mercoledì, ottobre 05, 2011

VVP e il sistema politico

Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin andò nel suo futuro ufficio presidenziale per parlare con Dmitrij Anatol'evič Medvedev, il presidente ancora in carica.
Dmitrij Anatol'evič appariva molto turbato.
– Ancora stai lì a tormentarti? – sorrise Vladimir Vladimirovič™, – Ma piantala! Al secondo mandato non ci arriva neanche Obama.
– Cosa c'entra adesso Obama... – borbottò il Presidente, – Pensavo... tutti credevano che sarebbe uscito l'iPhone 5! E invece hanno presentato ancora il 4. Mi secca parecchio.
– Che? – Vladimir Vladimirovič™ non capiva.
In quel momento la porta si aprì. Era il vice capo dello staff presidenziale, Vladislav Jur'evič Surkov.
– Si può? – chiese Vladislav Jur'evič.
– Evviva! – si rallegrò Vladimir Vladimirovič™, – Entra!
– È ancora il mio ufficio, comunque, – disse il Presidente senza rivolgersi a nessuno in particolare, – E questo qui è ancora il vice capo del mio staff.
– Scusa, scusa, – Vladimir Vladimirovič™ allargò le braccia, – Abitudine.
Vladislav Jur'evič si avvicinò alla scrivania e vi posò un piccolo forziere di legno.
– Cos'è? – chiese il Presidente.
– Mi avete chiesto di elaborare un sistema politico che rispondesse ai problemi che attualmente ci affliggono, – rispose Vladislav Jur'evič, – E io l'ho elaborato.
Con queste parole Vladislav Jur'evič aprì il forziere. Vladimir Vladimirovič™ e Dmitrij Anatol'evič vi guardarono dentro con aria preoccupata.
Nel forziere, su uno strato di marocchino blu, c'erano due dadi di platino.
Sulle facce di uno dei dadi c'era il ritratto di Vladimir Vladimirovič™.
Sulle facce dell'altro c'era il ritratto di Dmitrij Anatol'evič.
– E allora? – sbottò Vladimir Vladimirovič™, – A cosa servono?
– A tirarli, – disse Vladislav Jur'evič, che li prese e li lanciò sulla scrivania.
Su un dado uscì la faccia di Vladimir Vladimirovič™. Sull'altro, la faccia di Dmitrij Anatol'evič.
– Adesso io! – disse il Presidente agguantando i dadi e lanciandoli.
Su un dado, Dmitrij Anatol'evič. Sull'altro, Vladimir Vladimirovič™.
– Ma geniale! – esclamò Vladimir Vladimirovič™, – Anch'io, anch'io!
Vladimir Vladimirovič™ prese i dadi e li lanciò.
Su uno uscì Vladimir Vladimirovič™. Sull'altro, Dmitrij Anatol'evič.
– Bòn, allora io vado, – disse Vladislav Jur'evič, lasciandosi alle spalle il rumore dei dadi che rotolavano sulla scrivania.

martedì, ottobre 04, 2011

La paura della gravità


All'inizio sono a casa con mia madre, nella luce abbagliante di un dopopranzo estivo. Siedo sotto una finestra, un grande rettangolo dai grossi bordi bianchi e arrotondati.
Dico a mia madre che se va tutto bene ci mettiamo sette ore, dunque al suo ritorno dal lavoro sarò nuovamente qui ad aspettarla. E che il pullover lo lascio sotto la finestra.

Mio padre apre la porta del garage, io porto fuori la macchina.
D'un tratto è notte fonda, lui dice "non capirò mai come fai a guidare a fari spenti". "Non tanto per te", aggiunge, anche se la strada è deserta. Sul sedile posteriore c'è Antonia, mi rendo conto che ci aspettava in macchina, stranamente composta, la borsetta sulle ginocchia e una caramella balsamica in bocca.

L'aeroporto è grande, formato da un corpo centrale e da grandi padiglioni circolari. Gli interni sono di legno, naturale o verniciato a colori vivaci: di legno sono i pavimenti, le pareti, le finiture, i pannelli scorrevoli da cui entrano ed escono i passeggeri. D'un tratto sembra di stare in un vecchio albergo di montagna. D'un tratto il presente assomiglia a un futuro immaginato negli anni Cinquanta. Noi tre passiamo da un padiglione all'altro, alla ricerca dei banchi del check-in. Sono in ritardo, so che mi stai aspettando. Il mio telefono segnala cinque tue chiamate perse. Finalmente vediamo una grande insegna verde a forma di freccia irregolare con la scritta ARRIVI e la sagoma stilizzata di uno steward (simile ai cuochi di cartone che salutavano gli automobilisti di passaggio, fuori dei ristoranti). La scritta ci tranquillizza: siamo arrivati. Tu infatti ci aspetti al banco del check-in con il biglietto in mano. Ma come, mi preoccupo, la destinazione sul tuo biglietto è la Georgia, non può essere. Tu spieghi che è una destinazione di comodo. E con un gesto veloce abbracci il viavai di gente nella sala: "qui nessuno va dove sta scritto sul biglietto, dai". Poi mi racconti un sogno che hai fatto, un sogno complicato e pieno di numeri. I numeri me li dici adesso che non possiamo farci niente, dico io. Improvvisamente non ho più borsa né valigia, solo una manciata di oggetti: gli occhiali da vista, piccoli fermagli per capelli.

Entriamo in uno dei padiglioni. Mi dici "spero che la piccola faccia la brava". Io ti rispondo che dobbiamo preoccuparci non della piccola ma di Antonia, anche se oggi è insolitamente disciplinata. Poi ti dico che Antonia ha un regalo per la piccola, un piccolo scheletro di dinosauro. "Sarà contentissima. Sai com'è fatta lei" dici.

Siamo pronti. Mentre davanti a noi sta per aprirsi il pannello scorrevole mi torna in mente un programma che ho visto alla tv, dove due astronauti rispondevano a una domanda sulla paura della gravità e uno di loro diceva: "Quando scendi dall'ultimo piano di un grattacielo altissimo sai che avrai paura, ma che il viaggio in ascensore durerà solo sette minuti. Lo spavento dura poco, passa quando tocchi il suolo. Per noi non è mai il viaggio a far paura, ma la gravità che non ci tiene più". 
Capisco che non ci metteremo sette ore. Sette erano solo i minuti di un viaggio in ascensore, in un programma alla tv.

L'ultima immagine è quella della bambina con il suo bianchissimo scheletro di dinosauro.
L'ultimo ricordo è quello del pullover abbandonato sotto la finestra, in una luce senza scampo.

lunedì, ottobre 03, 2011

Guadagna 20.000 sterline con il pc! Comodamente dalla tua università!

Finalmente una notizia che unisce nomi diversamente occidentali, falso allarme, sospetto braccidestrismo e lieto fine con assegno non trasferibile.

Nome: Rizwaan Sabir.
Età: 26 anni.
Occupazione: studente all'università of Nottingham.
È stato: arrestato in base al Terrorism Act.
Accusa: scaricamento di materiale per utilizzo illegale.
Il materiale: "The Al Qaeda Training Manual", 140 pagine.
A scopo di: studio.
Seguono: sette giorni e sei notti di detenzione.
Poi: il rilascio senza accuse né scuse.
Perché: il materiale gli serviva per la tesi di dottorato, e comunque
Fermi tutti: l'aveva scaricato da un sito del governo americano.
Tutto questo succede: nel 2008.
Gli avvocati di Sabir però scoprono che: la polizia è in possesso di un fascicolo su di lui nel quale sono contenute false informazioni e si dice che è stato arrestato per terrorismo.
Adesso si spiega perché: da allora lo fermano e lo perquisiscono più spesso.
Lieto fine: per evitare il processo la polizia del Nottinghamshire accetta di risarcirlo.
In tutto: 20.000 sterline più le spese legali.
La polizia continua a definire il suo arresto: una misura necessaria e adeguata.

È evidente. Porti quel nome e scommetto che non sei bianco. Scarichi il .pdf del manuale di addestramento di al Qaeda, che si chiama proprio manuale di addestramento di al Qaeda. Lo salvi non nel tuo computer, ma in quello dell'amministrazione della tua università. Prima però chiedi il permesso. Chi ti concede il permesso ha un nome strano pure lui. Sfiga.
E poi te lo studi con la scusa del dottorato. Certo, ogni volta che ti viene un dubbio devi andare in amministrazione. Un po' due palle, soprattutto quando cominci a metterlo in pratica: "cos'è che devo fare se tiro la cloche e non succede niente?", "com'era già la ricetta della ricina senza colesterolo?", "niente, io i 44 modi per sostenere il jihad non me li ricordo mai tutti, quando arrivo alla fine sono sempre 42".
A questo punto sei famoso. 
Da qualche parte c'è un fascicolo che parla proprio di te.
Poi non lamentarti se ti fermano sempre con il pretesto patente-libretto. 
Scusa, sai.


domenica, ottobre 02, 2011

La distribuzione degli elefanti sulle isole

La distribuzione degli elefanti sulle isole
di Sergej Kruglov

Denso come marmellata è il sangue del tango portoricano.
Robinson si entusiasma, ulula, bacia
una sbavatura su un alluce calloso!
Oggi tiene a battesimo una nuova letteratura insulare.
Felice Venerdì s'inchina
agli applausi del mare,
lancia goffi baci in aria verso i gabbiani,
i granchi strisciano sulla scena con imbarazzanti bouquet
di moccio salato.
Venerdì ha vinto il Premio Booker!
Culla tra le braccia l'enorme busta viola.
Venerdì è un poeta, oggi per l'emozione è agitato
come un cocktail “El Choclo”, ha perfino una cannuccia
che gli spunta in mezzo all'inguine!
Robinson, ballando, accarezza la radiolina
che tiene in mano –
“Girl, Don’t Cry Fo’ Louie!” –
e aggira felice la madre passandole alle spalle,
il battesimo all'ombra di una palma da cocco:
barbuto e giallodentato, spaventoso,
simile al cammello del Battista, il canuto Crusoe
benedice il suo dio-bambino, attaccandosi
al capezzolo di cioccolato al latte
del giovane maestro-stilista;
il succo della letteratura! tutto immacolato;
ah, se soltanto – prega Venerdì – la celebrazione della poesia
e la pioggia di premi non finissero mai! aiuto, Signore!
Ma Robinson, sintonizzando la sua radio su un tango – qui l'unico
fardello dell'uomo bianco è questo – lo istruisce:
così, così, figlio mio! sei il nuovo orgoglio del mondo!
Spalma uno strato di preghiera più spesso dell'olio di cocco – sull'orecchio di Dio!
su e giù, su e giù! tango nelle pieghe! Così!
E intanto quel Dio bruno dalle vermiglie labbra se la ride:
D'ora in poi su queste isole lo spirito
creerà a proprio piacimento.

Originale: Раздача слонов на островах


Traduzione: Manuela Vittorelli



Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come reporter nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).


[La motosega me l'ha prestata Sten.]

venerdì, settembre 30, 2011

They got this guy, in Germany. I don't know. Maybe it was Yemen

"He's the most dangerous man in Yemen. 
He's intelligent, sophisticated, Internet-savvy, and very charismatic. 
He can sell anything to anyone, and right now he's selling jihad."
Yemeni official

"Terrorist No. 1, in terms of threat against us."
Representative Jane Harman, (D-CA)

"al-Awlaki is the most dangerous ideologue in the world. 
Unlike bin Laden and al-Zawahiri, he doesn’t need subtitles on his videos 
to indoctrinate and influence young people in the West."
Sajjan M. Gohel, Asia-Pacific Foundation

Ci dissero che c'erano tre gruppi molto interessati ad attaccare gli Stati Uniti: l'Al Qaeda del Pakistan, l'Al Qaeda della Penisola arabica e i Taliban pakistani.

Ci dissero che l'Al Qaeda più aggressiva era quella della Penisola arabica, che la sua base era lo Yemen e che la sua guida era il predicatore islamico, reclutatore e motivatore Anwar al Awlaki.

Ci dissero che Anwar al Awlaki era il boss dei boss, che era nato negli Stati Uniti e aveva la doppia cittadinanza americana e yemenita. Che aveva ispirato il maggiore Nidal Malik Hasan (autore del massacro di Fort Hood), Umar Farouk Abdulmutallab (il ragazzetto nigeriano ricco con il plastico negli slip) e Faisal Shahzad (sospettato del fallito attentato a Times Square). E anche i tizi di Londra, quelli di Fort Dix e il gruppo chiamato Toronto 18, quello dei furgoni imbottiti di fertilizzante. Ci dissero che era stata sua l'idea di spedire negli Stati Uniti tetranitrato di pentaeritrite nascosto in un toner per stampante.

Ci dissero che era figlio di una cultura rigida e arcaica ma che predicava su YouTube e aveva un sito internet.
Che era stato condannato per sfruttamento della prostituzione ma che non stringeva la mano alle donne.
Che raccomandava la riconciliazione ma che minacciava gli Stati Uniti.
Che conosceva tre attentatori dell'11 settembre, ma che aveva cenato al Pentagono poco tempo dopo.
Che era uno dei tre most wanted della CIA, o forse un suo agente.
Adesso dichiarano che è morto, ma suo fratello afferma il contrario. Ossia, che è vivo.

Come diceva quel tizio, Fritz qualcosa, o forse Werner, a volte più guardi e meno conosci. Il semplice guardare cambia il fatto. La scienza, la percezione. La realtà, il dubbio.
Il crucco aveva anche buttato giù una formula.

Non puoi sapere quello che sarebbe successo se non ci avessi ficcato il nasone.

Ecco perché preferiamo ficcarci un paio di Predator della CIA.

lunedì, settembre 26, 2011

Falsi amici

– Buone queste patatine italiane!
– Ti piacciono?
– Tantissimo. Hanno un gusto anziano.

venerdì, settembre 23, 2011

Andare a Parigi

E così, dopo due anni di idillio e di voli low-cost, Sua Cinicità ha scoperto le sue carte.
Come sei magra, come sei flessuosa, diceva.
Mia coniglietta.
Quand'è che vieni?

Ora mi trovo qui, in compagnia di buona parte del mio guardaroba autunnale, per fissare meglio la tavoletta di un water. Il water si trova in un luogo minuscolo, punitivo e illuminato bene – sostanzialmente un modulo spaziale per fantini ascetici – situato a metri e metri di distanza dal bagno, quello che ha la vasca al posto giusto e il cesto della biancheria al posto del bidet.

La tavoletta del water si muove un po' perché la vite che la tiene al suo posto si è leggermente allentata. La vite va riavvitata. La vite è naturalmente inaccessibile a chiunque non sia un nano molto smilzo o un coniglio biondo di 43 chili.

Amore, devi infilarti lì sotto, vedi? Devi entrarci strisciando, supina, con il braccio già alzato dietro la testa e pronto ad avvitare. Senso orario, mi raccomando. Fa' vedere com'è, orario? Bene. E avviti. L'inferno è che non la vedi, la vite. Sei completamente alla cieca. Poi probabilmente dovrò estrarti tirandoti per i piedi. Magari telefoniamo a tuo padre per l'assistenza remota, non si sa mai.

Ma come non si sa mai.

Ah, naturalmente ti tolgo di mezzo lo scopino.

Naturalmente.

Le nonne, quando volevano alludere alle proprie funzioni fisiologiche, dicevano con provinciale eleganza "vado a Parigi". Con permesso, devo andare a Parigi. Com'è signora, tutto bene? Ah, dottore, vado a Parigi tutte le mattine.

Bene.

Sono a Parigi, con il braccio già alzato e un cacciavite in mano.
Se posso scrivo.
Se non scrivo telefono.
Se non telefono mandate un fantino.

domenica, settembre 18, 2011

Più tristi più saggi

Ah! tutti quali occhiate, quale atroce sguardo 
volsero a me, giovani e vecchi! 
Un Dodo al collo in luogo dei diamanti 
m'appeser le compagne.
Anonimo, La ballata della giovane escort

"Cioè vai lì davanti all'imperatore, che cazzo fai, vai con il filettino di Dodo, di... di... cioè vai con delle cose importanti, lui apprezza perché è un esteta."
Terry De Nicolò, 16 settembre 2011.

giovedì, settembre 08, 2011

Obiettivo betòn



"Chi il cemento non colerà, mai la bellezza conoscerà!"

Quanto è vero.

Ricordatevi che il cemento è ancora il nostro obiettivo.

venerdì, settembre 02, 2011

Cuts

Jason-Chen asked: How do you get your cuts so perfect?!

E l'ottavo angelo suonò la tromba, lo spread Btp-Bund superò quota 330 punti e arrivò il Tumblr di quello che tagliava a metà i cioccolatini, le gelatine e le barrette e li scansionava. "You'd be surprised" egli disse. "It's not so difficult."


mercoledì, agosto 24, 2011

Odnako

Le dichiarazioni ufficiali sovietiche erano caratterizzate da paragrafi e paragrafi carichi di ottimismo e di lode per questo o quel brillante risultato. L'informazione vera e propria, quella che permetteva di cogliere seppur obliquamente il messaggio, arrivava spesso – spesso, non sempre – verso la fine dell'articolo ed era preceduta dalla parola odnako.
Odnako si pronuncia adnàka e significa "tuttavia", "però".

Gli articoli della stampa occidentale sui clamorosi progressi della guerra in Libia sono pieni di odnako. Presa Tripoli, odnako. Bunker assaltato, odnako.

Il bunker. Sempre sul punto di farsi prendere, mai preso: entrano, stanno entrando, stanno sfondando, sfondano, stanno per entrare, hanno sfondato, lo stanno assaltando, passano, entrano, stanno per entrare.

Quanto è grande il bunker di Gheddafi? E quando ci entri (sfondi) cosa fai? Ti fermi sulla soglia e strofini i piedi sullo zerbino guardandoti attorno e commentando a mezza voce "pensavo più grande". O "pensavo più piccolo"? C'è l'aria condizionata? Ci sono tante stanze piene di cattivoni che fischiettano ignari come in Splinter Cell? Ci sono finte porte, complicati disimpegni, vasti armadi guardaroba, paraventi, trompe l'œil che nascondono porte vere sotto tramonti infuocati o pastorali di Boucher? Tappeti? C'è almeno qualcuno che a un certo punto dice "da questa parte"? Si va in giro con le torce come nelle tane dei serial killer? E poi c'è il solito tizio che entra nella stanza accanto, accende la luce come se niente fosse e dice "capo, c'è dell'altro"? C'è una finestra aperta, con le tendine che svolazzano su una fuga miracolosa? O griglie di ventilazione divelte?

Ci sono cadaveri, qua e là. Poi non ci sono più. Sono ombre sulla boiserie da ufficio, lampi sulle cromature, fantasmi di figli di Gheddafi, figli di fantasmi.

Entrano, stanno per entrare, sono entrati, si avvicinano, fanno breccia, sfondano, passano, attraversano, hanno entrando, sono sfonderanno.
Tsch. Tsch. Beccati questa, e questa. Tsch. Da questa parte.
Preso il bunker (il compound, la residenza).
Odnako.

venerdì, agosto 19, 2011

venerdì, agosto 12, 2011

Spacca, arraffa, scappa

Lascia che i minuti sfoghino
Le pallottole che Brixton vuole
Il filo spinato è edera sui miei muri
L'acre cordite come nebbia in autunno
Scioglie l'asprezza della strada in quadri traslucidi
Pensa come la randellata sorpassa il pensiero
Come il germogliare della Molotov cancella la discussione
E per una volta nella mia vita di nero britannico
I miei atomi sono esplosi in atomi di potere
Lascia che l'istante del mirino esorcizzi
I miti pittorici inventati dall'indifferenza
Ogni mattone scagliato a distruggere questo specchio incantatore
A razziare verità confezionate in bugie
Io sono i quintali di carne putrida nelle prigioni inglesi
Nelle case abbandonate, nei riformatori, le tonnellate di carne condannata
Che chiedono ai minuti di sfogare feroci la loro sporcizia in scatola.

Dambudzo Marechera, Smash, Grab, Run.

Traduzione: Manuela Vittorelli.

domenica, agosto 07, 2011

Brega is a state of mind


    1. Ogni mattina in Libia un ribelle si sveglia e sa che deve avanzare verso Brega. Eccetera.
    2. Come si suol dire, quello che conta non è la meta ma il viaggio.
    3. E poi l'importante è fare movimento.
    4. BHL aveva detto che erano simpatici, mica che avevano il senso dell'orientamento.
    5. Ricordiamoci sempre che son giornate di bollino nero.
    6. Inoltre.
    7. Di notte i braccidestri di Gheddafi cambiano i segnali stradali.
    8. E costruiscono rotatorie infernali.

    9. Infernali.

    sabato, agosto 06, 2011

    Lo sfortunato caso delle Mambrate

    Ieri sera su RaiNews24 c'era uno che continuava a dire Le Mambrate, che non bisogna aver paura delle Mambrate, che quello delle Mambrate è un caso eccezionale.

    – Manue', ma cosa so' 'ste Mambrate?
    – Eh, sarà successo a luglio che non avevamo internet.
    – Ma adesso pure di questo ci dobbiamo preoccupare?
    – Non lo so, dice che son fallite.

    Solo in fine di trasmissione abbiamo capito che quello intendeva "Lehman Brothers".

    lunedì, luglio 18, 2011

    Nelle nebbie di Ork

    All'esterno della casa, agganciato a un muro nella zona del belvedere, c'è un bassorilievo che raffigura una foglia sormontata da una piccola corona e due mani mozzate, piccole e paffute, che mostrano il palmo facendo nano-nano. Mentre scrivo mi accorgo che la foglia potrebbe essere un'antica piuma, e che forse nelle intenzioni del committente le mani avrebbero dovuto mimare un saluto massonico. Poi però l'artigiano deve essersi perso tra le nebbie del pianeta Ork, o magari nella pampa vulcaniana, dove le foglie sono piume di dinosauro e il tempo si è fermato alle 12.30 insieme alla lancetta dei secondi.

    La sfida di oggi è far dire a Giancarlo "l'acqua ce l'ho nell'Ape". Per raggiungere l'obiettivo è necessario proporgli insistentemente della Coca-Cola, che come si dice da queste parti è buona ma non disseta. È buona. Ma non disseta.

    sabato, luglio 16, 2011

    In questo posto

    Nel posto in cui mi trovo, che chiameremo "questo posto", c'è un solo orologio: è appeso a una parete della cucina, le ore sono sostituite da 12 specie di uccelletti e la lancetta dei secondi oscilla permanentemente in corrispondenza dell'Erithacus akahige, un secondo avanti e uno indietro. L'Erithacus akahige è evidentemente un pettirosso. L'orologio, invece, è evidentemente fermo.

    La sfida di oggi è far dire a Giancarlo "la Coca-Cola non disseta".
    La sfida di oggi è la stessa di ieri.

    Giancarlo ha sposato una bulgara, Svetlana, che è stata raggiunta dalla nipote Svetlanina. Svetlanina è piccolina, cicciottella, non sa una parola d'italiano e parla l'inglese a little bit. Solo ieri Giancarlo ha scoperto che Svetlanina non ha tredici anni ma fifteen, perché a lui le donne non dicono mai niente, probabilmente perché basta che siano contente e lui è contento così. Del resto Svetlanina sta tutto il giorno su internet a parla' colle amiche, dice, e lui ne deduce che a casa sua chissà come all'improvviso ce sta internet. La moglie però lo smentisce subito, ci mostra un'internet key e dice che 3 si prende solo in cucina. Giancarlo osserva Svetlana, Svetlanina, la chiavetta e il tavolo della cucina. Poi decide di mostrarci l'orto. Perché io nun ce so de internet, dice.

    La signora Svetlana insisteva perché bevessimo qualcosa. Stavo per accettare una Coca-Cola, così, giusto per sfidare Giancarlo a pronunciarsi. Poi ho cambiato idea.

    Secondo il pettirosso sono le 12 e 30. Secondo più, secondo meno. Secondo più, secondo meno.

    sabato, giugno 25, 2011

    La persuasione e la rotatoria

    Un tempo qui era tutto Dasein, a perdita d'occhio.
    Poi sono arrivate le rotatorie e i piani del traffico escheriani.

    – Non può passare, strada chiusa.
    – Ma io ci abito.
    – Passi.
    – Quando finiscono i lavori?
    – Stasera. Io da domani mi metto in malattia, guardi.
    – Fatica?
    – Assessore in ferie, direttore dei lavori chiuso nel suo ufficio, nessun cartello indicatore. E noi qua.
    – A presidiare la rotatoria.
    – E poi mi dicono che tratto male le persone.
    – ...
    – Capisce. Che tratto male le persone.
    – Arrivederci.
    – Arrivederci.

    Nel pomeriggio usciamo, Bracciodestro e io. La giovane rotatoria è lì, piantata al centro dell'incrocio tra i vapori dell'asfalto. Le auto sono ancora poche e tutte impegnate a rubarsi la precedenza.
    Sul marciapiede giace abbandonato un foglio A4.
    Lo raccolgo.
    Sono le istruzioni di montaggio della rotatoria.



    Io pensavo che le rotatorie si studiassero all'istituto tecnico o all'università e che poi al momento giusto ci fosse gente che arrivava con il suo bel caschetto giallo e un rotolo di disegni sotto il braccio e diceva così e cosà. Invece si comprano da Obi. Come niente alla fine c'è sempre una vite che manca e bisogna andare alla ferramenta a cercarla. E però la ferramenta apre alle quattro, aspetta che chiudiamo la zona al traffico ancora per un paio d'ore. Diccelo al vigile biondo, quello con la catenina d'oro. Quello tutto sudato.

    Andiamocene prima di inciampare in un compasso gigante, bisbiglia Bracciodestro.

    Pensare che un tempo qui era tutto Dasein.

    sabato, giugno 18, 2011

    La fin des cacahuètes

    Allez hop, t'occupes, t'inquiètes,
    touche pas ma planète.
    It's not today,
    que le ciel me tombera sur la tête.
    Et que la colle me manquera.
    Hou, hou,
    hou, houça plane pour moi.

    E l'ottavo angelo suonò la tromba e dagli altoparlanti dei supermercati e dalle autoradio tornarono a uscire le canzoni di Plastic Bertrand.