefici e le cui responsabilità sono condivisi da tutti, e amministrati con il consenso dei cittadini. Per più di trent'anni la destra corporativa ha condotto un'implacabile e concentrata campagna contro il bene comune, cercando di atomizzare gli individui in isolate "unità di consumo" le cui energie politiche - tenute in uno stato di scarsa informazione dagli onnipresenti mezzi di informazione corporativi - possono essere sviate a piacimento verso temi "caldi" (i matrimoni gay, la preghiera a scuola, il vilipendio alla bandiera [...] la minaccia del terrorismo, ecc. ecc.] che non mettono mai in pericolo la realtà del Big Money, dei soldi veri."
Chris Floyd, "The Perfect Storm. New Orleans and the Death of the Common Good", su Counterpunch.

Google mon amour

Il Premio "Chiave di Ricerca" di oggi è già stato assegnato:
"e 'corretto' dire che ho battuto la testa vicino un letto?"



Ha anche avuto la sensibilità di mettere "corretto" tra virgolette, ché non si sa mai.

giovedì, settembre 01, 2005

Un due tre via: Aserejé in tibetano

Toni_i scrive:

"Ho sentito (ma purtroppo non sono riuscito a trovare nei negozi di cd) una versione di Aserejé (il tormentone delle Las Ketchup!) in... tibetano! Propongo una gara tra i frequentatori del blog per trovare la versione in mp3. La proporrei come nuovo inno dei lavoratori e delle lavoratrici della regione himalaiana.
'Aserejé, ja deje tejebe tude jebere
Sebiunouba majabi an de bugui an de buididipí...'"

E così, per celebrare il 40° anniversario della fondazione della Regione Autonoma Tibetana, la gara parte... ora! e durerà fino all'esaurimento dei concorrenti.
Sebiunouba a tutti.

mercoledì, agosto 31, 2005

Terroristi assassini

La puntata di Controcorrente di ieri sera su SkyTg24 avrebbe dovuto essere dedicata al Convegno di Chianciano. In realtà del convegno non si è parlato moltissimo, e la colpa non è stata di Leonardo Mazzei, portavoce del Comitato Iraq Libero, né di Franco Cardini: il livello di approfondimento è stato zero. Il conduttore ha esordito ponendo il problema morale di fronte allo sgozzamento dei civili. Conosco modi migliori per cominciare a parlare del Convegno sull'Iraq, del mancato rilascio dei visti, delle pressioni americane e della sudditanza italiana. Insomma, argomenti ce ne sarebbero stati, per un'ora di trasmissione compreso il Tg.

Ma non voglio parlare di questo. Voglio parlare di Massimo Teodori, ospite in studio.
Ebbene, Teodori è riuscito a nominare:
"terrorismo assassino"/"terroristi assassini": 10 volte.
"terrorismo"/"terroristi": 9 volte.
Nel tempo rimanente a sua disposizione:
ha finto di voler abbandonare lo studio: 1 volta
si è rivolto a Franco Cardini ricordandogli le sue posizioni di "estrema destra" ("più a destra dell'MSI"), senza che vi fosse alcun collegamento con il contesto: 2 volte.
E non è neanche facile, in una trasmissione di un'ora. Non escludo che si sia lasciato scappare qualche balbettio sul "terror.. assass.."; in tal caso il mio calcolo andrebbe rivisto.

Mentre scorrevano i titoli di coda, lettura di e-mail da casa ("I resistenti iracheni sono come i repubblichini?"), risposta secca di Cardini, tazza di cappuccino offerta dal conduttore a Mazzei che poche ore dopo avrebbe cominciato lo sciopero della fame.

Non voglio deprimermi.
Voglio solo espatriare.

martedì, agosto 30, 2005

Nouvelle cuisine

Ormai le statistiche degli accessi a questo blog mi danno più soddisfazione della pagina delle rettifiche del Guardian.
Insomma.
Il fatto che ogni tanto faccia riferimento a un'improbabile pietanza per burlarmi degli spavaldi accostamenti culinari di mia suocera, non significa che questa pietanza esiste.
Se esiste, la ricetta del "coniglio con le cozze" non venite a chiederla a me.

Records are made to be broken

In termini di impopolarità (si veda l'ultimo sondaggio Gallup) Bush batte Roosevelt, Eisenhower, Kennedy, Johnson, Ford e Clinton e si porta al livello di Ronald Reagan al suo minimo livello di gradimento.
Ma può fare di peggio? Gli esperti dicono che è quali impossibile. Per aumentare il suo tasso di impopolarità tra i Repubblicani Bush dovrebbe perdere una guerra, far esplodere il debito nazionale, o governare in un periodo di profonda crisi morale.

If

La storia fatta dai blogger (se fossero esistiti): link simpatico.

domenica, agosto 28, 2005

Pandemia, pandemia, per piccina che tu sia...

Da queste parti non vogliamo preoccupare nessuno, eccetera eccetera, però tanto lo sapete che se l'H5N1 va per i cazzi suoi non ci sono sufficienti medicine o vaccinazioni per tutti.
Nel Regno Unito è stato calcolato che se nei prossimi mesi ci sarà una pandemia di influenza aviaria i farmaci saranno sufficienti a proteggere meno del 2% della popolazione per una settimana. Pensateci un attimo. Ok, adesso cercate di non pensarci. È stata quindi stilata una lista di persone che riceveranno le scarse pastiglie e le poche fiale di vaccino antinfluenzale: tra queste, i membri del governo e i giornalisti della BBC. Il sindaco di Londra Ken Livingstone ha già speso un milione di sterline del denaro pubblico per assicurare ai suoi collaboratori e dipendenti una scorta di 100.000 pastiglie contro il virus.
Nella lista prioritaria stilata dal Ministero della Sanità non hanno ancora deciso se inserire gli esponenti dell'opposizione, comunque i giornalisti della BBC sono salvi perché in tempi di calamità nazionale ci sarà bisogno di qualcuno che dia le notizie.
Oddio.
Scommetto che noi siamo messi peggio di loro.
Finora me la sono cavata, non mangio carne, non mangio grassi, praticamente non mangio, rispetto la catena del freddo, evito la maionese di mia suocera e il salmone norvegese, sto lontana dall'amianto e dalle antenne (e a Gorizia ne hanno tirata su una che sembra la torre della British Telecom), non uso mai l'asciugacapelli con le mani bagnate, e cosa mi tocca sentire.
Non ci saranno medicine per tutti, e quelle poche non potremo giocarcele in allegria, la va o la spacca (con il più grande Risiko di tutti i tempi, per esempio, o una megalotteria con ricchi ed effimeri premi di consolazione, sesso, droghe, panna e cioccolata per tutti): no, ci diranno che c'è già una lista, e su quella lista ci sono Berlusconi e Bruno Vespa.
Non ditelo in giro, così almeno la lotteria la facciamo lo stesso.

Non mi sono inventata niente, mi sono lasciata andare solo nell'ultima parte.
Notizia del Times.
Link

Stop, hey, what's that sound?

La guerra in Iraq ricorda sempre più quella del Vietnam, o forse, come ha scritto David M. Shribman, "L'impatto del Vietnam sulla cultura americana [...] è così irresistibile che abbiamo irragionevolmente fatto in modo che l'Iraq sembrasse il Vietnam": e allora "sappiamo già quello che dirà il presidente ('manteniamo la rotta'); sappiamo quello che diranno gli oppositori ('una guerra immorale nutrita di bugie'), sappiamo perfino quello che canterà Joan Baez ('where have all the flowers gone?'). È il remake di un film che è stato girato quando John F. Kerry e Donald H. Rumsfeld erano giovani."
(Link)

Ne hanno parlato il senatore repubblicano Chuck Hagel e Henry Kissinger (anche se quello che gli riporta alla mente la "spiacevole sensazione" è la mobilitazione dell'opinione pubblica contro la guerra, figuriamoci), la Gallup ci ha fatto un sondaggio: a torto o a ragione il "Vietnam template", come lo ha chiamato Tom Engelhardt, viene spesso applicato alla guerra di occupazione dell'Iraq.

Oggi Lewis M. Simons sul Washington Post dice di aver sentito a Baghdad gli echi della Saigon del '67 ("Siamo incapaci di capire oggi in Iraq quello che siamo stati incapaci di capire allora in Vietnam: che un popolo che vuole cacciare gli invasori stranieri dal proprio paese è pronto a sopportare ogni tipo di privazione e di pericolo, per tutto il tempo necessario.")
(Link)

E Frank Rich sul New York Times parla di "vietnamizzazione" delle vacanze di Bush: con Cindy Sheehan alle porte del suo ranch, la situazione in Iraq che è quella che è e Pat Robertson che straparla solo per dire che bisognerebbe far fuori Chavez "per evitare un'altra guerra da 200 miliardi di dollari", "il presidente per la prima volta è stato costretto a fare quello che per lui è il sacrificio estremo: sprecare giorni di vacanza per andare a difendere la guerra in tutti i fortini dello Utah e dell'Idaho che riesce a trovare."
(Link)

Con questo insistente parlare di Vietnam, non mi meraviglia che si sia risvegliata dal suo torpore cosmetico anche Jane Fonda, intenzionata ad accompagnare George Galloway nel suo tour americano contro la guerra in Iraq.
Il commento di Galloway, britannico, ex laburista ora eletto nella coalizione Respect*, è stato: "È con piacere ed emozione che torno in America per manifestare contro una guerra e un'occupazione illegali. Avere con me Jane Fonda è fantastico. Finalmente riuscirò a farmi fare l'autografo."
(Link)

*questo blog ha un debole per George Galloway, per ora.

sabato, agosto 27, 2005

Mille

Quei mille detenuti scarcerati ad Abu Ghraib.
Non sono colpevoli di "attentati dinamitardi, uccisioni, torture o rapimenti".
D'accordo, si sono pentiti, hanno promesso di rinunciare alla violenza e di diventare bravi cittadini di un Iraq democratico.
Ma tutte quelle multe per sosta vietata adesso chi le paga?

venerdì, agosto 26, 2005

Com'è andata a finire

Lo Specialista Glendale Wells si è dichiarato colpevole di aver spinto un detenuto contro il muro e ha ammesso di non aver fatto nulla per impedire gli abusi compiuti da altri soldati della base statunitense di Bagram. In effetti due mesi per una spinta sono tanti, no? Ah, già, ma ci sono state delle torture e due morti.
Forse ve la ricordate, la storia di Dilawar. Ho pensato che vi interessasse sapere com'è andata a finire. Due mesi.

Tom Engelhardt qualche giorno fa commentava la storia di abusi, umiliazioni, incarcerazioni senza imputazioni né prove, torture e impunità che sembra essere il tratto distintivo della politica estera dell'amministrazione Bush:

"Non sorprende che non sia stato fatto un calcolo preciso delle persone incarcerate senza imputazioni né possibilità di ricorso. Sono forse 15.000 i detenuti rinchiusi nelle carceri militari americane in Iraq; 505 quelli di Guantanamo; un numero imprecisato di prigionieri è passato poi per le basi militari e i centri di prigionia dell'Afghanistan (che è diventato una specie di gigantesca Guantanamo dell'Asia Centrale per detenuti che vengono da tutte le parti del mondo); e poi ci sono centinaia di "prigionieri fantasma" rinchiusi in carceri fantasma in luoghi sconosciuti (forse anche sulle navi da guerra della marina statunitense, sull'isola di Diego Garcia conrollata dagli americani e nelle prigioni di vari paesi alleati, specialmente quelli particolarmente favorevoli all'uso della tortura); e alcuni si trovano anche nelle carceri militari degli Stati Uniti. Tra tutti questi prigionieri, per lo più privati di ogni diritto e lontani dal resto del mondo e dalle persone che li conoscono e li amano, molti sono - come si è visto, caso dopo caso - uomini, donne e in alcuni casi bambini innocenti, travolti dall'isteria della 'guerra al terrore' intrapresa dall'amministrazione Bush e dalle guerre e dalle occupazioni che sono seguite."

Link: contiene un pezzo molto interessante di Karen J. Greenberg, "The Achilles Heel of Torture".

martedì, agosto 23, 2005

Intermezzo comico

Questa va letta così com'è, per gustarsela meglio.

Q I'll ask you about the Iraqi constitution. You said you're confident that it will honor the rights of women.

THE PRESIDENT: Yes.

Q If it's rooted in Islam, as it seems it will be, is that still -- is there still the possibility of honoring the rights of women?

THE PRESIDENT: I talked to Condi, and there is not -- as I understand it, the way the constitution is written is that women have got rights, inherent rights recognized in the constitution, and that the constitution talks about not "the religion," but "a religion." Twenty-five percent of the assembly is going to be women, which is a -- is embedded in the constitution.
Okay. It's been a pleasure.

Link

lunedì, agosto 22, 2005

Punti di vista

"The only way to defend our citizens where we live is to go after the terrorists where they live."
George W. Bush, oggi.

A Camp Casey, intanto...

giovedì, agosto 18, 2005

Cambiare la femmina

Tu, che hai lasciato traccia nelle mie statistiche degli accessi con la chiave di ricerca "creative zen micro cambiare la femmina": non ci sai fare con lo zen micro. Ma, soprattutto, io credo di non essere quel genere di femmina.
(Era una vita che sognavo di dirlo.)

Pensavo una cosa

Un paio di giorni fa. Sento bussare alla porta del bagno: è O., con la Repubblica in mano, impassibile anche se sottilmente esasperato:
- Pensavo una cosa. Ma una mappa della Striscia di Gaza e della West Bank?
- La stai chiedendo alla persona giusta.

D'accordo, mi arrendo: non ne posso più neanch'io delle foto di coloni israeliani in lacrime, degli articoli commossi e partecipi, della fetta di vita del colono medio di Gush Katif. Ha ragione Sharif Hamadeh quando parla di "pornography of the disengagement".
Se personalmente riesco a fare i conti con la malafede (e un Fassino qualunque quando dice che bisogna rivalutare Sharon è in assoluta e flagrante malafede), l'ignoranza mi dà ancora qualche problema.

L'occupazione militare del territorio palestinese continua, come continua la colonizzazione della West Bank. Se da un lato Israele sgombera le colonie nella Striscia di Gaza (che costituisce solo il 4,8% del territorio palestinese occupato), dall'altro continuerà a costruire le proprie colonie e il Muro nella West Bank (il Muro, ce lo ricordiamo, il Muro?), prendendosi più del 45% del territorio palestinese occupato.
I coloni sono stati la causa dell’occupazione militare israeliana del territorio palestinese. La terra palestinese è stata confiscata per costruirvi colonie e strade di esclusiva proprietà di israeliani, spesso in nome della “sicurezza”; case palestinesi e siti storici sono stati demoliti. Sul territorio palestinese occupato è stato imposto un duplice sistema di leggi: i coloni israeliani, che sono circa 430.000, sono sottoposti al diritto civile israeliano e hanno maggiori diritti dei 3,5 milioni di palestinesi che sono sottoposti alla legge militare di Israele, e dunque privati della libertà.
Agli israeliani è garantita la completa libertà di movimento nel territorio palestinese occupato e in Israele, mentre i palestinesi sono relegati alle strade esclusivamente palestinesi (che conducono solo in aree palestinesi), vivono dietro centinaia di posti di blocco e di barriere stradali (situate sul territorio palestinese occupato) e necessitano del permesso di Israele per attraversare quei posti di blocco.
L'economia palestinese langue, i commerci sono ostacolati dai numerosi controlli che costringono a un sistema di trasporto fondato su un continuo carico e scarico dei prodotti. Per esempio, le merci che vengono da Hebron (nella West Bank) e sono destinate a Nablus (anch’essa nella West Bank) devono essere caricate e scaricate circa sette volte, con un aumento dei costi e dei tempi. E le serre delle colonie ora sgomberate? Producevano prodotti organici, prevalentemente da esportazione, e godevano degli ingenti sussidi dello Stato israeliano. E siccome la falda acquifera costiera di Gaza è inquinata, potevano contare sul trasporto di acqua da Israele. Come potranno funzionare senza finanziamenti e senz'acqua pulita, e con un sistema di distribuzione reso tanto lento e oneroso dai controlli e dalle ispezioni israeliane?
C'era anche un aeroporto, a Gaza, inaugurato nel 1998 da Clinton e dal presidente Arafat. È stato chiuso dagli israeliani, che poi hanno distrutto la pista e la torre di controllo. Non che ci fossero le premesse perché un Aeroporto Internazionale di Gaza potesse operare regolarmente.
Attualmente i palestinesi necessitano di permessi israeliani per spostarsi all’interno della West Bank occupata, tra la West Bank occupata e la Striscia di Gaza occupata e verso Israele. I palestinesi della Striscia di Gaza hanno bisogno del permesso israeliano anche per attraversare confini internazionali se vogliono visitare altri paesi e questo permesso viene concesso raramente (meno del 30% della popolazione palestinese lo ottiene).
E, dimenticavo (meglio scriverlo): la Striscia di Gaza ha un’area di 365 kmq, e ha una popolazione palestinese stimata in 1,3 milioni di abitanti, che vivono su 55 kmq di terra edificata. Questo ne fa il luogo più densamente popolato della terra.

E poi sulle prime pagine dei giornali leggo del dramma dei coloni israeliani.
Ma no, devo essere giusta: ieri anche i palestinesi sono riusciti a far parlare di sé. Per farlo, come al solito, hanno dovuto lasciarsi ammazzare in tre.

mercoledì, agosto 17, 2005

Sa leggere

Gli addetti alle pubbliche relazioni di George W. Bush fanno sapere che il presidente si è portato in vacanza nel suo ranch texano questi libri:
Salt: A World History di Mark Kurlansky.
Alexander II: the Last Great Tsar di Edvard Radzinsky
The Great Influenza: The Epic Story of the Deadliest Plague in History
di John M Barry.
("Neanche un libro da spiaggia!" "Scommettiamo che George Bush è l'unica persona in tutti gli Stati Uniti a portarsi tre libri da leggere in vacanza?").

L'autore del libro di 484 pagine sulla storia del sale, Mark Kurlansky, si è mostrato sorpreso: "La mia prima reazione è stata: oh, legge libri?"

Link: The Guardian

A clean place

Lenin's Tomb segnala questo interessante pezzo di ITV News sull'uccisione di Jean Charles De Menezes, che la mattina del 22 luglio fu scambiato per Hussain Osman - "sospetto terrorista" - e ucciso con dieci colpi alla testa e alla parte superiore del corpo. I documenti e le fotografie resi pubblici da ITV News dimostrano che Jean Charles non portava alcuna borsa, indossava un giubbino di jeans e non un cappotto pesante. Si comportò normalmente, non scavalcò i girevoli d'accesso della metropolitana, e si fermò perfino a prendere un giornale gratuito. Cominciò a correre solo quando si accorse che il treno stava partendo.
Un documento descrive la scena ripresa dalle telecamere di sorveglianza: il signor De Menezes entrò nella stazione di Stockwell a "un'andatura normale" e scese lentamente le scale mobili. Dice il documento: "A un certo punto, ai piedi delle scale mobili lo si vede correre verso il vagone della metropolitana, entrare e accingersi a sedersi in un posto libero". Quasi simultaneamente, i poliziotti armati ricevono la notizia dell'identificazione "sicura" di De Menezes. Il rapporto cita la dichiarazione di un uomo della sorveglianza: "Sentii delle grida, compresa la parola 'polizia', e mi voltai verso l'uomo in giubbino di jeans. L'uomo si alzò subito e avanzò verso di me e i poliziotti del CO19. Lo afferrai cingedogli il torace con entrambe le braccia e bloccandogli i movimenti. Poi lo costrinsi a sedersi nuovamente al suo posto. In quel momento sentii uno sparo vicinissimo al mio orecchio sinistro e fui trascinato a terra."
Il rapporto dice anche che l'autopsia ha rivelato che il signor De Menezes fu colpito sette volte alla testa e una alla spalla. Altri tre colpi mancarono il bersaglio (i bossoli sono stati trovati nel vagone della metropolitana).
Avevano detto che indossava un cappotto pesante, che correva, che aveva scavalcato i girevoli d'accesso della metropolitana, che era stato identificato con certezza, che non si era fermato all'alt. Avevano detto che le telecamere di sorveglianza quel giorno non funzionavano. Che aveva dei lineamenti asiatici, no? Anzi, "Mongolian eyes".

Tempo prima De Menezes aveva rassicurato sua madre, preoccupata per lui: "È un posto tranquillo, la gente è educata. In Inghilterra non c'è violenza. Nessuno va in giro armato, neanche la polizia".

Non bisogna dimenticare questa storia.

martedì, agosto 16, 2005

Me and Mr. G



16 agosto, martedì, ore 08:15. Sto inciampando per casa vestita di un pigiama fucsia della collezione Oviesse girl estate 2004 (età 7-8 anni) mentre cerco di organizzarmi la giornata ("un salto veloce in banca e all'ufficio postale, gli auguri di compleanno ad Ale, il tempo di rispondere a qualche e-mail e poi parto con il motore a combustione e finalmente il cargo piccolo"). Mi accorgo che il signor G. emette un suono inquietante (tipo "blibliblibli [pausa] blibliblibli [pausa]") abbinato a un'espressione indifferente ("chi, io?") che mi piace poco. Poi mi accorgo che si è sdraiato sul cordless.
- Pronto.
- Salve. Vorrei ordinare un volume dal titolo [...].
- Certo, è disponibile. Se mi dà il suo indirizzo glielo spediamo in giornata.
- Se mi dà il suo, di indirizzo, vengo a prenderlo tra dieci minuti.
- Se viene tra cinque minuti, glielo lancio dalla finestra.
Ha poi optato per la spedizione postale.
Il sarcasmo funziona sempre.

Domani mi faccio la sonda spia.

mercoledì, agosto 03, 2005

Tartarughe del fango del Mississippi

Il padre di un mio amico, ieri sera:
"Non invecchiare mai, mi raccomando. Ci si rincoglionisce.
Io mi sono affezionato a una tartaruga del fango del Mississippi.
E mi manca."

Lascio il pianeta in modalità vacanza per un po'. Forse troverò un internet point per rimettere in moto le miniere e leggere la posta, forse no. Non posso evitare di invecchiare, ma per il rincoglionimento posso fare ancora qualcosa.

Fate le/i brave/i. Sicuramente vi penso. Potete usare i commenti di questo post per organizzare picnic, riunioni politiche, appuntamenti galanti e incontri surrealisti. Basta che a intervalli di tempo prestabiliti diciate che vi manco terribilmente.

Comunque la tartaruga del fango del Mississippi ha uno sguardo dolcissimo, dicono.

Tecniche creative/Il sacco a pelo

Stanza degli interrogatori 6, Iraq occidentale.
Il generale iracheno Abed Hamed Mowhoush, 56 anni, non si decideva a parlare, nonostante le percosse e le tattiche di interrogatorio “creative” dei suoi carcerieri. Allora la mattina del 26 novembre 2003 una guardia e un addetto agli interrogatori dell’esercito americano presero un sacco a pelo, ci misero dentro Mowhoush, lo legarono con un cavo elettrico, lo stesero sul pavimento e ricominciarono il lavoro.
Due giorni prima, un gruppo paramilitare segreto al soldo della CIA che prendeva parte agli interrogatori aveva percosso Mowhoush fino quasi a fargli perdere i sensi, usando i pugni, una mazza e un tubo di gomma.
L’idea del sacco a pelo fu di un soldato che ricordava come suo fratello ricorresse a quel metodo per farlo sentire vulnerabile e per spaventarlo. Gli ufficiali superiori, del resto, ritenevano che l’uso di “tecniche claustrofobiche” per ottenere informazioni dai detenuti fossero approvate, in quanto parte di ciò che il regolamento militare definisce una tattica “per aumentare il livello di paura”.
L’interrogatorio del sacco a pelo aveva luogo a Qaim più o meno mentre i soldati di Abu Ghraib terrorizzavano i detenuti con i cani, mettevano loro in testa mutande femminili, li costringevano a spogliarsi di fronte alle soldatesse e li umiliavano attaccandoli a un guinzaglio: tutte personali e improvvisate elaborazioni su categorie che stanno nei Manuali dell’esercito, come “alzare il livello della paura”, “abbattere l’orgoglio e l’autostima” o “senso di inutilità”.
Due ufficiali dell’esercito appartenenti al 3° Reggimento Cavalleria di Fort Carson, Colorato, sono stati accusati dell’uccisione di Mowhoush con la tecnica del sacco a pelo.
Però, “anche se l’indagine indica che la morte è direttamente connessa con i metodi d’interrogatorio non convenzionali impiegati il 26 novembre, le circostanze sono ulteriormente complicate dal fatto che Mowhoush fu interrogato e – stando a quel che è stato riferito - percosso da membri di una squadra di Forze Speciali e da dipendenti di un'altra agenzia governativa (OGA)”, sta scritto in una nota dell’Esercito datata 10 maggio 2004.
Altra agenzia governativa.

Qualche ora dopo la morte di Mowhoush, l’esercito americano emise un comunicato stampa in cui si affermava che il prigioniero era morto per cause naturali dopo aver accusato un malore. Ufficiali dell’esercito esperti in operazioni psicologiche si affrettarono a diffondere volantini per far sapere alla gente del posto che il generale aveva parlato, facendo i nomi di altri insorti.
Gli Stati Uniti avevano inizialmente comunicato alla stampa che Mowhoush era stato catturato durante un raid. In realtà, si era presentato volontariamente alla Base di Qaim il 10 novembre 2003 chiedendo di poter parlare con i comandanti americani per ottenere la liberazione dei suoi figli, arrestati 11 giorni prima. Il 14 agosto 2003 i responsabili degli interrogatori ricevettero un’e-mail dei loro superiori a Baghdad, in cui si diceva che bisognava “passare alle maniere forti” e si chiedeva loro di elaborare una “wish list” di tattiche che avrebbero voluto usare. Un addetto agli interrogatori rispose con vari suggerimenti (isolamento, privazione del sonno, uso di cani per spaventare il detenuto) e aggiunse che era proprio ora di passare alle maniere forti.

Si passò alle maniere forti. Se non ottenevano le informazioni che cercavano, gli addetti agli interrogatori consegnavano i detenuti a una piccola squadra di paramilitari iracheni al soldo della CIA, nome in codice Scorpioni. A volte, le guardie e i funzionari dell’intelligence utilizzavano la semplice esistenza della squadra come minaccia per indurre i detenuti a parlare, come è stato rivelato da un soldato americano: “i detenuti sapevano che se finivano nelle mani di quella gente sarebbe accaduto qualcosa di brutto […] serviva da minaccia per convincerli a parlare. Non volevano andare con gli uomini mascherati.” Gli Scorpioni avevano soprannomi come Alligatore e Cobra. Furono costituiti dalla CIA prima della guerra, con il compito di condurre piccoli sabotaggi. Dopo la caduta di Baghdad hanno svolto attività di infiltrazione tra gli insorti e di interpreti. La CIA ha tentato in tutti i modi di nascondere la loro esistenza.

Il rapporto dell’esame autoptico sulla morte di Mowhoush redatto dall’Istituto di Patologia delle Forze Armate statunitensi è stato manipolato per evitare i riferimenti alla CIA e alla squadra di torturatori.

CIA, insomma. Si fa per dire. Altra agenzia governativa, ecco.

Link:
"Documents Tell of Brutal Improvisation by GIs", di Josh White, Washington Post.

Sugli Scorpioni, sui milioni di dollari spesi dalla CIA per costituire la squadra, e sui loro compiti (dal sabotaggio, agli interrogatori, al "lavoro sporco"): "Before the War, CIA Reportedly Trained a Team of Iraqis to Aid U.S.", Dana Priest e Josh White, Washington Post.

sabato, luglio 30, 2005

In una galassia lontana lontana

A: Prima di riuscire a mettere in piedi delle sonde spia devo ancora aspettare. E poi il mio è un pianeta pacifico, ecco.
M: Anche il mio è un pianeta pacifico. Svilupperemo tecnologie e arricchiremo uranio solo per scopi scientifici.
A: Ieri però nel pianeta vicino al mio hanno catturato un somalo.



Ho scoperto OGame, sto nell'Universo 7, non attaccatemi.

venerdì, luglio 29, 2005

Fiori, probabilmente

Secondo questo articolo del New York Times il Dipartimento della Sicurezza Nazionale consiglia alle autorità di confine degli Stati Uniti di cercare alcuni "indicatori di terroristi suicidi": tra questi, "testa rasata o capelli tagliati corti. Un taglio corto o barba e baffi rasati di fresco possono essere individuati grazie alle zone di pelle più chiare sul viso o sulla testa. È possibile che odorino di erbe o di fiori (più probabilmente di fiori), poiché potrebbero essersi spruzzati del profumo sul corpo, sui vestiti e sulle armi per prepararsi al Paradiso." [sulle armi? le armi non sarebbero di per sé un indicatore, dunque, ma due gocce di acqua di rose sì?]

A ciascuno le sue istruzioni. Secondo lo Spiegel circolerebbe in rete una Guida della Jihad all'Iraq, a cura di un certo "Dottor Islam", con consigli di viaggio per facilitare l'attraversamento della frontiera: "girate in piccoli gruppi", "portatevi dei jeans e un Walkman... con qualunque tipo di musica."

Altrove, come si sa, per non farsi notare è meglio non correre nella metropolitana, soprattutto se si ha con sé uno zainetto, si indossa un cappotto e si sembra un po' stranieri.

È un mondo difficile.

Musa offresi, casa vendesi: the summer files

Troppo sintetica
Ho sempre avuto una tendenza a sottrarre. Da quello che leggo normalmente riesco a ricavare poche righe di commento, povere stringhe laconiche. Al professor B. piaceva la mia capacità di sintesi: sembrava colpito dal fatto che andassi spedita al nocciolo senza divagazioni né compromessi. Poi, una mattina, gli feci scivolare sotto il naso un foglio protocollo riempito a metà sul bifrontismo tassiano. La prima facciata, riempita a metà. "Ottimo. Forse troppo sintetico".
Lo giudicai un friendly warning da prendere in considerazione: ho cercato di imparare da allora l'utilità della ridondanza e dell'abbellimento, con risultati alterni e scarsa soddisfazione personale. Se posso, ricado nel vecchio vizio della scrittura senza fronzoli, informativa, di pura segnalazione (e - se sono in vena - di divertito commento). E visto che miei diari o taccuini si sono sempre interrotti tutti alla data del primo gennaio ("Propositi per il nuovo anno", e altre 364 pagine bianche), mi stupisce il fatto di esser riuscita finora a riempire un blog. Spero che il professor B. abbia di meglio da fare che passar di qui (credo che sia diventato preside, nel frattempo, e mi auguro che sia uscito dal tunnel della Gerusalemme Liberata), però c'è da dire che non avrebbe dovuto assecondarmi.

The Summer Files
Quando poi fa molto caldo e i miei neuroni stanno al parco giochi o in fila davanti all'acquasplash vado in eccesso di sottrazione: saltano i nessi, si moltiplicano i vuoti, e può sembrare che la logica vada per i cavoli suoi. Questo significa che mi accontenterò di riportare alcune cose interessanti che leggo qua e là, con e senza commenti e/o conclusioni. Fate finta che stia ragionando tra me: i tempi sono confusi e difficili, restare indifferenti mi sembra impossibile e non mi pare che ci siano facili spiegazioni a portata di mano. Tra sparizioni e riapparizioni estive conto di continuare a raccogliere del materiale, in modo intermittente e meno sistematico del solito. Potreste aspettarvi fonti disparate, sporadici rants, imbarazzanti dichiarazioni d'amore ad attori orientali o a scrittori anglo-pachistani e playlist fricchettone: oppure anche no, e potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante.

Vendo casa
Due giorni fa ho firmato la procura a vendere casa. Perché c'è bisogno di spazio per il lavoro e tutti questi libri, e il vicino del piano di sotto non sarebbe entusiasta del crollo del soffitto suo/pavimento mio: immaginatevi uno che un secondo prima si guarda la replica di Don Matteo con un birrino in mano, e un secondo dopo si ritrova in braccio il Miro in braghette da casa, il signor Giti in tenuta sportiva e venti volumi dell'Enciclopedia Utet più la Cronologia Universale. Queste cose si mettono poco a trasformarsi in tragedia, e io mica voglio le telecamere di Mimun sotto le finestre.
Quindi cambio casa, devo separarmi da questa qui, e tanto per dire ho già staccato dal muro il ritratto del maresciallo Tito: ché da queste parti sono parecchio sensibili all'argomento e con la sfiga che ho mi ritrovo come possibile acquirente il nipote di uno dei duemila di Monfalcone, come minimo. Mi consolo pregustando il trasloco nel borghesissimo condominio nuovo e l'entrata impettita in ascensore con il famoso ritratto sotto gli occhi allarmati dei nuovi vicini. Prima o poi ve lo fotografo, il mio Tito, perché merita.
Ma insomma, non so come farò a lasciare questo posto. Il vicinato un po' pazzo da casa di periferia. La coppia di mezz'età - lui foggiano, lei istriana - che litiga rispettando l'orario condominiale. Il rompiballe che in assemblea si porta il dizionario dei sinonimi e quello che vuole portare il bilancio di fine anno "alla Corte dei Conti". Il ramo di ciliegio che nella stagione giusta arriva proprio all'altezza giusta. Gli stipiti della porta con i segni lasciati dalla signorina Silvestra che ci si arrampicava con gusto. Come accidenti si smontano, gli stipiti?
E il signor G. non lo sa ancora.
Mi rendo conto che sto facendo la lagna. Per esempio Lia se la sta cavando alla grande. Soffermatevi solo un attimo a immaginarmi nei suoi panni: mi vedete mentre percorro la strada verso l'aeroporto baciando ogni centimetro di suolo egiziano, piangendo esageratamente e invocando Allah? O mentre tento di convincere l'addetto al check in che un materasso di quattro metri quadri è classificabile come bagaglio a mano?

Peggy G.
D. è andato da un indovino, e il vegliardo ne ha azzeccate parecchie. Poi se n'è uscito con la faccenda della scrittura: "sei destinato a scrivere, ma c'è un ostacolo: se procederai da solo quell'ostacolo si rivelerà insuperabile, non riuscirai a giungere alla forma finale. Vedo però una donna che ti aiuterà a superarlo". Una donna che non è l'amata, non è la mamma, non è la sorella, non è la nonna. Ergo, conclude il D. dopo breve riflessione, non può essere che il Miro. Eccomi dunque nei panni di lettrice, con la licenza di incalzare, criticare, pungolare, correggere, smontare, rimontare, riscrivere. E pensare che io già cullavo la fantasia di diventare una musa part time, immagine che nella mia mente si associa a lunghe tuniche, capelli spettinati ad arte, cavigliere d'argento e sigarette con il bocchino. No, dice D., saresti più una specie di Peggy Guggenheim (intesa come occhialuta rompicoglioni nevrotica, non come collezionista milionaria). Ecco.
Il vegliardo dice che il tutto si spiega con il fatto che D. è un saturnino. Ma non dovrebbe essere il suo lavoro, sapere che sono saturnina anch'io?
E gliela devo raccontare, a D., la faccenda della sintesi? Ché qui non siamo mica Pound e Eliot, e non so quanto potranno giovargli le mie operazioni cesaree su quelle che lui continua a chiamare "le [sue] quattro righe".
La mia tentazione è di farci un blog, su questa vicenda tutta saturnina di talenti attempati, di appiccicarci su una licenza Creative Commons e di vedere un po' l'effetto che fa. Almeno fino a quando D. non consulterà un lettore di rune o un facitore di oroscopi celtici che sbotterà: "Quella lì? Ma scherziamo?", mi verrà revocata per sempre la licenza di Peggy e io tornerò a sognare impossibili tuniche e cavigliere d'argento. Nel frattempo, potrei anche divertirmi.

martedì, luglio 26, 2005

Riapparizione



You appear with the tedious inevitability of an unloved season.
(Hugo Drax, Mooonraker)

I danesi sono di una gentilezza quasi offensiva, quando ti dicono "prego" lo fanno tutti compresi, con uno sguardo serissimo e molto ma molto gentile, solitamente di colore blu. Anche di fronte a domande banali tipo "Dov'è la buca delle lettere più vicina?" esibiscono una precisione da navigatore satellitare, percorsi alternativi inclusi. Strada panoramica, inclusa.
Io non ci sono abituata. Troppa bionditudine, forse.

A proposito della battuta:
"Come si fa a mantenere pulita la Danimarca?"
"Si portano gli svedesi a prendere il traghetto",
beh, forse c'è qualcosa di vero.
Ma quando O. oggi mi ha chiesto:
"Cosa ti è piaciuto di più della Danimarca?"
io ho risposto distrattamente:
"La Svezia".

martedì, luglio 12, 2005

It's the occupation, baby

Il Professor Robert Pape dell'Università di Chicago ha raccolto con l'aiuto dei suoi studenti una vastissima documentazione sui terroristi suicidi: negli ultimi due anni ha messo insieme una banca dati che comprende tutti gli attacchi compiuti da terroristi suicidi in tutto il mondo, dal 1980 al 2004. La sua ricerca tiene conto di fonti in lingua araba, in ebraico, in russo e in tamil, e si basa non solo sui giornali ma anche sulle notizie delle comunità locali. Questa ricchezza di informazioni rende possibile una nuova interpretazione delle motivazioni del terrorismo suicida, che vanno cercate nell'occupazione, non nel fondamentalismo religioso.
Ecco cosa dice Pape in un'intervista della quale questi sono solo estratti:

"Il fatto centrale è che gli attacchi terroristici suicidi non sono tanto guidati dalla religione quanto da un chiaro obiettivo strategico: costringere le moderne democrazie a ritirare le loro truppe dal territorio che i terroristi considerano la propria terra. Dal Libano allo Sri Lanka alla Cecenia al Kashmir e alla Cisgiordania, l'obiettivo principale di ogni campagna di terrorismo suicida - o almeno in più del 95 % dei casi - è stato quello di costringere uno stato democratico a ritirarsi.
[...]
Dato che il terrorismo suicida è principalmente una reazione all'occupazione straniera e non una manifestazione del fondamentalismo islamico, l'utilizzo della forza militare per trasformare le società musulmane può solo finire - in un certo senso - per aumentare il numero di terroristi suicidi che vengono da noi.
Dal 1990 gli Stati Uniti hanno posizionato decine di migliaia di truppe di terra sulla Penisola araba, e da lì viene il principale appello alla mobilitazione di Osama bin Laden e Al Qaeda. Quelli che dicono che è bene che ci attacchino laggiù non capiscono che il terrorismo suicida non è un fenomeno dalle riserve limitate in cui vi sono solo poche centinaia di persone disposte a metterlo in atto perché agiscono sulla base del fanatismo religioso. È un fenomeno basato sulla domanda. Cioè si basa sulla presenza di truppe straniere su un territorio che i terroristi vedono come la propria terra. L'operazione in Iraq ha stimolato il terrorismo suicida dandogli nuovi orizzonti.
[...]
È dimostrato che la presenza di truppe americane è chiaramente il fattore decisivo che dà la spinta al terrorismo suicida. Se il fattore decisivo fosse il fondamentalismo islamico, dovemmo vedere in alcuni dei più grandi paesi fondamentalisti del mondo, come l'Iran, che ha una popolazione di 70 milioni di abitanti (tre volte quella dell'Iraq e tre volte quella dell'Arabia Saudita) dei gruppi molto attivi di terroristi suicidi disposti ad agire contro gli Stati Uniti. Invece, non c'è mai stato un terrorista suicida di Al Qaeda di provenienza iraniana, e non abbiamo alcuna prova che ci siano terroristi suicidi in Iraq che provengano dall'Iran.
[...]
Io possiedo il primo insieme completo di dati su tutti i terroristi suicidi di Al Qaeda dal 1995 al 2004, e non vengono dalle più grandi nazioni fondamentaliste del mondo. Due terzi vengono da paesi in cui gli Stati Uniti hanno dislocato le loro truppe da combattimento a partire dal 1990.
Un altro aspetto riguarda proprio l'Iraq. Prima della nostra invasione in tutta la storia dell'Iraq non c'era mai stato un attacco suicida. Mai. Dalla nostra invasione, il terrorismo suicida si è intensificato rapidamente con 20 attacchi nel 2003, 48 nel 2004, e più di 50 nei soli primi mesi del 2005.
[...]
Ho raccolto dati demografici da tutto il mondo sui 462 terroristi suicidi che sono riusciti a portare a termine la loro missione, a partire dal 1980. I miei dati indicano che la maggior parte sono volontari. Ben pochi sono criminali. Pochi fanno effettivamente parte di un gruppo terroristico. Per la maggior parte di loro il primo contatto con la violenza è proprio l'attacco suicida.
Non vi sono prove che vi fossero organizzazioni terroristiche suicide in attesa in Iraq prima della nostra invasione. Quello che sta succedendo è che questo tipo di terrorismo è stato prodotto dall'invasione."

Il professor Pape dice varie altre cose interessanti e fa anche delle previsioni; consiglio la lettura di tutta l'intervista. E no, non l'ho trovata su un sito di controinformazione. È apparsa sull'American Conservative.

Link.

sabato, luglio 09, 2005

La carovana si è fermata a Bregana

La Carovana per la Palestina è stata bloccata al confine tra Slovenia e Croazia, pare a causa di una pistola giocattolo e di un ragazzo palestinese privo di visto. I poliziotti croati non sono stati comprensivi.
Sì, t., in bicicletta era meglio.
Non si fa così, però.

Link in inglese.
Link in italiano.

venerdì, luglio 08, 2005

E la sciagurata rispose

Via Babsi m'è arrivato il meme dei libri. Uhm, ci sto.

Libri della mia biblioteca
A occhio, moltiplicando numeri di libri ammucchiati/allineati su ogni scaffale per il numero di scaffali, e aggiungendoci la casa dei miei ("li lascio qui per un po', ripasso a prenderli tra un paio di lustri"), potrebbero essere circa 4000-4500. Poi ci sono quelli prestati e quelli persi (curiosità: i libri lasciati a casa degli ex-fidanzati diventano ex-libri?).
Più o meno, i romanzi sono classificati per lingua, la saggistica per argomento, poi ci sono i libri d'arte, quelli di cinema e la sezione "linguistica" e "grafica/editoria". I gialli hanno una sezione a parte.
All'interno di queste categorie ci sono una simpatica anarchia, diversi colpi di scena e anche varie puttanate.
Naturalmente sottolineo a matita, prendo appunti, brutalizzo le copertine e qualche volta salto le pagine.

L’ultimo libro che ho comprato
La Scala di Dioniso, Luca Di Fulvio (Mondadori).
Storia della Palestina moderna, di Ilan Pappe (Einaudi).

Il libro che sto leggendo ora
Dio benedica l'America, le religioni della Casa Bianca, Sébastien Fath (Carocci).
Donne eccellenti, Barbara Pym (La Tartaruga).

Tre libri che consiglio
(mi limito a scrittori recenti e viventi, non mi limito a tre)
Domani nella battaglia pensa a me
, Javier Marías (Einaudi),
Manuale di pittura e calligrafia, José Saramago (Einaudi),
The Master, Colm Tóibín (Fazi)
Cani neri, Ian McEwan (Einaudi)
Imperium, Riszard Kapuscinski (Feltrinelli).
Regalerei il Dialogo sulla Società Americana di Roberto Giammanco (Nuova Italia).

Ho deciso di infettare (perdonatemi):
Frammento, Da Queen, il Calavera

We watch Porta a Porta so you don't have to

News Hounds vanta questo sottotitolo: "We watch FOX so you don't have to". Insomma, guardiamo FOX News al vostro posto, non è necessario che lo facciate voi.
Servizio utilissimo: leggete per esempio l'ultima trovata dell'analista militare David Hunt (nel programma di O'Reilly ha spiegato che gli Stati Uniti dovrebbero trovare il modo di entrare nei computer delle banche saudite e yemenite e rubare quei 500 miliardi di dollari che servono a finanziare il terrorismo internazionale. e questa cosa lui la chiama giustizia biblica. imperdibile).
Allora ho pensato: uno può fare benissimo a meno di guardare RaiUno, i tg e Bruno Vespa, però avere una vaga idea di quello che viene detto, per quanto tempo e con quale dose di sfrontatezza sarebbe anche utile. Spiacevole, ma forse divertente.
Se qualcuno avesse lo stomaco e la forza morale per farci su un weblog io lo leggerei di sicuro.

Quella persona, è ovvio, non voglio essere io. Però, se qualcuno è disposto a metterci lo stomaco, da qualche parte dovrei avere ancora un po' di forza morale e dello spazio web malamente utilizzato.

giovedì, luglio 07, 2005

Hold tight London/post in aggiornamento

Notizie aggiornate da Londra su Europhobia.
(via Chicken Yoghurt).
Adesso anche sul blog del Guardian.
Project nothing! mette insieme un po' di fonti e di notizie.
Altri aggiornamenti sul sito della BBC.
E poi c'è Wikipedia.
The London Bomb Blasts Pool su Flickr.
Liveblogging anche da Perfect.co.uk.
Kinja digest.
Surviving a terrorist attack.

Commenti del giorno:
"It's probably the French" (Wibbler.com).

"Tomorrow's Daily Mail:
Asylum Seeker Terror Attacks Hit House Prices"
(Shot by both sides)

"No one has told the Big Brother housemates, have they?"
the journal of flaming kitties
"And then there was a very gentle boom.
We all screamed a little, like people on a slow rollercoaster, and then relaxed and smiled. Some of us giggled with relief. Whatever that was, it wasn't us.
Only when biking in, listening to Radio 5's brilliant coverage, did I realise I'd heard the bus bomb go off in Tavistock Square.
Tavistock Square is actually dedicated to peace. It's got a lovely garden with statues of peacemakers and pacifists."
Skip's Acorn Treasury

lunedì, luglio 04, 2005

Happy Birthday, America

"There are some who, uh, feel like that, you know, the conditions are such that they can attack us there. My answer is: Bring 'em on. We got the force necessary to deal with the security situation".
George W. Bush, July 2, 2003

Sono passati due anni dal "bring 'em on" di Bush.
Così, oggi, Today in Iraq (che proprio con quell'incitamento apre i suoi post da due anni a questa parte) augura buon compleanno all'America.
Le immagini sono durissime; bisogna guardare.

Burnt on the 4th of July

"È strano che il Congresso abbia approvato un disegno di legge che proibisce di bruciare la bandiera la stessa settimana in cui è stato confermato l'uso del napalm in Iraq da parte dei soldati americani. Apparentemente, ridurre in cenere gli iracheni va bene, ma non va bene bruciare un pezzo di stoffa tricolore."
Mike Whitney, in Show your Independence on the 4th; Burn a Flag.

Il Live8 con parole non mie

Oh, già, e poi c'è stato il Live8. Vi risparmio la tirata, anche perché K-Punk lo dice meglio:

"La Restaurazione che è in corso da vent'anni fu inaugurata da tre non eventi: il Live Aid, il crollo del Muro di Berlino e la prima Guerra del Golfo.
Nessuna di queste cose è accaduta. Anzi, la loro apparizione sugli schermi mediatici mondiali segnò l'inizio di una nuova era, un'era in cui niente sarebbe successo, mai più.

Il Live Aid era l'anti punk, il suo ricatto ideologico esigeva che rinunciassimo all'estetica e alla politica. Se il post-punk aveva chiesto e per un breve momento aveva ottenuto tutto - innovazione sonora e/in quanto insurrezione politica - il Live Aid ci convinse che in uno stato di emergenza queste pretese eccessive dovevano essere sospese. Queste pretese si stavano già affievolendo, ma il Live Aid colse il clima e catalizzò una nuova ideologia di benessere conformista che ci fu venduto come Realismo Capitalista. Misuratevi con ciò che è possibile.[...] Mangiate un hot dog, cantate assieme a Freddy "Sun City" Mercury, salvate il mondo. Ora il pop non è altro che intrattenimento (ma come, vi ricordate forse un tempo in cui non era così?), e l'intrattenimento fa parte di una sinergia multinazionale, è il far soldi con un nuovo volto altruista. [...] il super-io postmoderno dice: divertiti, per il bene di tutti. [...]

Sono passati vent'anni ed è chiaro che cedere a quel ricatto non ha portato quasi a nulla. L'impatto sull'Africa è stato minimo. Ma l'impatto politico culturale qui è stato immenso, [...] una sistematica subordinazione di ogni aspetto della vita a banale spettacolo. [...] Dovete chiedervi: un mondo che ha reso famosi gli Snow Patrol merita di essere salvato? E ancora gli U2 - sempre gli U2. I pii sacerdoti dell'anti-punk. Il Suono della Restaurazione. Pathos inneggiante. Niente succederà finché gli U2 non saranno distrutti, distrutti definitivamente. Finché non sarà molto più imbarazzante e vergognoso amare gli U2 di quanto lo sia mai stato amare gli Emerson Lake and Palmer e i Pink Floyd."

domenica, luglio 03, 2005

Robe degli altri mondi (attenti allo spoiler)

Al cinema. Sullo schermo, dialogo tra padre e figlio a bordo dell'unica auto funzionante in città, mentre i treppiedi giganti si danno da fare per polverizzare New York e i suoi abitanti:
– ma chi sono, papà, terroristi?
– no!
– da dove vengono?
– non lo so!
– dall'Europa?
Con queste premesse, non mi aspettavo che il ragazzino problematico e rompiballe riuscisse ad arrivare fino alla fine del film. E invece ci arriva prima di Tom Cruise e prendendo la strada difficile. C'è da dire che almeno lui non rimane bloccato per mezz'ora in uno scantinato allagato con Tim Robbins (la parte inutile del film) a schivare subdole sonde aliene che si rivelano poi distruggibilissime a colpi d'accetta.
Quando Spielberg fa così (e io trovo che lo faccia quasi sempre) mi ricorda il Milan contro il Liverpool nella finale di Champions.

venerdì, luglio 01, 2005

La catapulta e la propaganda

"Credo che il popolo americano dovrebbe capire che non c'è una soluzione rapida al problema che ci troviamo ad affrontare laggiù. Non vorrei profetizzare o predire se sarà una questione di mesi o di anni o di decenni. Non avevamo, che io sappia, una tabella di marcia per vincere la prima guerra mondiale. Penso che nessuno sapesse veramente se ci sarebbero voluti 2 o 4 o 6 anni per uscire vittoriosi dalla seconda guerra mondiale. Io sono convinto che la nostra causa sia giusta. Sono convinto che il nostro scopo e i nostri obiettivi siano indubitabili".

G. W. Bush?
Donald Rumsfeld?
No, Lyndon Johnson, a proposito della guerra in Vietnam.
Citato da Tom Engelhardt, qui.

Engelhardt fa alcune considerazioni sul recente breve discorso di Fort Bragg: Bush ha usato le parole "perdita" e "perdere" sette volte; "prevalere" due volte; "vincere", "vinto", "vittoria" e "trionfo" neanche una volta. L'Iraq è stato nominato 91 volte e l'Afghanistan solo due (nonostante la fresca notizia dell'abbattimento dell'elicottero americano). Gli uomini di Bush sanno leggere i sondaggi, e tra i pochi numeri a favore del presidente c'è quel 52% di americani che ancora ritiene che stia gestendo bene la 'guerra al terrore'. Nel discorso a Fort Bragg Bush è riuscito a mettere insieme gli attacchi dell'11 settembre, la guerra al terrore e la guerra in Iraq. La data 11 settembre è stata nominata 5 volte; le parole "terrore", "terrorismo", "anti-terrorismo" e "terrorista" sono state usate 35 volte (o circa una ogni 100 parole).

Sarà questo che intende Bush quando parla (facendo alla grammatica quello che le truppe americane stanno facendo agli iracheni, talvolta ricambiate) di "kind of catapult the propaganda"? (copiate questo indirizzo nella barra del browser per ascoltare: http://mirumir.altervista.org/propaganda.mp3)

giovedì, giugno 30, 2005

I scream you scream we all scream for ice cream

Non solo hanno di che vestire e un alloggio.
Non solo ricevono gli articoli igienici di prima necessità.
Ma hanno anche la possibilità di fare esercizio fisico e ricevono cure mediche e odontoiatriche eccellenti (superb).
E poi, quando si tratta di maneggiare un Corano, la guardia si mette i guanti di lattice e afferra il libro saldamente con entrambe le mani.
Ma questo è niente.
Il Brigadier Generale Jay Hood, che dirige il parco divertimenti di Guantanamo, ha detto:
"far from torturing prisoners, ice cream and candy bars are sometimes used to induce them to give up information".
Altro che torture, a volte negli interrogatori si usano gelati e barrette di cioccolato per convincere i detenuti a collaborare.
Chiudere Guantanamo, dopo tutti quei soldi spesi in medici, dentisti, guanti di lattice e variegato al caffè (non riesco a togliermi dalla mente una versione yanqui del barattolino Sammontana)?
La gente è pazza.

mercoledì, giugno 29, 2005

Qualche minuto di trip iraniano

Oggi Chiara mi ha spedito il link a questo articolo sulle elezioni nella Repubblica Islamica, dandomi uno spunto molto valido per mettere insieme un po' di idee sull'argomento.
Sì, questo è il momento giusto per abbandonare il blog se il trip iraniano non interessa.
Altrimenti,

Mettetevi comodi
Ahmad Rafat dice varie cose molto interessanti: in primo luogo, il vero vincitore di queste elezioni non è Mahmoud Ahmadinejad ma l'Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, il leader spirituale della Rivoluzione Islamica; "parlare di Ahmadinejad come vincitore delle elezioni significa non aver capito le contraddizioni iraniane", e Rafat spiega bene perché.
C'è poi una seconda importante considerazione che ci tocca da vicino, quella sul ruolo della politica europea, che "ha contribuito non in modo indifferente alla sconfitta del riformismo e alla vittoria del radicalismo nella Repubblica Islamica":
"La scelta della questione nucleare come l'arma di pressione sulla Repubblica Islamica, quando l'80 per cento degli iraniani, sostenitori di questo regime e dissidenti, rivendicano il diritto del loro paese a possedere non solo la tecnologia atomica ma anche la bomba nucleare, è stato l'altro grande errore dell'Occidente. Nessuno, salvo rare eccezioni, dentro e fuori del paese si è schierato in questa campagna sul nucleare a lato dell'occidente. Il discorso sarebbe stato del tutto diverso, se l'Europa avesse scelto il rispetto dei Diritti Umani come arma di pressione sul governo di Teheran. Dal Premio Nobel, Shirin Ebadi, alle organizzazioni dei giornalisti iraniani dentro e fuori dell'Iran, tutti avevano avvertito i paesi europei sul rischio di fare del dossier nucleare iraniano una bandiera. Il diritto di possedere tecnologia nucleare, pacifica o non, ha unito gli iraniani favorevoli e contrari al regime. Quando i paesi vicini o addirittura confinanti con l'Iran possiedono armi atomiche, non è facile convincere gli iraniani che loro devono essere privati di questo stesso diritto."

Mettetevi un po' più comodi, accendete il ventilatore
L'errore di percezione non è stato solo degli europei. Insomma, i blogger iraniani si sono sbagliati alla grande. Che abbaglio, gente. Vi ricorda qualcosa?
Come scrive Nema Milaninia, nel seguire le elezioni iraniane i mezzi di comunicazione in lingua inglese hanno scoperto il weblog iraniano e una società ben più complessa di quanto avessero immaginato. È vero che i blogger iraniani sono un esempio importante della natura sfaccettata della cultura e della politica del loro paese. Ma è anche vero che sono stati sorpresi e smentiti dai risultati delle elezioni.
Secondo Milaninia le elezioni hanno dimostrato quanto limitata e fuorviante sia la prospettiva di blogger e giornalisti. Ci sono quasi 100,000 weblog scritti in Farsi, e più di 5 milioni di utenti Internet in Iran, su una popolazione di 70 milioni. Sono numeri significativi, ma resta il fatto che la grande maggioranza degli iraniani non possiede un accesso a Internet: "Piuttosto, come accade in molti altri paesi, i blogger rappresentano le idee di un gruppo demografico molto limitato: individui benestanti e comunque privilegiati che hanno già accesso a fonti di informazione straniere indipendenti".
Il successo di Ahmadinejad dimostra che lo scontento tra i poveri, tra i militari, tra gli operai e i contadini è più potente del previsto ("l'altra volta ho votato Khatami sognando la libertà, questa volta ho scelto Ahmadinejad per arrivare a fine mese", commenta un impiegato nell'articolo di Rafat).
Insomma, i blog sono uno strumento potente in Iran. Però la loro prospettiva è limitata.

Nei giorni scorsi ho letto un commento a un post che già di per sé è interessante (soprattutto perché pone l'accento sul rischio di disumanizzare le parti della popolazione iraniana più povere e più religiose, attribuendo alla loro mancanza di coscienza politica e di istruzione il successo di Ahmadinejad: una disumanizzazione sulla quale il regime dello Scià prosperava, e il regime dello Scià non ha bisogno di esser qui commentato).
Eccolo, il commento:
"Penso che uno dei problemi sia che dopo esser stati seduti davanti a uno schermo per ore e ore ci siamo dimenticati che là fuori esiste un mondo vero abitato da gente vera. Chi sono i 17 milioni che hanno votato per Ahmadinejad? Non li ho mai incontrati in internet o nei caffè chic che frequento? Forse la prossima volta dovremmo comprare 17 milioni di computer per tutti quelli che hanno votato Ahmadinejad. Dovremmo anche fornir loro stuzzichini, cappuccino, scones e tutta quella roba alla moda che mangiamo nei nostri caffè. Forse all'inizio non li gradiranno, ma poi ci faranno l'abitudine. Poi possiamo vestirli con abiti di marca e far loro visitare i weblog progressisti. Questo dovrebbe insegnar loro quelle belle idee come libertà, democrazia e libertà di stampa. Forse così potrebbero dimenticare la povertà, la disoccupazione, l'ineguaglianza, ecc. Potrebbero perfino dimenticare che vivono in una baracca, senza lavoro e senza futuro.
L'alternativa è spegnere i computer e cercare di vedere perché 17 milioni di persone hanno scelto Ahmadinejad. Servono solo un po' di apertura mentale e un po' di coraggio".

martedì, giugno 28, 2005

Due sullo Skydiver

"It's just lucky for her that an alien came through that door instead of her husband" Ed Straker, ep. The Square Triangle.

– Ma tu lo sapevi, del comandante Straker?
– No, cosa?
– È morto.
– Ma me lo devi dire così?
– Eh.
– Io ero innamorata di Paul Foster, l'alter ego belluomo.
– Ecco, la cosa strana...
– Eh?
– È morto anche lui, un paio di giorni prima.
– Foster.
– Comunque Freeman è ancora vivo.
– Bene.
– Credo.
– Fermiamoci qui, prima che tu mi dica che abbiamo anche perso la guerra con gli Ufo.
– Piuttosto, mi sa che lo Skydiver è appena entrato in riserva.
– Terrò presente.

lunedì, giugno 27, 2005

Bio esiste

Mi risveglio per due minuti dal torpore per ricordare che se la Triestina resta in B è anche merito della tolleranza zero di quest'uomo.

Erano gli inizi di giugno:



Oh, ha funzionato.

venerdì, giugno 24, 2005

Allegri tropici

Stanno bene, mangiano bene, hanno tutto quel che vogliono... e vivono ai tropici!

"They're living in the tropics. They're well fed. They've got everything they could possibly want. There isn't any other nation in the world that would treat people who were determined to kill Americans the way we're treating these people."
Dick Cheney a proposito dei detenuti di Guantanamo.

Invece

È che – come prima cosa – non siamo in tanti.
Alcuni poi negano di esserlo, o di esserlo mai stati.
Poi molti di noi hanno una vita, un lavoro, e questa cosa la devono fare rubando tempo a tutto il resto. Portiamo avanti quello che hanno fatto i nostri padri e i nostri nonni, a volte anche le nostre mamme.
Anche oggi: dovrei lavorare.
E invece devo andare a buttar giù un paio di bambini dalle scale.
Magari uno di questi crescerà, farà i soldi e poi diventerà Presidente del Consiglio.

mercoledì, giugno 22, 2005

Doublespeak

Un appello: la prossima volta che mi propongono di occuparmi dell'edizione degli atti di un convegno e io sono tentata di accettare, sopprimetemi. Soprattutto se ci sono di mezzo istituti superiori, università, megalomani e psicopatici generici. Di gente che scrive po' con l'accento ce n'è in giro più di quanto credessi, e non sono disposta ad accettarlo. Comunque sempre meglio di quelli che scrivono più con l'apostrofo, o quelli che in Word vanno a capo come ai tempi dell'Olivetti lettera 35 (ci resteranno male, quando non sentono un bel "ding!" a fine riga?). Quelli che scrivono vieppiù.
Eccetera eccetera.

Lusky tempo fa aveva scritto un post sul doublespeak che elaboriamo con astuzia e istinto di sopravvivenza nei rapporti di lavoro: frasi vaghe che aprono una possibile via di fuga, dando all'intelocutore l'impressione di essere ascoltato e - in una certa misura - capito, o perfino esaudito.
Ecco il mio doublespeak.
Però dopo l'estate cambio vita, giuro, perché mi sento ridicola a imbottirmi di integratori multiminerali multivitaminici per la prima volta dai tempi della maturità (e quella volta si chiamavano ancora ricostituenti).

Il modesto
Certo, il testo sarà da rivedere.
Qua e là (lasciamelo per un weekend e te lo distruggo)

L'absolute beginner

Questa foto l'ho ritoccata io, si nota?
Ma davvero? (vedo che hai appena imparato a usare tutti i filtri di Photoshop)

Il ladro
La risoluzione non dovrebbe'essere male, no?
Insomma (75 dpi, tu lo sai e lo so io: l'hai rubata su internet)

Il naif
Ma come, la risoluzione a schermo e quella per la stampa sono diverse?
Possiamo sempre ridimensionare l'immagine (lo vedi questo francobollo, cocco? se la sostituissi con la foto formato tessera di mia suocera non se ne accorgerebbe nessuno)

L'illuso/1
È ancora possibile aggiungere un paragrafo qua e là?
Vediamo (escluso)

L'illuso/2
È arrivata la relazione del prof. X: facciamo ancora in tempo a inserirla?
Facciamo il possibile (per inserirla nel distruggidocumenti)

Lo psichedelico
Sarebbe bello avere un po' di colore.
Vediamo come cadono i sedicesimi (sognatelo)

L'incosciente
Ma si può ancora passare dal 17x24 a un formato superiore?
Come dice? (ti sto dando il tempo per essere fuori di qui tra sessanta secondi, poi probabilmente ti farò a pezzi)

Il suicida
Dicevo, si può ancora passare dal 17x24 a un formato superiore?
Essendo già alla prima bozza, è un po' difficile (sto effettivamente per farti a pezzi)

L'ansioso
Qual è la scadenza per la consegna del materiale?
Lunedì (tra un mese)

Il creativo
Per le correzioni ho usato penne di colori diversi.
Ha fatto proprio bene a dirmelo (pensavo di essere finita in una puntata di Art Attack)

Pantone mon amour
L'immagine scontornata in copertina...
Sì?
Meno seppia.
Ah (meno seppia. Gesù)

L'ottimista
È stata una riunione molto costruttiva.
Molto (meno di un pomeriggio alla bocciofila, comunque)

L'adulatore
Però, che lavoro creativo!
In un certo senso (meno di zero)

L'entusiasta
Avremo certo occasione di lavorare ancora insieme!
Ma certo (ho dato precise istruzioni di sopprimermi, comunque; dopo la mia morte la mia tribù attaccherà la tua tribù, e ci sarà da divertirsi per generazioni)

lunedì, giugno 20, 2005

I preti sognano campane elettriche

Il battesimo di Michele Giacomo è filato liscio, merito di un Michele Giacomo straordinariamente composto e di partecipanti eccezionalmente disciplinati, disposti a scandire all'unisono una serie di "rinuncio!" e "credo!" da far invidia a una convention di Forza Italia. Il petit a forza di sentirsi tracciare segni della croce sulla fronte e di farsi aspergere di ingredienti benedetti come un'insalatina gentile si è solo un po' innervosito.
E siccome non c'era da cantare, io mi sono lasciata distrarre dagli affreschi romanici e dal più molesto pensiero del pane chiuso nel bagagliaio sotto il sole.
A cerimonia finita, il parroco ha calato l'asso:
"E adesso faccio anche suonare le campane, visto che sono elettriche".
E via con un dj set che ha stordito tutta Summaga.

Mai credere a D. quando dice: "ci saranno trenta-trentacinque persone, ma il pane fallo per dieci". Che fanno gli altri venti-venticinque, giocano a chi arrotola meglio il San Daniele sulle patatine? E poi, come previsto, JC non si è fatto vedere (il caldo, i playoff di B, il Bossi Umberto da miracolare) quindi la moltiplicazione era esclusa.
In breve, il pane era tanto, gli invitati apparentemente contenti.
Naturalmente il padrone di casa è stato di parola:



Che soddisfazione.

Nell'afa del dopopranzo Mik dormiva sul divano, protetto dall'ombra fresca del salotto; penso che sognasse la mamma, con tenerezza e concentrazione.

giovedì, giugno 16, 2005

Il buon pane del Mulino Rosso

Io ai battesimi e ai matrimoni religiosi sono una mina vagante. C'è sempre il pericolo che faccia qualcosa di sbagliato, che mi accodi a un'altra sfilza di invitati, che faccia incavolare il prete perché stono l'alleluia o al contrario esaspero il labiale. Ecco perché gli amici mi trovano sempre qualcosa da fare: vogliono tenermi occupata. Domenica mattina si battezza il piccolo Mik, con festicciola e rinfresco nel giardino di casa, e B. e D. devono essersi detti:
– la madrina è fuori discussione, ché è comunista;
– affidarle la bisnonna, no, perché è capace di sfinirla con la condizione della donna nell'Ottocento o con i canti delle mondine;
– farle fare le foto, no, perché poi finiamo tutti su Flickr.
Insomma, qualsiasi cosa, ma teniamola lontana dal bambino per carità.
Possiamo chiederle di fare il pane. (competenza, questa, assai sopravvalutata, n.d.a.).
E così me l'hanno chiesto con grande delicatezza:
"Ci farebbe molto piacere se tu potessi fare il pane."
"Solo se posso fare anche le ostie della comunione."
"No, non puoi fare le ostie della comunione, quelle possono farle solo le suore."
"Io sono una suora laica zapatista."
"Ecco."
"Va bene, lo faccio. Ma solo se piantate sulla statale un cartello con su scritto 'degustazione pane del Mulino Rosso, km 1'."
"Si può fare."
Così faccio il pane. È una settimana che faccio pane, che poi surgelo: classico, integrale, con i cereali, con i semini di papavero, con il sesamo, con le olive, con il rosmarino. Impasto e rivedo testi, correggo bozze, controllo vedove e orfane, faccio postscript, distillo pdf e ogni tanto dimentico anche il pane in forno. Dopo due giorni di trambusto, il giudizioso signor G. ha imparato ad aprirsi le scatolette da solo.
Il capricorno sconsolato e un po' isterico che è in me vorrebbe che questa roba bastasse per tutti gli invitati, ma chi lo sa.
"D., ma dopo il battesimo si ferma anche quel vostro amico?"
"Ma chi?"
"Il Gesù Cristo."
"..."
"Dicono che con il pane fa miracoli."
No, nemmeno io mi sopporto, a volte.



Disclaimer per B. e D.: d'accordo, niente di tutto questo è vero, a parte il battesimo, il labiale, il pane, la bisnonna, le bozze, la preoccupazione del signor G. e l'invocazione allo special guest dalle decantate facoltà paneplastiche. La schiacciata al rosmarino nell'immagine è - naturalmente - vera. Se le ostie sapranno di poco, non venite a piangere sulla mia spalla. E ricordatevi il cartello sulla statale.

mercoledì, giugno 15, 2005

Cronache della città di G./Via Ignota 99999

Al Comune di Gorizia sono riusciti a calcolarmi l'Ici e a spedirmi il bollettino compilato anche se, a legger bene...



E così, adesso non ho solo un nickname, ho anche un nickaddress.