mercoledì, giugno 20, 2012

Un posto all'ombra/3. Ultima luce



"E questa è la signora Marega" dice mia zia, indicandomi la vecchia. "Aspetta il Pepi. Che dovrebbe arrivare tra un momento, sa, signora Marega? Perché aveva un impegno urgente ma arriva subito."
Seguo mia zia in cucina.
"Impegno urgente?"
"In privata, come al solito. Mi hai portato le spese mediche, nini? Vai che adesso arrivo."

Torno un po' svogliatamente in salotto. La vecchia è seduta sotto il quadro grande, quello che sembra un cielo di Dugo ma è in realtà un Vittorelli, cioè un Dugo terrestre, svuotato di solitudini romantiche e di presagi di mortalità. Dopo una serie interminabile di barche a vela su mare in tempesta, di placide marine, di fiori fiamminghi, mio padre aveva deciso di mettersi in cuor suo a bottega da un vivente, meglio se coetaneo, meglio se conterraneo. Forse per l'orizzonte comune, forse per comodità: l'idea di avere l'ignaro maestro vicino, a portata di sguardo. Che pastelli usi, fantasticava di chiedergli. A quanto lo fanno il Classico Maimeri da 60 al Centro Colori? I cieli del Vittorelli sono cieli verosimili, fotografici, percorsi da sbuffi euforici di nuvole bianche, grigie o rosate a seconda della stagione e delle perturbazioni, bernaccate dell'anima, campiture d'azzurro in cui si intuisce il profumo di una grigliata mista nel giorno che si spegne. Vieni Elio che c'è Barnaby. Aspetta che catturo l'ultima luce, Lina.

L'ultima luce si irradia proprio sopra la testa della vecchia che adesso mi sta osservando con gli occhi a fessura e un mezzo sorriso.
"Lei è la nipote."
"Sì."
"Anch'io ho una nipote, qui."
"Lei vive a Gorizia?"
"Non ancora" dice. "Ma presto. Aspetto giusto il Pepi."
"La accompagna a veder case?"
"Oh signorina, signorina" fa un sorriso segreto, malizioso. "Mi accompagna a veder tombe."

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