Nella cittadina di Verchnie Jamki un dentista scopre che Ivan Sergeevič Travkin, umile tecnico in una fabbrica di bevande analcoliche e corista per hobby, ha trentatré denti. “Caso unico” nella storia dell’odontoiatria, Ivan Sergeevič finisce suo malgrado a Mosca dove gliene succedono di tutti i colori, lo ricoverano in manicomio per le macchinazioni di un invidioso, poi diventa una celebrità. Gli scienziati ipotizzano che con i suoi trentatré denti sia un discendente dei marziani e lo scelgono per una missione spaziale piena di incognite. Ma è solo un sogno. L'invidioso che era finito pure lui in manicomio si scusa (“erano i nervi” dice, “ma adesso mi hanno curato”), gli chiede 5 copeche per l’autobus e gli raccomanda di “non dire a nessuno che ne avevo trentatré anch’io” (ma non era vero). Ivan Sergeevič, trentatreesimo dente in un mondo che può averne solo trentadue, torna felice nella sua cittadina a fare bibite gassate.
E trentatré è il titolo del film.
Il fatto che Verchnie Jamki (traducibile con “Alte fosse”) non esista non le impedisce di venire nominata altre due volte nel cinema sovietico: in Šla sobaka po rojalju (1978) di Vladimir Grammatikov e in Afonja (1975) dello stesso Danelija.
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domenica, dicembre 10, 2023
mercoledì, gennaio 16, 2019
La verità
“La gente ama i polizieschi. Fa piacere seguire una storia di cui si conosce già il finale. Lusinga sentirsi più furbi degli autori.
Nella capitale dicono che questa storia straordinaria è accaduta a Mosca.
A Odessa affermano che ha avuto luogo nella loro bella città.
Leningrado e Rostov-sul-Don non sono d’accordo.
Sette città rivendicano i fatti, come sette città sostengono di aver dato i natali a Omero.
La verità è che non sappiamo dove si sia svolta questa storia, né se sia realmente accaduta.“
Voce narrante, Beregis’ avtomobilija (1966)
Regia: Ėl'dar Aleksandrovič Rjazanov
Direttori della fotografia: Anatolij Michajlovič Mukasej, Vladimir Dmitrievič Nachabcev
Direttori della fotografia: Anatolij Michajlovič Mukasej, Vladimir Dmitrievič Nachabcev
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mercoledì, gennaio 09, 2019
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E questo era (modestamente) il post:
“Com’è il mare? Come spiegare?
Il mare è il mare.
Non c’è niente di più bello, va visto di persona.
E quando c’è la tempesta?
Anche la tempesta è bella.
Tutto è bello, in mare.”
Serëža (1960)
Regia: Georgij Nikolaevič Danelija, Igor’ Vasil’evič Talankin
Direttore della fotografia: Anatolij Dmitrievič Nitočkin
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martedì, novembre 28, 2017
Trentatré
Nella cittadina di Verchnie Jamki un dentista scopre che l’operaio Ivan Sergeevič Travkin ha in bocca ben 33 denti. Il dolorante Ivan Sergeevič viene così portato a Mosca, dove gliene capitano di tutti i colori: prima finisce in manicomio vittima delle macchinazioni di un invidioso (che finirà ricoverato a sua volta) e poi diventa famoso grazie alla sua particolarità. Gli scienziati ipotizzano che con i suoi 33 denti sia un discendente dei marziani e lo scelgono per una pericolosa missione spaziale.
E "Trentatré" è il titolo del film.
In bella immagine, Ivan Sergeevič torna nel suo paesino.
Il fatto che Verchnie Jamki non esista non gli impedisce di venire nominata altre due volte nel cinema sovietico: in Šla sobaka po rojalju (1978) e in Afonja (1975) dello stesso Danelija.
Tridcat tri (1965)
Regia: Georgij Nikolaevič Danelija
Direttore della fotografia: Sergej Arkad’evič Vronskij
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sabato, gennaio 26, 2013
Per uomini coraggiosi eccetera
Canzone del pugile sentimentale (1966)
di Vladimir Vysockij
Un colpo, un colpo, un altro colpo
Ancora un colpo ed ecco che
Boris Butkeev (Krasnodar)
Tira un montante.
Mi stringe nell’angolo,
Io quasi gli sfuggo
Ma il suo pugno mi stende
E non mi sento tanto bene.
E Butkeev pensa, mentre mi spacca la mascella:
"Che bello vivere, che bella la vita!"
"Dieci, nove, otto" e al sette sono ancora steso,
Piangono a dirotto le mie compaesane.
Mi rialzo, mi tuffo, schivo
Guadagno qualche punto.
Non è vero che risparmio
Le forze per la fine,
È che fin da piccolo non mi riesce
Di colpire un uomo in faccia.
E Butkeev pensa, mentre mi spacca le costole:
"Che bello vivere, che bella la vita!"
Dalle tribune, fischi e urla:
"Attaccalo, quel vigliacco!"
Butkeev cerca il corpo a corpo
E io mi aggrappo alle corde.
Ma lui mi si butta addosso, è un siberiano
Testone come tutti i siberiani,
E io gli dico "Piantala, scemo,
Non vedi che sei stanco, riposati un po’".
Ma lui non ascolta e pensa, col fiato corto,
"Che bello vivere, che bella la vita!"
E continua a picchiare, porco diavolo,
Questo dovrebbe stare nella polizia.
Che poi la boxe non è solo menarsi, è uno sport
Per gente coraggiosa eccetera.
Ma quello non si ferma: uno, due, tre pugni.
Fa tutto da solo e perde le forze.
L’arbitro mi alza il braccio
Che non ha tirato neanche un colpo.
Se ne sta al tappeto, Butkeev, e pensa che la vita è bella.
Sarà bella per qualcuno; per altri, neanche un po'.
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lunedì, novembre 19, 2012
Ritorno
"Se n'è andato. È partito per una vita ignota e fondamentalmente estranea, sotto un cielo immenso, nel verde di immensi giardini. In un mondo dove autostrade di vetro si lanciano forse come frecce oltre l'orizzonte, dove edifici flessuosi gettano sulle piazze un ricamo d'ombre. Dove saettano macchine senza persone a bordo e con persone a bordo vestite d'abiti stravaganti: gente quieta, intelligente, cordiale, sempre molto indaffarata e molto contenta d'esserlo. Se n'è andato, e continuerà a vagare per un pianeta simile e dissimile alla Terra che abbiamo lasciato tanto tempo fa, che abbiamo lasciato così di recente."
Arkadij e Boris Strugackij, Polden'. Dvadcat' vtoroj vek: Vozvraščenije (1962).
Arkadij e Boris Strugackij, Polden'. Dvadcat' vtoroj vek: Vozvraščenije (1962).
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martedì, novembre 29, 2011
Un cinema del XXI secolo
«Visitiamo una grande sala cinematografica del XXI secolo. Essa è più larga che lunga. Soffitto alto, aria condizionata, comodissime poltrone. Nulla che possa ricordare le sale di oggi, scatole senz'aria e senza finestre, con sedili serrati uno accanto all'altro, con poco spazio. Nel cinematografo dell'avvenire, durante le giornate afose, si sentirà una deliziosa frescura; d'inverno, intimità e calore. Un enorme schermo di 50 metri di lato abbraccia la metà di tutta la larghezza della sala. Si spengono lentamente le luci nascoste ai margini del soffitto, la sala per un istante rimane immersa nel buio, poi lo schermo si illumina. Adesso possiamo capire a che cosa servono i varî apparecchi di proiezione. L'immagine su tutta la superficie dello schermo è composta da alcuni fasci di luce proiettati da varî apparecchi disposti in diversi punti. L'immagine cinematografica cambia continuamente di dimensione, estendendosi su tutto lo schermo quando vengono proiettate scene panoramiche e di massa, e diventando piccola o piccolissima quando vengono riprodotti ambienti chiusi o primi piani. La scena combinata dalla fusione delle varie sincrone proiezioni è talmente perfetta che allo spettatore sembra di partecipare all'azione.»
E Goldovskij ci spiega che è stato realizzato l'"effetto di presenza".
L'oggi e il domani della scienza in Russia. Le previsioni di 29 scienziati sovietici, Aldo Martello Editore, Milano 1959.
E Goldovskij ci spiega che è stato realizzato l'"effetto di presenza".
L'oggi e il domani della scienza in Russia. Le previsioni di 29 scienziati sovietici, Aldo Martello Editore, Milano 1959.
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martedì, febbraio 15, 2011
La canzone del codice penale
Non servono a nessuno intrighi e storie,
quel che c'è da sapere lo sappiamo già.
Io, per esempio, considero il codice penale
il miglior libro che la gente ha.
Quando non riesco a prender sonno
oppure sono irrequieto o sbronzo
apro il codice penale a caso
e me lo leggo tutto fino in fondo.
Ai miei compagni non servono consigli,
conoscon la rapina di diritto.
Ne ho appena letto sul mio libro:
non più di dieci, non meno di tre anni è scritto.
Quelle banali righe, penso,
più di un grande romanzo sono ricche.
Contengon carte false, poveracci,
imbrogli, risse, scandali e baracche.
Vorrei poter non leggerle mai più:
in ogni frase c'è il destino di una vita.
Gli articoli meno severi sono un sollievo:
mi dico che qualcuno l'ha scampata.
Il cuore mio si torce e trema tutto
quando un articolo può riguardarmi.
Mi batte forte il sangue nelle tempie, e immagino
la mia porta presa a pugni dai gendarmi.
Vladimir Vysockij
Originale: http://www.kulichki.com/vv/pesni/nam-ni-k-chemu.htmlTraduzione mia.
quel che c'è da sapere lo sappiamo già.
Io, per esempio, considero il codice penale
il miglior libro che la gente ha.
Quando non riesco a prender sonno
oppure sono irrequieto o sbronzo
apro il codice penale a caso
e me lo leggo tutto fino in fondo.
Ai miei compagni non servono consigli,
conoscon la rapina di diritto.
Ne ho appena letto sul mio libro:
non più di dieci, non meno di tre anni è scritto.
Quelle banali righe, penso,
più di un grande romanzo sono ricche.
Contengon carte false, poveracci,
imbrogli, risse, scandali e baracche.
Vorrei poter non leggerle mai più:
in ogni frase c'è il destino di una vita.
Gli articoli meno severi sono un sollievo:
mi dico che qualcuno l'ha scampata.
Il cuore mio si torce e trema tutto
quando un articolo può riguardarmi.
Mi batte forte il sangue nelle tempie, e immagino
la mia porta presa a pugni dai gendarmi.
Vladimir Vysockij
Originale: http://www.kulichki.com/vv/pesni/nam-ni-k-chemu.htmlTraduzione mia.
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lunedì, gennaio 03, 2011
Vaghe stelle dell'URSS: il cavallo bianco
Il 24 giugno 1945 i sovietici organizzano la grande Parata della Vittoria. Nel momento culminante della cerimonia il maresciallo Žukov sfila sulla Piazza Rossa su uno stallone bianco. Stalin avrebbe voluto quell'onore per sé, ma durante le prove il cavallo l'ha disarcionato.
Nel novembre del 1972 Evgenij Chaldej riceve una telefonata.
– Evgenij Anan'evič?
– Sì, sono io.
– Buongiorno, sono l'assistente personale del maresciallo Žukov. La metto in comunicazione con Georgij Konstantinovič.
Chaldej pensa a uno scherzo. Invece di lì a poco sente la voce del maresciallo.
– Buongiorno, Evgenij Anan'evič.
– Buongiorno, compagno marescialllo.
– Ho una richiesta da farle. Possiedo una fotografia di piccolo formato che mi ritrae in sella a uno stallone bianco, durante la Parata della Vittoria. Sul retro c'è scritto che l'autore è lei. Mi piace molto, quella fotografia. Quando ci vedremo le spiegherò perché. Potrebbe farmene un ingrandimento?
– Cinquanta per sessanta?
– No. Se è possibile me la faccia ancora più grande.
Chaldej pensa: mi serve un rotolo di carta fotografica, un ingranditore speciale. Gliela faccio subito, dice. Prepara l'ingrandimento, lo incornicia, aspetta.
Due settimane dopo Žukov lo manda a prendere. Il maresciallo lo attende nella sua dacia dalle parti del Rublevskoe Šosse. È seduto su una poltrona, in maniche di camicia. Ha accanto a sé un bastone.
– Non mi ricordo di lei – dice.
– Quando ci incontravamo – spiega Chaldej, che lo ha ritratto molte volte al fronte e durante la liberazione di Berlino – la mia faccia era sempre nascosta dalla macchina fotografica.
Poi mostra l'ingrandimento al maresciallo.
– Era questa che voleva?
– Sì, è proprio questa. Ora le dirò perché mi piace così tanto. Un tempo io ero ufficiale di cavalleria. E lei ha saputo cogliere l'istante in cui tutti e quattro gli zoccoli del cavallo sono sollevati da terra.
Chaldej è stupito. Un uomo simile, pensa, e per lui è importante che tutti e quattro gli zoccoli del cavallo siano staccati da terra.
Il 24 giugno 1945 Žukov – lo Spasitel', il Salvatore, l'eroe della grande guerra patriottica – sa di avere i giorni contati. A pochi mesi dalla parata Stalin ordina un'indagine su di lui e il maresciallo è accusato di inaffidabilità politica e liquidato. Viene reintegrato nel 1957 da Chruščëv, che sentendosi minacciato dalla sua popolarità lo congeda prematuramente, dopo averlo costretto a un'umiliante autocritica sulla Pravda. Riabilitato ufficialmennte da Brežnev, nel 1965 partecipa alle celebrazioni per il ventennale della Vittoria: è la sua ultima apparizione pubblica.
– Perché in quel momento – dice Žukov a Chaldej nel novembre del 1972 – io sto volando.
Nel novembre del 1972 Evgenij Chaldej riceve una telefonata.
– Evgenij Anan'evič?
– Sì, sono io.
– Buongiorno, sono l'assistente personale del maresciallo Žukov. La metto in comunicazione con Georgij Konstantinovič.
Chaldej pensa a uno scherzo. Invece di lì a poco sente la voce del maresciallo.
– Buongiorno, Evgenij Anan'evič.
– Buongiorno, compagno marescialllo.
– Ho una richiesta da farle. Possiedo una fotografia di piccolo formato che mi ritrae in sella a uno stallone bianco, durante la Parata della Vittoria. Sul retro c'è scritto che l'autore è lei. Mi piace molto, quella fotografia. Quando ci vedremo le spiegherò perché. Potrebbe farmene un ingrandimento?
– Cinquanta per sessanta?
– No. Se è possibile me la faccia ancora più grande.
Chaldej pensa: mi serve un rotolo di carta fotografica, un ingranditore speciale. Gliela faccio subito, dice. Prepara l'ingrandimento, lo incornicia, aspetta.
Due settimane dopo Žukov lo manda a prendere. Il maresciallo lo attende nella sua dacia dalle parti del Rublevskoe Šosse. È seduto su una poltrona, in maniche di camicia. Ha accanto a sé un bastone.
– Non mi ricordo di lei – dice.
– Quando ci incontravamo – spiega Chaldej, che lo ha ritratto molte volte al fronte e durante la liberazione di Berlino – la mia faccia era sempre nascosta dalla macchina fotografica.
Poi mostra l'ingrandimento al maresciallo.
– Era questa che voleva?
– Sì, è proprio questa. Ora le dirò perché mi piace così tanto. Un tempo io ero ufficiale di cavalleria. E lei ha saputo cogliere l'istante in cui tutti e quattro gli zoccoli del cavallo sono sollevati da terra.
Chaldej è stupito. Un uomo simile, pensa, e per lui è importante che tutti e quattro gli zoccoli del cavallo siano staccati da terra.
Il 24 giugno 1945 Žukov – lo Spasitel', il Salvatore, l'eroe della grande guerra patriottica – sa di avere i giorni contati. A pochi mesi dalla parata Stalin ordina un'indagine su di lui e il maresciallo è accusato di inaffidabilità politica e liquidato. Viene reintegrato nel 1957 da Chruščëv, che sentendosi minacciato dalla sua popolarità lo congeda prematuramente, dopo averlo costretto a un'umiliante autocritica sulla Pravda. Riabilitato ufficialmennte da Brežnev, nel 1965 partecipa alle celebrazioni per il ventennale della Vittoria: è la sua ultima apparizione pubblica.
– Perché in quel momento – dice Žukov a Chaldej nel novembre del 1972 – io sto volando.
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giovedì, settembre 09, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/10. Quarantacinque minuti
Nella primavera del 1982 Boris Grebenščikov comunica a Rybin e Coj che gli Akvarium hanno appena finito di registrare il loro album Treugol'nik ("Triangolo") e che il produttore Andrej Tropillo è disposto a produrre anche i KINO. Dopo un'audizione alcuni membri degli Akvarium decidono di collaborare al disco: sono Michail Vasil'ev, Vsevolod Gakkel', Andrej Romanov e lo stesso BG. Manca un batterista, perché Valinskij è partito per il servizio militare: verrà sostituito da una drum-machine ("Proviamo" li convince Grebenščikov. "Nuovi romantici, suono nuovo.") che comunque non guasterà le sonorità complessivamente acustiche del disco.
Racconta Aleksej Rybin a proposito di Andrej Tropillo, figura centrale della scena musicale underground leningradese:
Andrej faceva parte di quel ristretto numero di persone la cui carriera aveva prosperato grazie alla grande rivoluzione socialista d'Ottobre. Proprio grazie alla rivoluzione e al compagno Lenin nel nostro Paese si era stabilita la tradizione dei subbotnik comunisti, le giornate festive di lavoro volontario in cui i lavoratori sovietici di ogni categoria si mettevano a fare le grandi pulizie, gettando nella spazzatura immondizie, ciarpame e apparecchiature in disuso. Se le apparecchiature erano ancora funzionanti, prima di gettarle bisognava distruggerle con asce, mazze o piedi di porco per renderle inutilizzabili. Andrej Tropillo partecipava tutti gli anni al subbotnik comunista leninista. Si preparava a lungo per quel giorno: comprava grandi scorte di vodka e vino, si informava, faceva telefonate e giunto il gran giorno si presentava in qualche teatro, istituto o altra istituzione e aspettava pazientemente. Aspettava che i lavoratori sudati e allegramente bestemmianti trascinassero nel cortile vecchi mixer, casse e amplificatori. E quando i volontari, dopo essersi fatti una sigaretta e una bevuta, si accingevano a fare allegramente a pezzi le apparecchiature in un tripudio di fili colorati e di transistor, ecco che Tropillo gentilmente li fermava.E così Viktor e Aleksej, accompagnati da BG, nella primavera del 1982 entrano in un grigio edificio di quattro piani sul friume Ochta, in ulica Panfilova numero 23. Fuori della porta è appesa una vecchia insegna di vetro con su scritto "Casa dei Pionieri e degli Scolari". All'ultimo piano c'è lo studio di Andrej Tropillo, costruito anno dopo anno e subbotnik dopo subbotnik: lì sono stati registrati tutti gli album degli Akvarium, lì nasce 45, il primo dei KINO. 45 è la durata in minuti della registrazione.
martedì, settembre 07, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/9. Noi siamo cinema
Le circostanze generali e i polverosi fatti privati di quella vita inquieta sono familiari a molti. Proprio da questo e dal povero vissuto quotidiano pietroburghese, che per fare effetto veniva chiamato "sottosuolo", come una margherita da un mucchio di spazzatura spuntò tutta la brillante cultura pietroburghese degli anni Ottanta, straordinaria nella sua infinita, incensurata libertà. E per libertà, naturalmente, non intendo semplicemente la libertà di protestare (che caratterizzava soprattutto gli "abitanti del sottosuolo" degli anni Settanta), ma anche la libertà di non protestare.
Pavel Krusanov, "Viktor Coj: arbatskaja počta"
Pavel Krusanov, "Viktor Coj: arbatskaja počta"
Con le sue liste nere il Komsomol fa anche l'errore di prendere alla lettera i testi delle canzoni occidentali, mentre i giovani sovietici di quegli anni vi prestano per lo più scarsa attenzione, così come sono poco interessati ad associare la musica occidentale all'anticomunismo e il rock alla politica. Il significato delle canzoni è irrilevante, importante è la loro origine occidentale, l'evocazione di un altrove, i riferimenti sconosciuti a qualcosa che non deve necessariamente esistere: quando finalmente verranno stampate le traduzioni dei testi dei Beatles, per esempio, molti si accorgeranno che sono completamente diversi da quelli fantasticati.
"Cosa vogliono da me" si lamenta Viktor Coj poco dopo aver passato le selezioni per entrare nel Rok-Klub di Leningrado. "Non voglio mettermi a scrivere chissà quali canzoni politicizzate. Non ci riesco."
"Non ascoltarli, suona, racconta quello che ti succede" lo tranquillizza Boris Grebenščikov. "È tutto a posto, Vit'ka. Fregatene." E gli consiglia di pensare invece un po' all'immagine: "Voi avete un'aria da nuovi romantici. Dovete tentare qualcosa in quel senso".
"E cioè?" domanda Coj.
"Tipo Adam and the Ants?" butta lì Rybin.
"Tipo" risponde BG.
La ragazza di Viktor, Mar'jana, lavora come costumista per il circo di Leningrado, ed è lì che il gruppo prende a rifornirsi. Nei primi concerti Rybin si presenta scalzo e truccato, Coj vestito in modo stravagante. Camicie vaporose, sbuffi, jabot. Non sempre il pubblico reagisce bene. Una sera un komsomolec li chiama feccia capitalista, traditori e parassiti. Poi li aggredisce con un nunchaku.
Intanto la band trova un mezzo manager: è Sergej Ryženko, musicista rock dalle molteplici collaborazioni e fondatore del primo gruppo punk moscovita (i Futbol), che dà loro lezioni di dizione e occasioni per esibirsi.
A un certo punto i Garin i Giperboloidy decidono di cambiare nome. Serve qualcosa di più breve e immediato, meno anni Settanta. Il nome KINO spunta dal nulla, letteralmente come la scritta rossa di un'insegna pubblicitaria sul tetto di una casa, a una cinquantina di metri dall'uscita della metropolitana. Quattro lettere, normale, semplice, comodo: "E poi in fondo cosa siamo, noi scemi? Cinema, come il cinema, KINO", insiste Viktor. In ogni caso, conclude, non è mica peggio di "Akvarium".
domenica, settembre 05, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/8. Paradossi sovietici
Solito paradosso sovietico, quello di consentire l'innovazione e tentare di contenerne i risultati: con l'elenco approssimativo il Komsomol ucraino ci prova, ma finisce per contribuire alla diffusione della musica che vorrebbe bandire o controllare.
È evidente che il Comitato ha letto o ascoltato con una certa attenzione i testi dei gruppi occidentali. Un album dei Pink Floyd (identificato semplicemente dalla data d'uscita, "1983") viene accusato di "distorsione della politica estera sovietica", con riferimento all'Afghanistan. Si tratta di The Final Cut, il cui breve pezzo "Get Your Filthy Hands Off My Desert" inizia con la frase "Brežnev took Afghanistan", "Brežnev si è preso l'Afghanistan". Ideologicamente dannoso non è solo l'accenno all'aggressione, ma anche l'accostamento del conflitto afghano ad altre guerre caratterizzate dai mezzi di informazione sovietici come "imperialiste", cioè il Libano e le Falklands.
Però il paradosso si ripresenta, perché l'inclusione nell'elenco approssimativo di un solo album dei Pink Floyd sottintende che gli altri sono ritenuti accettabili. Così come il fatto che ci siano 38 gruppi e musicisti occidentali da tenere d'occhio non significa solo che questi 38 sono problematici. Significa che tutti gli altri – ampiamente diffusi in tutta l'Unione grazie alle copie su audiocassetta – non lo sono.
mercoledì, settembre 01, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/7. L'elenco approssimativo
COPIA APPROVATA
Allegato alla comunicazione del 10 gennaio 1985
Proletari di tutto il mondo unitevi!
UNIONE COMUNISTA DELLA GIOVENTÙ SOVIETICA
COMITATO DELLA NIKOLAEVSKAJA OBLAST' DEL KOMSOMOL DELL'UCRAINA
Unicamente per uso interno
Ai Segretari dei Gorkom e Raikom [Comitati cittadini e distrettuali] del Komsomol dell'Ucraina
Segue un elenco approssimativo dei gruppi e degli artisti musicali stranieri i cui repertori contengono composizioni ideologicamente dannose.
Si raccomanda di usare queste informazioni al fine di intensificare il controllo sull'attività delle discoteche.
È necessario fornire queste informazioni anche ai VIA [Ensemble vocali strumentali] e alle discoteche giovanili della regione.
Il Segretario dell'Obkom del Komsomol
P. Grišin
Elenco approssimativo dei gruppi e degli artisti musicali stranieri i cui repertori contengono composizioni ideologicamente dannose.
1. Sex Pistols: punk, violenza
2. B-52s: punk, violenza
3. Madness: punk, violenza
4. Clash: punk, violenza
5. Stranglers: punk, violenza
6. Kiss: neofascismo, punk, violenza
7. Krokus: violenza, culto della personalità forte
8. Styx: violenza, vandalismo
9. Iron Maiden: violenza, oscurantismo religioso
10. Judas Priest: anticomunismo, razzismo
11. AC/DC: neofascismo, violenza
12 Sparks: neofascismo, razzismo
13. Black Sabbath: violenza, oscurantismo religioso
14. Alice Cooper: violenza, vandalismo
15. Nazareth: violenza, misticismo religioso, sadismo
16. Skorpion: violenza
17. Gengis Khan: anticomunismo, nazionalismo
18. UFO: violenza
19. Pink Floyd (1983): distorsione della politica estera sovietica ("Aggressione sovietica in Afghanistan")
20. Talking Heads: mito della minaccia militare sovietica
21. Perron: erotismo
22. Bohannon: erotismo
23. Original: sesso
24. Donna Summer: erotismo
25. Tina Turner: sesso
26. Junior English (reggae): sesso
27. Canned Heat: omosessualità
28. Munich Machine: erotismo
29. Ramones: punk
30. Van Halen: propaganda antisovietica
31. Julio Iglesias: neofascismo
32. Yazoo: punk, violenza
33. Depeche Mode: punk, violenza
34. Village People: violenza
35. Ten CC (10cc): neofascismo
36. Stooges: violenza
37. Boys: punk, violenza
38. Blondie: punk, violenza
"APPROVATO"
Il Direttore del Dipartimento Generale dell'Obkom del Komsomol E. Prjažinskaja
martedì, agosto 31, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/6. 13, ulica Rubinštejna
Viktor Coj, "Električka", 45
Nel 1981, al numero 13 di via Rubinštein, apre il Leningradskij Rok-Klub, il Rock Club di Leningrado. Cambia così il volto degli ambienti underground cittadini: dopo aver ufficialmente negato e combattuto la cultura rock le autorità sovietiche decidono di cambiare approccio e di controllarla. È opinione comune, confermata da Boris Grebenščikov, che il club non sarebbe mai stato creato senza la tacita approvazione del KGB.
C'erano dei precedenti: quasi vent'anni prima a Leningrado aveva aperto lo storico caffè Saigon, zona di scambio di libri e di idee, di incontro con l'altro sesso, di fuga dalle costrizioni famigliari. Il nome Saigon nasceva dalla critica espressa dagli organi ufficiali contro la guerra imperialista americana in Vietnam, ma acquisì presto nuovi significati e perse la connotazione politica negativa mantenendo il riferimento all'esotismo e alla decadenza. I frequentatori del Saigon si dividevano rigorosamente in gruppi ed erano accomunati dal disinteresse per la politica (i pochi dissidenti venivano tenuti a distanza): c'erano i poeti, gli artisti, i tossicomani, i borsaneristi, quelli che compravano scarpe e vestiti dai turisti occidentali per rivenderli ai sovietici. Tutto ciò rese il caffè un punto d'osservazione ideale per il KGB. Per questo non chiuse mai ed ebbe pochi fastidi. La potenziale minaccia rappresentata dagli organi di sicurezza era vissuta con una certa indifferenza dai frequentatori: aggiungeva semmai un tocco romantico e avventuroso all'ambiente, e in ogni caso permise che questi gruppi e sottoculture sopravvivessero e prosperassero. Ricorda lo storico Lev Lur'e che al Saigon circolavano le opere di Platonov, Bulgakov, Proust, Joyce, Miller: "Negli anni Settanta la formazione letteraria e filosofica che ci si faceva al Saigon era migliore di quella fornita dai dipartimenti dell'Università di Leningrado".
Con il Rok-Klub succede qualcosa di simile. Il tentativo dello Stato di controllare le band concentrandole in uno stesso spazio significa dar loro una sorta di legittimazione e soprattutto un palcoscenico su cui esibirsi e confrontarsi. La creatura del Komsomol e del KGB contribuisce così allo sviluppo della vitalissima sottocultura rock leningradese degli anni Ottanta.
I Garin i Giperboloidy, che ormai godono dell'attenzione e degli incoraggiamenti di Boris Grebenščikov, si presentano all'audizione per entrare nel Klub. Qui si scontrano con la vecchia guardia del rock di Leningrado, musicisti conservatori degli anni Settanta attenti ai contenuti e al messaggio. "Cosa volete dire con le vostre canzoni? Quali idee ispirano il vostro lavoro? Che siete dei fannulloni? E che questo è un bene? E che vi fermate 'solo ai chioschi della birra'? Cosa vorrebbe dire, che la gente deve ubriacarsi? Questo, volete dire? Scusate, ma sono cose che ci si aspetta di sentire in un vicolo buio, o roba del genere", obietta una certa Tanja del comitato del Klub. Questa è gente che crede ancora alle istanze rivoluzionarie espresse dai gruppi rock occidentali degli anni Sessanta e Settanta, mentre Coj e i suoi amici sono figli della zastoj, la stagnazione brežneviana: poca fede negli ideali marxisti-leninisti, scarso dissenso e una generale sfiducia nella possibilità di cambiare il mondo in un senso o nell'altro.
Contro tutte le previsioni, però, cantando di chioschi della birra, di bitniki, di sfaccendati e di treni che portano dove non si vuole andare, i Garin passano l'audizione.
"Ovvio, i ragazzi devono imparare, lavorare sui pezzi..."
"Prendiamoli, dobbiamo aiutare i giovani."
"Prendiamoli."
"Ma sì."
lunedì, agosto 30, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/5. Elvis e Lenin
Il rock'n'roll è morto, ma io ancora no
Akvarium, "Rok-n-roll mёrtv", Radio Afrika (1983)
Scrive Aleksej Rybin in Kino s samogo načala:
Una volta Grebenščikov ha detto che in quegli anni il rock'n'roll era l'unica cosa giusta fino in fondo di questo paese. Sono completamente d'accordo con lui. Solo questo ci dava gioia. E intendo proprio gioia, non risate o ghigni. Quelli che fanno la coda per rendere bottiglie vuote e comprare bottiglie piene e che si sentono liberi solo dopo averle svuotate non sanno cos'è la gioia. Ridono sempre: per una barzelletta sporca, o per un film, o per le storie degli scrittori satirici su com'è terribile vivere in questo paese. Ridono della miseria, della povertà e della depravazione, ma non sanno cos'è la gioia. Noi quella gioia l'abbiamo cercata e trovata. Nel rock'n'roll di Elvis e nelle ballate dei Beatles scoprivamo più significati che nei testi di Lenin studiati a scuola. Criticare ciò che accadeva attorno a noi ci ripugnava, e anche se qualche volta ci lasciavamo coinvolgere nelle discussioni cercavamo soprattutto di evitarle. Dialogare con lo Stato significava accettare le regole del suo gioco, e questo ci disgustava profondamente. I valori che ci venivano proposti erano ridicoli: sembravano così assurdi e improbabili che era inutile perderci tempo ed energie."Avresti potuto essere un eroe, se solo ci fosse stata una causa", canta Viktor Coj in "Podrostok" ("Adolescente"). I testi delle sue prime canzoni sono semplici, non politicizzati, spesso parlano di solitudine ed esprimono un vago senso di ribellione. Lui e i suoi amici non combattono lo Stato sovietico: meglio li definisce il concetto di vnutrennaja emigracija, emigrazione interna, lo stare contemporaneamente fuori e dentro il sistema e tutta l'ambivalenza che deriva da questa condizione oscillante.
Avrebbero potuto essere eroi.
Invece trovano la felicità nel rock'n'roll.
lunedì, agosto 23, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/4. Iperboloidi
Una serie di fatti enigmatici e di morti misteriose alla periferia di Leningrado fa pensare che il professor Garin stia lavorando a un'arma di incredibile potenza. È proprio così: il suo raggio della morte, unito a un'altra prodigiosa invenzione, l'iperboloide, gli permette di controllare le menti a distanza ma anche di bucare la Terra fino a raggiungere uno strato di oro puro. Grazie a un accesso illimitato al materiale prezioso Garin mina la parità aurea, si impadronisce dell'industria americana e conquista il potere negli Stati Uniti. Presto però la sua dittatura crolla, grazie a una rivolta operaia e alle gesta di una femme fatale e dell'onesto poliziotto Šel'ga: vinti i magnati del capitalismo, lo scienziato-inventore viene dunque sconfitto dal popolo rivoluzionario.
È il 1981, e la scena musicale sovietica sta cambiando: l'anno prima i Mašina Vremeni hanno vinto il festival rock di Tbilisi battendo i VIA nonostante una giuria composta prevalentemente da rappresentanti degli organi ufficiali, i vecchi gruppi si stanno sciogliendo, emergono altre realtà musicali. Il tardo rock sovietico prende dal rock occidentale la componente sperimentale, futuristica e innovativa e vi innesta i residui dell'ethos socialista, la tradizione letteraria russa, il viaggio nello spazio e nel tempo, il sogno di mondi immaginari. I nomi delle band sono sempre più spesso russi ed evocativi di un altrove fisico o immaginario: Argonafty (Gli Argonauti), Mify (I Miti), Skify (Gli Sciti), Zemliane (I Terrestri), Zelenye Murav'i (Le Formiche Verdi), Nautilus Pompilius, Zoopark (Zoo). Garin e i suoi Iperboloidi. Nel 1981 esce lo storico Sinyj Al'bom ("Album blu") degli Akvarium di Boris "BG" Grebenščikov. Ricorda Aleksej Rybin:
Le regole del gioco ci venivano da BG. Quell'anno avevamo ascoltato il Sinyj Al'bom e ne eravamo rimasti storditi. Non assomigliava a niente di quello che si suonava allora in Russia, dai seminterrati sporchi alle sale del Palazzo dei Soviet. Nei seminterrati c'erano dei ragazzi pelosi che cantavano l'amore usando espressioni pompose e astruse, nei saloni ufficiali c'erano uomini e donne dall'aspetto curatissimo che cantavano l'amore in una lingua da malati di mente. Grebenščikov cantava l'amore come noi ne parlavamo nelle birrerie, con gli amici, a casa, solo che lui lo faceva in modo molto più sintetico e chiaro, e con un vocabolario più ricco.Una sera Viktor Coj conosce Boris Grebenščikov: lo incontra per caso su un treno locale, di ritorno da un concerto in periferia.
Non riuscivamo a immaginare come si potesse parlare di Dio, Amore, Libertà e Vita, e soprattutto cantarne, senza neanche nominarli. Era incredibile.
[...]
E poi Grebenščikov non era per niente aggressivo, non prendeva a pugni i muri, non si schiantava contro le porte chiuse, non si batteva con nessuno, stava semplicemente da parte, apriva un'altra porta – invisibile alla sorveglianza – e ci entrava. Nella sua semplicità e mancanza di aggressività c'era più forza che negli urli selvaggi e nel fragore dei rocker primitivi. Loro volevano la libertà, combattevano disperatamente per ottenerla. BG invece era già libero, non combatteva: gli bastò decidere, ed ecco che divenne libero.
giovedì, agosto 19, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/3. Bitniki
Ricorda Aleksej Rybin, amico e compagno di band di Coj, nel suo libro intitolato Kino s samogo načala:
Ci chiamavamo "bitniki", anche se non eravamo beatnik nel significato tradizionale del termine. Era una via di mezzo tra il tipo classico del beatnik e una specie di proto-punk. A essere veramente punk era forse solo il gruppo di Svin [soprannome di Andrej Panov, fondatore degli Avtomatičeskie Udovletvoriteli, N.d.T]. Gradualmente sviluppammo atteggiamenti, riti e abitudini tutti nostri. Ogni gesto, quotidiano o rituale che fosse, era caratterizzato da una specifica dinamica. Quando si incontravano, i bitniki si stringevano la mano in un modo particolare, le dita piegate a formare un gancio, ed emettevano un breve suono gutturale, "yarrtcchhrrr". Per le occasioni speciali avevamo elaborato la "postura del bitnik": ginocchia leggermente flesse, corpo piegato in avanti, la schiena quasi ricurva, le braccia diritte, le dita delle mani strette a pugno, gli occhi scintillanti: una postura che doveva mostrare potenza e determinazione.
Quando ci incontravamo non ci chiedevamo quanti anni hai, dove lavori. Ci interessava solo sapere quale musica ascoltasse l'altro. La musica era il principale criterio di valutazione, e così ci tenevamo in contatto con un sacco di idioti, se questi idioti avevano collezioni di dischi interessanti. Invece di chiedere: "Dove lavori?", noi chiedevamo: "Suoni?"
Suonavano o volevano suonare tutti.
Viktor Coj comincia prestissimo a suonare la chitarra. Alla scuola d'arte conosce il giovane musicista Maksim Paškov e a 13 anni fonda con lui il gruppo Palata No. 6 (Reparto 6). Per qualche anno i due suonano insieme, passando gradualmente dalle cover dei Black Sabbath a un repertorio originale.
La scena musicale sovietica di quegli anni opera su due livelli distinti. Ci sono le band "non ufficiali", come i celebrati Mašina Vremeni (Macchina del tempo) e gruppi hard-rock come gli Skifi (Gli Sciti) e i Rossijane (I Russi), che vanno per la maggiore a Leningrado alla fine degli anni Settanta. E poi ci sono i VIA, cioè i Vokal'no-Instrumental'nyj Ansambl, gli Ensemble Vocali Strumentali appoggiati dallo Stato: melodie dolci, testi dedicati alla patria, alla natura, all'amicizia e alla fratellanza.
Viktor e i suoi amici sono lontanissimi dal pop giovanilista di fabbricazione governativa ma non si entusiasmano neanche per i Mašina Vremeni.
Quando Coj e Rybin si conoscono, Viktor risponde alla cruciale domanda sui gusti musicali citando i Beatles, gli Stones, i Genesis ed Elvis Costello. Quel giorno indossa "pantaloni neri, camicia nera, una specie di soprabito di cerata nera coperto di spille".
Nel 1981 il bitnik Coj comincia a scrivere canzoni.
martedì, agosto 17, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/2. Costole
Il regime sovietico ha sempre mantenuto un atteggiamento ambivalente verso le tendenze e i generi musicali occidentali. Nel dopoguerra, per esempio, il jazz viene positivamente associato alla vittoria sui nazisti, ma in seguito attaccato durante la lotta al cosmopolitismo. Criticato e insieme tollerato, viene presto adattato al contesto sovietico: si fa strada l'idea che un bravo sovietico possa e debba apprezzare le forme culturali occidentali a patto che sia capace di distinguere tra la creatività della classe lavoratrice e il materialismo della borghesia.
Negli anni Cinquanta la domanda (non assecondata ufficialmente dallo Stato) di jazz e rock'n'roll occidentali porta all'invenzione di una tecnologia indipendente per copiare la musica. Grazie a un metodo messo a punto dagli studenti di ingeneria navale di Leningrado i vinili vengono duplicati su lastre radiografiche: di qui il nome di "muzyka na kostiach" o "muzyka na rebrach", "musica su ossa" o "musica su costole". Nel suo libro Back in the USSR: The True Story of Rock in Russia, il giornalista e produttore musicale Artemij Trojckij ricorda che "Si trattava di vere e proprie radiografie – toraci, colonne vertebrali, fratture – arrotondate ai bordi con le forbici, provviste di un piccolo foro al centro e con solchi appena visibili. La scelta di questo stravagante supporto è presto spiegata: le lastre erano la fonte più economica e più facilmente reperibile di plastica". Il processo è anche chiamato roentgenizdat (da roentgen, come vengono chiamate le radiografie in Russia, e izdat, edizione, con un evidente richiamo al samizdat, cioè all'edizione in proprio) e risulta in uso ancora negli anni Settanta. La qualità delle "costole" è bassissima, ma lo è anche il prezzo. Sono osteggiate dal Komsomol, che organizza vere e proprie "pattuglie musicali" per arginare questo commercio sotto banco. Non mancano nemmeno le brutte sorprese: può capitare che dopo pochi minuti di rock'n'roll americano l'acquirente di questi dischi si imbatta in una sardonica voce russa che dice "Ah, così volevi provare le novità musicali, eh?".
Scrive Alexei Yurchak nel suo libro Everything Was Forever, Until It Was No More che i fan sovietici erano consapevoli del senso di intimità che le ossa e le arterie del corpo sovietico donavano a suoni provenienti da un altrove immaginato e fantasticato. I dischi sulle ossa diventavano così la metafora per eccellenza di culture ingegnose e sperimentali che erano al contempo fuori e dentro il corpo dello Stato sovietico.
Negli anni Sessanta si è intanto diffusa la registrazione su nastro. Nonostante l'atteggiamento critico, lo Stato sovietico dà il via alla produzione di massa di registratori. In una ventina d'anni, dagli inizi dei Sessanta agli inizi degli Ottanta, l'Unione Sovietica vive un'enorme trasformazione culturale: quella che Pëtr Vail' e Aleksandr Genis ispirandosi al celebre slogan di Lenin ("Il comunismo è soviet più elettrificazione") definiscono magnitoficacija del Paese. Arrivano così alla rinfusa i Beatles, i Black Sabbath, Alice Cooper, i Creedence Clearwater Revival, i Kiss, gli Abba, i Boney M. Nel 1976 Leonid, un diciassettenne di Jakutsk, scrive al suo amico Nikolaj di Leningrado: "Non vedo l'ora di procurarmi le ultime registrazioni, anche se è da un po' che non faccio raccolta. Però un po' di roba ce l'ho già: gli album del 1975 e del 1976 di Alice Cooper, i Bee Gees, Made in Japan dei Deep Purple, le loro canzoni "Smoke on the Water" e "Child in Time", 24 Carat dei Deep Purple, ho anche un po' di cose vecchie – i Beatles, McCartney e Band on the Run dei Wings – perché qua sono considerate vecchie. Per quanto riguarda J. S. Bach, è proprio una gran cosa, anche qui lo amiamo molto, specie la musica per organo. Volevo chiederti di procurarmi i Creedence e anche qualcosa di nuovo che avete voi lì. Poi ti mando i soldi". (Yurchak, 189-190.)
J. S. Bach e Deep Purple.
È l'audiocassettizzazione dell'URSS.
Il 21 luglio 1962, a Leningrado, da padre coreano e madre russa, nasce Viktor Coj.
domenica, agosto 15, 2010
Sotto una stella chiamata Sole/1. La fine
La collisione tra la vettura "Moskvič-2141" di colore blu scuro e l'autobus di linea "Ikarus-250" ha avuto luogo alle 12 e 28 del 15 agosto 1990 al chilometro 35 della strada Sloka-Talsi. L'automobile viaggiava a non meno di 130 km/h. Al volante si trovava Viktor Robertovič Coj, morto sul colpo. Il conducente dell'autobus è rimasto illeso.
Verbale di polizia
Verbale di polizia
Una leggenda lettone dice che a nuotare a mezzogiorno nel lago di Vilkmuizhas, nei pressi di Talsi, si finisce trascinati sott'acqua dai lupi. Viktor Robertovič è appena stato a pescare, ma in un altro lago, e sta tornando a Plien'ciemse, dove da qualche anno trascorre le vacanze estive in una casa priva di via e di numero civico chiamata semplicemente "Zeltini". Comunque mezzogiorno è già passato.
Quella che da Talsi porta a Sloka è una strada bella e un po' trascurata, non molto ampia, che si snoda tra boschi di conifere e latifoglie. A un certo punto incrocia un ruscello stretto e poco profondo, il Tejtupe. È in prossimità del piccolo ponte che Viktor Robertovič si addormenta al volante. L'auto percorre 233,6 metri sul ciglio della strada, poi Viktor Robertovič si sveglia, sterza troppo bruscamente per rimettersi in carreggiata e invade la corsia opposta. Lì viaggia l'Ikarus-250, a una velocità di 60-70 chilometri orari. Viktor Robertovič non lo vede. La Moskvič urta con lo spigolo destro anteriore contro lo spigolo sinistro anteriore dell'Ikarus. L'auto viene scagliata 18 metri più in là, l'autobus finisce nel ruscello. La Moskvič è completamente distrutta, tanto che uno dei pneumatici non verrà mai ritrovato.
Ripensando all'URSS e al 1990 mi torna in mente la telefonata di Alex, brevissima, della quale sulle prime non capii niente: neanche se fosse in russo semplificato o in inglese stentato, né se Alex stesse piangendo o ridendo (risultò poi che semplicemente urlava). Ripensandoci ora mi dico che l'Unione Sovietica finì lì, non con un crollo ma con uno schianto seguito dal tuffo dell'Ikarus nel ruscello, mentre Viktor Coj volava.
Probabilmente sto esagerando.
Questa comunque è la storia di Viktor Coj, rockstar, poeta, attore, caldaista, ultimo eroe sovietico.
giovedì, marzo 18, 2010
Ma a de Gaulle no
Al Maresciallo Stalin
Ieri sera ho visto per la seconda volta il film «Kutuzov», del quale Lei mi ha fatto dono. Quando lo vidi la prima volta mi suscitò una grande ammirazione, ma essendo in russo non ero riuscito a comprendere il senso di tutte le situazioni. Ieri sera ho rivisto il film con i sottotitoli inglesi, che hanno reso perfettamente comprensibile tutto, e devo dirLe che, a mio parere, si tratta di uno dei film più geniali che io abbia mai visto. Mai conflitto tra due personalità è stato mostrato con maggiore chiarezza. Mai delle immagini cinematografiche hanno espresso tanto efficacemente l'importanza della fedeltà nei comandanti e nei semplici soldati. Mai i soldati russi e il popolo russo sono stati presentati al popolo britannico così gloriosamente attraverso quest'arte. Non ho mai visto una maggiore maestria nell'uso della macchina da presa.
Se ritenesse appropriato comunicare privatamente la mia ammirazione e gratitudine a coloro che hanno lavorato a quest'opera d'arte e di elevata moralità, Gliene sarò grato. Nel frattempo mi congratulo con Lei.
Amo pensare che siamo stati insieme in quella lotta mortale come in questa guerra trentennale. Suppongo che Lei non abbia mostrato questo film a de Gaulle, così come io non intendo mostrargli «Lady Hamilton» quando verrà qui per firmare un trattato simile a quello che Lei ha firmato con lui e che abbiamo firmato tra noi.
Saluti!
Winston L. S. Churchill
Link (in russo)
Ieri sera ho visto per la seconda volta il film «Kutuzov», del quale Lei mi ha fatto dono. Quando lo vidi la prima volta mi suscitò una grande ammirazione, ma essendo in russo non ero riuscito a comprendere il senso di tutte le situazioni. Ieri sera ho rivisto il film con i sottotitoli inglesi, che hanno reso perfettamente comprensibile tutto, e devo dirLe che, a mio parere, si tratta di uno dei film più geniali che io abbia mai visto. Mai conflitto tra due personalità è stato mostrato con maggiore chiarezza. Mai delle immagini cinematografiche hanno espresso tanto efficacemente l'importanza della fedeltà nei comandanti e nei semplici soldati. Mai i soldati russi e il popolo russo sono stati presentati al popolo britannico così gloriosamente attraverso quest'arte. Non ho mai visto una maggiore maestria nell'uso della macchina da presa.
Se ritenesse appropriato comunicare privatamente la mia ammirazione e gratitudine a coloro che hanno lavorato a quest'opera d'arte e di elevata moralità, Gliene sarò grato. Nel frattempo mi congratulo con Lei.
Amo pensare che siamo stati insieme in quella lotta mortale come in questa guerra trentennale. Suppongo che Lei non abbia mostrato questo film a de Gaulle, così come io non intendo mostrargli «Lady Hamilton» quando verrà qui per firmare un trattato simile a quello che Lei ha firmato con lui e che abbiamo firmato tra noi.
Saluti!
Winston L. S. Churchill
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