Ah, le misure di sicurezza negli aeroporti dopo il fatale nine/eleven non finiscono di stupirmi. Ecco come i due pinguini Pat e Penny, provenienti dal Seaworld di San Diego, hanno superato la prova del metal detector del Denver International Airport (via Presurfer). Del resto, è noto che se le ali non servono a volare, probabilmente vengono utilizzate dai loschi antartici per nascondere coltellini a serramanico. No?
Per dire, se le alette servissero a volare, io avrei risolto i miei problemi con Albatros Overload, in cui per tenere un pinguino in volo servono, nell'ordine: uno yeti per lanciarlo in aria, un albatros per trasportarlo e un canguro per tenere il punteggio (insensato, ma così è).
domenica, aprile 24, 2005
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venerdì, aprile 22, 2005
L'intervista a Riverbend
"Penso che l'occupazione e la guerra mi abbiano resa più consapevole del mondo. Penso che l'iracheno medio abbia cominciato a guardare in modo diverso a certe situazioni mondiali - come lo tsunami, per esempio. Prima, sarebbe stato difficile immedesimarsi nelle migliaia di persone che vivevano nella paura e senza il necessario. Ora, vedere queste persone senza casa, senza acqua corrente, senza scuole, ci ricorda i nostri rifugiati in fuga dalle città e dai villaggi bombardati o evacuati.
Personalmente, penso che mi abbia per certi versi indurita. Ora siamo abituati a sentire esplosioni e sirene. Diventa meno spaventoso e traumatizzante con il tempo.
Mi ha aiutata a rendermi conto come vi sia ovunque nel mondo (ma soprattutto negli USA e nel Regno Unito) tanta gente ingenua e disinformata. È stato inquietante ricevere e-mail che contenevano affermazioni semplicemente false. Per esempio, la percezione occidentale della condizione delle donne irachene prima della guerra. Prima di cominciare a scrivere il blog non immaginavo che gli americani credessero che le donne irachene fossero come le afgane o le saudite. Non immaginavo che molti americani pensassero che i loro soldati avessero portato in Iraq i computer e Internet. È stato inquietante e frustrante sapere che così tante persone che appoggiavano la guerra lo facevano per le ragioni sbagliate."
Questa è solo una piccola parte. Tutta l'intervista di Lakshmi Chaudhry di Alternet a Riverbend è qui.
Personalmente, penso che mi abbia per certi versi indurita. Ora siamo abituati a sentire esplosioni e sirene. Diventa meno spaventoso e traumatizzante con il tempo.
Mi ha aiutata a rendermi conto come vi sia ovunque nel mondo (ma soprattutto negli USA e nel Regno Unito) tanta gente ingenua e disinformata. È stato inquietante ricevere e-mail che contenevano affermazioni semplicemente false. Per esempio, la percezione occidentale della condizione delle donne irachene prima della guerra. Prima di cominciare a scrivere il blog non immaginavo che gli americani credessero che le donne irachene fossero come le afgane o le saudite. Non immaginavo che molti americani pensassero che i loro soldati avessero portato in Iraq i computer e Internet. È stato inquietante e frustrante sapere che così tante persone che appoggiavano la guerra lo facevano per le ragioni sbagliate."
Questa è solo una piccola parte. Tutta l'intervista di Lakshmi Chaudhry di Alternet a Riverbend è qui.
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mercoledì, aprile 20, 2005
Nessuno si aspetta l'Inquisizione Spagnola
XIMINEZ: NESSUNO si aspetta l’Inquisizione Spagnola! La nostra arma principale è la sorpresa, sorpresa e paura, paura e sorpresa... Le nostre due armi sono paura e sorpresa, e una spietata efficienza. Le nostre TRE armi sono paura, sorpresa, e spietata efficienza. E una devozione quasi fanatica verso il Papa. Le nostre QUATTRO, no... TRA le nostre armi, nel nostro arsenale, ci sono elementi come paura, sorpresa... Rifaccio l’entrata".
UOMO: Non mi aspettavo un’Inquisizione Spagnola.
XIMINEZ: NESSUNO si aspetta l’Inquisizione Spagnola! Nel nostro arsenale troviamo elementi diversi quali: paura, sorpresa, spietata efficienza, una devozione quasi fanatica verso il Papa, e graziose uniformi rosse – oh cavolo!
Counterpunch ha ripubblicato l'episodio del Monty Python's Flying Circus come "Memo for Pope Rat".
UOMO: Non mi aspettavo un’Inquisizione Spagnola.
XIMINEZ: NESSUNO si aspetta l’Inquisizione Spagnola! Nel nostro arsenale troviamo elementi diversi quali: paura, sorpresa, spietata efficienza, una devozione quasi fanatica verso il Papa, e graziose uniformi rosse – oh cavolo!
Counterpunch ha ripubblicato l'episodio del Monty Python's Flying Circus come "Memo for Pope Rat".
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martedì, aprile 19, 2005
R. is in tha house
– Mi sa che non andremo più a messa la domenica, sai.
– Del resto non ci siamo mai andati.
– Volevo dire che adesso non ci farebbero entrare.
– Del resto non ci siamo mai andati.
– Volevo dire che adesso non ci farebbero entrare.
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Altre parrocchie
Lo hanno chiamato il rottweiler di Dio, il cardinal panzer, il cardinal no: no alla teologia della liberazione, no all'omosessualità ("disordine oggettivo"), no al sacerdozio femminile, no al matrimonio per i religiosi, no alla Turchia in Europa e no anche alla musica rock ("espressione di passioni elementari" e "controculto"). Non va pazzo per il dialogo interreligioso, né per la riforma liturgica di Paolo VI. Sarebbe anche contrario ai preti operai, se solo Wojtyla ne avesse lasciato ancora qualcuno in circolazione. Da ragazzo è stato nella gioventù hitleriana, ma perché era obbligatorio. Non ha sparato un colpo per conto della Germania nazista a causa dell'infezione a un dito. Beh.
Non è italiano.
Non è africano.
Non è latinoamericano.
Un lato positivo c'è. È più facile da imitare del polacco (che mi è sempre riuscito male, in tanti anni).
Ma io, si sa, sono di un'altra parrocchia.
Non è italiano.
Non è africano.
Non è latinoamericano.
Un lato positivo c'è. È più facile da imitare del polacco (che mi è sempre riuscito male, in tanti anni).
Ma io, si sa, sono di un'altra parrocchia.
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giovedì, aprile 14, 2005
Tutto ciò ha senso
Scrive Terry Jones, regista, attore e Python:
"Un rapporto della commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani ha concluso che i bambini iracheni sotto il regime di Saddam se la cavavano meglio di adesso.
Questo è ovviamente un duro colpo per quelli di noi che, come George Bush e Tony Blair, sono onestamente convinti che i bambini stiano meglio quando gli facciamo cadere addosso le bombe, distruggiamo le loro città e mandiamo all'aria ospedali, scuole e centrali elettriche.
Ora sembra che, lungi dal migliorare la qualità della vita dei giovani iracheni, l'invasione dell'Iraq guidata dagli Stati Uniti abbia inspiegabilmente raddoppiato il numero di bambini sotto i cinque anni che soffrono di denutrizione. Sotto Saddam, circa il 4% dei bambini soffrivano la fame, mentre alla fine dello scorso anno erano l'8%.
Questi risultati sono tanto più avvilenti per quelli di noi che lavorano al Dipartimento per Migliorare le Condizioni dei Bambini in Medio Oriente Usando la Forza Militare, visto che anche i precedenti tentativi di Gran Bretagna e America per rendere la vita più facile ai bambini dell'Iraq si erano dimostrati deludenti. Per esempio, perfino la strategia di applicare le sanzioni più draconiane di cui vi sia memoria mancò di migliorare la situazione. Dopo l'imposizione delle sanzioni nel 1990, il numero di bambini morti sotto i cinque anni si moltiplicò per 6. Nel 1995 qualcosa come mezzo milione di bimbi iracheni erano morti in seguito ai nostri sforzi per aiutarli.
Un anno dopo, Madeleine Albright, allora ambasciatore degli Stati Uniti all'ONU, cercò di affrontare la cosa a testa alta. Quando un intervistatore televisivo commentò che in Iraq a causa delle sanzioni erano morti più bambini che a Hiroshima, la signora Albright diede la famosa risposta: "Noi pensiamo che sia valsa la pena pagare quel prezzo".
Ma evidentemente George Bush non era convinto. Così gli è venuta l'idea di bombardarli. E non semplicemente bombardarli, ma catturare e torturare i loro padri, umiliare le loro madri, sparar loro adosso ai posti di blocco. Ma pare che nessuna di queste cose abbia alcuna utilità. I bambini iracheni semplicemente si rifiutano di essere nutriti meglio, più sani e meno inclini a morire. È sconcertante.
Ed ecco perché noi del dipartimento chiediamo a tutti voi, gente, di darci delle idee. Se vi viene in mente qualche altra tecnica militare che finora abbiamo mancato di applicare ai bambini iracheni, vi preghiamo di farcelo sapere urgentemente. Vi assicuriamo che, con il nostro governo, non c'è limite al denaro che siamo pronti a investire in una soluzione militare ai problemi dei bambini iracheni.I bambini che attualmente vivono sotto la soglia della povertà saranno 3,6 milioni nel Regno Unito e 12,9 negli Stati Uniti, e non vi è alcuna possibilità che i nostri governi trovino il contante per mutare questa situazione. Ma di certo questo è un prezzo che vale la pena pagare, se significa che George Bush e Tony Blair potranno così investire in bombe, granate e proiettili per migliorare le vite dei bambini iracheni. Voi capite che tutto ciò ha senso".
"Un rapporto della commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani ha concluso che i bambini iracheni sotto il regime di Saddam se la cavavano meglio di adesso.
Questo è ovviamente un duro colpo per quelli di noi che, come George Bush e Tony Blair, sono onestamente convinti che i bambini stiano meglio quando gli facciamo cadere addosso le bombe, distruggiamo le loro città e mandiamo all'aria ospedali, scuole e centrali elettriche.
Ora sembra che, lungi dal migliorare la qualità della vita dei giovani iracheni, l'invasione dell'Iraq guidata dagli Stati Uniti abbia inspiegabilmente raddoppiato il numero di bambini sotto i cinque anni che soffrono di denutrizione. Sotto Saddam, circa il 4% dei bambini soffrivano la fame, mentre alla fine dello scorso anno erano l'8%.
Questi risultati sono tanto più avvilenti per quelli di noi che lavorano al Dipartimento per Migliorare le Condizioni dei Bambini in Medio Oriente Usando la Forza Militare, visto che anche i precedenti tentativi di Gran Bretagna e America per rendere la vita più facile ai bambini dell'Iraq si erano dimostrati deludenti. Per esempio, perfino la strategia di applicare le sanzioni più draconiane di cui vi sia memoria mancò di migliorare la situazione. Dopo l'imposizione delle sanzioni nel 1990, il numero di bambini morti sotto i cinque anni si moltiplicò per 6. Nel 1995 qualcosa come mezzo milione di bimbi iracheni erano morti in seguito ai nostri sforzi per aiutarli.
Un anno dopo, Madeleine Albright, allora ambasciatore degli Stati Uniti all'ONU, cercò di affrontare la cosa a testa alta. Quando un intervistatore televisivo commentò che in Iraq a causa delle sanzioni erano morti più bambini che a Hiroshima, la signora Albright diede la famosa risposta: "Noi pensiamo che sia valsa la pena pagare quel prezzo".
Ma evidentemente George Bush non era convinto. Così gli è venuta l'idea di bombardarli. E non semplicemente bombardarli, ma catturare e torturare i loro padri, umiliare le loro madri, sparar loro adosso ai posti di blocco. Ma pare che nessuna di queste cose abbia alcuna utilità. I bambini iracheni semplicemente si rifiutano di essere nutriti meglio, più sani e meno inclini a morire. È sconcertante.
Ed ecco perché noi del dipartimento chiediamo a tutti voi, gente, di darci delle idee. Se vi viene in mente qualche altra tecnica militare che finora abbiamo mancato di applicare ai bambini iracheni, vi preghiamo di farcelo sapere urgentemente. Vi assicuriamo che, con il nostro governo, non c'è limite al denaro che siamo pronti a investire in una soluzione militare ai problemi dei bambini iracheni.I bambini che attualmente vivono sotto la soglia della povertà saranno 3,6 milioni nel Regno Unito e 12,9 negli Stati Uniti, e non vi è alcuna possibilità che i nostri governi trovino il contante per mutare questa situazione. Ma di certo questo è un prezzo che vale la pena pagare, se significa che George Bush e Tony Blair potranno così investire in bombe, granate e proiettili per migliorare le vite dei bambini iracheni. Voi capite che tutto ciò ha senso".
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mercoledì, aprile 13, 2005
Colpevoli fino a prova contraria
Il 24 marzo scorso a New York A. e T., due ragazzine di 16 anni, sono state arrestate con l'accusa di essere aspiranti terroriste suicide. Secondo un portavoce delle famiglie l'accusa è falsa, e l'FBI avrebbe semplicemente frainteso un compito in classe svolto da una delle due. Le due adolescenti erano immigrate illegalmente negli Stati Uniti dalla Guinea e dal Bangladesh negli anni Novanta (e dunque hanno passato la maggior parte della loro vita negli Stati Uniti; i loro fratelli sono cittadini americani). In un documento ufficiale sta scritto che le ragazze "rappresentavano un pericolo immediato per la sicurezza degli Stati Uniti in base a prove secondo cui stavano progettando un attentato suicida", ma queste prove non sono state specificate. Fonti federali anonime esprimono dei dubbi sulla fondatezza dell'accusa.
Tutto è cominciato quando la famiglia del Bangladesh si è rivolta alla polizia perché la figlia aveva passato una notte fuori casa; questo ha portato la polizia a perquisire gli effetti personali della ragazzina, compreso il suo computer, dove è stato trovato un compito in classe sul suicidio (cioè, non una cintura esplosiva, scritte inneggianti alla guerra santa, proclami contro gli Stati Uniti, copie pirata del Microsoft Flight Simulator: un tema). Non sono valse le rassicurazioni dei genitori, secondo i quali quel tema diceva semplicemente che il suicidio è contrario alla legge islamica.
Dei motivi che hanno portato all'arresto dell'altra ragazza si sa ancora meno; i suoi insegnanti non hanno ottenuto il permesso di parlare con lei, e non risulta che abbia un avvocato. "Questa ragazzina è vissuta negli Stati Uniti dall'età di due anni" – ha detto una professoressa – "È un'adolescente come le altre. Fino a due settimane fa la sua maggiore preoccupazione era quella di fare i compiti o di prepararsi all'esame di scienze." Una sedicenne che per l'entusiasmo di andare a vedere l'installazione di Christo in Central Park non si era presentata all'appuntamento all'ufficio immigrazione, e chissà che non sia stato questo a far scattare le indagini. Va' a sapere come vanno le cose con la Homeland Security.
A. e T. sono rinchiuse in un centro di detenzione in Pennsylvania, colpevoli fino a prova contraria.
Per seguire il loro caso e i problemi dei legal e illegal aliens schedati in base alla loro etnia e alla loro religione e arrestati per errore negli Stati Uniti dopo l'11 settembre è nato questo blog.
Tutto è cominciato quando la famiglia del Bangladesh si è rivolta alla polizia perché la figlia aveva passato una notte fuori casa; questo ha portato la polizia a perquisire gli effetti personali della ragazzina, compreso il suo computer, dove è stato trovato un compito in classe sul suicidio (cioè, non una cintura esplosiva, scritte inneggianti alla guerra santa, proclami contro gli Stati Uniti, copie pirata del Microsoft Flight Simulator: un tema). Non sono valse le rassicurazioni dei genitori, secondo i quali quel tema diceva semplicemente che il suicidio è contrario alla legge islamica.
Dei motivi che hanno portato all'arresto dell'altra ragazza si sa ancora meno; i suoi insegnanti non hanno ottenuto il permesso di parlare con lei, e non risulta che abbia un avvocato. "Questa ragazzina è vissuta negli Stati Uniti dall'età di due anni" – ha detto una professoressa – "È un'adolescente come le altre. Fino a due settimane fa la sua maggiore preoccupazione era quella di fare i compiti o di prepararsi all'esame di scienze." Una sedicenne che per l'entusiasmo di andare a vedere l'installazione di Christo in Central Park non si era presentata all'appuntamento all'ufficio immigrazione, e chissà che non sia stato questo a far scattare le indagini. Va' a sapere come vanno le cose con la Homeland Security.
A. e T. sono rinchiuse in un centro di detenzione in Pennsylvania, colpevoli fino a prova contraria.
Per seguire il loro caso e i problemi dei legal e illegal aliens schedati in base alla loro etnia e alla loro religione e arrestati per errore negli Stati Uniti dopo l'11 settembre è nato questo blog.
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martedì, aprile 12, 2005
Photoshop this!
Nel Regno Unito a maggio si vota e il candidato conservatore Ed Matts ha pensato che fosse meglio ritoccare una fotografia (scattata circa un mese fa) per adeguarla alla linea dura del suo partito in materia di immigrazione.
Prima del fotoritocco: il candidato tiene tra le mani la fotografia di una famiglia di immigrati minacciata di espulsione, mentre accanto a lui Ann Widdencombe mostra un cartello con la scritta "lasciateli restare".
Dopo il fotoritocco: la fotografia della famiglia di immigrati è sparita e al suo posto appare un cartello con le parole "immigrazione controllata", mentre la scritta sul cartello della sua collega si è trasformata in "no al caos e alla disumanità". Sono scomparsi anche i manifestanti sullo sfondo.
Forse mi sbaglio, ma finora da noi l'uso di Photoshop in campagna elettorale si è limitato alle chiome e alle rughe di alcuni vanitosi.
Prima del fotoritocco: il candidato tiene tra le mani la fotografia di una famiglia di immigrati minacciata di espulsione, mentre accanto a lui Ann Widdencombe mostra un cartello con la scritta "lasciateli restare".
Dopo il fotoritocco: la fotografia della famiglia di immigrati è sparita e al suo posto appare un cartello con le parole "immigrazione controllata", mentre la scritta sul cartello della sua collega si è trasformata in "no al caos e alla disumanità". Sono scomparsi anche i manifestanti sullo sfondo.
Forse mi sbaglio, ma finora da noi l'uso di Photoshop in campagna elettorale si è limitato alle chiome e alle rughe di alcuni vanitosi.
lunedì, aprile 11, 2005
La solita calma relativa
Oggi John Petrovato su Znet tratta un tema che mi interessa molto, e sul quale mi è capitato di riflettere un po' in questi giorni leggendo i quotidiani italiani e stranieri.
Mi spiego. Quando si è diffusa la notizia dell'uccisione di tre adolescenti palestinesi da parte dell'Esercito di difesa israeliano, avvenuta sabato appena fuori dal campo profughi di Rafah, i mezzi d'informazione sono stati concordi nel sottolineare che si trattava del più grave incidente da quando, nel febbraio scorso, Abu Mazen e Sharon hanno annunciato un periodo di tregua. Dimenticando di dire che questi mesi proprio calmi non sono stati. E poi: l'esercito israeliano ricorre allo schema collaudato, il cosiddetto "shoot first, ask questions later", e nessuno più si preoccupa: semmai, ci si affretta a citare la dichiarazione ufficiale di Israele, secondo la quale si trattava di persone sospette. E poi: l'episodio si è verificato nella cosiddetta "zona di sicurezza" che si trova in territorio palestinese, e nessuno più si meraviglia. Quella zona di sicurezza viene costantemente allargata abbattendo le abitazioni palestinesi, in violazione della legge internazionale, ed evidentemente la cosa è ormai comunemente accettata dall'opinione pubblica e dai mezzi di informazione.
No: tutti d'accordo, invece, sul fatto che si è trattato dell'incidente più grave dopo un periodo di "calma", e che questo mette in pericolo la fragile pace conquistata a fatica di recente. Fragile pace? Eppure le notizie e i lanci di agenzia li leggo anch'io: o devo forse cambiare pusher?
Ecco perché mi sembra importante quello che oggi scrive Petrovato:
"Quando si parla della cosiddetta calma degli ultimi mesi, si dovrebbe sottolineare che la 'fragile pace' è stata quotidianamente minacciata da centinaia di atti di umiliazione, di paura e di violenza nei territori occupati. Se le uccisioni mettono in pericolo questa 'fragile pace', anche la minaccia e la messa in atto della violenza la mettono in pericolo. Di fatto, ogni volta che i mezzi militari israeliani invadono villaggi e città (cosa che accade tutti i giorni in Cisgiordania) e impediscono alla gente di uscire di casa, la fragile pace è in pericolo.
Ogni volta che una persona è prelevata a caso mentre è in coda a un posto blocco (all’interno dei territori palestinesi) e picchiata e umiliata di fronte alla sua famiglia, la pace è pericolo.
Ogni volta che una donna o il bambino che porta in grembo muoiono perché i militari israeliani impediscono a un’ambulanza di portarli all’ospedale, la pace è in pericolo. Ogni volta che la terra è sottratta a una famiglia palestinese per costruirvi il cosiddetto muro di sicurezza o a beneficio di cittadini ebrei di Israele, la pace è in pericolo.
Ogni incidente in cui i coloni israeliani, che risiedono illegalmente nei territori occupati, attaccano fisicamente i palestinesi e le loro proprietà senza essere puniti, la pace è in pericolo (come è accaduto la scorsa settimana, quando coloni israeliani mascherati hanno attaccato dei palestinesi e le loro case in diverse località della Cisgiordania; o il 7 aprile, quando le guardie private dei coloni israeliani hanno sparato a quattro membri di una famiglia del villaggio di Deir Ballut mentre lavoravano nei campi).
Ogni volta che un genitore sa che suo figlio è stato maltrattato dai militari israeliani, la pace è in pericolo (come è successo ieri, quando i soldati israeliani hanno fatto irruzione in un asilo e hanno trattenuto un’ottantina di bambini in una stanza per 90 minuti).
Ogni volta che le proteste non violente vengono affrontate dall’esercito israeliano con la violenza, con percosse, arresti, e l’uso di proiettili rivestiti di gomma, la pace è in pericolo (come quando cinque manifestanti non violenti sono stati feriti in seguito a un attacco con gas lacrimogeni, granate sonore e proiettili di gomma, l’8 aprile scorso, in un villaggio a ovest di Ramallah).
Ogni volta che un palestinese è imprigionato e torturato in un carcere israeliano senza processo o possibilità di vedere un avvocato o i familiari, la pace è in pericolo. E ogni volta che i media si scandalizzano di fronte alla sofferenza degli israeliani ma chiudono un occhio sulla sofferenza dei palestinesi, ancora una volta la pace è in pericolo".
Ho l'impressione che quella Palestina simbolica di cui parla Ramzy Baroud nel pezzo citato oggi sul blog di Umkahlil (la versione completa è qui) abbia davvero dirottato la Palestina reale: la Palestina "aleggia nella coscienza mondiale come poco più di un simbolo", mentre "la realtà della Palestina - la sofferenza, la perdita, la disperazione e il dolore, i campi profughi, i posti di blocco, gli insediamenti in espansione, il muro, le vite spezzare, le prigioni affollate, la rabbia e il predominante sensazione di essere stati traditi, le bombe umane, l’economia devastata, i frutteti distrutti dalle ruspe, una paura del futuro che dura da cinquant'anni – tutto questo sembra essere la parte meno rilevante".
Mi spiego. Quando si è diffusa la notizia dell'uccisione di tre adolescenti palestinesi da parte dell'Esercito di difesa israeliano, avvenuta sabato appena fuori dal campo profughi di Rafah, i mezzi d'informazione sono stati concordi nel sottolineare che si trattava del più grave incidente da quando, nel febbraio scorso, Abu Mazen e Sharon hanno annunciato un periodo di tregua. Dimenticando di dire che questi mesi proprio calmi non sono stati. E poi: l'esercito israeliano ricorre allo schema collaudato, il cosiddetto "shoot first, ask questions later", e nessuno più si preoccupa: semmai, ci si affretta a citare la dichiarazione ufficiale di Israele, secondo la quale si trattava di persone sospette. E poi: l'episodio si è verificato nella cosiddetta "zona di sicurezza" che si trova in territorio palestinese, e nessuno più si meraviglia. Quella zona di sicurezza viene costantemente allargata abbattendo le abitazioni palestinesi, in violazione della legge internazionale, ed evidentemente la cosa è ormai comunemente accettata dall'opinione pubblica e dai mezzi di informazione.
No: tutti d'accordo, invece, sul fatto che si è trattato dell'incidente più grave dopo un periodo di "calma", e che questo mette in pericolo la fragile pace conquistata a fatica di recente. Fragile pace? Eppure le notizie e i lanci di agenzia li leggo anch'io: o devo forse cambiare pusher?
Ecco perché mi sembra importante quello che oggi scrive Petrovato:
"Quando si parla della cosiddetta calma degli ultimi mesi, si dovrebbe sottolineare che la 'fragile pace' è stata quotidianamente minacciata da centinaia di atti di umiliazione, di paura e di violenza nei territori occupati. Se le uccisioni mettono in pericolo questa 'fragile pace', anche la minaccia e la messa in atto della violenza la mettono in pericolo. Di fatto, ogni volta che i mezzi militari israeliani invadono villaggi e città (cosa che accade tutti i giorni in Cisgiordania) e impediscono alla gente di uscire di casa, la fragile pace è in pericolo.
Ogni volta che una persona è prelevata a caso mentre è in coda a un posto blocco (all’interno dei territori palestinesi) e picchiata e umiliata di fronte alla sua famiglia, la pace è pericolo.
Ogni volta che una donna o il bambino che porta in grembo muoiono perché i militari israeliani impediscono a un’ambulanza di portarli all’ospedale, la pace è in pericolo. Ogni volta che la terra è sottratta a una famiglia palestinese per costruirvi il cosiddetto muro di sicurezza o a beneficio di cittadini ebrei di Israele, la pace è in pericolo.
Ogni incidente in cui i coloni israeliani, che risiedono illegalmente nei territori occupati, attaccano fisicamente i palestinesi e le loro proprietà senza essere puniti, la pace è in pericolo (come è accaduto la scorsa settimana, quando coloni israeliani mascherati hanno attaccato dei palestinesi e le loro case in diverse località della Cisgiordania; o il 7 aprile, quando le guardie private dei coloni israeliani hanno sparato a quattro membri di una famiglia del villaggio di Deir Ballut mentre lavoravano nei campi).
Ogni volta che un genitore sa che suo figlio è stato maltrattato dai militari israeliani, la pace è in pericolo (come è successo ieri, quando i soldati israeliani hanno fatto irruzione in un asilo e hanno trattenuto un’ottantina di bambini in una stanza per 90 minuti).
Ogni volta che le proteste non violente vengono affrontate dall’esercito israeliano con la violenza, con percosse, arresti, e l’uso di proiettili rivestiti di gomma, la pace è in pericolo (come quando cinque manifestanti non violenti sono stati feriti in seguito a un attacco con gas lacrimogeni, granate sonore e proiettili di gomma, l’8 aprile scorso, in un villaggio a ovest di Ramallah).
Ogni volta che un palestinese è imprigionato e torturato in un carcere israeliano senza processo o possibilità di vedere un avvocato o i familiari, la pace è in pericolo. E ogni volta che i media si scandalizzano di fronte alla sofferenza degli israeliani ma chiudono un occhio sulla sofferenza dei palestinesi, ancora una volta la pace è in pericolo".
Ho l'impressione che quella Palestina simbolica di cui parla Ramzy Baroud nel pezzo citato oggi sul blog di Umkahlil (la versione completa è qui) abbia davvero dirottato la Palestina reale: la Palestina "aleggia nella coscienza mondiale come poco più di un simbolo", mentre "la realtà della Palestina - la sofferenza, la perdita, la disperazione e il dolore, i campi profughi, i posti di blocco, gli insediamenti in espansione, il muro, le vite spezzare, le prigioni affollate, la rabbia e il predominante sensazione di essere stati traditi, le bombe umane, l’economia devastata, i frutteti distrutti dalle ruspe, una paura del futuro che dura da cinquant'anni – tutto questo sembra essere la parte meno rilevante".
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venerdì, aprile 08, 2005
Modelli di "occupazione democratica"
Oggi Counterpunch pubblica un articolo di Neve Gordon, professore dell'Università Ben-Gurion, in Israele. È interessante il parallelismo che Gordon traccia tra lo schema dell'occupazione israeliana in Cisgiordania e Striscia di Gaza e quello dell'occupazione statunitense dell'Iraq: entrambi si fondano sul principio dell'outsourcing, o terziarizzazione, che consiste nel trasferire alcune funzioni alle autorità locali per mantenere indisturbato il controllo delle risorse.
Israele è dunque la chiave per comprendere la strategia di Bush in Iraq, perché l’attuale amministrazione ha adottato il modello di “occupazione democratica” che Israele ha introdotto in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza:
"Dopo lo scoppio della prima Intifada palestinese, nel dicembre del 1987, Israele dovette dispiegare un numero relativamente ingente di truppe per sostenere l’occupazione, esattamente come gli Stati Uniti stanno facendo in Iraq. Questo fece sì che l’occupazione israeliana si trasformasse da iniziativa economicamente redditizia a perdita finanziaria; così Israele ebbe l’ingegnosa idea di trasferire la responsabilità della popolazione occupata pur continuando a mantenere il controllo sulle risorse naturali (in questo caso, la terra e l’acqua).
In seguito a una serie di negoziati fu fondata Autorità palestinese, un’entità che si prestò al ruolo di gestire la vita quotidiana degli abitanti dei Territori Occupati mentre Israele continuava a controllare più dell’80% della terra. In pochi mesi le istituzioni civili necessarie ad amministrare la popolazione nelle società moderne – e tra queste l’istruzione, la sanità, i servizi – passarono dalle mani di Israele a quelle della neonata autorità, alla quale fu concessa anche una forma limitata di sovranità. Così, senza rinunciare al proprio diritto di governare la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, Israele in un certo senso subappaltò la gestione della popolazione all’Autorità Palestinese, riducendo così in modo rilevante il costo dell’occupazione".
A questo punto entrarono in gioco le "elezioni democratiche":
"Le elezioni democratiche che si svolsero nei Territori Occupati nel gennaio 1996 ebbero un’importanza cruciale nel conferire all’AP un certo grado di legittimità. Certo, l’Autorità Palestinese non finì per realizzare tutti i desideri di Israele, e in molti sensi divenne una realtà recalcitrante, ma questo ha poco a che fare con gli obiettivi iniziali di Israele".
Ecco allora perché l'occupazione dei Territori è fondamentale per capire quella dell'Iraq:
"In primo luogo, come Israele, gli Stati Uniti hanno fatto distinzione tra gli abitanti del paese occupato e le loro risorse. L’idea dell’Amministrazione Bush è di permettere agli iracheni di gestirsi da soli, tagliando così i costi dell’occupazione, e allo stesso tempo di continuare a controllare i giacimenti petroliferi.[...]
In secondo luogo, se Israele non è stato di certo il primo paese a inscenare elezioni democratiche in un contesto di occupazione, è stata di certo la prima potenza a reintrodurre questa pratica in era post-coloniale per legittimare un’occupazione in corso. L’Amministrazione Bush ha trovato utile questa strategia perché si adatta perfettamente con il concetto di “diffusione della libertà” in Medio Oriente. Visto che non si può promuovere la libertà e al tempo stesso instaurare un governo fantoccio, Bush è stato molto chiaro a proposito della necessità delle elezioni. Il fatto è che l’obiettivo di queste elezioni non è trasferire potere e autorità nelle mani del popolo iracheno, ma piuttosto legittimare il controllo statunitense della regione".
Quindi l'attuale dibattito tra i liberali sulla legittimità di queste elezioni è poco pertinente: il punto è che, anche se queste elezioni si fossero svolte democraticamente, "gli iracheni non avrebbero ancora voce in capitolo, per esempio, nella questione dell’impiego di truppe straniere nel loro paese. A conti fatti, il nuovo 'governo democratico' in Iraq è stato creato per gestire la popolazione locale così che l’élite economica della potenza occupante possa godere indisturbata delle spoglie di guerra".
Israele è dunque la chiave per comprendere la strategia di Bush in Iraq, perché l’attuale amministrazione ha adottato il modello di “occupazione democratica” che Israele ha introdotto in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza:
"Dopo lo scoppio della prima Intifada palestinese, nel dicembre del 1987, Israele dovette dispiegare un numero relativamente ingente di truppe per sostenere l’occupazione, esattamente come gli Stati Uniti stanno facendo in Iraq. Questo fece sì che l’occupazione israeliana si trasformasse da iniziativa economicamente redditizia a perdita finanziaria; così Israele ebbe l’ingegnosa idea di trasferire la responsabilità della popolazione occupata pur continuando a mantenere il controllo sulle risorse naturali (in questo caso, la terra e l’acqua).
In seguito a una serie di negoziati fu fondata Autorità palestinese, un’entità che si prestò al ruolo di gestire la vita quotidiana degli abitanti dei Territori Occupati mentre Israele continuava a controllare più dell’80% della terra. In pochi mesi le istituzioni civili necessarie ad amministrare la popolazione nelle società moderne – e tra queste l’istruzione, la sanità, i servizi – passarono dalle mani di Israele a quelle della neonata autorità, alla quale fu concessa anche una forma limitata di sovranità. Così, senza rinunciare al proprio diritto di governare la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, Israele in un certo senso subappaltò la gestione della popolazione all’Autorità Palestinese, riducendo così in modo rilevante il costo dell’occupazione".
A questo punto entrarono in gioco le "elezioni democratiche":
"Le elezioni democratiche che si svolsero nei Territori Occupati nel gennaio 1996 ebbero un’importanza cruciale nel conferire all’AP un certo grado di legittimità. Certo, l’Autorità Palestinese non finì per realizzare tutti i desideri di Israele, e in molti sensi divenne una realtà recalcitrante, ma questo ha poco a che fare con gli obiettivi iniziali di Israele".
Ecco allora perché l'occupazione dei Territori è fondamentale per capire quella dell'Iraq:
"In primo luogo, come Israele, gli Stati Uniti hanno fatto distinzione tra gli abitanti del paese occupato e le loro risorse. L’idea dell’Amministrazione Bush è di permettere agli iracheni di gestirsi da soli, tagliando così i costi dell’occupazione, e allo stesso tempo di continuare a controllare i giacimenti petroliferi.[...]
In secondo luogo, se Israele non è stato di certo il primo paese a inscenare elezioni democratiche in un contesto di occupazione, è stata di certo la prima potenza a reintrodurre questa pratica in era post-coloniale per legittimare un’occupazione in corso. L’Amministrazione Bush ha trovato utile questa strategia perché si adatta perfettamente con il concetto di “diffusione della libertà” in Medio Oriente. Visto che non si può promuovere la libertà e al tempo stesso instaurare un governo fantoccio, Bush è stato molto chiaro a proposito della necessità delle elezioni. Il fatto è che l’obiettivo di queste elezioni non è trasferire potere e autorità nelle mani del popolo iracheno, ma piuttosto legittimare il controllo statunitense della regione".
Quindi l'attuale dibattito tra i liberali sulla legittimità di queste elezioni è poco pertinente: il punto è che, anche se queste elezioni si fossero svolte democraticamente, "gli iracheni non avrebbero ancora voce in capitolo, per esempio, nella questione dell’impiego di truppe straniere nel loro paese. A conti fatti, il nuovo 'governo democratico' in Iraq è stato creato per gestire la popolazione locale così che l’élite economica della potenza occupante possa godere indisturbata delle spoglie di guerra".
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Palestina
giovedì, aprile 07, 2005
New, improved baby
Poco più di un mese, e già saluta così.
Neonato meraviglioso.
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dobraroba
martedì, aprile 05, 2005
3.848 su 3.916 sezioni
È fatta.
Grandissimo Nichi.
Grandissimo Nichi.
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dobraroba
lunedì, aprile 04, 2005
Test drive
"Non ti sembra di sentire come un leggerissimo frrrrrrrr di sottofondo quando sei in quinta, intorno ai cento all'ora?"
"Non preoccuparti, la settimana prossima mi faccio installare l'autoradio".
"Non preoccuparti, la settimana prossima mi faccio installare l'autoradio".
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The Real Thing
Rifiuti
Giusto quello di cui si sentiva la mancanza in Cisgiordania: una bella discarica israeliana.
Per la prima volta dal 1967 Israele ha deciso di trasferire i propri rifiuti (circa diecimila tonnellate) oltre la Linea Verde e di scaricarli nella West Bank. Il progetto è stato intrapreso nonostante i trattati internazionali proibiscano a uno stato occupante di utilizzare il territorio occupato, a meno che ciò non porti benefici alla popolazione locale, e nonostante manchi ancora l'autorizzazione del Ministero dell'Ambiente.
Inoltre questo utilizzo della cava di Kedumim - situata tra l'insediamento di Kedumim e Nablus - metterà in pericolo le fonti idriche palestinesi, contaminando un'importante falda acquifera: e questo perché la discarica, in origine utilizzata per i rifiuti secchi, riceverà e assorbirà rifiuti domestici umidi, e quindi sostanze organiche.
Si creerà così una situazione assurda. La Cisgiordania è piena di discariche abusive (e pericolose per le falde acquifere) perché i palestinesi non hanno il permesso di realizzare strutture moderne di smaltimento dei rifiuti. Quella di Kedumim sarà in effetti una discarica moderna, ma servirà esclusivamente per i rifiuti provenienti da Israele.
Qui il link all'articolo di Haaretz (via Angry Arab).
Per la prima volta dal 1967 Israele ha deciso di trasferire i propri rifiuti (circa diecimila tonnellate) oltre la Linea Verde e di scaricarli nella West Bank. Il progetto è stato intrapreso nonostante i trattati internazionali proibiscano a uno stato occupante di utilizzare il territorio occupato, a meno che ciò non porti benefici alla popolazione locale, e nonostante manchi ancora l'autorizzazione del Ministero dell'Ambiente.
Inoltre questo utilizzo della cava di Kedumim - situata tra l'insediamento di Kedumim e Nablus - metterà in pericolo le fonti idriche palestinesi, contaminando un'importante falda acquifera: e questo perché la discarica, in origine utilizzata per i rifiuti secchi, riceverà e assorbirà rifiuti domestici umidi, e quindi sostanze organiche.
Si creerà così una situazione assurda. La Cisgiordania è piena di discariche abusive (e pericolose per le falde acquifere) perché i palestinesi non hanno il permesso di realizzare strutture moderne di smaltimento dei rifiuti. Quella di Kedumim sarà in effetti una discarica moderna, ma servirà esclusivamente per i rifiuti provenienti da Israele.
Qui il link all'articolo di Haaretz (via Angry Arab).
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domenica, aprile 03, 2005
A song
I had wanted a quiet testament
and I had wanted, among other things,
a song.
That was to be
of a like monotony.
(A grace
Simply. Very very quiet.
A murmur of some lost
thrush, though I have never seen one.
Which was you then. Sitting
and so, at peace, so very much now this same quiet.
A song.
And of you the sign now, surely, of a gross
perpetuity
(which is not reluctant, or if it is,
it is no longer important.
A song.
Which one sings, if he sings it,
with care.
Robert Creeley (1926-2005)
and I had wanted, among other things,
a song.
That was to be
of a like monotony.
(A grace
Simply. Very very quiet.
A murmur of some lost
thrush, though I have never seen one.
Which was you then. Sitting
and so, at peace, so very much now this same quiet.
A song.
And of you the sign now, surely, of a gross
perpetuity
(which is not reluctant, or if it is,
it is no longer important.
A song.
Which one sings, if he sings it,
with care.
Robert Creeley (1926-2005)
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venerdì, aprile 01, 2005
The Beeb Marley
Ammettiamolo, è stato un 1° aprile comprensibilmente sottotono.
Fino a quando la BBC non ha deciso di chiedere un'intervista a Bob Marley.
Fino a quando la BBC non ha deciso di chiedere un'intervista a Bob Marley.
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giovedì, marzo 31, 2005
Ragni
"Devo dedurre dalla sua affermazione che lei sarebbe più contento se Saddam Hussein fosse ancora al potere". Questa è la risposta che Paul Wolfowitz diede a uno studente che gli aveva appena detto: "Siamo stufi di essere temuti e odiati dal mondo. Siamo stufi di assistere alla morte di americani e iracheni, e di essere rabbiosamente disapprovati dalle istituzioni internazionali". Ed è la classica risposta dei neoconservatori e dei sostenitori dell'invasione dell'Iraq a chi non la pensa come loro.
Tomdispatch segnala in proposito un post di R. J. Eskow ripreso da CommonDreams che rispecchia un modo di pensare non necessariamente pacifista o progressista né particolarmente strutturato (Eskow è l'autore di un blog su God, Guts & Guitars che definisce "mostly progressive, all-American"), e proprio per questo interessante:
"Supponiamo che mi dia fastidio vedere un ragno che cammina sulla parete del mio garage. Ci mando a sbattere la mia auto a cento all'ora, distruggendo la macchina e causando migliaia di dollari di danni al garage. Se mia moglie protesta le dico: "Devo dedurre dalla tua affermazione che saresti più contenta se quel ragno camminasse ancora sulla parete". No, cretino, dice lei, sarei più contenta se avessimo ancora una macchina e non dovessimo sborsare diecimila dollari per riparare il garage.
[...]
E così, caro Wolfy e chiunque altro sia tentato di fare questa domanda: No. Io non sarei più contento se Saddam Hussein fosse ancora al potere. Sarei più contento se 1500 americani e dai 20.000 ai 150.000 civili iracheni fossero ancora vivi. Sarei più contento se decine di migliaia di soldati americani non avessero davanti a sé un futuro di deformazioni, di menomazioni e/o di traumi psicologici. Sarei più contento se il mio paese non violasse la legge internazionale. Sarei contento se un governo immorale e dei mezzi di informazione incompetenti non ci stessero mentendo. Sarei più contento se facessimo qualcos'altro con i 250 miliardi di dollari che spendiamo per finanziare questa guerra. Sarei più contento se fosse stata portata avanti la valida tattica di contenimento di Saddam. Sarei più contento se non avessimo fatto tutto questo solo per sostituire la dittatura di Saddam con una teocrazia filoiraniana. Sarei più contento se potessimo risparmiare delle risorse militari, magari per soccorrere gli indifesi del Darfur.
La mia felicità non è mai stata influenzata dalla carriera di Saddam Hussein.
La mia felicità è influenzata dalle condizioni degli americani e degli iracheni che hanno sofferto inutilmente a causa della vostra guerra.
E ora passiamo alla prossima domanda".
Tomdispatch segnala in proposito un post di R. J. Eskow ripreso da CommonDreams che rispecchia un modo di pensare non necessariamente pacifista o progressista né particolarmente strutturato (Eskow è l'autore di un blog su God, Guts & Guitars che definisce "mostly progressive, all-American"), e proprio per questo interessante:
"Supponiamo che mi dia fastidio vedere un ragno che cammina sulla parete del mio garage. Ci mando a sbattere la mia auto a cento all'ora, distruggendo la macchina e causando migliaia di dollari di danni al garage. Se mia moglie protesta le dico: "Devo dedurre dalla tua affermazione che saresti più contenta se quel ragno camminasse ancora sulla parete". No, cretino, dice lei, sarei più contenta se avessimo ancora una macchina e non dovessimo sborsare diecimila dollari per riparare il garage.
[...]
E così, caro Wolfy e chiunque altro sia tentato di fare questa domanda: No. Io non sarei più contento se Saddam Hussein fosse ancora al potere. Sarei più contento se 1500 americani e dai 20.000 ai 150.000 civili iracheni fossero ancora vivi. Sarei più contento se decine di migliaia di soldati americani non avessero davanti a sé un futuro di deformazioni, di menomazioni e/o di traumi psicologici. Sarei più contento se il mio paese non violasse la legge internazionale. Sarei contento se un governo immorale e dei mezzi di informazione incompetenti non ci stessero mentendo. Sarei più contento se facessimo qualcos'altro con i 250 miliardi di dollari che spendiamo per finanziare questa guerra. Sarei più contento se fosse stata portata avanti la valida tattica di contenimento di Saddam. Sarei più contento se non avessimo fatto tutto questo solo per sostituire la dittatura di Saddam con una teocrazia filoiraniana. Sarei più contento se potessimo risparmiare delle risorse militari, magari per soccorrere gli indifesi del Darfur.
La mia felicità non è mai stata influenzata dalla carriera di Saddam Hussein.
La mia felicità è influenzata dalle condizioni degli americani e degli iracheni che hanno sofferto inutilmente a causa della vostra guerra.
E ora passiamo alla prossima domanda".
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Six Feet Under
We said that Manfred Alexander had had "a spell in prison in Switzerland and a period of interment" when we meant internment ('An act of true friendship, G2 page 2, March 29). Interment is burial, internment is detention.
The Guardian, sezione "Corrections".
The Guardian, sezione "Corrections".
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Latinorum
A universal message from the pope is known as Urbi et Orbi ("for the city and for the world") and not Orbis et Urbi, as we had it in our report, Pope too ill for Easter services, page 2, March 26.
The Guardian, sezione "Corrections".
The Guardian, sezione "Corrections".
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martedì, marzo 29, 2005
Sempre a proposito di impunità americana
Avrei dovuto e voluto linkarlo allora, quando tutti abbiamo pensato alla strage del Cermis, e a come è andata a finire. Adesso però, superata l'emotività e la confusione del momento (e tante bassezze, e non poche plateali cadute di stile) forse è utile ragionare a mente fredda sulla famosa impunità americana e sull'inadeguatezza della catena di comando italo-statunitense.
Augusta, partendo dalla strage del Cermis, si pone la fatidica domanda - "Chi comanda ad Aviano?" - e racconta la sua esperienza personale: nel 1994 entrò a far parte del Comitato Misto Paritetico Servitù Militari, e grazie a questo riuscì ad ottenere il Memorandum che consentiva di conoscere la catena di comando e i modi del suo esercizio legittimo nelle basi italiane concesse in uso agli USA; si dimise nel 1997, prima della strage del Cermis.
Questi tre post sono molto istruttivi (vi consiglio di stamparli e di leggerli con calma) anche perché tengono conto delle realtà locali (regioni, comuni e organizzazioni della società civile) e dei limiti e delle contraddizioni con cui certe iniziative solo genericamente pacifiste dovrebbero confrontarsi per essere efficaci e per incidere politicamente. Sono anche, secondo me, un bell'esempio di impegno civile, di serietà e di sana testardaggine.
Eccole qui, le tre puntate su Aviano:
http://diariealtro.splinder.com/post/4245314
http://diariealtro.splinder.com/post/4255635
http://diariealtro.splinder.com/post/4277172
Augusta, partendo dalla strage del Cermis, si pone la fatidica domanda - "Chi comanda ad Aviano?" - e racconta la sua esperienza personale: nel 1994 entrò a far parte del Comitato Misto Paritetico Servitù Militari, e grazie a questo riuscì ad ottenere il Memorandum che consentiva di conoscere la catena di comando e i modi del suo esercizio legittimo nelle basi italiane concesse in uso agli USA; si dimise nel 1997, prima della strage del Cermis.
Questi tre post sono molto istruttivi (vi consiglio di stamparli e di leggerli con calma) anche perché tengono conto delle realtà locali (regioni, comuni e organizzazioni della società civile) e dei limiti e delle contraddizioni con cui certe iniziative solo genericamente pacifiste dovrebbero confrontarsi per essere efficaci e per incidere politicamente. Sono anche, secondo me, un bell'esempio di impegno civile, di serietà e di sana testardaggine.
Eccole qui, le tre puntate su Aviano:
http://diariealtro.splinder.com/post/4245314
http://diariealtro.splinder.com/post/4255635
http://diariealtro.splinder.com/post/4277172
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No such thing as a bicep
Niente da fare, al Guardian hanno un problema di bicipiti.
Infatti, dopo la rettifica di qualche mese fa, ci ricascano:
"The singular of biceps is biceps. There is no such thing as a bicep (Wilkinson reels as fresh injury hits Lions hopes, Sport, page 20, March 14)".
The Guardian, sezione "Corrections".
Lo ammetto senza problemi: questo esibizionistico perseverare nei propri errori, cadere in lapsus pythoniani e infrangere trionfalmente le regole dello stylebook è per me fonte d'allegria e quasi di ispirazione.
Infatti, dopo la rettifica di qualche mese fa, ci ricascano:
"The singular of biceps is biceps. There is no such thing as a bicep (Wilkinson reels as fresh injury hits Lions hopes, Sport, page 20, March 14)".
The Guardian, sezione "Corrections".
Lo ammetto senza problemi: questo esibizionistico perseverare nei propri errori, cadere in lapsus pythoniani e infrangere trionfalmente le regole dello stylebook è per me fonte d'allegria e quasi di ispirazione.
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La cultura dell'impunità
Jeremy Scahill di Democracy Now sintetizza per Counterpunch l'intervista di Naomi Klein a Giuliana Sgrena (riassunta qui), e commenta:
"Giuliana Sgrena sarebbe probabilmente la prima a dire che concentrare tutta l'attenzione sul suo caso significherebbe perdere di vista le dimensioni della tremenda violenza quotidiana che gli iracheni devono sperimentare per mano degli Stati Uniti. [...]
[Giuliana] sa meglio di chiunque altro che se lei e l'ufficiale italiano ucciso dalle truppe USA mentre cercava di portarla in salvo fossero stati semplici civili iracheni, questa sarebbe stata ancora di più una "non storia" di quanto già lo sia nella stampa americana.
Con i casi di Terri Schiavo e Michael Jackson da seguire, è piuttosto difficile per la maggior parte degli organi di informazione trovare il tempo per riferire di qualcuno degli oltre 100.000 civili iracheni uccisi dall'inizio dell'invasione, due anni fa.
Ecco perché casi come quello di Sgrena sono importanti: perché rappresentano un'occasione per mostrare al mondo quel tipo di realtà che gli iracheni devono affrontare ogni giorno delle loro vite. Il numero di rapimenti è allarmante; i soldati americani sono sempre pronti a sparare. Le uccisioni vengono giustificate dal comando americano - ed è già tanto che siano ammesse - proponendo una versione dei fatti superficiale e inconsistente che non reggerebbe in nessun tribunale americano (tranne forse una corte militare)".
Ecco perché, secondo Scahill, il caso di Giuliana Sgrena
"getta una luce importante sulla cultura dell'impunità che circonda l'occupazione americana dell'Iraq. Se questo è il modo in cui Washington tratta l'Italia, uno dei suoi alleati più stretti nella cosiddetta guerra al terrore, quando i soldati stitunitensi uccidono il secondo uomo più importante dei servizi segreti, immaginate la lotta degli iracheni che muoiono a decine di migliaia. Non hanno una figura potente come Silvio Berlusconi che parli per loro. Hanno invece i giornalisti indipendenti come Giuliana Sgrena, che rischiano la vita per raccontare queste storie".
"Giuliana Sgrena sarebbe probabilmente la prima a dire che concentrare tutta l'attenzione sul suo caso significherebbe perdere di vista le dimensioni della tremenda violenza quotidiana che gli iracheni devono sperimentare per mano degli Stati Uniti. [...]
[Giuliana] sa meglio di chiunque altro che se lei e l'ufficiale italiano ucciso dalle truppe USA mentre cercava di portarla in salvo fossero stati semplici civili iracheni, questa sarebbe stata ancora di più una "non storia" di quanto già lo sia nella stampa americana.
Con i casi di Terri Schiavo e Michael Jackson da seguire, è piuttosto difficile per la maggior parte degli organi di informazione trovare il tempo per riferire di qualcuno degli oltre 100.000 civili iracheni uccisi dall'inizio dell'invasione, due anni fa.
Ecco perché casi come quello di Sgrena sono importanti: perché rappresentano un'occasione per mostrare al mondo quel tipo di realtà che gli iracheni devono affrontare ogni giorno delle loro vite. Il numero di rapimenti è allarmante; i soldati americani sono sempre pronti a sparare. Le uccisioni vengono giustificate dal comando americano - ed è già tanto che siano ammesse - proponendo una versione dei fatti superficiale e inconsistente che non reggerebbe in nessun tribunale americano (tranne forse una corte militare)".
Ecco perché, secondo Scahill, il caso di Giuliana Sgrena
"getta una luce importante sulla cultura dell'impunità che circonda l'occupazione americana dell'Iraq. Se questo è il modo in cui Washington tratta l'Italia, uno dei suoi alleati più stretti nella cosiddetta guerra al terrore, quando i soldati stitunitensi uccidono il secondo uomo più importante dei servizi segreti, immaginate la lotta degli iracheni che muoiono a decine di migliaia. Non hanno una figura potente come Silvio Berlusconi che parli per loro. Hanno invece i giornalisti indipendenti come Giuliana Sgrena, che rischiano la vita per raccontare queste storie".
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lunedì, marzo 28, 2005
Una strada completamente diversa
Ieri il bellissimo peacepalestine, anche grazie a umkahlil (altro weblog che merita visite frequenti), ha pubblicato un post sull'intervista di Naomi Klein a Democracy Now a proposito del suo incontro con Giuliana Sgrena. Ho tradotto velocemente alcuni passi molto interessanti (interessanti perché il sovraccarico di informazione che si è creato sulla vicenda ha finito per mettere in ombra o in secondo piano alcuni dettagli importanti). Non è la prima volta, ovviamente, che Giuliana Sgrena parla dell'"altra strada" (ricordo un'intervista a Ballarò in cui lo disse molto chiaramente), diversa da quella famigerata dell'aeroporto.
Nella sua intervista Klein torna ripetutamente su questo aspetto (e sulla direzione da cui sono giunti gli spari):
"[Giuliana] mi ha raccontato molte cose sull'incidente che non avevo ben capito leggendo i giornali. Per prima cosa, voglio dire che Giuliana non sta in alcun modo dicendo di esser certa che l'attacco alla macchina fosse intenzionale.
Sta semplicemente dicendo che ha tante domande che non hanno ricevuto risposta, e che ci sono molte parti della sua esperienza personale che semplicemente non coincidono con la versione ufficiale dei fatti offerta dagli Stati Uniti.
Una delle cose che continuano a ripeterci è che la sparatoria è avvenuta sulla strada per l'aeroporto, che è notoriamente molto pericolosa. Di fatto, è spesso descritta come la strada più pericolosa del mondo. Quindi, il fatto che si sia stata una sparatoria di questo tipo su quella strada è considerato un incidente frequente e comprensibile. Ci sono stata anch'io, su quella strada, ed è un posto davvero insidioso, con continue esplosioni e molti posti di blocco.
Quello che Giuliana mi ha detto e che prima non avevo capito è che lei non si trovava affatto su quella strada. Viaggiava su una strada completamente diversa, della quale io non conoscevo nemmeno l'esistenza. È una strada messa in sicurezza, chiusa, alla quale si può accedere solo attraverso la Zona Verde e che è esclusivamente riservata agli ambasciatori e agli alti ufficiali. Così, quando Calipari, l'ufficiale dei servizi italiani, liberò Giuliana, si diressero verso la Zona Verde, attraversarono il complicato sistema di posti di blocco che tutti devono affrontare per entrare nella Zona Verde, compresi i controlli dei militari americani, e poi entrarono in questa strada chiusa.
E Giuliana mi ha raccontato un'altra cosa che le dà un grande senso di frustrazione, e cioè che si sia detto che il veicolo che sparò alla loro macchina faceva parte di un posto di blocco. Dice che non c'era nessun posto di blocco. Si trattava semplicemente di un mezzo blindato che era parcheggiato sul lato della strada e che aprì il fuoco. Non vi fu nessun tentativo di fermare la macchina, ha detto, né segnalazioni di alcun tipo. Dal suo punto di vista, il blindato fece semplicemente fuoco. Sono stata sorpresa da un'altra cosa che mi ha detto, e cioè che i colpi
arrivarono da dietro. Io penso che parte di ciò che ci è stato raccontato sia che i soldati statunitensi aprirono il fuoco sulla macchina perché non sapevano chi si trovava a bordo, e si spaventarono. Fu difesa personale, avevano paura. La paura, ovviamente, era che la macchina potesse esplodere, o di essere attaccati. E Giuliana Sgrena con me ha sottolineato che il proiettile che ha grevemente ferito lei e ha ucciso Calipari veniva da dietro, ed è entrato attraverso il sedile posteriore della macchina. La sola persona a essere ferita solo lievemente è stato l'autista, e secondo lei è perché gli spari non venivano da davanti o da lato. Arrivavano da dietro, e cioè mentre loro si stavano allontanando.
Quindi, l'ipotesi che si sia trattato di autodifesa diventa discutibile. Tutti questi particolari spiegano anche perché ci siano delle esitazioni nel passare la macchina agli italiani per le indagini tecniche. Perché se davvero la maggioranza dei colpi è giunta da dietro, è chiaro che hanno sparato a una macchina che si stava allontanando".
Poi, a proposito del fatto che quel posto di blocco mobile fosse stato organizzato per il passaggio di Negroponte:
"Questo confermerebbe quello che mi ha raccontato Giuliana, e cioè che la strada su cui viaggiavano non era la strada pubblica che conoscono tutti, compresi i giornalisti, quella pericolosissima. Era una strada messa in sicurezza, chiusa, riservata agli alti funzionari dell'ambasciata, ovviamente come Negroponte. Ma una cosa è molto chiara: se Giuliana si trovava su quella strada e nel modo in cui lei lo spiega, allora aveva dovuto superare un posto di blocco americano per entrare nella Zona Verde. A quella strada si può accedere solo attraverso la Zona Verde. E lì è molto, ma molto difficile entrarci. Quando ho cercato di entrare nella Zona Verde ho dovuto passare attraverso sei posti di blocco - e sei distinti controlli del passaporto. E così è impossibile che i soldati americani non sapessero della loro presenza su quella strada, visto che si tratta si una strada che esce dalla Zona Verde. E secondo me il fatto che ci fosse un posto di blocco mobile per Negroponte lo conferma chiaramente. L'unica cosa che Giuliana riesce a immaginare è che i soldati che li controllarono nella Zona Verde per permetter loro di entrare non avvisarono via radio questi posti di blocco mobili per avvertirli del loro passaggio. E dal suo punto di vista questo può essere stato o un errore o una specie di vendetta o un'azione dettata dalla rabbia, perché sappiamo che c'è molta rabbia per il fatto che gli italiani siano disposti a pagare riscatti molto alti per ottenere la liberazione di prigionieri. Non sta insinuando che ci sia stata una cospirazione in grande stile. Può esserci stata un'interruzione della comunicazione. Ma è impossibile che non sapessero che lei si trovava su quella strada, perché quella strada esce dalla Zona Verde e lì non si può entrare senza attraversare un posto di blocco".
Nella sua intervista Klein torna ripetutamente su questo aspetto (e sulla direzione da cui sono giunti gli spari):
"[Giuliana] mi ha raccontato molte cose sull'incidente che non avevo ben capito leggendo i giornali. Per prima cosa, voglio dire che Giuliana non sta in alcun modo dicendo di esser certa che l'attacco alla macchina fosse intenzionale.
Sta semplicemente dicendo che ha tante domande che non hanno ricevuto risposta, e che ci sono molte parti della sua esperienza personale che semplicemente non coincidono con la versione ufficiale dei fatti offerta dagli Stati Uniti.
Una delle cose che continuano a ripeterci è che la sparatoria è avvenuta sulla strada per l'aeroporto, che è notoriamente molto pericolosa. Di fatto, è spesso descritta come la strada più pericolosa del mondo. Quindi, il fatto che si sia stata una sparatoria di questo tipo su quella strada è considerato un incidente frequente e comprensibile. Ci sono stata anch'io, su quella strada, ed è un posto davvero insidioso, con continue esplosioni e molti posti di blocco.
Quello che Giuliana mi ha detto e che prima non avevo capito è che lei non si trovava affatto su quella strada. Viaggiava su una strada completamente diversa, della quale io non conoscevo nemmeno l'esistenza. È una strada messa in sicurezza, chiusa, alla quale si può accedere solo attraverso la Zona Verde e che è esclusivamente riservata agli ambasciatori e agli alti ufficiali. Così, quando Calipari, l'ufficiale dei servizi italiani, liberò Giuliana, si diressero verso la Zona Verde, attraversarono il complicato sistema di posti di blocco che tutti devono affrontare per entrare nella Zona Verde, compresi i controlli dei militari americani, e poi entrarono in questa strada chiusa.
E Giuliana mi ha raccontato un'altra cosa che le dà un grande senso di frustrazione, e cioè che si sia detto che il veicolo che sparò alla loro macchina faceva parte di un posto di blocco. Dice che non c'era nessun posto di blocco. Si trattava semplicemente di un mezzo blindato che era parcheggiato sul lato della strada e che aprì il fuoco. Non vi fu nessun tentativo di fermare la macchina, ha detto, né segnalazioni di alcun tipo. Dal suo punto di vista, il blindato fece semplicemente fuoco. Sono stata sorpresa da un'altra cosa che mi ha detto, e cioè che i colpi
arrivarono da dietro. Io penso che parte di ciò che ci è stato raccontato sia che i soldati statunitensi aprirono il fuoco sulla macchina perché non sapevano chi si trovava a bordo, e si spaventarono. Fu difesa personale, avevano paura. La paura, ovviamente, era che la macchina potesse esplodere, o di essere attaccati. E Giuliana Sgrena con me ha sottolineato che il proiettile che ha grevemente ferito lei e ha ucciso Calipari veniva da dietro, ed è entrato attraverso il sedile posteriore della macchina. La sola persona a essere ferita solo lievemente è stato l'autista, e secondo lei è perché gli spari non venivano da davanti o da lato. Arrivavano da dietro, e cioè mentre loro si stavano allontanando.
Quindi, l'ipotesi che si sia trattato di autodifesa diventa discutibile. Tutti questi particolari spiegano anche perché ci siano delle esitazioni nel passare la macchina agli italiani per le indagini tecniche. Perché se davvero la maggioranza dei colpi è giunta da dietro, è chiaro che hanno sparato a una macchina che si stava allontanando".
Poi, a proposito del fatto che quel posto di blocco mobile fosse stato organizzato per il passaggio di Negroponte:
"Questo confermerebbe quello che mi ha raccontato Giuliana, e cioè che la strada su cui viaggiavano non era la strada pubblica che conoscono tutti, compresi i giornalisti, quella pericolosissima. Era una strada messa in sicurezza, chiusa, riservata agli alti funzionari dell'ambasciata, ovviamente come Negroponte. Ma una cosa è molto chiara: se Giuliana si trovava su quella strada e nel modo in cui lei lo spiega, allora aveva dovuto superare un posto di blocco americano per entrare nella Zona Verde. A quella strada si può accedere solo attraverso la Zona Verde. E lì è molto, ma molto difficile entrarci. Quando ho cercato di entrare nella Zona Verde ho dovuto passare attraverso sei posti di blocco - e sei distinti controlli del passaporto. E così è impossibile che i soldati americani non sapessero della loro presenza su quella strada, visto che si tratta si una strada che esce dalla Zona Verde. E secondo me il fatto che ci fosse un posto di blocco mobile per Negroponte lo conferma chiaramente. L'unica cosa che Giuliana riesce a immaginare è che i soldati che li controllarono nella Zona Verde per permetter loro di entrare non avvisarono via radio questi posti di blocco mobili per avvertirli del loro passaggio. E dal suo punto di vista questo può essere stato o un errore o una specie di vendetta o un'azione dettata dalla rabbia, perché sappiamo che c'è molta rabbia per il fatto che gli italiani siano disposti a pagare riscatti molto alti per ottenere la liberazione di prigionieri. Non sta insinuando che ci sia stata una cospirazione in grande stile. Può esserci stata un'interruzione della comunicazione. Ma è impossibile che non sapessero che lei si trovava su quella strada, perché quella strada esce dalla Zona Verde e lì non si può entrare senza attraversare un posto di blocco".
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venerdì, marzo 25, 2005
Facciamo bim bum bam
Marco Bellavia scende in campo per le Regionali della Lombardia con un nome che fa rima e lo slogan "Per chi votiamo stavolta? Facciamo bim bum bam".
Sul manifesto elettorale, il suo volto sorridente e una quieta esclamazione: "Che idea! Ci metto la faccia".
Sublime.
Sul manifesto elettorale, il suo volto sorridente e una quieta esclamazione: "Che idea! Ci metto la faccia".
Sublime.
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giovedì, marzo 24, 2005
24 marzo
"Like it or not, we are at war with the Serbian nation (the Serbs certainly think so), and the stakes have to be very clear: every week you ravage Kosovo is another decade we will set your country back by pulverizing you. You want 1950? We can do 1950. You want 1389? We can do 1389 too".
Thomas Friedman, New York Times.
"Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea."
Massimo D'Alema.
Il mio post di oggi (e il solo) è per tutti quelli che il 24 marzo, da sei anni a questa parte, diventano nervosi, si vergognano, provano la rabbia, la delusione e la disperazione di allora.
Io spero che siano in tanti e che non dimentichino.
E per quanto riguarda quelli come D'Alema, quelli che proprio in quell'occasione sentirono di essersi affrancati gloriosamente dal "tabù pacifista", io volentieri li riporterei indietro al giorno più doloroso della loro vita, e ce li chiuderei dentro per sempre - in una versione estrema di quel film con Bill Murray, e senza marmotte. A ciascuno le sue fantasie.
Thomas Friedman, New York Times.
"Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L'Italia si trovava veramente in prima linea."
Massimo D'Alema.
Il mio post di oggi (e il solo) è per tutti quelli che il 24 marzo, da sei anni a questa parte, diventano nervosi, si vergognano, provano la rabbia, la delusione e la disperazione di allora.
Io spero che siano in tanti e che non dimentichino.
E per quanto riguarda quelli come D'Alema, quelli che proprio in quell'occasione sentirono di essersi affrancati gloriosamente dal "tabù pacifista", io volentieri li riporterei indietro al giorno più doloroso della loro vita, e ce li chiuderei dentro per sempre - in una versione estrema di quel film con Bill Murray, e senza marmotte. A ciascuno le sue fantasie.
mercoledì, marzo 23, 2005
Troppa morte, guerriero?
Mentre l'invasione dell'Iraq entra nel terzo anno, l'esercito degli Stati Uniti si trova a fare i conti con i problemi di salute mentale dei suoi soldati. Secondo uno studio del New England Journal of Medicine pubblicato quest'anno, uno su sei soldati di ritorno dalla zona di guerra soffre di grave depressione, angoscia o sindromi da stress post-traumatico. Molti altri mostrano sintomi meno gravi.
Ecco perché si stanno sperimentando sistemi di simulazione fondati sulla realtà virtuale: quello basato sul videogame Full Spectrum Warrior pone il paziente al centro di una città, dove gradualmente vengono aggiunti scenari sempre più radicali e coinvolgenti. Alla fine del trattamento - che può durare settimane o mesi, a seconda della gravità delle condizioni del paziente - si può arrivare anche a un attacco in piena regola. In futuro, i ricercatori aggiungeranno anche odori e alte temperature per simulare ancora meglio le condizioni vissute in Iraq. Il principio è dunque quello di "rivivere l'esperienza".
Come dice un soldato nell'articolo del Washington Post, "le nostre menti non sono fatte per elaborare tanta morte. Chiunque sia stato in Iraq e dica di non avere problemi, o sta negando, o sta mentendo".
Ma aspetta un momento.
Full Spectrum Warrior è il videogame inizialmente sviluppato come strumento di addestramento per l'esercito americano e successivamente modificato e messo in commercio per le piattaforme Pc e Xbox.
Quindi, se ho capito bene: per addestrare le reclute si utilizza un videogame; poi, quando le reclute diventano reduci più o meno traumatizzati, per recuperare questi ultimi alla normalità (si fa per dire) si utilizza lo stesso videogame, facendo loro rivivere l'esperienza di morte, paura e distruzione che hanno sperimentato sul campo di battaglia.
Naturalmente il gioco è in vendita, e ha un suo sito commerciale infarcito di informazioni e di inspirational quotes, come quella del generale Patton: "L'oggetto della guerra non è morire per il tuo paese, ma far si che sia un altro a morire per questo".
Have fun.
Ecco perché si stanno sperimentando sistemi di simulazione fondati sulla realtà virtuale: quello basato sul videogame Full Spectrum Warrior pone il paziente al centro di una città, dove gradualmente vengono aggiunti scenari sempre più radicali e coinvolgenti. Alla fine del trattamento - che può durare settimane o mesi, a seconda della gravità delle condizioni del paziente - si può arrivare anche a un attacco in piena regola. In futuro, i ricercatori aggiungeranno anche odori e alte temperature per simulare ancora meglio le condizioni vissute in Iraq. Il principio è dunque quello di "rivivere l'esperienza".
Come dice un soldato nell'articolo del Washington Post, "le nostre menti non sono fatte per elaborare tanta morte. Chiunque sia stato in Iraq e dica di non avere problemi, o sta negando, o sta mentendo".
Ma aspetta un momento.
Full Spectrum Warrior è il videogame inizialmente sviluppato come strumento di addestramento per l'esercito americano e successivamente modificato e messo in commercio per le piattaforme Pc e Xbox.
Quindi, se ho capito bene: per addestrare le reclute si utilizza un videogame; poi, quando le reclute diventano reduci più o meno traumatizzati, per recuperare questi ultimi alla normalità (si fa per dire) si utilizza lo stesso videogame, facendo loro rivivere l'esperienza di morte, paura e distruzione che hanno sperimentato sul campo di battaglia.
Naturalmente il gioco è in vendita, e ha un suo sito commerciale infarcito di informazioni e di inspirational quotes, come quella del generale Patton: "L'oggetto della guerra non è morire per il tuo paese, ma far si che sia un altro a morire per questo".
Have fun.
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martedì, marzo 22, 2005
La furia fantasma su Fallujah
Sono passati cinque mesi dall'attacco statunitense a Fallujah, identificato con il nome in codice "Phantom Fury", furia fantasma.
This is rumor control oggi pubblica un'intervista al giornalista indipendente Dahr Jamail, appena tornato dall'Iraq, secondo il quale esistono le prove che le forze armate statunitensi usarono armi illegali: napalm, bombe a grappolo, armi chimiche. La testimonianza di Jamail conferma le dichiarazioni di un ufficiale del ministero della sanità iracheno, che qualche settimana fa aveva parlato di un probabile uso di gas nervino e gas mostarda ("tutte le forme di vita erano state cancellate", ha detto il Dr. ash-Shaykhli. "Posso dire che abbiamo trovato decine, se non centinaia, di cani, di gatti e di uccelli morti per i gas").
Jamail definisce Fallujah una specie di campo di concentramento, sottoposto a un controllo militare severissimo. Circa il 60 per cento della città è stato raso al suolo dai bombardamenti, mancano l'acqua e l'elettricità. Le persone vengono sottoposte a scansione della retina e al rilevamento delle impronte digitali: solo così possono ricevere un documento d'indentità. Essenzialmente tutti coloro che si trovano a Fallujah vengono schedati come terroristi, anche se la maggioranza della popolazione non è costituita da combattenti.
Dahr Jamail fa poi riferimento a numerose fotografie raccolte sul suo sito internet: fotografie di cadaveri senza traumi evidenti, uccisi da qualcosa che non ha lasciato il segno sui corpi, e di moltissimi cadaveri carbonizzati. Ci sono anche fotografie di corpi lasciati nelle strade per settimane e mangiati dai cani. Il link a quelle immagini è qui.
La croce rossa irachena e i dottori che hanno operato nella città e nei suoi paraggi durante l'assedio parlano di 2500 civili morti, e di 300-400 combattenti uccisi.
This is rumor control oggi pubblica un'intervista al giornalista indipendente Dahr Jamail, appena tornato dall'Iraq, secondo il quale esistono le prove che le forze armate statunitensi usarono armi illegali: napalm, bombe a grappolo, armi chimiche. La testimonianza di Jamail conferma le dichiarazioni di un ufficiale del ministero della sanità iracheno, che qualche settimana fa aveva parlato di un probabile uso di gas nervino e gas mostarda ("tutte le forme di vita erano state cancellate", ha detto il Dr. ash-Shaykhli. "Posso dire che abbiamo trovato decine, se non centinaia, di cani, di gatti e di uccelli morti per i gas").
Jamail definisce Fallujah una specie di campo di concentramento, sottoposto a un controllo militare severissimo. Circa il 60 per cento della città è stato raso al suolo dai bombardamenti, mancano l'acqua e l'elettricità. Le persone vengono sottoposte a scansione della retina e al rilevamento delle impronte digitali: solo così possono ricevere un documento d'indentità. Essenzialmente tutti coloro che si trovano a Fallujah vengono schedati come terroristi, anche se la maggioranza della popolazione non è costituita da combattenti.
Dahr Jamail fa poi riferimento a numerose fotografie raccolte sul suo sito internet: fotografie di cadaveri senza traumi evidenti, uccisi da qualcosa che non ha lasciato il segno sui corpi, e di moltissimi cadaveri carbonizzati. Ci sono anche fotografie di corpi lasciati nelle strade per settimane e mangiati dai cani. Il link a quelle immagini è qui.
La croce rossa irachena e i dottori che hanno operato nella città e nei suoi paraggi durante l'assedio parlano di 2500 civili morti, e di 300-400 combattenti uccisi.
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Cronache della città di G./Tito c'è
Nei giorni passati qualcuno si è preso la briga di farsi una bella scarpinata sul Sabotino, di spostare pietre e fronde e di dare qua e là una passata di vernice bianca, trasformando la scritta Nas Tito in Nas Fido. Era il 19 marzo.
Ventiquattr'ore dopo altri ignoti hanno ripristinato la scritta Nas Tito rimettendo le pietre in posizione. In compenso sul versante italiano del Sabotino è apparsa la scritta W L'Italia.
Per fortuna tra un po' anche lassù in cima farà caldo, si sveglieranno le vipere e sarà pericoloso avventurarsi tra i sassi.
Per il momento Tito c'è.
Comunque, strana gente.
Ventiquattr'ore dopo altri ignoti hanno ripristinato la scritta Nas Tito rimettendo le pietre in posizione. In compenso sul versante italiano del Sabotino è apparsa la scritta W L'Italia.
Per fortuna tra un po' anche lassù in cima farà caldo, si sveglieranno le vipere e sarà pericoloso avventurarsi tra i sassi.
Per il momento Tito c'è.
Comunque, strana gente.
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lunedì, marzo 21, 2005
Table talk
- Prendi il Libano.
- Eh.
- Il 22 febbraio centinaia di migliaia di persone scendono in piazza per manifestare contro la Siria. E tutti a parlare della rivoluzione dei cedri, potere al popolo, ecc.
- E l'8 marzo...
- L'8 marzo cinquecentomila filosiriani scendono in piazza per protestare contro l'ingerenza di Stati Uniti e Europa.
- E poco dopo...
- Poco tempo dopo, altri centomila scendono in piazza per protestare contro gli Stati Uniti. E questo ci dice almeno una cosa.
- Chiaro.
- E cioè.
- Beirut ha una piazza piuttosto grande.
Quest'uomo non mi prenderà mai sul serio.
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sabato, marzo 19, 2005
I volonterosi ragazzi del signor B.
Stava ieri su Repubblica: il commissario uscente della Croce Rossa, Maurizio Scelli, è stato indicato da Berlusconi come il futuro coordinatore di "Forza Ragazzi", "una struttura under 35 parallela a quella del partito, anche se con un nome nuovo. Non più 'Onda Azzurra', come aveva pensato [Berlusconi] in un primo momento, e neanche 'Forza Silvio'. Ma 'Forza Ragazzi', appunto". Si ispirerà alla struttura della Croce Rossa: migliaia di giovani rigorosamente volontari, anche se rigidamente inquadrati "perché verrà chiesto loro un impegno serio e a tempo pieno". Non pagati, naturalmente (al massimo un rimborso spese).
"Lo spunto, giura chi sa, è venuto al Cavaliere dalla tv. Guardando un reality show israeliano dove vince un premio chi meglio riesce a propagandare l'immagine del proprio paese, Israele in questo caso".
Oh, me lo ricordo, quello show.
Nota: di Scelli non dico niente perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.
"Lo spunto, giura chi sa, è venuto al Cavaliere dalla tv. Guardando un reality show israeliano dove vince un premio chi meglio riesce a propagandare l'immagine del proprio paese, Israele in questo caso".
Oh, me lo ricordo, quello show.
Nota: di Scelli non dico niente perché sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.
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mercoledì, marzo 16, 2005
Misunderstood
Oh when sometimes I find myself alone regretting
Some little thing
Some simple thing I've done
I'm just a soul whose intentions are good
Oh Lord, please don't let me be misunderstood
Don't let me be misunderstood (Benjamin, Marcus, Caldwell)*
Vediamo se ho capito bene.
Ieri sera a Porta a Porta Berlusconi annuncia il graduale ritiro delle truppe italiane dall'Iraq: "già da settembre cominceremo una progressiva riduzione del numero dei nostri soldati in Iraq". Già che c'è dice che ne ha parlato con Blair "ed è l'opinione pubblica dei nostri paesi che si aspetta questa decisione". Certo, "dipenderà dalla capacità del governo iracheno di dotarsi di strutture di sicurezza accettabili".
Condoleeza Rice oggi minimizza: "qualsiasi decisione sarà pienamente coordinata in modo da non mettere in rischio la missione".
E Blair smentisce Berlusconi: "Né noi né l'Italia abbiamo fissato la data di inizio del ritiro dall'Iraq. Resteremo lì fino a quando il lavoro non sarà finito".
In un intervento che uscirà sul Foglio di domani Berlusconi dice: "dopo le elezioni del 30 gennaio, mentre si consolida il percorso costituzionale individuato dal governo ad interim e sostenuto dalla coalizione, si può cominciare a parlare di 'missione compiuta' senza escludere per il futuro nuovi, seri, solidi impegni nel sostegno politico, militare e diplomatico alla nascente democrazia irachena". Aggiunge che è possibile cominciare a discutere con il governo iracheno e gli alleati di "possibilità di graduale ritiro".
Poi telefona Bush. Cioè, Bush telefona per un altro motivo (la presidenza della Banca Mondiale), ma dice che Berlusconi ha sollevato lui il problema della permanenza in Iraq. Berlusconi dice a Bush che non è cambiato nulla, e che il suo era solo un auspicio.
Bush dice che la coalizione non si sta frantumando.
Fini dice che "non c'è motivo nè per esprimere sorprese nè di parlare di chissà quale nuova linea del Governo italiano".
Berlusconi dice che con Blair si sono capiti benissimo, nessun misunderstanding.
Bush dice: "La coalizione in Iraq è stata rafforzata dal coraggio degli iracheni: gli alleati si sono compiaciuti e rincuorati perchè gli iracheni sono andati alle urne e hanno votato e stanno adesso formando un governo. Si vede che ci sono progressi e io condivido il sentimento d'entusiasmo per quanto sta avvenendo in Iraq".
Berlusconi dice che la dichiarazione di ieri non aveva fini propagandistici.
E comunque lui pensa che a settembre il governo iracheno disporrà delle necessarie forze di sicurezza.
E comunque con Blair ne avevano discusso, di exit plan.
E comunque lui non ha mai parlato di date, aveva solo espresso un auspicio. Se non si può non si può, la decisione dev'essere concordata con gli alleati. Sono i giornalisti, che sono bravi a montare castelli in aria.
E le forze di sicurezza irachene, quelle che entro settembre dovrebbero essere in grado di garantire il mantenimento dell'ordine, e che motivano l'ottimismo di Berlusconi? La notizia di ieri era che il Pentagono (che parlava di 142.472 uomini addestrati ed equipaggiati) è stato smentito dal Government Accountability Office, ente di vigilanza del Congresso: quei dati sono inaffidabili, non c'è chiarezza neanche sui fondi federali stanziati per l'addestramento degli iracheni, e poi il tasso di assenteismo tra le truppe è altissimo (si parla di decine di migliaia di uomini). Reazione di un alto ufficiale statunitense: quelle assenze ingiustificate sono "una faccenda culturale".
Ah, beh.
* potete immaginarvi la versione di Nina Simone, di Joe Cocker, di Cindy Lauper. Io Berlusconi me lo vedo di più in quella flamenco-disco dei Santa Esmeralda, anno 1977. Al posto di Leroy Gomez, me lo vedo.
Some little thing
Some simple thing I've done
I'm just a soul whose intentions are good
Oh Lord, please don't let me be misunderstood
Don't let me be misunderstood (Benjamin, Marcus, Caldwell)*
Vediamo se ho capito bene.
Ieri sera a Porta a Porta Berlusconi annuncia il graduale ritiro delle truppe italiane dall'Iraq: "già da settembre cominceremo una progressiva riduzione del numero dei nostri soldati in Iraq". Già che c'è dice che ne ha parlato con Blair "ed è l'opinione pubblica dei nostri paesi che si aspetta questa decisione". Certo, "dipenderà dalla capacità del governo iracheno di dotarsi di strutture di sicurezza accettabili".
Condoleeza Rice oggi minimizza: "qualsiasi decisione sarà pienamente coordinata in modo da non mettere in rischio la missione".
E Blair smentisce Berlusconi: "Né noi né l'Italia abbiamo fissato la data di inizio del ritiro dall'Iraq. Resteremo lì fino a quando il lavoro non sarà finito".
In un intervento che uscirà sul Foglio di domani Berlusconi dice: "dopo le elezioni del 30 gennaio, mentre si consolida il percorso costituzionale individuato dal governo ad interim e sostenuto dalla coalizione, si può cominciare a parlare di 'missione compiuta' senza escludere per il futuro nuovi, seri, solidi impegni nel sostegno politico, militare e diplomatico alla nascente democrazia irachena". Aggiunge che è possibile cominciare a discutere con il governo iracheno e gli alleati di "possibilità di graduale ritiro".
Poi telefona Bush. Cioè, Bush telefona per un altro motivo (la presidenza della Banca Mondiale), ma dice che Berlusconi ha sollevato lui il problema della permanenza in Iraq. Berlusconi dice a Bush che non è cambiato nulla, e che il suo era solo un auspicio.
Bush dice che la coalizione non si sta frantumando.
Fini dice che "non c'è motivo nè per esprimere sorprese nè di parlare di chissà quale nuova linea del Governo italiano".
Berlusconi dice che con Blair si sono capiti benissimo, nessun misunderstanding.
Bush dice: "La coalizione in Iraq è stata rafforzata dal coraggio degli iracheni: gli alleati si sono compiaciuti e rincuorati perchè gli iracheni sono andati alle urne e hanno votato e stanno adesso formando un governo. Si vede che ci sono progressi e io condivido il sentimento d'entusiasmo per quanto sta avvenendo in Iraq".
Berlusconi dice che la dichiarazione di ieri non aveva fini propagandistici.
E comunque lui pensa che a settembre il governo iracheno disporrà delle necessarie forze di sicurezza.
E comunque con Blair ne avevano discusso, di exit plan.
E comunque lui non ha mai parlato di date, aveva solo espresso un auspicio. Se non si può non si può, la decisione dev'essere concordata con gli alleati. Sono i giornalisti, che sono bravi a montare castelli in aria.
E le forze di sicurezza irachene, quelle che entro settembre dovrebbero essere in grado di garantire il mantenimento dell'ordine, e che motivano l'ottimismo di Berlusconi? La notizia di ieri era che il Pentagono (che parlava di 142.472 uomini addestrati ed equipaggiati) è stato smentito dal Government Accountability Office, ente di vigilanza del Congresso: quei dati sono inaffidabili, non c'è chiarezza neanche sui fondi federali stanziati per l'addestramento degli iracheni, e poi il tasso di assenteismo tra le truppe è altissimo (si parla di decine di migliaia di uomini). Reazione di un alto ufficiale statunitense: quelle assenze ingiustificate sono "una faccenda culturale".
Ah, beh.
* potete immaginarvi la versione di Nina Simone, di Joe Cocker, di Cindy Lauper. Io Berlusconi me lo vedo di più in quella flamenco-disco dei Santa Esmeralda, anno 1977. Al posto di Leroy Gomez, me lo vedo.
martedì, marzo 15, 2005
Already
"Due to an editing error, The Washington Times incorrectly reported in Saturday's editions the content of a new sex education curriculum in Montgomery County. The county is already using a video that shows students how to fit a condom onto a cucumber."
The Washington Times, "Corrections".
The Washington Times, "Corrections".
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Immaginario da fattoria
"È come dare un calcio al secchio di latte appena munto, ma la Snaidero non deve piangere per averlo versato. A farle coraggio è il coach vincente Cesare Pancotto, che si conferma per i colori arancione una bestia nera e non soltanto «bestia», come apparso sul giornale di lunedì (così come Verginella se la sfanga e non «sella sfanga»: ce ne scusiamo con gl’interessati e con i lettori, ma la fretta del lavoro domenicale tra palasport e redazione è tiranna)".
Dalle pagine sportive del Messaggero Veneto di oggi.
Dalle pagine sportive del Messaggero Veneto di oggi.
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lunedì, marzo 14, 2005
Agenzia Walrus/Quelli che il frico
Veronesi: macché smog, "l'inquinamento atmosferico non è rilevante per i tumori; c'è più cancro in Friuli che a Milano".
Ah, ecco: a noi ci ammazza il frico. Oppure, ma solo qui a G., la ljubljanska di Gianni.
In questo clima proibizionista già mi immagino domeniche tristissime a forchette alterne.
Ah, ecco: a noi ci ammazza il frico. Oppure, ma solo qui a G., la ljubljanska di Gianni.
In questo clima proibizionista già mi immagino domeniche tristissime a forchette alterne.
Nuovo cinema inferno
Un articolo dell'LA Times parla dei film girati dai soldati in Iraq e poi montati su un sottofondo di canzoni preferibilmente heavy-metal ("Die, don't need your resistance. Die, don't need your prayers") e nello stile dei video musicali, da far vedere a parenti, fidanzate e amici a casa. Mica solo moschee, donne in nero e commilitoni in azione: anche cadaveri di iracheni decapitati, mutilati, carbonizzati.
"È un trofeo, qualcosa da avere. C'ero, ho fatto questo", dice il soldato McCullough, 20 anni.
Si sa, ormai i soldati portano spesso con sé in battaglia videocamere e macchine fotografiche digitali. Il risultato è l'abbondanza di immagini e film che hanno per soggetto la morte, la tortura e la mutilazione; film e immagini che spesso i soldati si scambiano "come se si trattasse di figurine".
I comandanti hanno la facoltà di regolamentare l'uso di questi dispositivi, ma poi "si finisce per applicare le regole del buon senso", come ha affermato un portavoce dell'esercito.
Il soldato McCullough era sorpreso che il suo video preferito avesse sconvolto tutti, giù in Texas. "Si scopre quanto sia strano tutto questo quando lo si fa vedere a casa". In effetti, la sua fidanzata (e attuale moglie) era rimasta scioccata dalle immagini di corpi mutilati, di esplosioni e di sparatorie.
Perfino papà McCullough, capitano di marina della riserva, aveva commentato: "Sai, questo non è normale".
Daniel Nelson, professore di psichiatria alla scuola di medicina dell'Università di Cincinnati, dice che filmare l'orrore è un modo per prendere le distanze, per dissociarsi, e un primo passo nel processo di "guarigione".
E Thomas Doherty, direttore del corso di cinematografia alla Brandeis University, si esalta: questi video sono "autentici diari di guerra". Sì, beh, le scene sono cruente, ma il montaggio sincopato, il ritmo incalzante della musica e le immagini guizzanti ne fanno "a very slick piece of work", proprio un bel lavoro. "La generazione MTV va alla guerra", commenta. "Al Sundance, dovrebbero mandarlo".
Secondo il consulente legale dell'Osservatorio sui Diritti Umani tutto questo non può essere neanche definito una violazione della Convenzione di Ginevra. La Convenzione dice che non si devono esporre alla pubblica curiosità resti di persone decedute, mica che non si deve fotografarli o riprenderli.
Ci sono già diversi siti che vendono video "di guerra": efootage.com pubblicizza "combattimenti di militanti per le strade di Baghdad, saccheggi, disordini", Gotfootage.com, offre video da 50 e 100 dollari con vecchi filmati di Saddam Hussein, Jessica Lynch, bombardamenti aerei e "sooooo many bombs", mentre GrouchyMedia.com "is the place to find those pump-you-up-to-kill-the-bad-guys videos everyone has been talking about."
Secondo il sergente Bronkema di Lafayette non c'è niente di strano in tutto questo: "Non c'è più violenza di quanta ce ne sia in Salvate il soldato Ryan. Per noi non è diverso dal guardare un film".
"È un trofeo, qualcosa da avere. C'ero, ho fatto questo", dice il soldato McCullough, 20 anni.
Si sa, ormai i soldati portano spesso con sé in battaglia videocamere e macchine fotografiche digitali. Il risultato è l'abbondanza di immagini e film che hanno per soggetto la morte, la tortura e la mutilazione; film e immagini che spesso i soldati si scambiano "come se si trattasse di figurine".
I comandanti hanno la facoltà di regolamentare l'uso di questi dispositivi, ma poi "si finisce per applicare le regole del buon senso", come ha affermato un portavoce dell'esercito.
Il soldato McCullough era sorpreso che il suo video preferito avesse sconvolto tutti, giù in Texas. "Si scopre quanto sia strano tutto questo quando lo si fa vedere a casa". In effetti, la sua fidanzata (e attuale moglie) era rimasta scioccata dalle immagini di corpi mutilati, di esplosioni e di sparatorie.
Perfino papà McCullough, capitano di marina della riserva, aveva commentato: "Sai, questo non è normale".
Daniel Nelson, professore di psichiatria alla scuola di medicina dell'Università di Cincinnati, dice che filmare l'orrore è un modo per prendere le distanze, per dissociarsi, e un primo passo nel processo di "guarigione".
E Thomas Doherty, direttore del corso di cinematografia alla Brandeis University, si esalta: questi video sono "autentici diari di guerra". Sì, beh, le scene sono cruente, ma il montaggio sincopato, il ritmo incalzante della musica e le immagini guizzanti ne fanno "a very slick piece of work", proprio un bel lavoro. "La generazione MTV va alla guerra", commenta. "Al Sundance, dovrebbero mandarlo".
Secondo il consulente legale dell'Osservatorio sui Diritti Umani tutto questo non può essere neanche definito una violazione della Convenzione di Ginevra. La Convenzione dice che non si devono esporre alla pubblica curiosità resti di persone decedute, mica che non si deve fotografarli o riprenderli.
Ci sono già diversi siti che vendono video "di guerra": efootage.com pubblicizza "combattimenti di militanti per le strade di Baghdad, saccheggi, disordini", Gotfootage.com, offre video da 50 e 100 dollari con vecchi filmati di Saddam Hussein, Jessica Lynch, bombardamenti aerei e "sooooo many bombs", mentre GrouchyMedia.com "is the place to find those pump-you-up-to-kill-the-bad-guys videos everyone has been talking about."
Secondo il sergente Bronkema di Lafayette non c'è niente di strano in tutto questo: "Non c'è più violenza di quanta ce ne sia in Salvate il soldato Ryan. Per noi non è diverso dal guardare un film".
Sequestri atipici e molto politici
Reporter Associati oggi pubblica in esclusiva un'intervista a Domenico Leggero, responsabile del comparto difesa dell'Osservatorio Militare: si parla di Nicola Calipari e della sua ultima missione, della presenza italiana in Iraq, della subordinazione agli Stati Uniti, dei sequestri "atipici", del dubbio che si sia trattato non di un agguato ma di un attacco ben pianificato.
domenica, marzo 13, 2005
Riapparizioni
Ne ha parlato Samizdat qualche giorno fa.
Ieri pomeriggio sono andata a fotografarla.
Forse questa foto rende meglio il contesto.
Ieri pomeriggio sono andata a fotografarla.
Forse questa foto rende meglio il contesto.
sabato, marzo 12, 2005
Targeting Giuliana
Oggi solo un link, ma interessante. In Targeting Giuliana, pubblicato su Counterpunch, Jerry Fresia, ex ufficiale dei servizi segreti dell'aeronatica USA e attualmente residente in Italia, espone alcune considerazioni sui mezzi e le possibilità attuali degli Stati Uniti in fatto di intercettazioni telefoniche e di monitoraggio aereo e satellitare.
L'ex ufficiale definisce "assolutamente ridicola" l'affermazione del generale Casey secondo la quale gli americani non avrebbero conosciuto il percorso della macchina su cui si trovavano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena: perfino con i mezzi a disposizione trent'anni fa avrebbero intercettato tutte le comunicazioni telefoniche tra gli agenti italiani in Iraq e Roma, avrebbero sorvegliato questo traffico in tempo reale e avrebbero saputo dove si trovava l'auto della Sgrena in qualunque momento, che ne fossero stati avvertiti o no dagli italiani.
Così continua l'analisi di Fresia:
“Durante gli anni Settanta il mio compito era quello di controllare le informazioni raccolte nella penisola coreana. Era mia responsabilità riferire serie anomalie alla Casa Bianca attraverso un telefono sicuro. A quel tempo, la fotografia satellitare era ancora agli inizi; e tuttavia ai briefing circolava una battuta: "possiamo identificare una pallina da golf ovunque sulla superficie terrestre, ma non siamo in grado di distinguerne la marca". In aggiunta alla fotografia satellitare, devo supporre che ora si ricorra anche a foto scattate da aerei con e senza pilota regolarmente posizionati su aree chiave, come l'aeroporto di Baghdad, e in grado di fornire immagini in tempo reale del traffico su strada".
Soprattutto, secondo l'ex ufficiale, a partire dal 1974 gli Stati Uniti sono stati in grado di intercettare tutte le conversazioni telefoniche, e quindi:
"Mi sembra inconcepibile che gli Stati Uniti non stessero monitorando tutte le conversazioni tra gli agenti italiani e Roma, in particolare le conversazioni via cellulare in un ambiente ostile in cui le comunicazioni attraverso il telefono cellulare vengono usate per innescare esplosivi. Dobbiamo credere che in un'aerea vicina all'aeroporto, un'area che secondo gli USA è intensamente ostile, gli americani non stessero monitorando tutti i segnali dei cellulari? Anche se queste conversazioni erano elettronicamente criptate, la posizione di tali segnali avrebbe avuto un valore enorme dal punto di vista dell'intelligence”.
Dunque, secondo Fresia, si pongono le domande sbagliate: ciò che bisogna chiedersi è "quali comunicazioni siano intercorse tra il comando statunitense e coloro che hanno sparato al veicolo di Giuliana Sgrena".
Ma Fresia si spinge più in là, affermando che un motivo per impedire a Giuliana Sgrena di raccontare la propria storia è ben evidente:
"Ricordiamo che il primo obiettivo del secondo attacco a Fallujah fu l'al-Fallujah General Hospital. Perché fu la notizia dell'enorme numero di vittime civili fornita dall'ospedale a costringere gli Stati Uniti a fermare l'attacco. In altre parole, il controllo delle informazioni provenienti da Fallujah sulle conseguenze dell'attacco statunitense, soprattutto per quanto concerne i civili, è diventato un elemento critico nelle azioni militari.
In un rapporto del ministero della salute iracheno apprendiamo che gli Stati Uniti usarono gas mostarda, nervino e napalm - alla maniera di Saddam - contro la popolazione civile di Fallujah. La stessa Sgrena ha fornito le prove fotografiche dell'uso di bombe a grappolo e del ferimento di bambini. Ho cercato invano di trovare queste notizie nei principali mezzi d'informazione corporativi. La maggior parte della popolazione americana ignora quello che le proprie truppe fanno in suo nome, e deve continuare a ignorarlo perché gli Stati Uniti continuino a fare la guerra al popolo iracheno.
L'informazione, che sia basata sull’intelligence o su quello che riferiscono alcuni giornalisti coraggiosi, può costituire l'arma più importante della guerra in Iraq. Da questo punto di vista, la macchina su cui viaggiavano Nicola e Giuliana non era semplicemente un veicolo che portava un ostaggio verso la libertà. È del tutto ragionevole supporre, data l'immoralità della guerra e di questa guerra in particolare, che quella macchina fosse considerata un obiettivo militare”.
L'ex ufficiale definisce "assolutamente ridicola" l'affermazione del generale Casey secondo la quale gli americani non avrebbero conosciuto il percorso della macchina su cui si trovavano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena: perfino con i mezzi a disposizione trent'anni fa avrebbero intercettato tutte le comunicazioni telefoniche tra gli agenti italiani in Iraq e Roma, avrebbero sorvegliato questo traffico in tempo reale e avrebbero saputo dove si trovava l'auto della Sgrena in qualunque momento, che ne fossero stati avvertiti o no dagli italiani.
Così continua l'analisi di Fresia:
“Durante gli anni Settanta il mio compito era quello di controllare le informazioni raccolte nella penisola coreana. Era mia responsabilità riferire serie anomalie alla Casa Bianca attraverso un telefono sicuro. A quel tempo, la fotografia satellitare era ancora agli inizi; e tuttavia ai briefing circolava una battuta: "possiamo identificare una pallina da golf ovunque sulla superficie terrestre, ma non siamo in grado di distinguerne la marca". In aggiunta alla fotografia satellitare, devo supporre che ora si ricorra anche a foto scattate da aerei con e senza pilota regolarmente posizionati su aree chiave, come l'aeroporto di Baghdad, e in grado di fornire immagini in tempo reale del traffico su strada".
Soprattutto, secondo l'ex ufficiale, a partire dal 1974 gli Stati Uniti sono stati in grado di intercettare tutte le conversazioni telefoniche, e quindi:
"Mi sembra inconcepibile che gli Stati Uniti non stessero monitorando tutte le conversazioni tra gli agenti italiani e Roma, in particolare le conversazioni via cellulare in un ambiente ostile in cui le comunicazioni attraverso il telefono cellulare vengono usate per innescare esplosivi. Dobbiamo credere che in un'aerea vicina all'aeroporto, un'area che secondo gli USA è intensamente ostile, gli americani non stessero monitorando tutti i segnali dei cellulari? Anche se queste conversazioni erano elettronicamente criptate, la posizione di tali segnali avrebbe avuto un valore enorme dal punto di vista dell'intelligence”.
Dunque, secondo Fresia, si pongono le domande sbagliate: ciò che bisogna chiedersi è "quali comunicazioni siano intercorse tra il comando statunitense e coloro che hanno sparato al veicolo di Giuliana Sgrena".
Ma Fresia si spinge più in là, affermando che un motivo per impedire a Giuliana Sgrena di raccontare la propria storia è ben evidente:
"Ricordiamo che il primo obiettivo del secondo attacco a Fallujah fu l'al-Fallujah General Hospital. Perché fu la notizia dell'enorme numero di vittime civili fornita dall'ospedale a costringere gli Stati Uniti a fermare l'attacco. In altre parole, il controllo delle informazioni provenienti da Fallujah sulle conseguenze dell'attacco statunitense, soprattutto per quanto concerne i civili, è diventato un elemento critico nelle azioni militari.
In un rapporto del ministero della salute iracheno apprendiamo che gli Stati Uniti usarono gas mostarda, nervino e napalm - alla maniera di Saddam - contro la popolazione civile di Fallujah. La stessa Sgrena ha fornito le prove fotografiche dell'uso di bombe a grappolo e del ferimento di bambini. Ho cercato invano di trovare queste notizie nei principali mezzi d'informazione corporativi. La maggior parte della popolazione americana ignora quello che le proprie truppe fanno in suo nome, e deve continuare a ignorarlo perché gli Stati Uniti continuino a fare la guerra al popolo iracheno.
L'informazione, che sia basata sull’intelligence o su quello che riferiscono alcuni giornalisti coraggiosi, può costituire l'arma più importante della guerra in Iraq. Da questo punto di vista, la macchina su cui viaggiavano Nicola e Giuliana non era semplicemente un veicolo che portava un ostaggio verso la libertà. È del tutto ragionevole supporre, data l'immoralità della guerra e di questa guerra in particolare, che quella macchina fosse considerata un obiettivo militare”.
venerdì, marzo 11, 2005
Accortezza
"Credo che la Sgrena dovrebbe, magari, essere piu' accorta. Ha detto un cumulo di sciocchezze, parla da poco accorta, si è mossa da poco accorta, ha creato enormi problemi al governo e ha creato anche dei lutti che forse era meglio evitare".
Roberto Castelli, oggi.
Roberto Castelli, oggi.
I soliti giornalisti
Insomma, l'ostaggio è nelle nostre mani da più di un mese, e questi se ne accorgono solo adesso. Io mi aspettavo almeno una telefonata della pupattola bionda, per questo povero cristo.
Sta' a vedere che adesso dobbiamo pagare per restituirlo.
Idee?
Sta' a vedere che adesso dobbiamo pagare per restituirlo.
Idee?
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mercoledì, marzo 09, 2005
La ferita dell'Iraq
Ogni guerra ha una ferita caratteristica, non solo metaforica, una vera e propria firma clinica: i danni ai polmoni causati dai gas durante la prima guerra mondiale, i tumori da radiazioni nucleari durante la seconda, le lesioni alla pelle causate dall'utilizzo dell'Agente Arancio in Vietnam, la Sindrome della Guerra del Golfo. Per i soldati americani anche la guerra in Iraq ha la sua signature wound: si chiama TBI, brain damage injury, che potremmo tradurre come neurotrauma e che è provocata principalmente da violente esplosioni. I soldati sono sufficientemente corazzati e protetti per sopravvivere a impatti di violenza mortale, ma sviluppano traumi cerebrali a volte molto gravi. Al Walter Reed Army Medical Center di Washington hanno sottoposto a controlli tutti i militari che erano sopravvissuti a esplosioni e forti impatti, e hanno scoperto che circa il 60% soffriva di TBI. Per la maggioranza si trattava di giovani intorno ai vent'anni.
Dal gennaio 2003 al gennaio 2004 sono stati diagnosticati 437 casi di TBI tra i soldati ricoverati. Poco più della metà riportavano danni cerebrali permanenti; tali cifre sono state definite preoccupanti dal dottor Warren Lux, neurologo dell'ospedale di Washington.
Questo trauma parla del tipo di guerra combattuta in Iraq: non deriva da sostanze chimiche o radioattive; il corpo superprotetto sopravvive all'impatto, ma il cervello è scosso violentemente all'interno del cranio e il tessuto cerebrale subisce delle lesioni.
È la ferita distintiva dei soldati americani in Iraq: la malattia dei sopravvissuti, dei nati due volte, di quelli che in guerre passate sarebbero morti subito, la malattia che non toccherà al loro nemico.
Dal gennaio 2003 al gennaio 2004 sono stati diagnosticati 437 casi di TBI tra i soldati ricoverati. Poco più della metà riportavano danni cerebrali permanenti; tali cifre sono state definite preoccupanti dal dottor Warren Lux, neurologo dell'ospedale di Washington.
Questo trauma parla del tipo di guerra combattuta in Iraq: non deriva da sostanze chimiche o radioattive; il corpo superprotetto sopravvive all'impatto, ma il cervello è scosso violentemente all'interno del cranio e il tessuto cerebrale subisce delle lesioni.
È la ferita distintiva dei soldati americani in Iraq: la malattia dei sopravvissuti, dei nati due volte, di quelli che in guerre passate sarebbero morti subito, la malattia che non toccherà al loro nemico.
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martedì, marzo 08, 2005
Immaginare l'orrore
Scrive oggi il Guardian che alcuni soldati della 3ª Brigata di Fanteria (le cui truppe hanno sparato alla macchina sulla quale si trovava Giuliana Sgrena) sono stati indagati per aver violentato delle donne irachene durante un turno di guardia in un distretto commerciale. "So solo che erano irachene. Non so se sono state stuprate, o se fossero prostitute, o se semplicemente volessero avere rapporti sessuali", ha dichiarato un soldato. Le donne non sono state consultate, l'inchiesta è stata chiusa sbrigativamente per mancanza di prove.
I documenti relativi all'indagine sono nelle mani dell'American Civil Liberties Union, che rende disponibili sul proprio sito alcuni file. Questi documenti, ottenuti dopo una lunga battaglia legale con il Pentagono, rivelano che sono state aperte indagini per 13 casi di abuso, senza che alcun soldato abbia subito provvedimenti disciplinari di alcun tipo. Rivelano inoltre che le truppe statunitensi dopo lo scandalo di Abu Ghraib hanno avuto l'accortezza di distruggere le prove di queste violenze: il caso più recente è la distruzione del dvd che i soldati chiamano "Ramadi Madness", e nel quale membri della Guardia Nazionale della Florida compiono violenze e abusi su detenuti vivi e morti. Almeno uno dei responsabili - un sergente - è stato individuato, ma non è stato incriminato perché il video mostrava un comportamento "inappropriato, ma non criminale".
I documenti ottenuti dall'American Civil Liberties Union in base al Freedom of Information Act sono consultabili a questo indirizzo, e contengono anche numerose descrizioni di sparatorie contro civili ai posti di blocco.
Alcuni episodi di "Ramadi Madness" sono qui, privati delle parti sanguinose e dell'audio: si vedono soldati in missione, accanto a prigionieri legati e denudati, mentre scoprono depositi di munizioni, nutrono un gattino di pochi mesi, esibiscono con orgoglio le proprie armi, mettono in posa un cadavere davanti all'obiettivo.
Ieri Under the Same Sun, a proposito di "Ramadi Madness", commentava: "immaginate se avessimo trovato la fotografia di un soldato americano morto che fa ciao all'obiettivo. Immaginate se un religioso islamico o un ufficiale iracheno ci avessero detto che è 'inappropriato', ma non abbastanza da essere punibile. Immaginate l'orrore".
"The one who got reported": la vignetta di Steve Bell sul Guardian di oggi.
I documenti relativi all'indagine sono nelle mani dell'American Civil Liberties Union, che rende disponibili sul proprio sito alcuni file. Questi documenti, ottenuti dopo una lunga battaglia legale con il Pentagono, rivelano che sono state aperte indagini per 13 casi di abuso, senza che alcun soldato abbia subito provvedimenti disciplinari di alcun tipo. Rivelano inoltre che le truppe statunitensi dopo lo scandalo di Abu Ghraib hanno avuto l'accortezza di distruggere le prove di queste violenze: il caso più recente è la distruzione del dvd che i soldati chiamano "Ramadi Madness", e nel quale membri della Guardia Nazionale della Florida compiono violenze e abusi su detenuti vivi e morti. Almeno uno dei responsabili - un sergente - è stato individuato, ma non è stato incriminato perché il video mostrava un comportamento "inappropriato, ma non criminale".
I documenti ottenuti dall'American Civil Liberties Union in base al Freedom of Information Act sono consultabili a questo indirizzo, e contengono anche numerose descrizioni di sparatorie contro civili ai posti di blocco.
Alcuni episodi di "Ramadi Madness" sono qui, privati delle parti sanguinose e dell'audio: si vedono soldati in missione, accanto a prigionieri legati e denudati, mentre scoprono depositi di munizioni, nutrono un gattino di pochi mesi, esibiscono con orgoglio le proprie armi, mettono in posa un cadavere davanti all'obiettivo.
Ieri Under the Same Sun, a proposito di "Ramadi Madness", commentava: "immaginate se avessimo trovato la fotografia di un soldato americano morto che fa ciao all'obiettivo. Immaginate se un religioso islamico o un ufficiale iracheno ci avessero detto che è 'inappropriato', ma non abbastanza da essere punibile. Immaginate l'orrore".
"The one who got reported": la vignetta di Steve Bell sul Guardian di oggi.
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lunedì, marzo 07, 2005
Not welcome
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Qui Cinquantunesimo Stato
A me ieri sera ha fatto uno strano effetto vedere Gabriele Polo ospite con Scolari dello Speciale Tg1 in onda dopo le 23.00. Non tanto per il programma, o il canale (nel pomeriggio c'era stata la telefonata di Mara Venier a Giuliana Sgrena durante la diretta di Domenica In da Sanremo, e qui avevamo già toccato il sublime).
No, è che io pensavo che personaggi come Teodori e Iacchia - mai visti in natura, ma solo in vitro e per di più a Porta a Porta - fossero emanazioni ologrammatiche di Bruno Vespa: "lo studioso americanista" e l'"esperto di questioni militari", mica due persone reali. Non ho mai preso in considerazione la possibilità che potessero esistere veramente e non essere prodotto di una sessione di lavoro particolarmente appagante dell'Industrial Light & Magic.
Invece poi ho visto il direttore del Manifesto replicare pacatamente a un'affermazione di Iacchia, e Scolari mandare a quel paese Teodori: quindi essi vivono, e non comunicano solo con pari-ologramma.
Anche se, va detto, l'interazione era comunque ridotta al minimo: Polo e Scolari avevano gli sguardi obliqui e imbarazzati di due che hanno a che fare con un cromakey, la gestualità imprecisa dei meteorologi durante le previsioni del tempo. Per farla breve, i dubbi restano.
No, è che io pensavo che personaggi come Teodori e Iacchia - mai visti in natura, ma solo in vitro e per di più a Porta a Porta - fossero emanazioni ologrammatiche di Bruno Vespa: "lo studioso americanista" e l'"esperto di questioni militari", mica due persone reali. Non ho mai preso in considerazione la possibilità che potessero esistere veramente e non essere prodotto di una sessione di lavoro particolarmente appagante dell'Industrial Light & Magic.
Invece poi ho visto il direttore del Manifesto replicare pacatamente a un'affermazione di Iacchia, e Scolari mandare a quel paese Teodori: quindi essi vivono, e non comunicano solo con pari-ologramma.
Anche se, va detto, l'interazione era comunque ridotta al minimo: Polo e Scolari avevano gli sguardi obliqui e imbarazzati di due che hanno a che fare con un cromakey, la gestualità imprecisa dei meteorologi durante le previsioni del tempo. Per farla breve, i dubbi restano.
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lunedì, febbraio 28, 2005
Ready when you are, Mr. De Mille!
Si racconta che Cecil B. De Mille stesse girando la scena di una battaglia con migliaia di comparse e di animali, una scena che probabilmente sarebbe finita con la distruzione del set. In quel caso doveva essere per forza "buona la prima". Così De Mille pensò di andare sul sicuro mettendo al lavoro ben quattro cameramen. Quando l'azione si concluse e il set era completamente distrutto domandò a ciascun operatore se la ripresa fosse andata bene. "Eh, mi sa di no", disse il primo, "mi si è incastrata la pellicola", "Macché", disse il secondo, "c'era un capello sull'obiettivo". "Niente da fare", fece il terzo, "c'era il riflesso del sole sulla lente". Disperato, De Mille si rivolse all'ultimo operatore, che disse tutto allegro: "Io sono pronto quando è pronto lei, signor De Mille!".
C'è chi decide di nascere con venti giorni d'anticipo per non perdersi la notte degli Oscar.
Michele è arrivato poco prima della mezzanotte, e al suo papà non funzionava la videocamera appena comprata da Mediaworld per l'occasione.
Ancora non sa, Michele, che lo chiamiamo già "il nostro million dollar baby".
Ancora non sa, il papà di Michele, che ormai lo chiamiamo Mr. De Mille.
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dobraroba
sabato, febbraio 26, 2005
Due cose
Due cose.
Quando gli Stati Uniti vogliono esportare democrazia io mi preoccupo, però potrebbe benissimo trattarsi di un problema mio.
Sono attratta dall'Iran e prima o poi mi piacerebbe visitarlo, magari come turista e non come scudo umano. Mi interessa la sua cultura, il suo popolo, e se negli ultimi venticinque anni ho simpatizzato due o tre volte* per la repubblica islamica avevo le mie buone ragioni.
Detto questo, io lo so che i weblogger iraniani si trovano in difficoltà; di certo se ne parla tanto, recentemente, e forse in modo strumentale, ma questo non rende il problema meno reale e meno grave.
Quindi questi sono miei appunti personali, piccoli cambiamenti di prospettiva.
Sul blog di Another Irani Online ho scoperto alcune cose interessanti. In Iran ci sono due radio finanziate dagli Stati Uniti: Radio Sawa, in lingua araba, e Radio Farda, in lingua persiana. L'Iran Democracy Act - e io qui comincio seriamente a preoccuparmi, per il famoso mio problema - parla esplicitamente del ruolo di Radio Farda, mentre un articolo del Washington Post commenta l'insuccesso di Radio Sawa nel promuovere sentimenti filoamericani (copio e incollo perché ci vuole l'iscrizione, e anche se è gratuita io non voglio abbonare tutti e cinque i miei resistenti lettori al Post: "Radio Sawa, an Arab-language pop music and news station funded by the U.S. government and touted by the Bush administration as a success in reaching out to the Arab world, has failed to meet its mandate of promoting democracy and pro-American attitudes, according to a draft report prepared by the State Department's inspector general. The report credited Radio Sawa with attracting a large audience in key Middle East countries but said the station, which has an annual budget of $22 million, has been so preoccupied with building an audience through its music that it has failed to adequately measure whether it is influencing minds").
Si può obiettare sul fatto che la promozione degli ideali democratici come li intendono gli Stati Uniti debba per forza passare per la musica pop, ma non meravigliarsene.
Quindi lo so cosa state pensando: anche stavolta la Mira ha passato il sabato pomeriggio a scoprire l'acqua calda.
Ma magari anche no.
Radio Farda, dice Another Irani Online, questa settimana dedica un programma di "approfondimento" al problema della libertà dei blogger iraniani.
Ma è stata proprio Radio Farda a mettere nei guai Arash - il weblogger condannato a 14 anni di carcere per aver criticato il governo -, rivelando la sua vera identità durante un'intervista. È lo stesso Arash a dichiararlo, in una lettera citata (e tradotta) da Another Irani Online: "I was doing the interview with a pen name and then suddenly they would announce that were doing an interview with Arash Cigarchi. Believe me I placed no hope in them [Radio Farda] and I still dont... I don't expect anything from radio stations but it might not be a bad idea if a movement developed that familiarized them with their responsibilities to those of us who face a thousand dangers in Iran".
Insomma, conclude Another Irani Online, promuovendo con tanto zelo la democrazia e la libertà questi "benefattori" finiscono per mettere in pericolo proprio quelli che sarebbero in grado di portare un vero cambiamento nella loro società.
Questi sono i giovani iraniani: dategli una playlist come si deve e un po' d'informazione trasparente e aspettatevi anche di essere criticati.
*diciamo cinque, c'era Reagan.
Quando gli Stati Uniti vogliono esportare democrazia io mi preoccupo, però potrebbe benissimo trattarsi di un problema mio.
Sono attratta dall'Iran e prima o poi mi piacerebbe visitarlo, magari come turista e non come scudo umano. Mi interessa la sua cultura, il suo popolo, e se negli ultimi venticinque anni ho simpatizzato due o tre volte* per la repubblica islamica avevo le mie buone ragioni.
Detto questo, io lo so che i weblogger iraniani si trovano in difficoltà; di certo se ne parla tanto, recentemente, e forse in modo strumentale, ma questo non rende il problema meno reale e meno grave.
Quindi questi sono miei appunti personali, piccoli cambiamenti di prospettiva.
Sul blog di Another Irani Online ho scoperto alcune cose interessanti. In Iran ci sono due radio finanziate dagli Stati Uniti: Radio Sawa, in lingua araba, e Radio Farda, in lingua persiana. L'Iran Democracy Act - e io qui comincio seriamente a preoccuparmi, per il famoso mio problema - parla esplicitamente del ruolo di Radio Farda, mentre un articolo del Washington Post commenta l'insuccesso di Radio Sawa nel promuovere sentimenti filoamericani (copio e incollo perché ci vuole l'iscrizione, e anche se è gratuita io non voglio abbonare tutti e cinque i miei resistenti lettori al Post: "Radio Sawa, an Arab-language pop music and news station funded by the U.S. government and touted by the Bush administration as a success in reaching out to the Arab world, has failed to meet its mandate of promoting democracy and pro-American attitudes, according to a draft report prepared by the State Department's inspector general. The report credited Radio Sawa with attracting a large audience in key Middle East countries but said the station, which has an annual budget of $22 million, has been so preoccupied with building an audience through its music that it has failed to adequately measure whether it is influencing minds").
Si può obiettare sul fatto che la promozione degli ideali democratici come li intendono gli Stati Uniti debba per forza passare per la musica pop, ma non meravigliarsene.
Quindi lo so cosa state pensando: anche stavolta la Mira ha passato il sabato pomeriggio a scoprire l'acqua calda.
Ma magari anche no.
Radio Farda, dice Another Irani Online, questa settimana dedica un programma di "approfondimento" al problema della libertà dei blogger iraniani.
Ma è stata proprio Radio Farda a mettere nei guai Arash - il weblogger condannato a 14 anni di carcere per aver criticato il governo -, rivelando la sua vera identità durante un'intervista. È lo stesso Arash a dichiararlo, in una lettera citata (e tradotta) da Another Irani Online: "I was doing the interview with a pen name and then suddenly they would announce that were doing an interview with Arash Cigarchi. Believe me I placed no hope in them [Radio Farda] and I still dont... I don't expect anything from radio stations but it might not be a bad idea if a movement developed that familiarized them with their responsibilities to those of us who face a thousand dangers in Iran".
Insomma, conclude Another Irani Online, promuovendo con tanto zelo la democrazia e la libertà questi "benefattori" finiscono per mettere in pericolo proprio quelli che sarebbero in grado di portare un vero cambiamento nella loro società.
Questi sono i giovani iraniani: dategli una playlist come si deve e un po' d'informazione trasparente e aspettatevi anche di essere criticati.
*diciamo cinque, c'era Reagan.
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Sempre carne è
"Rufus Wainwright, page 17, Friday Review, yesterday, has recorded a setting of Agnus Dei rather than Angus Dei".
The Guardian, sezione "Corrections" di oggi, grassetto mio.
The Guardian, sezione "Corrections" di oggi, grassetto mio.
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giovedì, febbraio 24, 2005
Allarghiamoci a est
"non in senso bellico", ha però specificato il deputato di AN.
Di certo Menia è uno che non dimentica, e non solo nella Giornata del Ricordo: il 16 febbraio scorso ha presentato un'interrogazione nella quale ha chiesto di verificare la posizione e i diritti dello scrittore e studioso fiumano Giacomo Scotti, vice presidente dell'Unione Italiana, e di partire dalla sua situazione per controllare quante persone con doppia cittadinanza godano di pensioni e tutela sanitaria italiane. Scotti ha una pensione sociale di 500 euro e l'assistenza sanitaria del nostro paese; la doppia residenza e la doppia cittadinanza è consentita alla minoranza italiana da una legge del 1991. Ma queste cose Menia finge di dimenticarsele.
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ohno
Piccoli equivoci
Divertente rettifica del New York Times a proposito di un paio di foto della Reuters: gli sciiti raffigurati non piangevano e si flagellavano a causa dei modesti risultati elettorali – come indicato nelle didascalie – ma nel contesto di un rito religioso (durante l'Ashura, per la precisione).
"The caption on Feb. 14 for a picture by Reuters with the continuation of an article about the Iraqi elections misstated the reason Abdul Aziz al-Hakim, a Shiite cleric, was weeping. He was participating in a mourning ritual as part of Ashura, a holy Shiite festival - not reacting to results showing that his political alliance had won a slim majority of seats. A second caption for a Reuters photo misstated the reason a Shiite was shown flagellating himself in a Baghdad procession. He was taking part in the same mourning ritual, not celebrating the election outcome".
The New York Times, sezione "Corrections".
"The caption on Feb. 14 for a picture by Reuters with the continuation of an article about the Iraqi elections misstated the reason Abdul Aziz al-Hakim, a Shiite cleric, was weeping. He was participating in a mourning ritual as part of Ashura, a holy Shiite festival - not reacting to results showing that his political alliance had won a slim majority of seats. A second caption for a Reuters photo misstated the reason a Shiite was shown flagellating himself in a Baghdad procession. He was taking part in the same mourning ritual, not celebrating the election outcome".
The New York Times, sezione "Corrections".
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mercoledì, febbraio 23, 2005
Il Guardian e Dr. Gonzo
Sembrava strano che Nixon avesse avuto da commentare su Hunter S. Thompson. Ovviamente era il contrario:
"In our G2 cover story about Hunter S Thompson yesterday we mistakenly attributed to Richard Nixon the view that Thompson represented "that dark, venal and incurably violent side of the American character". On the contrary, it was what Thompson said of Nixon".
Sul buon vecchio Guardian, sezione "Corrections".
"In our G2 cover story about Hunter S Thompson yesterday we mistakenly attributed to Richard Nixon the view that Thompson represented "that dark, venal and incurably violent side of the American character". On the contrary, it was what Thompson said of Nixon".
Sul buon vecchio Guardian, sezione "Corrections".
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More bucks for Bucky
William "Bucky" Bush, zio di George W., esercitando il proprio diritto d'opzione ha appena incassato 450.000 dollari in profitti di guerra grazie alla Engineered Support Systems, Inc., che fornisce mezzi corazzati e altro materiale militare alle truppe in Iraq. Zio Bucky è entrato nel consiglio d'amministrazione della compagnia nel 2000, otto mesi prima che il nipote fosse eletto alla Casa Bianca.
"Having a Bush doesn't hurt", ha commentato un pezzo grosso della ESSI.
"Having a Bush doesn't hurt", ha commentato un pezzo grosso della ESSI.
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martedì, febbraio 22, 2005
10.000 Before Donald
Oggi è il Free Motjaba and Arash Day, giorno dedicato ai due blogger iraniani che stanno passando dei guai per aver espresso troppo liberamente le proprie opinioni.
Avranno anche le loro difficoltà (anche se non mi sembrano eccessivamente impegnati ad autocensurarsi, e c'è chi è convinto che in Iran "the revolution will be blogged"), ma è certo che i blog iraniani non mancano di senso dell'umorismo, come si può notare da questa guida illustrata dell'Iran per principianti.
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Iran
lunedì, febbraio 21, 2005
Falce e carota
Pensavamo di essere alla frutta...
e invece siamo appena alla verdura.
e invece siamo appena alla verdura.
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Agenzia Walrus,
Oh no,
The Real Thing
sabato, febbraio 19, 2005
Al Jazeera e le altre
A proposito delle emittenti televisive mediorientali da noi si fa ancora un bel po' di confusione, e non si può dire che i mezzi di informazione italiani contribuiscano a far chiarezza. Da qualche anno mi piacerebbe capirci qualcosa di più, e di meno mediato: che Al Jazeera sia guardata con una certa diffidenza nel mondo arabo è un'informazione che sta cominciando a filtrare anche da noi, e che la concorrente Al Arabyya sia proprietà della famiglia reale saudita - con tutte le conseguenze del caso - è risaputo, ma le altre emittenti?
In risposta al semplicistico (perfino per me, semplicistico) articolo di Hassan Fattah sulle televisioni satellitari arabe apparso sul New York Times dieci giorni fa, Angry Arab (cioè As'ad AbuKhalil) dà la sua versione, in un post interessante e molto dettagliato.
Insomma, io sono il tipo che quando entra per la prima volta nella sua stanza d'albergo in un paese straniero la seconda cosa che fa è appoggiare la valigia.
La prima, è accendere la tv.
In risposta al semplicistico (perfino per me, semplicistico) articolo di Hassan Fattah sulle televisioni satellitari arabe apparso sul New York Times dieci giorni fa, Angry Arab (cioè As'ad AbuKhalil) dà la sua versione, in un post interessante e molto dettagliato.
Insomma, io sono il tipo che quando entra per la prima volta nella sua stanza d'albergo in un paese straniero la seconda cosa che fa è appoggiare la valigia.
La prima, è accendere la tv.
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mercoledì, febbraio 16, 2005
Cosa vuole questo da me
Tu, che sei capitato su questo blog cercando su Google "una linea bianca verticale sul monitor": probabilmente son cazzi, contatta un tecnico.
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martedì, febbraio 15, 2005
Srce v breznu
Questa sera TV Slovenija 1 trasmetterà la prima puntata de Il cuore nel pozzo.
Ieri sera, invece, è andato in onda il documentario Fascist Legacy, di Ken Kirby: il programma sui crimini di guerra italiani in Etiopia e in Jugoslavia che la Rai ha acquistato ma mai trasmesso.
(Il documentario è stato prodotto dalla BBC nel 1989 e viene proiettato in sale e sedi di partito italiani da qualche anno.)
Ieri sera, invece, è andato in onda il documentario Fascist Legacy, di Ken Kirby: il programma sui crimini di guerra italiani in Etiopia e in Jugoslavia che la Rai ha acquistato ma mai trasmesso.
(Il documentario è stato prodotto dalla BBC nel 1989 e viene proiettato in sale e sedi di partito italiani da qualche anno.)
lunedì, febbraio 14, 2005
Parole sante
"In queste occasioni bisogna essere cinici e cattivi.
E a noi questa cinicità e questa cattiveria ci manca".
Valerio Bertotto dell'Udinese dopo la partita di ieri con la Juventus.
E a noi questa cinicità e questa cattiveria ci manca".
Valerio Bertotto dell'Udinese dopo la partita di ieri con la Juventus.
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La vendetta degli gnomi
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Oh no,
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John John
The former prime minister we unintentionally and mistakenly called John John should, of course, have been John Major (Parties trade accusations of dirty tricks, page 10, February 7).
The Guardian, sezione "Corrections", oggi.
The Guardian, sezione "Corrections", oggi.
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sabato, febbraio 12, 2005
Rileggere la propria storia/ancora a proposito delle foibe
"Ma che cosa sa tuttora la maggioranza degli italiani sulla politica di sopraffazione del fascismo nei confronti delle minoranze slovena e croata [...] addirittura da prima dell'avvento al potere; della brutale snazionalizzazione [...] come parte di un progetto di distruzione dell'identità nazionale e culturale delle minoranze e della distruzione della loro memoria storica? I paladini del nuovo patriottismo fondato sul vittimismo delle foibe farebbero bene a rileggersi i fieri propositi dei loro padri tutelari, quelli che parlavano della superiorità della civiltà e della razza italica, che vedevano un nemico e un complottardo in ogni straniero, che volevano impedire lo sviluppo dei porti jugoslavi per conservare all'Italia il monopolio strategico ed economico dell'Adriatico. Che cosa sanno dell'occupazione e dello smembramento della Jugoslavia e della sciagurata annessione della provincia di Lubiana al regno d'Italia, con il seguito di rappresaglie e repressioni che poco hanno da invidiare ai crimini nazisti? Che cosa sanno degli ultranazionalisti italiani che nel loro odio antislavo fecero causa comune con i nazisti insediati nel Litorale adriatico, sullo sfondo della Risiera di S. Sabba e degli impiccati di via Ghega?
Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria. Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare capire l'origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato, unilaterale".
Enzo Collotti, su Il Manifesto.
Ecco che cosa significa parlare delle foibe: chiamare in causa il complesso di situazioni cumulatesi nell'arco di un ventennio con l'esasperazione di violenza e di lacerazioni politiche, militari, sociali concentratesi in particolare nei cinque anni della fase più acuta della seconda guerra mondiale. È qui che nascono le radici dell'odio, delle foibe, dell'esodo dall'Istria. Nella storia non vi sono scorciatoie per amputare frammenti di verità, mezze verità, estraendole da un complesso di eventi in cui si intrecciano le ragioni e le sofferenze di molti soggetti. Al singolo, vittima di eventi più grandi di lui, può anche non importare capire l'origine delle sue disgrazie; ma chi fa responsabilmente il mestiere di politico o anche più modestamente quello dell'educatore deve avere la consapevolezza dei messaggi che trasmette, deve sapere che cosa significa trasmettere un messaggio dimezzato, unilaterale".
Enzo Collotti, su Il Manifesto.
giovedì, febbraio 10, 2005
5 cent/La piccola posta di Miro Van Pelt
C'è questo carissimo amico, D., che attraversa una fase di grandi cambiamenti e ora – tra le altre cose – ha l'idea di avviare una piccola casa editrice.
Poi ci sono io, che per noia o sbadataggine ho l'abitudine di apparire nei sogni altrui comunicando messaggi sibillini e strampalati.
Insomma, immaginate di starvene in fase REM, con i vostri bei movimenti oculari rapidi rapidi, il corpo assolutamente immobile e tutto il resto e – ta-daaa – mi presento io. Non è una bella esperienza, ed è quello che è successo a D.
Non è neanche il massimo avere un io metafisico che se ne va a spasso senza guinzaglio, se volete saperla tutta. Che è quello che spesso succede a me.
Ecco la lettera di D.
La mia interpretazione (commento di D.: "In certi punti non so se mi stai più sul Zolla o più sull'Hillmann", e va' a sapere se è complimento o perfidia) arriva fino a un certo punto, e riguarda i due verbi, ma il senso del gesto mi è oscuro.
Chiedo aiuto.
E no, non porto i numeri del lotto.
"Cara Miro,
ti so molto impegnata per chiederti di prestare attenzione a quanto segue, ma dal momento che tu ne sei la causa, devi rassegnarti e concedermi 5 minuti...
Ieri mattina ti ho sognata. Del sogno mi rimane solo la parte finale, in cui tu sei più una figura metafisica che la Miro in carne ed ossa, ed il messaggio con cui ti congedi lo è ancora di più, tanto che rimbalzo a te un tentativo di spiegazione, o di interpretazione. Vedo la tua "immagine", quasi l'apparizione di te stessa che mi dice che, per far andare le cose in modo semplice, ci vogliono "skip" (ma io vedo la parola scritta come schip) e "shift", e me lo spieghi tracciando con le mani una linea spezzata che sembra un cappello a cilindro. Lo fai come se prendessi la linea dall'esterno delle falde, con pollice ed indice, salendo in verticale e congiungendo le dita in cima. Oggi pensavo che è una specie di Omega, non trovi? In ogni caso la "ricetta" ha a che fare con il mare, o con il navigare, in maniera simbolica, evidentemente. Qui ci vuole il tuo inglese, mia cara, perché, se tanto mi dà tanto, una sana traduzione, eclettica e intuitiva come potrebbe essere la tua, di certo potrebbe scatenare, che ne so, il nome di una casa editrice?"
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mercoledì, febbraio 09, 2005
Agenzia Walrus/L'evilometro
La scala della depravazione classifica l'orrore di un atto in base alla somma dei suoi particolari più macabri. Che delusione, pensavo fossero riusciti a quantificare il buon vecchio Satana.
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martedì, febbraio 08, 2005
Cronache della città di G./Anonymous
Anonymous 1: "Ma come mai tanti sloveni guardano la tv italiana se fa tanto schifo???"
Anonymous 2: "Le veline sono ok".
Da una discussione tra un italiano e uno sloveno a proposito delle foibe, su un forum goriziano.
Anonymous 2: "Le veline sono ok".
Da una discussione tra un italiano e uno sloveno a proposito delle foibe, su un forum goriziano.
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Qui c'era un post
Qui c'era un post in cui partendo da una critica dello sceneggiato televisivo Un cuore nel pozzo si tentava di affrontare il tema delle foibe citando testi e fonti normalmente e legalmente accessibili (gli studi di Claudia Cernigoj e Giacomo Scotti tra gli altri) e una riflessione sulla strategia del non ricordo pubblicata da un altro blog. Si trattava dunque di una raccolta di giudizi, nella speranza di avviare un dialogo sgradevolissimo, doloroso ma costruttivo.
Il signore che ha ripetutamente espresso nei commenti le sue considerazioni senza tener conto delle fondamentali regole sulla libertà di espressione (né rendersi conto che di attenta raccolta di fonti si trattava, e dunque attribuendo all'autore le malefatte della galassia, IX Corpus compreso) ottiene pertanto ciò che desiderava.
Lo ottiene attraverso le minacce.
Pazienza, questo è solo un blog.
Gli si augura di riuscire a ottenere – con gli stessi mezzi – l'eliminazione delle opere citate (presenti in biblioteche, librerie, negli archivi di quotidiani, in rete) e anche di alcuni dati d'archivio.
Credo che non ci riuscirà.
Ciao a tutti.
Il signore che ha ripetutamente espresso nei commenti le sue considerazioni senza tener conto delle fondamentali regole sulla libertà di espressione (né rendersi conto che di attenta raccolta di fonti si trattava, e dunque attribuendo all'autore le malefatte della galassia, IX Corpus compreso) ottiene pertanto ciò che desiderava.
Lo ottiene attraverso le minacce.
Pazienza, questo è solo un blog.
Gli si augura di riuscire a ottenere – con gli stessi mezzi – l'eliminazione delle opere citate (presenti in biblioteche, librerie, negli archivi di quotidiani, in rete) e anche di alcuni dati d'archivio.
Credo che non ci riuscirà.
Ciao a tutti.
lunedì, febbraio 07, 2005
Mamelli
"The Pope is in Rome's Gemelli hospital, not the Mamelli (The Pope has flu but God is not on holiday, page 26, February 4)".
The Guardian, sezione "Corrections".
The Guardian, sezione "Corrections".
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corrections
No teletrasporto?
Oggi, alle ore 17, al Circolo della Stampa
in Corso Italia 13 a Trieste
Si parlerà del libro
Operazione Foibe
Tra storia e mito
di Claudia Cernigoi
Kappa Vu Edizioni
Interverranno insieme all'autrice:
Giorgio Marzi (presidente ANPI di Trieste)
Sandi Volk (storico)
Fabio Amodeo (giornalista)
Alessandra Kersevan (editrice)
Ho il sospetto che non disponiate del teletrasporto per essere a Trieste questo pomeriggio, e quindi del libro della Cernigoi vi parlerà la vostra sgangherata vedetta del nordest, sempre che sopravviva alla visione della seconda parte de Il cuore nel pozzo.
in Corso Italia 13 a Trieste
Si parlerà del libro
Operazione Foibe
Tra storia e mito
di Claudia Cernigoi
Kappa Vu Edizioni
Interverranno insieme all'autrice:
Giorgio Marzi (presidente ANPI di Trieste)
Sandi Volk (storico)
Fabio Amodeo (giornalista)
Alessandra Kersevan (editrice)
Ho il sospetto che non disponiate del teletrasporto per essere a Trieste questo pomeriggio, e quindi del libro della Cernigoi vi parlerà la vostra sgangherata vedetta del nordest, sempre che sopravviva alla visione della seconda parte de Il cuore nel pozzo.
domenica, febbraio 06, 2005
Metto il timer
Dal sito Rai, la trama della contestata miniserie sulle foibe, Il cuore nel pozzo, in onda su Raiuno oggi e domani sera:
"Istria, 1944. Una piccola comunità istriana è sconvolta dall'arrivo dei partigiani di Tito. Tra loro c'è Novak, comandante slavo alla ricerca del figlio Carlo, avuto sei anni prima da Giulia, una donna italiana. Per non consegnare il figlio all'uomo che l'ha violentata, Giulia lo nasconde nell'orfanotrofio di Don Bruno, il sacerdote del paese. Novak non si arrende. Animato dal desiderio di vendetta uccide Giulia che si rifiuta di rivelargli dove è nascosto Carlo e continua la caccia al bambino per eliminarlo. Don Bruno, Carlo e gli altri bambini dell'orfanotrofio sono costretti a una disperata fuga attraverso le campagne dell'Istria fino al confine con l'Italia. Con l'aiuto di Ettore, un reduce alpino, di Walter, rappresentante del CNL e della giovane aiutante Anja, il sacerdote riuscirà a compiere la sua missione di salvezza fino al sacrificio della propria vita".
C'è la storia raccontata dal punto di vista di un bambino. C'è il villain titino, violentatore e persecutore di orfani. C'è il martirio della madre italiana. E naturalmente ci sono l'alpino, il CNL e la donna slava dai nobili intenti. C'è anche il prete-eroe, un Leo Gullotta della cui partecipazione tanti si stupiscono essendo egli in quota Rifondazione (tutta gente che scambia il Bagaglino per satira d'estrema sinistra, immagino).
Le mie sono solo osservazioni sul plot, che mi sembra abbastanza grossolano da far temere una fiction facilona e approssimativa. Quanto poi si presti a una grave falsificazione storica, si vedrà.
Per ora non dico nulla. Oggi e domani metto il timer, poi mi guardo diligentemente questa roba.
Ne riparliamo.
"Istria, 1944. Una piccola comunità istriana è sconvolta dall'arrivo dei partigiani di Tito. Tra loro c'è Novak, comandante slavo alla ricerca del figlio Carlo, avuto sei anni prima da Giulia, una donna italiana. Per non consegnare il figlio all'uomo che l'ha violentata, Giulia lo nasconde nell'orfanotrofio di Don Bruno, il sacerdote del paese. Novak non si arrende. Animato dal desiderio di vendetta uccide Giulia che si rifiuta di rivelargli dove è nascosto Carlo e continua la caccia al bambino per eliminarlo. Don Bruno, Carlo e gli altri bambini dell'orfanotrofio sono costretti a una disperata fuga attraverso le campagne dell'Istria fino al confine con l'Italia. Con l'aiuto di Ettore, un reduce alpino, di Walter, rappresentante del CNL e della giovane aiutante Anja, il sacerdote riuscirà a compiere la sua missione di salvezza fino al sacrificio della propria vita".
C'è la storia raccontata dal punto di vista di un bambino. C'è il villain titino, violentatore e persecutore di orfani. C'è il martirio della madre italiana. E naturalmente ci sono l'alpino, il CNL e la donna slava dai nobili intenti. C'è anche il prete-eroe, un Leo Gullotta della cui partecipazione tanti si stupiscono essendo egli in quota Rifondazione (tutta gente che scambia il Bagaglino per satira d'estrema sinistra, immagino).
Le mie sono solo osservazioni sul plot, che mi sembra abbastanza grossolano da far temere una fiction facilona e approssimativa. Quanto poi si presti a una grave falsificazione storica, si vedrà.
Per ora non dico nulla. Oggi e domani metto il timer, poi mi guardo diligentemente questa roba.
Ne riparliamo.
venerdì, febbraio 04, 2005
L'ostaggio e la cura Pyongyang
Appena ho preso l'ostaggio, Antonello mi voleva mandare addosso un battaglione di Playmobil, e poi si è reso conto che stava dalla mia parte. Il consiglio di Tonii è stato: "fagli cambiare sesso, e poi che dimostri che è capace di andare in bici da solo". Sivola mi ha messo in guardia contro il riconoscimento satellitare ("non si poteva ovviare con il solito lenzuolo nero?"). Anna esprimeva la stessa perplessità ("che razza di militante serio fa una roba del genere? a sto punto, non so, legalo al duomo!"). Daniele mostrava i primi segni di compassione, ed è stato subito perdonato (bisogna esser duri senza perdere la tenerezza). Intanto i nani guardiani da giardino si macchiavano di collaborazionismo con il nemico, e venivano rinchiusi con Bianca N. in una gabbia "meglio di Guantanamo®" (condizioni migliori, acqua fresca a disposizione, e brani scelti di prosa nordcoreana dagli altoparlanti). Un'inviata di Amnesty segnalava che le condizioni psicologiche di Ken erano disastrose a causa delle severe privazioni ("cosa ti è saltato in mente di togliergli la moto d'acqua e il meraviglioso camper?"). La già fragile personalità dell'ostaggio risentiva inoltre di alcuni dubbi sulla sua virilità sollevati da Zu e confermati entusiasticamente da tutti.
Infine, mentre ero in visita da Lia, Ken ha tentato la fuga. Non sapeva che conosco il Carso come le mie tasche. L'ho trovato che vagava per Doberdò spaventando a morte i caprioli. Questi marines se la caveranno anche, nel deserto, ma non sanno cos'è una dolina.
La cura Pyongyang continua: lo stiamo rieducando.
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A hell of a lot of fun
Il Tenente Generale dei Marines James Mattis ha confessato che "sparare a certe persone è divertente". Insomma, dice Mattis, uno va in Afghanistan, e lì trova tizi che vanno in giro a prendere a schiaffi le donne perché non portano il velo, insomma, tipi che non hanno comunque più un briciolo di virilità, "e allora ti diverti un casino a sparargli".
Ma sì, hanno commentato i vertici militari, Mattis dovrebbe misurare un po' le parole, ma lui è un candido, e comunque niente da dire sul suo valore e la sua esperienza.
Quest'uomo dovrebbe vivere il resto della sua vita in un costante, umiliante e disagevole stato di disgrazia rituale. Invece a Hollywood faranno un film su di lui, e gli daranno la faccia di Harrison Ford.
Tutto questo contribuisce a rendere la situazione dell'ostaggio Ken enormemente più complicata.
Ma sì, hanno commentato i vertici militari, Mattis dovrebbe misurare un po' le parole, ma lui è un candido, e comunque niente da dire sul suo valore e la sua esperienza.
Quest'uomo dovrebbe vivere il resto della sua vita in un costante, umiliante e disagevole stato di disgrazia rituale. Invece a Hollywood faranno un film su di lui, e gli daranno la faccia di Harrison Ford.
Tutto questo contribuisce a rendere la situazione dell'ostaggio Ken enormemente più complicata.
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giovedì, febbraio 03, 2005
Ne ho cinquanta
Fino a ieri erano solo sei.
Anche pensando di intestarne una a ciascun amico del mio gatto e alla sua fidanzata, me ne avanzano proprio tante.
Oddio, ci sarebbe l'ostaggio Ken.
Serve una Gmail?
Anche pensando di intestarne una a ciascun amico del mio gatto e alla sua fidanzata, me ne avanzano proprio tante.
Oddio, ci sarebbe l'ostaggio Ken.
Serve una Gmail?
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mercoledì, febbraio 02, 2005
L'ostaggio
Ho preso un ostaggio anch'io. È un marine statunitense di nome Ken e le sue condizioni di salute per ora sono buone.
Avete qualche richiesta da fare, già che ci siamo?
Update, 3 febbraio 2005: si è scoperto che i nani da giardino fornivano informazioni cifrate al nemico per facilitare la localizzazione del nascondiglio.
E questa è la fine che hanno fatto, loro e quella perfida di Bianca N. (sempre meglio di quello che i loro amici combinano a Guantanamo, comunque).
Questo dovrebbe dimostrarvi che non sto scherzando.
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lunedì, gennaio 31, 2005
Perché proprio a me
- Come sei magra: cosa porti, una quaranta?
- ... una quaranta, una trentotto...
- Ah, ma anch'io da giovane ero magrissima.
- Ma no.
- Pensa che portavo la seconda.
- Oddio.
- Sì. Poi a quattordici anni ho sviluppato.
- ... una quaranta, una trentotto...
- Ah, ma anch'io da giovane ero magrissima.
- Ma no.
- Pensa che portavo la seconda.
- Oddio.
- Sì. Poi a quattordici anni ho sviluppato.
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sabato, gennaio 29, 2005
Il capitalismo e la libertà
Erano i tempi della glasnost' e della perestrojka, ma mentre Gorbaciov stava liquidando con garbato brio l'Unione Sovietica non gli era evidentemente ancora chiaro un ultimo, cruciale dettaglio: la legge della domanda e dell'offerta. Idovinate chi gliel'ha spiegata, invitato da Bettino Craxi come rappresentante del libero mercato. Berlusconi, naturalmente.
Che adesso commenta: "Non avete idea di quanto tempo ci voglia per spiegare la libertà in tutte le sue forme".
Il rumore che avete appena sentito è Karl Marx che si sta rivoltando in quel di Highgate: non chiedetemi perché, ma questo blog ha un'acustica pazzesca.
Che adesso commenta: "Non avete idea di quanto tempo ci voglia per spiegare la libertà in tutte le sue forme".
Il rumore che avete appena sentito è Karl Marx che si sta rivoltando in quel di Highgate: non chiedetemi perché, ma questo blog ha un'acustica pazzesca.
giovedì, gennaio 27, 2005
La bambina con il fucile
Come fa un quotidiano a convincere i pubblicitari ad acquistare spazi sulle proprie pagine? Si presenta come un giornale in grado di offrire le notizie locali e quelle mondiali, di parlare di politica e di fatti di costume: un quotidiano locale con una più ampia visione del mondo, e dunque in grado di attrarre un pubblico vasto, appetibile e scelto.
Electronic Intifada segnala e denuncia la pubblicità del San Francisco Examiner e del Washington Examiner apparsa su Media Week: a sinistra una bambina che suona il violino, a destra una bambina che imbraccia un fucile; a sinistra, la sigla PTA (Parent Teacher Association, l'Associazione dei genitori e degli insegnanti), a destra la sigla PLO (Palestine Liberation Organization, l'OLP). From PTA to PLO, dal violino al fucile: non c'è giornale locale che sia in grado di dare notizie di così ampia portata.
Lo sfruttamento dell'infanzia a scopi pubblicitari è già odioso, ma questa demonizzazione dei bambini palestinesi è offensiva, di cattivo gusto e falsificante. Tra il 29 settembre 2000 e il 31 dicembre 2004 sono stati uccisi 625 bambini palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Non ce l'avevano, il fucile.
Electronic Intifada segnala e denuncia la pubblicità del San Francisco Examiner e del Washington Examiner apparsa su Media Week: a sinistra una bambina che suona il violino, a destra una bambina che imbraccia un fucile; a sinistra, la sigla PTA (Parent Teacher Association, l'Associazione dei genitori e degli insegnanti), a destra la sigla PLO (Palestine Liberation Organization, l'OLP). From PTA to PLO, dal violino al fucile: non c'è giornale locale che sia in grado di dare notizie di così ampia portata.
Lo sfruttamento dell'infanzia a scopi pubblicitari è già odioso, ma questa demonizzazione dei bambini palestinesi è offensiva, di cattivo gusto e falsificante. Tra il 29 settembre 2000 e il 31 dicembre 2004 sono stati uccisi 625 bambini palestinesi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Non ce l'avevano, il fucile.
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Palestina
Page 13
Non è neanche facile, nella stessa pagina, trasformare Elie Wiesel in una donna e dar per morto Gerald Ford, ma il nostro quotidiano preferito ci riesce benissimo:
In the lead report in our International section, Survivors and leaders travel to Auschwitz, page 13, yesterday, an editing slip made Elie Wiesel, the Nobel laureate, female. It was corrected yesterday on the Guardian website.
In the Auschwitz report, page 13, yesterday, we referred to "all three living former US presidents, Bill Clinton, George Bush senior, and Jimmy Carter". President Gerald Ford is also living.
The Guardian, sezione "Corrections" di oggi.
In the lead report in our International section, Survivors and leaders travel to Auschwitz, page 13, yesterday, an editing slip made Elie Wiesel, the Nobel laureate, female. It was corrected yesterday on the Guardian website.
In the Auschwitz report, page 13, yesterday, we referred to "all three living former US presidents, Bill Clinton, George Bush senior, and Jimmy Carter". President Gerald Ford is also living.
The Guardian, sezione "Corrections" di oggi.
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mercoledì, gennaio 26, 2005
Orsacchiotti più piccoli
Come evitare che i bambini che frequentano le sale giochi sviluppino un'insana passione per il gioco d'azzardo? Riduciamo le dimensioni degli orsacchiotti in premio. Era l'idea del governo britannico.
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