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venerdì, febbraio 09, 2024

I beati anni dei vestiti brutti

Scarpe brutte e vestiti brutti: le Clarks sbagliate, i jeans finti, i maglioni di pannolenci, i piumini 100% sintetici effetto bulbo di Tesla. Di qua una madre bellissima e scontrosa, fantasie geometriche e minigonne, zatteroni con la zeppa di sughero, mèche e tirabaci, una collega con il taglio alla Jane Fonda che passava a prenderla in Vespa. Belle, strane e inafferrabili come due uccellini esotici. Di là un padre che smarmittava allegro sulla Lambretta con i suoi jeans senza marca e la camicia kaki alla Poncharello, o una maglietta nera con l'etichetta "c o b r a" presa in saldo da Bonnes.

Una volta, con la scusa dell'arricchimento culturale, siamo finiti a San Marino anche noi Vittorelli. Al ritorno eravamo tutti accessoriati di Ray-Ban Aviator, con le aste che facevano due giri della morte dietro le orecchie e il galleggiante di madreperla che ci scavava un solco in mezzo agli occhi. Sembravamo una squadra di poliziotti della narcotici.

I finestrini abbassati sul pomeriggio estivo desaturato dalle lenti verde scuro, la sosta canonica in Autogrill. Felici? Ma sì.

C'era qualcuno che in fatto di eleganza stava peggio di noi. Erano gli jugoslavi oltreconfine che venivano di qua a comprare fustini di Dash e abbigliamento a basso costo. Nella parte nord della città c'erano negozietti scadenti che vendevano jeans jugo, magliette jugo, calzature jugo. Per quello stile di recupero avevamo un nome: jugosbriz, un casual di necessità contraddistinto da abbinamenti sbagliati, un rebus di capi completamente fuori sesto.

Perciò noi stupidi starogoriziani con le nostre robette vagamente imitative ci sentivamo decadenti e chic. Ci giudicavamo a vicenda, ma senza malizia. Per esempio l'unica ad avere le Clarks vere era la Ago, che aveva il padre ingegnere. Ma era compensata dalla Zubi, che poteva presentarsi in classe con i sandali da campeggiatore austriaco e i calzettoni di lana, e allora voleva dire che era cominciata la primavera: la Zubi era la nostra rondinella, la nostra pallida primula, la nostra gemma di pruno.

L'immunità al giudizio di stile valeva solo per la contea di Gorizia. Bastava andare in gita a Venezia che subito fiorivano borsette Mandarina Duck e non Maddalina Ciuk, vere polo con il coccodrillo e non con un rettile che aveva perso il tram della selezione naturale. Allora eravamo tutti jugosbriz, anche noi figli di genitori naturalmente belli.

Un giorno mia nonna insieme al panino mi infilò nella borsa anche i soliti Ray Ban di ottone. No, dissi io, pesano troppo. Che tra l'altro guarda che oggi viene piova.

Così se li mise lei, aggiustandosi ben bene le aste dietro le orecchie, e rimase in piedi a guardarmi come un agente della stradale mentre io mi allontanavo con i miei veri Jean's West in una nuvola di Eau Jeune e lucidalabbra alla frutta, sotto un sole che rideva spietato.