In seconda elementare c'era la maestra Wanda: boccoli ramati, denti spalmati di rossetto fucsia e un feroce ombretto perlato che a metà mattina le si ammucchiava nelle pieghe delle palpebre come neve ai bordi delle strade. La maestra Wanda aveva alcune convinzioni incrollabili: riteneva per esempio che i bambini dovessero stare a contatto con la realtà, il sociale, i mestieri, il flusso multiforme della vita.
Accadde così che una mattina d'inverno la maestra Wanda decise di assegnarci il seguente compito per casa, primo di una lunga serie: "Intervista a un commerciante".
Intervista a un commerciante? Dove lo trovo un commerciante, nonna? In un commercio, rispose lei, evasiva. E cosa gli chiedo? Un etto di crudo dolce tagliato fin fin.
Mio padre quel pomeriggio mi trovò in cucina, imbronciata, a maneggiare svogliatamente i pennarelli.
E allora? E allora devo fare un'intervista a un commerciante. Chi lo dice? La maestra Wanda. Ti porto dal Scarel, dice lui, che è mio amico di pesca. Ma io mi vergogno. Gli chiedi mezzo chilo di rosbif tagliato fin fin, buttò lì Antonia. E i fegatini per il risotto che mi me piase tanto.
Restammo assorti per un po': mio padre a segnare il ritmo di un valzer lento battendo i palmi delle mani sulle ginocchia, io a pitturare i vortici dell'esistenza con i pennarelli viola e blu e Antonia a chiedersi se non servisse anche un po' di carne per lo spezzatino.
Va bene, disse mio padre dando la tamburellata definitiva. Sono un commerciante.
Un commerciante, papà? Sì, un commerciante, o meglio un panettiere. Urca. Prendi il notes che cominciamo. Cominciammo. Buongiorno, signor panettiere, la disturbo? Buongiorno, non mi disturba per niente guardi. Come va il lavoro? Bene, perché la gente ha sempre bisogno di pane. Lei ha sempre fatto il panettiere? Sì, perché mio padre aveva un forno. Cosa le piace del suo lavoro? Il profumo del pane la mattina e parlare con le persone. E cosa non le piace tanto? Alzarmi prestissimo. Chiedigli se ti dà anche cinque rosette, gridò Antonia dalla cucina. E un krafen.
La prima intervista ebbe successo. Il compito successivo fu "Intervista a un agricoltore". Lì papà usò la sua infelice esperienza di orticoltore dilettante – sempre a una bustina di sementi dal successo – per scolpire il ritratto di un coltivatore sapiente e illuminato, ugualmente sensibile alla rotazione delle colture e alla manutenzione dei mezzi agricoli. Posso anche essere allevatore, si vantò, ma ce lo teniamo per la prossima volta. Papi, metti che la prossima volta devi fare la parrucchiera. Che problema c'è, disse lui.
Fu così che quell'inverno con mio padre vivemmo più e più vite operose, popolando una città di piccole dimensioni che si svegliava prima dell'alba e la sera puntava la sveglia contenta.
Poi ci fu l'intervista a tema libero. Lui allora raccontò il suo, di lavoro, e si fece anche le domande.
Fu quel pomeriggio, mentre parlava da solo tamburellando l'un-due-tre di un valzer brillante, che capii: nel flusso multiforme della vita mio papà era un uomo moderatamente felice.