sabato, aprile 06, 2024

Quello che ha fatto tante metafore

LE GRANDI INTERVISTE

QUELLO CHE HA FATTO TANTE METAFORE

– Alberi.
– Sì, ho fatto una metafora.
– E ci ha messo sopra.
– Un'altra metafora.
– Uguale.
– Certo, uguale.
– Non le sembra che la macchinina, i cessi, le audiocass
– Ecco qui un'altra mezza tonnellata di metafore, che le sembra?
– Ma veramente io avevo chiesto mezzo etto al massimo.
– E c'è anche una mezza installazione della Donata.
– Ma guardi in casa siamo solo in du
– La Donata mia moglie.
– Ho capito.
– Allora lascio. Dopo i titoli di coda ho messo ancora qualcosina.
– Bòn, lasci i pallet sul marciapiede, che poi passiamo con il TIR.
– Adesso la Donata mette due sedie fuori così le teniamo il parcheggio.
– Va bene grazie.
– Grosse grosse metafore.
– Se se, arrivederci.
– Arrivederci.


mercoledì, marzo 20, 2024

Quella foto di Macron su Insta

LE GRANDI INTERVISTE

QUELLA FOTO DI MACRON SU INSTA

– Buongiorno, disturbo?
– No no, si accomodi.
– Lei è quella foto di Macron su Insta.
– Per servirla.
– Che poi non è una foto sola, sono due.
– Sì, insomma, "la boxe". 
– La boxe. Bianco e nero, faccia un po' così.
– La faccia bellissima del nostro Presidente.
– Mi racconti la giornata tipo di una foto di Macron su Insta.
– È una giornata normale, sveglia alle otto, doccia, un due tre gocciole, non so se si può dire.
– Sarebbe pubblicità.
– Il Presidente, naturalmente è già sveglio da ore.
– E poi, foto.
– Foto.
– In bianco e nero per dare quel non so che di...
– Ma perché, secondo lei Fronte del porto stava a colori?
Fronte del...
– I coulda had class. I coulda been a contender.
– No, dai.
– I coulda been somebody.
– Non faccia così.
– Anche Toro scatenato è in bianco e nero!
– È vero.
– Anche la crisi dei missili di Cuba è in bianco e nero, anche Kennedy è in bianco e nero, anche
Rocky, però.
– No, Rocky è a colori.
– Vede.
– Adrianaaaah.
– Adesso però la smetta.
– La smetto e mi calmo.
– Tenga due gocciole.
– Non posso, sarebbe pubblicità.
– Non importa. 
– Grazie.
– La parte più bella del suo lavoro?
– Il Presidente!
– La parte peggiore?
– Quando sono in bianco e nero e vorrei essere a colori.
– Le sta simpatico Putin?
– Mi fa schifus!
– Le piacerebbe essere una bella foto a colori di Putin?
– No!
– Putin che mangia lo yogurtino, Putin con la giacca a vento blu, Putin che guida il Tir, Putin che gioca a hockey...
– Sempre a colori?
– Certo.
– Ce l'ha altre due gocciole?
– Tenga tutto il cartoccio.
– Grazie.
– Grazie a lei, buonasera!
– Buonasera.


Fonte: https://www.instagram.com/soazigdelamoissonniere/


mercoledì, marzo 06, 2024

Quello che ha firmato e lo scrive su Twitter

LE GRANDI INTERVISTE

QUELLO CHE HA FIRMATO E LO SCRIVE SU TWITTER

– Buonasera, disturbo?
– Buonasera, no no, ma quale disturbo.
– Lei è quello che ha firmato un appello, vero?
– Ho firmato!
– Quello dove c'è anche coso.
– L'appello della sinistra!
– Non solo della sinistra.
– Della sinistra per Israele.
– Valori liberali e progressisti, dico bene?
– Certo!
– Robusta e radicata cultura democratica?
– Rigorosamente, come diceva la bella attrice nella pubblicità degli spaghetti.
– Si parla troppo male del sionismo, che invece.
– Invece in esso vivono i valori di uguaglianza, giustizia, liberazione umana della sinistra democratica e del progressismo.
– Basti pensare alla?
– Straordinaria esperienza dei kibbutz, il progetto e il sogno di una società più
– Come vive uno che firma un appello?
– Normalmente, la mattina mi alzo, faccio la doccia, un po' di yogurt proteico e poi firmo.
– Firma fino a mezzogiorno?
– No, faccio una pausa alle nove e mezza.
– E in quella pausa cosa fa?
– Vado su Twitter e scrivo che ho firmato!
– Reazioni?
– Luci e ombre.
– Ma mi sembrano più ombre, però.
– Ma no, ma no.
– Quell'appello mitizzicchia leggermente, diciamo.
– Non mi pare proprio.
– Un po'.
– No!
– E dài.
– Neanche per sogno.
– Vi fanno schifino i palestinesi, dica la verità.
– Noi vogliamo una rinnovata leadership dell'ANP.
– Vi fanno schifolino.
– Due popoli in due
– Se se. La cosa più bella del suo lavoro?
– Quando metto le cartucce nella stilo.
– La cosa più brutta?
– Quando mi macchio i polsini.
– Grazie buonasera.
– Buonasera.


venerdì, febbraio 09, 2024

I beati anni dei vestiti brutti

Scarpe brutte e vestiti brutti: le Clarks sbagliate, i jeans finti, i maglioni di pannolenci, i piumini 100% sintetici effetto bulbo di Tesla. Di qua una madre bellissima e scontrosa, fantasie geometriche e minigonne, zatteroni con la zeppa di sughero, mèche e tirabaci, una collega con il taglio alla Jane Fonda che passava a prenderla in Vespa. Belle, strane e inafferrabili come due uccellini esotici. Di là un padre che smarmittava allegro sulla Lambretta con i suoi jeans senza marca e la camicia kaki alla Poncharello, o una maglietta nera con l'etichetta "c o b r a" presa in saldo da Bonnes.

Una volta, con la scusa dell'arricchimento culturale, siamo finiti a San Marino anche noi Vittorelli. Al ritorno eravamo tutti accessoriati di Ray-Ban Aviator, con le aste che facevano due giri della morte dietro le orecchie e il galleggiante di madreperla che ci scavava un solco in mezzo agli occhi. Sembravamo una squadra di poliziotti della narcotici.

I finestrini abbassati sul pomeriggio estivo desaturato dalle lenti verde scuro, la sosta canonica in Autogrill. Felici? Ma sì.

C'era qualcuno che in fatto di eleganza stava peggio di noi. Erano gli jugoslavi oltreconfine che venivano di qua a comprare fustini di Dash e abbigliamento a basso costo. Nella parte nord della città c'erano negozietti scadenti che vendevano jeans jugo, magliette jugo, calzature jugo. Per quello stile di recupero avevamo un nome: jugosbriz, un casual di necessità contraddistinto da abbinamenti sbagliati, un rebus di capi completamente fuori sesto.

Perciò noi stupidi starogoriziani con le nostre robette vagamente imitative ci sentivamo decadenti e chic. Ci giudicavamo a vicenda, ma senza malizia. Per esempio l'unica ad avere le Clarks vere era la Ago, che aveva il padre ingegnere. Ma era compensata dalla Zubi, che poteva presentarsi in classe con i sandali da campeggiatore austriaco e i calzettoni di lana, e allora voleva dire che era cominciata la primavera: la Zubi era la nostra rondinella, la nostra pallida primula, la nostra gemma di pruno.

L'immunità al giudizio di stile valeva solo per la contea di Gorizia. Bastava andare in gita a Venezia che subito fiorivano borsette Mandarina Duck e non Maddalina Ciuk, vere polo con il coccodrillo e non con un rettile che aveva perso il tram della selezione naturale. Allora eravamo tutti jugosbriz, anche noi figli di genitori naturalmente belli.

Un giorno mia nonna insieme al panino mi infilò nella borsa anche i soliti Ray Ban di ottone. No, dissi io, pesano troppo. Che tra l'altro guarda che oggi viene piova.

Così se li mise lei, aggiustandosi ben bene le aste dietro le orecchie, e rimase in piedi a guardarmi come un agente della stradale mentre io mi allontanavo con i miei veri Jean's West in una nuvola di Eau Jeune e lucidalabbra alla frutta, sotto un sole che rideva spietato.



mercoledì, febbraio 07, 2024

Vsak patk disko!

Hum, Collio sloveno (Goriška Brda): Hum o Cum sotto l'Austria, faceva parte dell'enclave di Quisca (Kviško o Kojsko) nel comune catastale di San Martino (Sv. Martin o St. Martin) poi divenuto comune di San Martino-Quisca (St. Martin-Quisca, Sv. Martin-Kviško).
1920, Trattato di Rapallo, annessione al Regno d'Italia: nel 1923 Hum diventa Colmo.
1947, Trattato di Parigi, annessione alla Jugoslavia: Hum ridiventa Hum.

A partire dal dopoguerra nella casa della cooperativa di Hum si balla. Negli anni Ottanta è una discoteca e una sala da concerti. 
Aprile 1987: concerto Pankrti. Maggio 1988: concerto Firehose. Novembre 1988: concerto Savage Republic. Che bello vivere, che bella la vita, come cantava il pugile scemo di Vysockij prima di andare K.O.

Mio padre ha sei anni quando lo mandano con suo fratello Pepi in "colonia" in campagna. Mio nonno ha conoscenze nella comunità slava e forse una tessera di qualche tipo, tanto che certi colleghi hanno iniziato a chiamarlo "Vittorellič con la pipa" (la pipa sulla c). Così riesce a procurarsi due posti sulla corriera e ci mette su mio padre e il Pepi. Appena arrivati li mandano tutti nel campo a prendere ciascuno una balla di fieno, cioè il letto su cui dormiranno nella stalla del contadino. Il resto è una lunghissima giornata estiva: marce nei campi, canti patriottici, lavori utili e radici commestibili. Un giorno il Pepi, che ha tre anni più di mio padre, dice: scappo. E scappa. Mio padre, vedendolo correr via tagliando per i prati, già s'immagina suo fratello disperso tra le campagne di questo Paese lontanissimo e misterioso, forse l'Austria, forse il Montenegro, non ricorda quanto tempo ci ha messo la corriera, comunque tanto.

Alla fine della colonia mio padre torna a casa, un vecchietto di sei anni che ha fatto la guerra. Lì trova il Pepi, sazio, lavato e riposato. Solo allora gli spiegano che la colonia stava a Hum, vicino a Quisca. Distanza da Gorizia, Straccis: un'ora e mezzo a piedi, di corsa meno. Il Pepi correva.
Di quel periodo gli restano i canti patriottici, in una lingua a metà tra dialetto sloveno e insalata di consonanti.

A Hum puoi arrivare passando per San Floriano e il Collio goriziano oppure prendendo la strada internazionale del Monte Sabotino/Sabotinska Cesta, cioè la Strada di Osimo, costruita nella prima metà degli anni Ottanta per creare un collegamento diretto tra il collio sloveno e Nova Gorica: il corridoio di circa 1600 metri in cui corre in Italia è costruito in trincea e ha una recinzione alta due metri su entrambi i lati. Secondo il Regolamento sull'uso della Sabotinska cesta, pubblicato il 7 ottobre 1983 in appendice alla Gazzetta ufficiale slovena n. 8 - Trattati internazionali, questo tratto di strada è destinato esclusivamente al traffico di transito ed è vietato sostarvi; non è consentito circolare con veicoli militari; sono vietate le fotografie. 

Per prendere la Strada di Osimo venendo da Salcano svolti a sinistra e poi vai sempre dritto, costeggi il torrente Pevmica/Piumizza e sei a Hum. Subito dopo Quisca e prima di Šmartno/San Martino c'è il monumento di Gonjače ai caduti (315) con annessa torre panoramica che sale a spirale per 23 metri e 144 gradini. Abbastanza per provare una piccola vertigine, ma anche, nelle giornate serene, per vedere il Collio goriziano e sloveno, le Alpi Giulie e le Alpi Carniche, le Dolomiti, la Pianura Friulana, il Carso, la valle del Vipacco, la Selva di Tarnova, il mare.

In corrispondenza della rotonda che porta a Gonjače, sul muro che sta sulla destra, dagli anni Ottanta c'è una grande scritta, scomparsa più volte e più volte rinfrescata, "VSAK PATK DISKO!", "discoteca tutti i venerdì": perché a Hum si ballava, si ballava tutti i venerdì.



 

martedì, febbraio 06, 2024

Bunker

In Italia era l'epoca decadente dei chitarra-bar. Ma a Šempeter pri Gorici, detto in italiano San Pietro, in friulano San Pieri, in tedesco Sankt Peter, a 500 metri da Gorizia, a metà anni Ottanta c'era ancora la Jugoslavia e nel finesettimana ci si metteva in fila ai valichi e si andava ad ascoltare musica al Bunker. Il Bunker quello era, un vecchio rifugio antiatomico, ed era stato ridecorato in economia con gusto costruttivista: scaletta piastrellata multicolore, muri di cemento, graffiti stile avanguardia russa, grosse tubature a vista. Ingresso cinquemila dinari, saranno state mille lire. Pubblico eterogeneo, stile post punk e darkoni, giacche a vento, giubbotti di denim, giacche e cravatte, ragazze in maximaglione con le spalline imbottite. La lingua, un pidgin di frontiera. La musica, da Prince a Frank Zappa a Miles Davis. L'impianto stereo, ottimo.

Oggi lì c'è un edificio delle Poste slovene, ma ricordatevi che una volta in mezzo a quei condomini su una montagnola erbosa accanto a un albero agonizzante c'era il Bunker, dove per qualche anno con la propustnica in tasca e una Lasko in mano abbiamo sognato che tutto cambiasse restando esattamente com'era.


domenica, gennaio 28, 2024

Encuentro de civilizaciones

In Muerte súbita Álvaro Enrigue immagina un dialogo tra Hernán Cortés e uno dei suoi capitani in un momento di pace: quando 'sti selvaggi giocano a palla, dice quello, tagliano la testa al vincitore. Stirpe del demonio, dice Cortés, bisogna insegnargli che la testa si taglia al perdente.   

martedì, gennaio 16, 2024

Oh l'amour

– Mirumir, venga, venga, si accomodi. 
– Grazie. 
– Abbiamo qui la sua candidatura a un posto di traduttore quantico senior. 
– Precisamente. 
– Lei è quella che masterizzava mp3 su CD 12xspeed Traxdata, giusto? 
– Per gli amici. 
– L'altro giorno l'hanno sentita dire "la musica di questo spot era una canzone famosa che mi piaceva tanto". 
– Quella che fa oh l'amooooooour broke my heart and now 
– Tali Erasure. 
– Sì, c'è il video in rete. Sa quei ritmi tuturutututum che si ballavano allora. Le sudate, l'allegra confusione sessuale, le canottiere aderenti tipo Querelle de Brest, le gradazioni fuori norma. 
– Sì. 
– 22 milioni di visualizzazioni, sa? 
– Mirumir, vedo che oggi abbiamo voglia di scherzare. 
– Scusi? 
– 22 milioni sono gli anni. 
– Uh? 
– È un video di 22 milioni di anni fa. 
– Pensavo meno. 
– Lei capisce che il tempo passa. 
– Sì. 
– Lei mi è caduta ancora una volta in una trappola neuronale. Una vecchia canzoncina e i suoi neuroni si cascano con le scarpe e tutto. E mica pochi, quei neuroni.
– Sì. 
– Quei neuroni in questo momento ballano in canottiera e mutande per l'eternità, questo lei lo sa. 
– Lo so. 
– Si è aperta una posizione di data scavenger nella cintura degli asteroidi. 
– Ok. 
– La accendiamo? 
– La accendiamo. 
– Vada, Vittorelli, ci vediamo tra un anno. 
– Vado. 
– 22 milioni "di visualizzazioni". 
– Mi scusi. 
– Arrivederci. 
– Arrivederci.



lunedì, gennaio 15, 2024

La bufera social

LE GRANDI INTERVISTE

LA BUFERA SOCIAL

– Buongiorno, disturbo?
– No no, si figuri, entri e chiuda la porta.
– Ecco.
– Che c'è corrente.
– Lei è la famosa bufera social.
– Così dicono.
– Mi parli della sua giornata.
– Allora io di base non dormo mai, sto sempre sui social.
– Sempre?
– Due occhiaie così guardi.
– Ci sono notizie che le sembrano promettenti...
– Sì, può esserci la cantante con la tosse che sta alle Maldive, il tennista che si fa la fidanzata, il cantante obeso, cose così.
– Oppure.
– Oppure cose più pese che girano attorno agli screen.
– Gli screenshot.
– Sì.
– Come nasce una bufera social? 
– Io nasco di continuo, ma non muoio mai veramente, un po' come il Doctor Who che adesso lo interpreta un bel...
– Ci sono giornate fiacche?
– Quelle sono le migliori. Metta che oggi piove, no?
– Sì.
– La gente ha il nervoso, non vede l'ora di smascherare menzogne, di fare asciutti debunking, di svelare scontrini-truffa, un caffè venti euro più servizio al tavolo.
– E lì.
– E lì c'è bufera social.
– Anche detta gogna mediatica?
– No, siamo due cose distinte. Prima arrivo io, poi entra in scena la gogna.
– Lei e la gogna.
– La notte è piccola per noi.
– Certo.
– Troppo piccolina.
– Il bello del suo lavoro?
– Certe albe meravigliose.
– Il brutto del suo lavoro?
– Le occhiaie e la polizia postale.
– Le parteggia per gli Houthi?
– Certo che parteggio per gli Houthi. Più Houthi per tutti!
– Dica la verità, in questo momento lei sta lavorando.
– Io non smetto mai. 
– Quindi non parteggia veramente.
– E chi lo sa. Chi lo sa. Guardi qui.
– Cosa?
– Titolo di Repubblica: "La sposa interrompe la sua cerimonia nuziale per salvare un animale inaspettato". Bene, noi diremo che è una pantegana, una grossa grossa pantegana.
– Ma non è vero, scusi.
– Una grossa grossa pantegana radioattiva proveniente dal ristorante di un famoso chef fidanzato bene.
– Ma no.
– Grossa grossa pantegana radioattiva che ha morso la futura suocera della sposa!
– Se l'è inventato.
– Il web si divide tra propantegana e panteganofobi, il famoso chef fa un post in cui dice che la suocera e le grossa grossa pantegana radiottiva si conoscevano da prima, lui ha gli screen.
– Addirittura.
– Che le sembra?
– Non male.
– Per un lunedì, no?
– Vero.
– Adesso se non le dispiace.
– Certo.
– Allora la lascio lavorare.
– Hashtag pantegana, hashtag grossa grossa, hashtag famoso chef, hashtag suocera... arrivederci, tante cose!
– E quella cosa degli Houthi...
– Più Houthi per tutti!
– Arrivederci.
– Arrivederci.


venerdì, gennaio 12, 2024

Shutter Austerlitz, incompreso blockbuster storico-basagliano

Più o meno a metà faccio un grande sospiro. Cos'è questo sospirone, dice lui. Mah, dico io. Guarda che è un capolavoro, dice lui, ho finalmente capito da dove viene la storia del matto che si crede Napoleone. È un film ambientato nel 2650 e a un certo punto lui sputerà una chiavetta usb. Capolavoro, ripete.
Poi mi spiega.

"Napoleon", l'incompreso ballo in maschera di Ridley Scott   



domenica, dicembre 31, 2023

Non è una lista


I migliori libri letti nel 2023 (niente voti):

Demon Copperhead di Barbara Kingsolver ("First, I got myself born"), che si è portato dietro The Poisonwood Bible (un'ossessione tragica, una famiglia infelice, la storia di un Paese, Patrice Lumumba, traduzioni errate).
Tomorrow, and Tomorrow, and Tomorrow di Gabrielle Zevin. 
Hamnet di Maggie O' Farrell, e in fondo anche The Marriage Portrait.
The Shards 
di Bret Easton Ellis (horror, mystery, autofiction, sprezzatura, Shining al cinema un sabato mattina, "Vienna" degli Ultravox, this means nothing to me, quando invece sappiamo bene che it means a lot).
Piranesi di Susanna Clarke! (Anche in audiolibro narrato da Chiwetel Ejiofor).
The Custom of the Country di Edith Wharton, riletto grazie a Bret Easton Ellis che in un'intervista si chiedeva se non fosse questo il grande romanzo americano (ma sai che forse). 
Sono apparso alla Madonna di Carmelo Bene ("Quante inezie vi avrei risparmiato, se fossi a questo mondo e Dio esistesse").
Pushkin: a Biography di T. J. Binyon, che si è portato dietro le lettere di Puškin alla moglie e la rilettura dell'Onegin, più letture sparse sui suoi compagni di liceo.
Verso le rovine di Čevengur di Vasilij Golovanov.
Carnival Desires di Mark Lindquist, che non avevo mai letto e che invece meritava.
Project Hail Mary di Andy Weir, nell'audiolibro narrato da Ray Porter: best bromance dell'anno.
All That Remains: The Palestinian Villages Occupied and Depopulated by Israel in 1948 di Walid Khalidi.
The Wandering Earth di Cixin Liu.
I sei romanzi del ciclo Dublin Murder Squad di Tana French e quasi tutto di Lisa Jewell (in audiolibro).
Skint Estate di Cash Carraway.

Ma ho avuto anche delusioni, i romanzi bravi che piacciono a tutti e non capisci perché a te no. Invece no. I libri che sentono di sudore dell'editor su maglietta 20% acrilico. Eccetera. 

Infine.
Sei un editore, conosci un editore, curi una collana, vuoi un consiglio: compra i diritti di tutti i romanzi di Celia Fremlin e fammeli tradurre. 

domenica, dicembre 24, 2023

Il maxi anticiclone

LE GRANDI INTERVISTE

IL MAXI ANTICICLONE

– Buongiorno.
– Buongiorno si accomodi.
– Lei è il famoso
– Sono il maxi anticiclone.
– Non basta anticiclone, anche maxi.
– Ma guardi che anticiclone non è mica accrescitivo.
– Anticiclo, anticiclone.
– No.
– Maxi anticiclone è come dire più meglio.
– Assolutamente no.
– Le piace questa foto dove le hanno messo il cappellino di Babbo Natale? A me piace.
– Insomma.
– Fa sempre allegria, non trova? Come quando si entra da Intimissimi e le signorine hanno tutte il berrettino rosso, secondo me si divertono moltissimo. Ha presente?
– In questo momento no.
– Di solito diciamo anticiclone delle Azzorre qua, anticiclone delle Azzorre là. Lei da dove viene?
– Io dall'Africa del Nord.
– È vero che è venuto a bloccarci qualsivoglia perturbazione?
– È vero.
– E ad alzarci le medie climatiche?
– Un po'.
– Non abbiamo abbastanza problemi? Non bastano i suoi amici Houthi?
– Ma guardi che gli Houthi non stanno mica in Africa.
– Eh lasci fare!
– Stanno dall'altra parte del Mar Rosso, scusi.
– Sì, adesso mi dirà che neanche i suoi amici di Hamas sono africani.
– E infatti non sono per niente africani.
– E dai.
– No.
– Un pochino.
– No.
– Il bello del suo lavoro?
– Certi tramonti spettacolari.
– Il brutto del suo lavoro?
– Le alzatacce.
– Come trascorrerà le feste?
– Ho sempre sognato di vedere il Colosseo.
– Lei lo sa che in Europa non abbiamo posto per tutti, oltre a essere democrazie.
– Si figuri se non lo so.
– Abbiamo i nostri valori, tra questi l'inverno e gli impianti di risalita.
– Va bene.
– Quindi il primo gennaio in fila per il check-in con tutta la famiglia, mi raccomando.
– Sicuramente.
– Poi non si lamenti che c'è nebbia insidiosa e i voli sono in ritardo.
– Va bene.
– Perché la nebbia insidiosa è tutta colpa sua.
– Orpo.
– Lei condanna?
– E come no?
– Sicuro?
– Sicuro.
– Non è che poi mi torna in Africa e si mette a fare le stragi?
– Quali stragi?
– O a buttare i gay giù dai tetti?
– Ma no.
– Vi conosciamo voi anticicli.
– Non è accrescitivo.
– Le piace fare la storia con i se?
– No.
– E con i seh seh?
– Guardi, adesso devo andare perché mi chiudono il Colosseo.
– Sì, da mo' che ha chiuso, il Colosseo.
– Come?
– Vigilia di Natale. Tradizioni!
– Ah. Vabbe' pazienza, buonasera.
– Buonasera! Se lo metta, il berrettino.
– Sì sì, dopo me lo metto.
– Buonasera!
– Buonasera.


domenica, dicembre 10, 2023

Trentatré

Nella cittadina di Verchnie Jamki un dentista scopre che Ivan Sergeevič Travkin, umile tecnico in una fabbrica di bevande analcoliche e corista per hobby, ha trentatré denti. “Caso unico” nella storia dell’odontoiatria, Ivan Sergeevič finisce suo malgrado a Mosca dove gliene succedono di tutti i colori, lo ricoverano in manicomio per le macchinazioni di un invidioso, poi diventa una celebrità. Gli scienziati ipotizzano che con i suoi trentatré denti sia un discendente dei marziani e lo scelgono per una missione spaziale piena di incognite. Ma è solo un sogno. L'invidioso che era finito pure lui in manicomio si scusa (“erano i nervi” dice, “ma adesso mi hanno curato”), gli chiede 5 copeche per l’autobus e gli raccomanda di “non dire a nessuno che ne avevo trentatré anch’io” (ma non era vero). Ivan Sergeevič, trentatreesimo dente in un mondo che può averne solo trentadue, torna felice nella sua cittadina a fare bibite gassate.

E trentatré è il titolo del film.

Il fatto che Verchnie Jamki (traducibile con “Alte fosse”) non esista non le impedisce di venire nominata altre due volte nel cinema sovietico: in Šla sobaka po rojalju (1978) di Vladimir Grammatikov e in Afonja (1975) dello stesso Danelija.



Tridcat' tri (1965), con il meraviglioso Evgenij Leonov.

Regia: Georgij Nikolaevič Danelija Direttore della fotografia: Sergej Arkad’evič Vronskij

I ricchi, i poveri

Siamo tutti in cucina davanti alla tv a guardare uno spettacolo musicale, a un certo punto inquadrano l’esterno del teatro dove nel buio illuminato a tratti dai lampioni in mezzo a gente normale con normali facce da impiegati e da operai appaiono tre o quattro giovanotti a cavallo vestiti da hippy o da cowboy o da indiani pellerossa benestanti, e a quel punto mia madre se ne esce con una delle sue, sospira e butta lì con una disapprovazione che deve essere chiara a tutti: “certo ci sono i ricchi e i poveri”. Allora io che pure ho sonno mi faccio vispa e supplico i miei: ancora un poco. Ancora un poco, farfuglia Antonia che comunque già ronfa da un pezzo.

Ancora un poco, imploro. Ma non dico perché, in quanto mi vergogno.

Così mi permettono di stare sveglia fino alla fine delle trasmissioni.

Ma è tutto inutile.

Non era vero che c’erano i Ricchi e Poveri.

Ci rimango male, ma decido di tenerlo per me.

Chiamare qualcuno


Non c’erano solo le splendide dive sfigurate da carambole devastanti, ripescate da un fosso, incollate alla bell’e meglio (la pelle presa là dove è più morbida) e rimesse in circolazione, una ciocca di capelli a nascondere gli orrori.

C’erano anche gli sceneggiati Rai. Antonia gli sceneggiati li spiegava bene, soprattutto dal punto di vista medico-chirurgico.
La moglie del protagonista si ammalava, finiva all’ospedale, giaceva sofferente con una liseuse sulle spalle. Vai vai, gli diceva con un eroico sorriso, vai a lavorare che io sto bene.
Poi si veniva a sapere che, rigorosamente in silenzio e fuori campo, non ce l’aveva fatta.
Di cosa l’avevano operata, nonna?”
“Di pendicite, si inventava, ancora distratta.”
“Ma allora come è morta.”
“E si è piegata, è rotolata giù dal letto” e qui subito si concentrava, lo sguardo fisso sullo schermo “e si è aperto tutto.”
“Tutto, nonna?”
“Tutto.”
“Madonna.”
“Mai piegarsi. Sempre chiamare qualcuno.”

I morti non mancavano mai: come piaceva a noi. Il signor Curie, la madre di David Copperfield, la dolcissima e Dora, la troppo giovane Beth, e poi minatori, tisici con e senza famiglia, cardiopatici, incompresi, eroi, pavidi, tonsillitici.
Poteva succedere nel modo più banale. Ti mettevano i punti, te ne stavi comoda con la tua liseuse sulle spalle, vai vai a lavorare caro, vai mio eroe che io sto bene, poi ti piegavi per raccogliere una matita – mai piegarsi, sempre chiamare qualcuno – e rotolavi nel baratro tra il letto e il comodino. Ti trovavano lì, un sorriso pallido da una parte e un mucchio di budella dall’altra.
Perché è facile che il corpo si svuoti. La pelle è misera cosa, misera cosa è sempre stato il filo da sutura della Rai radiotelevisione italiana.

domenica, novembre 26, 2023

L'iceberg più grande del mondo

LE GRANDI INTERVISTE

L'ICEBERG PIÙ GRANDE DEL MONDO

– Buongiorno, disturbo?
– No, si figuri.
– Lei è il famoso...
– Sono l'iceberg più grande del mondo.
– Due volte...
– Londra. Due volte Londra.
– Chi è stanco di Londra...
– È stanco della vita: moltiplicato per due, pensi un po'.
– Incredibile, complimenti.
– Praticamente tre volte New York City, non so se conosce.
– Come no.
– In pratica prende l'Atlantico meridionale e va su su su, arriva all'Atlantico settentrionale e sulla sinistra trova New York.
– Sì sì ho capito.
– Non mi vada a destra che mi finisce in Portogallo.
– D'accordo.
– Segunda-feira de Lisboa, che nome d'incanto! Qui da noi è lunedì soltanto, come cantava il Maestro.
– E infatti domani è lunedì.
– Non me ne parli.
– Com'è la vita quotidiana di un grosso grosso iceberg?
– Ma guardi, normalissima, forse anche un po' noiosa.
– Il suo passatempo preferito?
– I puzzle, quelli giganteschi dove praticamente è tutto cielo.
– Le piacciono.
– Mi fanno impazzire.
– Il suo personaggio storico preferito?
– Annibale!
– Un grande condottiero.
– Aut viam inveniam aut faciam! Ahahah, anche se non so se l'ha detto davvero.
– C'è un pregiudizio che vorrebbe sfatare?
– Guardi noi iceberg non è che ci divertiamo a sfasciare i transatlantici, devono stare anche un po' attentini loro.
– Certo.
– Lo scriva: stare attentini.
– La cosa più brutta del suo lavoro?
– Le alzatacce.
– E la più bella?
– Fare i puzzle con mia moglie e magari un bel bicchierino di... Non so se si può dire la marca.
– La dica.
– Lagavulin!
– Io la ringrazio molto per questa chiacchierata.
– Si figuri.
– Ultima cosa.
– Dica.
– Lei condanna Hamas?
– E come, no?
– Dal fiume al mare...
– Tante belle cose, mi saluti la sua signora!
– Tunnel qua sotto ce ne stanno?
– Ma quali tunnel mi faccia il piacere!
– Grazie arrivederci.
– Si ricordi: stare attentini!



martedì, novembre 21, 2023

Il patriarcato

LE GRANDI INTERVISTE

IL PATRIARCATO

– Buongiorno.
– Buongiorno a lei.
– In questi giorni le fischieranno le orecchie.
– Un po' di cervicale, come tutti.
– No, è che si parla molto di lei.
– Finalmente!
– In che senso?
– Nel senso che d'estate arrivano molti turisti, ma è un turismo mordi e fuggi.
– Quindi?
– Non sembrano molto interessati, guardano, fanno foto, mangiano un panino al bar.
– Invece?
– Non si interrogano.
– È proprio questo il problema.
– Non inquadrano.
– Oggi vorrebbero abbatterla.
– Oh Madonnina biondina, e perché mai?
– Dicono che tante cose sono colpa sua.
– Vogliono distruggere tutto?
– Tutto.
– Cromazio? Rufino? Valperto? Poppone?
– Non li conosco ma essendo maschi...
– Ho capito.
– Mi dispiace.
– No no si figuri, mica sarà colpa sua.
– Se ne parla ormai da tempo, sa.
– E io che me ne stavo lì tranquillo a guardare i tramonti sulla laguna.
– Nessuno le ha mai detto niente?
– Ma niente, solo buongiorno e buonasera.
– E adesso?
– Adesso passo lo straccetto sui mosaici e chiudo tutto. Magari chiedo aiuto a un paio di signore, perché sa, le donne hanno...
– Non credo proprio, guardi.
– Va bene, allora faccio da solo.
– Faccia da solo.
– Pensavo che almeno i mosaici e la basilica, però...
– Scusi, ma lei è?
– Sono il patriarcato di Aquileia!
– Ah.
– Scambio di persona?
– Sì.
– Vede che non ho fatto niente.
– No, ha ragione.
– Va bene, adesso passo comunque lo straccetto e poi ho la giornata libera. Posso farmi aiutare da un paio di signore che conoscono tutti i prodottini gius...
– Non si allarghi.
– Lei sa swifferare?
– No.
– Va bene.
– Grazie, arrivederci.
– Passi per il porto fluviale, se non l'ha già visto.
– Va bene grazie. 
– Attenta a non inciampare, serve aiuto?
– No! Me la cavo da sola!
– Come non detto, mi stia bene!
– Ancora una cosa.
– Come il tenente Colombo!
– Tunnel ne avete, qua sotto?
– Per carità, quali tunnel. Stupenda cripta affrescata e cripta scavi, comprese nel biglietto.
– Lei condanna?
– E come, no? Condanno.
– Ma condanna con forza?
– Con forza.
– Sicuro?
– Sì sì.
– Di nuovo arrivederci.
– Arrivederci.


sabato, novembre 11, 2023

Il vulcano Fagradalsfjall

LE GRANDI INTERVISTE

IL VULCANO FAGRADALSFJALL
– Buongiorno, disturbo?
– Buongiorno, ma no, nessun disturbo.
– Giornata tranquilla?
– Tranquillissima, un sabato del resto.
– Dicono che sta preparando un'eruzione, è così?
– Ma quale eruzione, le solite esagerazioni.
– Dicono che nel sottosuolo si stanno diffondendo grandi quantità di magma.
– Eh, se le dovessi raccontare tutte le volte che il magma se ne va a spasso.
– Un tunnel di magma. Scosse sismiche.
– Ma no, ma no. Un po' di umidità, questo sì. Che non fa bene per la cervicale, poi a me non piace abusare di antinfiamm...
– Quanto sarebbe lungo, questo tunnel?
– Ma niente, così, qualche chilometro.
– Qualche chilometro, ammazza!
– Ma guardi che siamo in Islanda, sa.
– Senta, è vero che l'altro giorno al bar ha detto "Israele se continua così... io non lo so?"
– Ma se ne dicono tante.
– Cosa intendeva per "io non lo so?".
– Che non lo so!
– Viva viva Pale...
– No io in palestra non ci vado molto, purtroppo.
– Il suo piatto preferito?
– La zuppetta di lichene di mia suocera.
– Il lato più bello del suo lavoro?
– I tramonti.
– Il più brutto?
– Le alzatacce.
– Lei condanna Hamas?
– Sì sì, condanno Hamas.
– Grazie per averci dedicato un po' del suo tempo, buonasera!
– Buonasera. No guardi, si tenga sul lato destro perché di lì non si passa.
– Di qui?
– E poi sempre dritto.
– Grazie buonasera.
– Seguendo il fiume di lava non sbaglia. Buonasera.
Il vulcano Fagradalsfjall (sullo sfondo). Foto AP.



giovedì, novembre 02, 2023

Molto realistica

‘Sfacciato, impetuosetto, ma riconoscente, zelante, ordinato e molto diligente’: così fu definito Michail Jakovlev. Musicista di talento, cantava accompagnandosi con la chitarra e mise in musica opere di Del’vig e Puškin, sia negli anni del liceo che in seguito. Al liceo, tuttavia, dove fu soprannominato ‘il pagliaccio’, era più noto per le sue imitazioni. Il suo vastissimo repertorio comprendeva duecento ruoli: oltre a studenti e insegnanti, orsi italiani (n. 93), loro addestratori (n. 94), un samovar (n. 98), addestratori di orsi russi (n. 109), Alessandro I (m. 129), una nave (n. 170) e un sergente degli ussari impazzito (n. 179).
Quando Puškin viveva a Mosca chiese a un amico di San Pietroburgo quale fosse l’ultima imitazione di Jakovlev. ‘L’alluvione di San Pietroburgo’ fu la risposta. ‘E com’è?’ ‘Molto realistica’.”

Pushkin: A Biography, di T. J. Binyon, 2002