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giovedì, settembre 17, 2015

Le nozze di Auschwitz e Poesia

Il membro della giuria di un premio letterario per esordienti, sezione “Poesia”, recita la long list e poi contempla in silenzio il buio oltre i vetri, pensando ad Adorno

di Sergej Kruglov

Su tutta la terra si fa buio
Dall’ora sesta all’ora nona
E avanti fino al mattino.
È la festa di nozze di Auschwitz e Poesia.
Anzi, la festa è già finita:
Non restano più cibo né bevande, gli ospiti se ne sono andati,
La notte di nozze è cominciata.

Il poeta, costretto ad assistere alla scena,
È una candela
Che arde d’amore e di paura
E osserva dal principio alla fine
Tutto questo incredibile kamasutra
(Chiudere gli occhi non può – il secolo
fa da stabile stoppino nella cera).

All’alba si è ormai consumato,
Solo di lui rimane in terra
Un mucchio di lacrime
Piccolo e accartocciato.
(Il che, si sa, non è indicativo
della qualità della cera, ma offre solo l’illusoria speranza
Che questa volta il fuoco
Possa essersi saziato.)

giovedì, novembre 14, 2013

Qui

Che cence tiere e cence cîl
a si è achì, trimant al vivi,
come l'aiar ator ator di un sbâr.

Che senza terra e senza cielo
si è qui, tremando al vivere,
come fa l'aria dopo uno sparo.

da "Scrivi lune", di Pierluigi Cappello (in Azzurro elementare, BUR,  Milano 2013).

giovedì, novembre 07, 2013

Noi inchiodati qui a scrivere poesie

Offrimi un caffè
di Federico Tavan

Di montagne di silenzi
di poesie del cazzo
di donne che non mi hanno voluto
di '68 che non ho fatto

Di montagne di amici
che non mi hanno più scritto
di suicidi non venuti bene
non mi resta niente.
Mi sono solo un po' ingrassato

Offrimi un caffè

da Augh!, Edizioni Biblioteca dell'Immagine - Circolo Culturale Menocchio, 2007.

mercoledì, ottobre 16, 2013

Perché gli dei

[...]
Perché gli dei
ci avvertono fin dall'inizio,
segnalano le curve scivolose,
tracciano rune su carte da parati estranee,
come i ciechi, con le labbra o con le dita
ci spiegano qualcosa,
e si infuriano
quando non li capiamo.

Da "Dva sna" ("Due sogni"), Grigorij Kružkov.

sabato, settembre 28, 2013

Parole povere

di Pierluigi Cappello

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l'altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.

Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.

Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.

Uno rompe l'aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c'ero, ero piccolino.

Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.

Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.

Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.

Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.

Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l'occhio scoperto piange.

Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l'altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.

Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.

Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c'è scritto in vernice rossa.

Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l'ho visto.

Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.

Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.

Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.

Uno è stato trovato
una notte freddissima d'inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.

Uno dice qui la notte viene con le montagne all'improvviso
ma d'inverno è bello quando si confondono
l'alto con il basso, il bianco con il blu.

Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.

Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.

Uno l'ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.

Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l'hai fatta tu.

E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l'allegria dei vinti e una tristezza grande.

"Parole povere", da Mandate a dire all'imperatore, Crocetti, Milano 2010.

giovedì, aprile 04, 2013

Va bene



Nadia Comaneci

di Carmine Vitale

Alla "Flacăra" arrivasti che avevi solo tre anni
Ti avevano vista giocare nel cortile della scuola
poi un lungo volo sulle acque
calme dell'oceano ti portò in luoghi che non avevi visto mai.
I computer dell'epoca erano stati programmati fino al 9,99:
il dieci non era assolutamente previsto.

Una farfalla ha toccato la tua bocca muta
e la speranza del tuo nome cerca ancora la felicità,
come se a 14 anni si potesse essere tutto meno che felici.
Tu bambina dei sogni li sognavi quei giorni,
come quadri di Brueghel
– limpidi minuziosi lontani –
a portata di mano.

"Ma non ce ne furono 
e dubito che ne spunterà qualcuno:
il tempo passa, l'età vaneggia con sospetto
di un lirismo delicato,
sulle foto di Montreal, come una macchia di colore, appare
il bubbone della malattia del secolo: la giovinezza"

Un bambino che bagna il letto nel sonno, l'infanzia
vista da qui e di seguito: una risonanza magnetica,
le foglie andate, l'ultimo volteggio, le parole su carta,
strappate da una poesia da dedicarti,
che sembrano dire: va bene, forse torneremo a vivere ancora

Da Il Leviatano di Melville e altre poesie, L'arcolaio, Forlì 2012.

Carmine Vitale è nato a Salerno nel 1965. Nel 1999 ha vinto il premio internazionale Emily Dickinson. Una volta ha incontrato Hrabal alla Tigre d'oro, a Praga. E, dopo vent'anni di inseguimento, Wisława Szymborska a Bologna. Vive con la sua famiglia in un piccolo paese sul mare.

[Grazie a Sten per Vigo.]

sabato, dicembre 15, 2012

Paolo narra del suo incontro con Cristo durante la missione in Cina

di Sergej Kruglov


Al tempo della predicazione ai pagani, mentre vagavo solitario
per le strade della capitale d'Oriente,
alla fine della stagione fredda, quando il gelo ancora imbianca le tegole dei tetti,
lo incontrai
vestito da funzionario di ventiduesima classe;
andava ad ascoltare il canto di Li Dodicesimo,
invitato da qualcuno di rango più elevato,
e quando mi vide
portò due dita alle labbra.
Signore e Dio mio!
Due dei suoi figli possedevano terre in campagna
(c'era stato un terzo figlio, come seppi in seguito,
condannato a morte dall'imperatore per calunnia o per un deplorevole errore
che il signore dell'Impero Celeste
si era affrettato a correggere: la testa
era stata resa ai famigliari in montatura di diaspro
con scuse allegate e un lingotto d'argento da 200 tael).
L'anno prima era stato incaricato
di sovrintendere alla costruzione di una diga.
Aveva consumato centoquarantadue pennelli
e per la mancanza di sonno i suoi occhi erano arrossati
come quelli di un drago,
e le larghe narici erano simili a quelle del rosso Qilin
e segno di coraggio e di eccellenza
del regno a venire.
Dedicava il tempo libero, secondo la moda,
alla preparazione del tè, e in quell'arte dello zafferano
poteva tenergli testa, si diceva,
forse soltanto Cao del monte Hua.
Le lacrime!
Però restò in silenzio
e mi rispose timidamente e a monosillabi, con un sorriso assente.
Ma il giorno della mia partenza,
mentre sedevamo nel padiglione accanto al molo,
compose un'ottava,
elegante e dalle rime perfette,
scritta su un pezzo di seta
in bello stile.
"Una pagina rosa dalle tarme."
Probabilmente le sue vite
erano ormai esaurite. Ricordava un battaglio di legno
sopravvissuto all'incendio del tempio.
Partii. Sulla barca aleggiava la nebbia. Nella nebbia,
languido, volava basso un airone.
Ma l'inverno era finito. I pruni quell'anno
promisero di fiorire per sempre.

Originale: Павел рассказывает о своей встрече с Христом во время миссии в Китае, Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli

[Grazie a Sten per l'immagine.]

giovedì, novembre 15, 2012

Notte

di Sergej Kruglov



Brividi di bella scrittura, ispirata imitazione dei modelli! O lieve, promettente, spietatamente attento fiore d'autunno inodore, bagliore di vetro in un caleidoscopio, stile delle libere associazioni! E voi, mele al forno lasciate a raffreddare, massime metafisiche. Ma in questa città sull'oceano, quanto ti svegli all'alba in una corrente d'aria fredda, puoi solo raccontare storie: così, se il vento spegne la candela, il mattino dopo puoi ricominciare da una frase lasciata a metà.

È stata una serata densa, pungente; ma adesso sono le due di notte, è quasi mattina; sulla città si stendono la garza e il soffice sale del coprifuoco, le vie sono tranquille. Arcieri nubiani, ombre di lontane steppe silenziose si curvano sui muri, occhi felini d'ottone osservano i passi nell'oscurità – tu, vittima antelucana che turbi la pace! – una pallottola, come una vedova, geme, si allontana nell'abisso dei vicoli, un grido e poi ancora il silenzio. Il morto punta gli occhi sulla luna oceanica che si erge traballante sopra la città, gli occhi ricordano vagamente uno sguardo; il comandante della pattuglia fa scattare l'accendino, si china – così quell'ufficiale dimostra ventidue anni, è uno del posto, pallido e tremante come una ninfa delle fognature; il fioco scintillio degli stivali, gli anni dorati della vita studentesca, la lontana Uppsala, l'umanesimo, le discussioni, Platone, Fichte, – l'adolescenza e la giovinezza, nemici! L'ufficiale si raddrizza e con un gesto ordina il dietrofront alla pattuglia – il serpente di fidanzamento al dito, l'elastico gemito del cinturone, il gemito dell'innocenza nei letti caldi e merlettati dell'oceano, patria, sposa, selciato notturno.

Mezz'ora prima che questo accadesse ero stato svegliato da uno spiffero gelido nella mia stanza, al mio piano; l'amico che si era fermato a dormire si mosse nel sonno, la coperta scivolò sul pavimento; l'anima, tiepida, giovane, goffa, lo avvolgeva, come ripetendo l'acquerello delle fragili membra, il ventre, il triangolo dell'abbronzatura dove c'era lo scollo della camicia; lo svegliai: "È ora". In silenzio, come tutti gli animali notturni, uscì – e sbrigativo e silenzioso fu il congedo sulla soglia – la porta d'ingresso sbatté; e lì, dove i volantini fremevano sui muri con le ali di sofismi predatori, dove la luna lasciava cadere giù nei vicoli perpendicolari raggi invisibili, là nel buio lo accolse anche la pallottola felina della pattuglia. Lo spiffero che scorrazzava nella stanza trovò infine una via d'uscita e si tuffò fuori, nell'oceano, nel cielo basso, e le tende si gettarono al suo inseguimento lanciando un disperato allarme.

Ascoltammo la musica, preparammo il tè in bicchieri di vetro; quasi alla cieca, a luce spenta, dialogammo sulle carte, gli assi logori e il castello di carte, carcasse di simboli, – tutto quel che è rimasto di lui sul tavolo, tra le tazze e i petali di primula; beata mancanza di costrizioni! L'arte di costruire con sovrano distacco un castello di carte quando tutt'attorno scintillano i pugnali del poker, si intrecciano come serpi i neri cappi della divinazione! L'arte di esser fuori dell'arte: questo lo fu sempre, il mio amico che se ne andò senza aspettare il mattino. Io mi addormentai e sognai che con un rasoio tagliavo a grosse fette pergamene pesanti e oleose di Couperin, e intanto rigiravo distrattamente tra le dita scatole musicali di Rameau piene di spilli, e all'improvviso mi svegliai urlando e piangendo lacrime disperate. Le scatole caddero sul pavimento accanto al letto, andando in mille pezzi. Rimasi a lungo a guardarle, a osservare con il capo chino il collo piegato dell'uccellino meccanico.

Anima, anima che ti sei ritrovata d'un tratto liberata sui Troni di Luce, anima dolce e sciocca! A chi potrai insegnare i tuoi aforismi febbrili? A chi serviranno le tue libere associazioni, quel mucchio di illusioni avvizzite che avevi preso a noleggio chissà quando? Non piangere, non sperare. Racconta la tua storia, anima in fuga; solo racconta la tua storia.

Originale: "Озноб изящного писательства...", Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli

[Grazie a Sten per l'immagine.]

martedì, novembre 13, 2012

Silenzio

di Sergej Kruglov

Silenzio, sempre e ovunque,
Spaventoso e caro,
Come spaventoso è tutto ciò che è caro,
Telaio per i fruscii.
E tu, che giaci in bozzoli
Di carne, cervello, solitudine,
Biancheria intima,
Coperta chiomata,
Camera da letto,
Casa (Casa!) di sbuffi, ombre, camini, finestre –
Cos'hai tenuto in serbo per il silenzio? Un fruscio.



Originale: "Тишина... всегда и везде, всю ночь...", Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli

Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).


[Grazie a Sten per l'immagine.]

domenica, aprile 22, 2012

Da aprire in Galilea

di Sergej Kruglov

a L., per il suo compleanno


Amici lontani hanno spedito un regalo:
un batticoda, fragile uccello invernale,
imprigionato nella mica ghiacciata dell'Erebo-Neva.

Acquerello piumato, dolore glaciale,
Tutto fiorisce sulle pietre assolate
Sotto il dolce lentissimo bacio del cielo.




Originale: "Вскрыть в Галилее", inedito, febbraio 2012.

Traduzione: Manuela Vittorelli

Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).


[Grazie a Sten per l'immagine.]

sabato, marzo 10, 2012

La gara, che ha avuto inizio a Blois

di Sergej Kruglov



                                                                                Per F. M.

La gara, che ha avuto inizio a Blois,
prosegue in questa desolazione.
Là mangiammo dolcemente, dolcemente, la bocca piena
di dolce saliva, e dolcemente gli angeli cantavano per noi.
Qui una volta c'erano denti. Adesso
novembre ha congelato le gengive marce delle strade
e i pioppi sono nervi rinsecchiti
tra le radici del tempo.
Tutti quelli che vivevano qui, che sono stati mangiati, sono morti
ma hanno promesso di tornare. E adesso tornano;
il luogo è sempre più affollato, più dell'Inferno.
I riflessi della masticazione sono ancora vivi, senti?
E comunque noi non siamo nati qui, nella classifica
siamo solo undicesimi,
e siamo liberissimi di emigrare,
di trasferirci dalla provincia masticatrice alle isole.
Le isole! Mentre loro gareggiano e
masticano, masticano. Mentre le moltitudini
si masticano a vicenda.

Originale: "Состязание, начавшись в Блуа", Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli

Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).


[Grazie a Sten per l'immagine.]

sabato, gennaio 21, 2012

Esercizi oziosi di un eclettico

Esercizi oziosi di un eclettico nel leggere sui giornali quale poeta ha ricevuto o non riceve mai il premio Andrej Belyj
di Sergej Kruglov



Gli eclettici conoscono di sfuggita ma con precisione centinaia di vecchi nomi.
Vecchi. Soltanto i nomi, non più di questo. I più realisti
tentano col sudore della fronte di tirar fuori
almeno un nome nuovo.
I loro sforzi si rivelano a volte straordinariamente non infruttuosi – e gli eclettici
ricorderanno con altrettanta ostinazione anche questo nuovo nome. Soltanto il nome.

Nomi, convenzioni, glosse, segni, forfora,
lanugine del caso: polvere del tempo, patina,
distorsione dei lineamenti, quadri alle pareti, cocci, teschi,
linee di Nazca, tentativi
di ricostruire una mano partendo dalle unghie,
mura distrutte di una città situata sulla riva di un fiume
che bagnava la cinta ed è ora irrealisticamente prosciugato,
e secco come il fiume è il seme puberale,
unico ricordo di istanti dolcissimi e perfetti di onanismo
sfociati all'improvviso, scricchiolando, nella scrittura
del bambino Onfim, –
che ne è stato di te, archeologia ormai adulta,
dove sei, infanzia credula dagli occhi nudi?
Ricordi? Il manuale di storia
non ti faceva ridere: era
il tuo specchio, uno specchio che non trovavi divertente,
nel migliore dei casi te ne vergognavi.
Dopo aver ricordato chiudi la bocca, inghiotti la saliva:
dalla pagina dello specchio guardati,
vecchio eclettico, bambino della grotta di Tešik-Taš.
Riflessi, specchi. Altri nomi.

Eclettismo. Perdita di profondità,
attraversamento per riaffiorare
dall'altra parte e viceversa.

Difficilmente,
quando nel tuo sguardo si riflette
simile a una protuberanza l'imbarazzo di una donna
costretta, semivoltata, a infilarsi
come una rosa in un vaso di cristallo un tampone tra le gambe,
quando si rovescia in volo obliquo un acquazzone estivo,
o il fuoco piomba su una città,
o un bambino di due anni
pensa al sogno appena fatto,
o nove grammi di alcol plumbeo
tracciano la traiettoria azzurra della luce verso la base del cervello
e il mondo si raccoglie nel palmo di una mano come sale rosso, –
difficilmente ricordi qualcos'altro oltre ai nomi,
magari utili solo per un cruciverba, uno schema a forma di croce
la cui soluzione colma il vuoto dei cieli
di chi ricorda i nomi
dell'arte e del sangue (le ultime due parole
finiscono talvolta al tre e all'otto verticale).

Originale: "Досужие экзерсисы эклектика на тему сообщений в газетах о том, кто из поэтов получил, а равно никогда не получит премию Андрея Белого", Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli

Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).

disegni scribacchiati su strisce di corteccia di betulla (berësty) da Onfim, un bambino di circa 7 anni vissuto a Novgorod agli inizi del 13° secolo, sono tra le testimonianze più antiche di arte infantile.
Nella sepoltura neanderthaliana di Tešik-Taš, nei Monti Bajsun-Tau (oblast' di Surchan-Dar'ja, Uzbekistan), è stato trovato lo scheletro di un bambino di nove anni.

[Grazie a Sten per l'immagine.]

venerdì, gennaio 20, 2012

Scusa se mi chiamo Franco

di Aleksandr Viktorovič Sidorov

Come va?
Conosco solo poche parole.
Cosa preferisci?
Cosa vuoi?
Dobbiamo uscire.
Dove è…?
È difficile.
È facile.
È ora di dormire.
È pericoloso.
Fa caldo.
Fa freddo.
Fa niente.
Hai caldo?
Hai dormito bene?
Hai freddo?
Hai sonno?
Mi chiamo Franco.
Mi dispiace (scusami).
Mi dispiace,
non capisco.
Molto (qualitativo).
Molto (quantitativo).
No.
Non allontanarti
troppo.
Non ho capito
nulla.

Traduzione: Manuela Vittorelli 


Aleksandr Viktorovič Sidorov nasce a Mosca nel 1964. Dopo la laurea in biologia molecolare si appassiona alla linguistica. Nella prima metà degli anni Ottanta, giovanissimo, diviene il principale esponente della poesia grammaticale (anche detta grammaticismo o abevedismo). I suoi versi, dopo una prima circolazione attraverso il Samizdat, per scelta dell'autore non giungono mai a essere diffusi per vie più tradizionali e trovano ancor oggi espressione in reading caratterizzati da una forte componente di improvvisazione.

venerdì, dicembre 23, 2011

Una solitudine di idee

– È tornato a casa il padre di Pippi Calzelunghe, adesso sarà tutto meno buffo.
– Perché?
– È una sensazione. Sai, io ho tutta una solitudine di idee.
– ...
– Sono una poeta, lo so.

lunedì, dicembre 12, 2011

Ma se davvero abbiamo

Ma se davvero abbiamo
frainteso il nostro dovere
e la missione nostra
non era di serbar l'antico nome
e la dignità di nobili
con l'uso della caccia,
il fasto dei banchetti e ogni altro lusso,
e di viver del lavoro altrui,
perché non ce l'han detto prima?
Che cosa ho mai imparato?
Che cosa ho visto intorno a me?
Non ho che vegetato,
portato la livrea del mio sovrano,
sfruttato il tesoro dello Stato
e pensavo così di viver sempre...

estratto da N. A. Nekrasov, Chi vive bene in Russia? (1877)

Originale: Кому на Руси жить хорошо.

sabato, dicembre 10, 2011

Sorriso


Sorriso
di Grigorij Kružkov
                
                   A V.Č.
Era un uomo cupo,
E quando per un istante
Sul suo volto si accendeva un sorriso,
Per spegnersi inevitabilmente subito dopo,
Si vedeva che in lui la felicità
Bastava solo per una vampata.
Era una specie di premio
Per me, conoscenza casuale,
Passante sbadato,
(Suo segreto compagno
Di tristezza e di pazzia),
E provavo sempre più forte il desiderio
Di rivedere quel miracolo
E di farlo durare ancora per un po',
Così come da bambino
Volevo trattenere i fuochi d'artificio
Sopra i denti dei tetti e delle torri
Nel cielo fatto di fumo, nuvole e neve.

Originale: "Улыбка", На берегах реки Увы, 2002.

Traduzione: Manuela Vittorelli

Grigorij Kružkov, nato nel 1945, è laureato in fisica teorica e specializzato in fisica delle particelle. Dal 1971 pubblica poesie e traduce, soprattutto i metafisici inglesi. Ha pubblicato quattro saggi sulla letteratura inglese e scrive libri per bambini. Ha insegnato alla Columbia University. Vive a Mosca.


[Grazie a Sten per l'immagine.]

sabato, dicembre 03, 2011

Nel millecinquecentonovantatré


La vita si risveglia
di Grigorij Kružkov

La vita si risveglia nel millecinquecentonovantatré.
Sir Walter Raleigh scrive dalla torre i disperati versi
"The Ocean to Cynthia".
Giungono dall'alto voci certe che la sua testa cadrà sotto la scure,
qualsiasi ruolo egli si sia attribuito – da quello del pastore
a Leandro morto tra i flutti.
In quel momento, altrove, Thomas Kyd
viene persuaso a non scagionar l'amico.
Sbirciando i ferri, il drammaturgo spaventato
accusa un altro, Christopher Marlowe
(anch'egli drammaturgo), utile alla polizia segreta
non tanto in sé, ma in quanto testimone dell'eresia
di Walter Raleigh e del suo vile influsso sulle menti.
Intanto Marlowe si ripara dalla peste
a casa di Thomas Walsingham (proprio lui!) nel Kent.
Cosa scriva in questi giorni non si sa,
ma ricevuto l'ordine di recarsi a Londra
finisce ucciso, l'occhio trafitto da un pugnale.
In lutto per il doppio agente
di Lord Burghley e del dio Apollo, gli amici terminano
l'ultimo atto della Dido e il poema su Leandro.
La peste va e viene come un servo sciocco,
chiudono i teatri fino a nuovo avviso
e Shakespeare,
scivolando sul ghiaccio di primo mattino,
per poco non si spacca la testa, che non gli ha ancora suggerito
le parole con cui il gobbo seduce la vedova.
Ma egli sa che quelle parole vanno trovate,
e le trova nel momento esatto
in cui una brezza impercettibile in volo dalla Manica
anima, come una marionetta, un brigantino assopito.

Originale: "Жизнь открывается снова", Третья книга стихов, 1998.

Traduzione: Manuela Vittorelli

Grigorij Kružkov, nato nel 1945, è laureato in fisica teorica e specializzato in fisica delle particelle. Dal 1971 pubblica poesie e traduce, soprattutto i metafisici inglesi. Ha pubblicato quattro saggi sulla letteratura inglese e scrive libri per bambini. Ha insegnato alla Columbia University. Vive a Mosca.

[Grazie a Sten per l'immagine.]

sabato, novembre 26, 2011

Tre o quattro in tutto


In un inizio livido di primavera 

di Sergej Kruglov

In un inizio livido di primavera
fumavi a letto, la coperta lilla
tirata giù a metà; dietro i vetri
il vento alzava la polvere con le dita dei pioppi spezzati;
dal mozzicone si levava un fumo grigio-celeste. Rispondendomi guardasti
verso la luce biancastra: le pupille si fecero invisibili, l'interno si fuse con la sfera,
goccia di consistenza aliena, e dondolando cadde in una coppa
piena del burro azzurrognolo di Gainsborough.
Poi la sfera divenne un puntino insopportabile.
No, tu non c'entri –
tu eri da me per caso,
niente di particolare, te ne andasti senza finire il tè
nemmeno il tempo di scambiarsi i numeri di telefono; ma quell'istante sferico
era una chiara cavità nella trama dell'illusione,
punto compreso in sé dove s'incrociano
vie carovaniere di emanazioni angeliche e demoniache
irrappresentabili.
Di questi punti, basi di trasbordo del reale,
ce ne saranno tre o quattro in tutto. Per vederli non è indispensabile
affilare la mente e conoscere a fondo
le zone erogene della fantasia.
Dopo averli visti
sopravvivere è praticamente impossibile.

Originale: "Ранней серой весною", Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli. 

Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).

[Grazie a Sten per l'immagine.]

sabato, novembre 12, 2011

In un abisso di acquazzoni e stelle

Lacrime per un vecchio film dell'infanzia

di Sergej Kruglov

             A Saša Egorov

Mio uomo nero, Negoro mio!
Prendimi, rapiscimi, trascinami nelle giungle africane,
scarlatte, verdi, terracotta,
gettami, solo e legato, i mezzo ai bruti e alle sciagure,
precipitami in un abisso di acquazzoni e stelle, consegnami
al Grande Mganga incantatore! –
ma il cattivo non ascolta: ridendo selvaggiamente
mi riporta indietro, indietro. Incespico,
la febbre canta nelle vene; stessa riva,
stessa nave senza equipaggio,
stessa luce feroce
e il ritorno nella gelida e vecchia patria.
La misericordia del male senza pietà per il prigioniero.

Ricordi com'era bello
e bianco e nero tutto questo
sullo schermo a colori?

Era così. E avevo quindici anni anch'io
quando scoprii quest'innocenza.

Nota: il film è Pjatnadcatiletnij kapitan (Sojuzdetfil'm, 1946) di Vasilij Žuravlëv, adattamento del romanzo di Jules Verne Un capitaine de quinze ans. Il malvagio cuoco Negoro, mercante di schiavi e ricattatore, era interpretato da Michail Astangov. Il film è qui: http://video.mail.ru/mail/jonniarts/4307/1966.html.

Originale:  "В слезах над старой кинолентой детства", Снятие Змия со креста, 2003.

Traduzione: Manuela Vittorelli.

Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).

sabato, ottobre 29, 2011

Boomerang

Boomerang
di Grigorij Kružkov

Allora dico addio a questa casa,
Al cubo d'aria sopra un letto duro,
Alla studiata inclinazione della lampada
E a questo terrazzo ingombro,
Simile per forma a un boomerang.
Lascio tutto nelle mani di Dio, come si dice.

Dio mi disegna simile
A un aborigeno australiano,
Nudo e scarmigliato
Nel suo bush selvatico e deserto,
Lanciatore di boomerang-anime
In rapido volo all'orizzonte.

L'anima che colpisce con tutta la sua forza
Un cuore caldo e vivo
Vince un trofeo di cenere.
E centrato il bersaglio
Curva la propria traiettoria
Per tornare a colui che l'ha lanciata

Perché egli nuovamente scagli l'arma
Con un alto grido e con un balzo barbaro.
Significa che è tempo di congedarsi
Dal fronte interno delle braccia aperte, dall'alta palizzata
Di scaffali; ai libri io non credo più.

Credo solo in quella terra incantata
Dove, come racconta un testimone,
Passeggia Dio, immemore,
E pascolano adrosauri
E sfrecciano uccelli privi d'ali.

Originale: "Бумеранг", Бумеранг: Третья книга стихов, 1998.

Traduzione: Manuela Vittorelli.


Grigorij Kružkov, nato nel 1945, è laureato in fisica teorica e specializzato in fisica delle particelle. Dal 1971 pubblica e traduce poesie, principalmente dall'inglese. Ha pubblicato quattro saggi sulla letteratura inglese e scrive libri per bambini. Ha insegnato alla Columbia University. Vive a Mosca.

[Grazie a Sten per l'immagine.]