– Ehi, ciao.
– Ciao mamma, come stai?
– Dove sei?
– Sto facendo la spesa, orario continuato.
– No, perché telefonavo a casa, e non c'era nessuno.
– Sono stata fuori tutta la mattina.
– Ah, be', non hai ammazzato nessuno.
– Come?
– Il tuo oroscopo stamattina diceva: capricorno, amore malissimo. E ho pensato, sta' a vedere.
– Ma no, mami, tutto bene. Era l'oroscopo della settimana?
– No, quello di oggi.
– Che culo, allora. Anche per questa settimana niente uomini morti.
– Sì, ciao ciao.
Tra l'altro. L'oroscopo di Internazionale dice che sono in un periodo di grazia aggressiva ed elegante e che posso permettermi gioie intriganti e nobilitanti. Sublime piacere che bussa alla porta, dice. Voi vedete scritto Smith & Wesson, da qualche parte? No. Neanch'io.
C'è solo il rischio che il sublime piacere abbia bussato mentre facevo la spesa, però di solito lascia un avviso e ripassa altre due volte come il tizio della DHL.
Comunque un capricorno non ammazzerebbe mai di mercoledì, questo a mia madre mi sono dimenticata di dirlo.
[Nota: vorrei poter affermare che mi invento tutto, che riferimenti a persone e fatti reali sono del tutto casuali. Invece no, io sono lì che peso le zucchine e mia madre mi chiede se sono andata a costituirmi perché ho Venere ostile e tutte le cuspidi fuori posto.]
mercoledì, novembre 08, 2006
martedì, novembre 07, 2006
7 novembre
"La rivoluzione ha un inizio, ma non ha una fine", scrive oggi Olshansky nel suo blog Komissar Isčezaet.
Поздравляю!
Il Capo con due amiche vestite a festa. Non ingannino le tazzine vuote:
sotto il tavolo si nasconde una bottiglia da due litri di samogon.
E poi, karaoke!
Siete invitati tutti.
Поздравляю!
Il Capo con due amiche vestite a festa. Non ingannino le tazzine vuote:
sotto il tavolo si nasconde una bottiglia da due litri di samogon.
E poi, karaoke!
Siete invitati tutti.
Etichette:
ciaolenino,
Vaghe stelle dell'URSS
lunedì, novembre 06, 2006
Lettere dalla città di G./Caro Beck
"If I'm out of my mind, it's all right with me, thought Moses Herzog."
Saul Bellow
Caro Beck,
il mio amico dice che bisogna ascoltarti tante volte ("venti, almeno") prima di sapere se ci piaci. La mia amica invece dice che finché non ti decidi a vendere insieme al cd anche due confezioni di biscotti fichini noi il disco lo si prende in prestito. Un critico dice che nonostante la canzone numero 15 era da tanto che non facevi due album belli di fila, ma a me non sembra un grandissimo complimento.
Se mia nonna Antonia avesse ricevuto questo disco in regalo prima avrebbe fatto una faccia strana e poi avrebbe detto 'Adesso chi devo ringraziare?'. Ad Antonia piaceva molto Demis Roussos, comunque, che secondo lei era un bel fricchettone; anche se più di tutto le piaceva metter su una canzone che faceva 'Aprite le finestre al nuovo sole, è primavera l'ora dell'amor!' e allora lei puntualmente apriva le finestre anche se era gennaio e c'era la bora.
Infine io dico che se molli Scientology forse cominciamo a ragionare. Per il momento il pezzo numero 15 fa proprio schifo, tientelo.
Scusa per il disturbo. Il mio amico dice che quando mi faccio queste pare (cioè gli scrupoli, scusandomi per questo e quello) sono fastidiosa e gli metto il nervosismo, cioè sono più dannosa quando faccio così di quando sono quasi normale. E ha ragione.
Ma con te non si sa, perché sei scientologo e quindi normale normale non sei nemmeno tu. Inoltre è probabile che tu sia già nervoso di tuo, mentre il mio amico quando io non lo agito sembra davvero calmissimo. Altrimenti non sarebbe in grado di fare a mente calcoli relativamente complessi, non credi?
Con tanti cari saluti,
miru
p.s. cerca di mangiare un po' di più; scommetto che sono anni che non mangi carboidrati due giorni di fila.
Update:
Il mio amico dice che non ci piace neanche dopo venti volte. Non ha usato esattamente questa espressione, ma ho pensato che adesso magari stavi mangiando. Quando passi, ho un pasticcio di radicchio rosso alla goriziana nel freezer (cioè, se non sei pratico di queste cose: carboidrati).
Saul Bellow
Caro Beck,
il mio amico dice che bisogna ascoltarti tante volte ("venti, almeno") prima di sapere se ci piaci. La mia amica invece dice che finché non ti decidi a vendere insieme al cd anche due confezioni di biscotti fichini noi il disco lo si prende in prestito. Un critico dice che nonostante la canzone numero 15 era da tanto che non facevi due album belli di fila, ma a me non sembra un grandissimo complimento.
Se mia nonna Antonia avesse ricevuto questo disco in regalo prima avrebbe fatto una faccia strana e poi avrebbe detto 'Adesso chi devo ringraziare?'. Ad Antonia piaceva molto Demis Roussos, comunque, che secondo lei era un bel fricchettone; anche se più di tutto le piaceva metter su una canzone che faceva 'Aprite le finestre al nuovo sole, è primavera l'ora dell'amor!' e allora lei puntualmente apriva le finestre anche se era gennaio e c'era la bora.
Infine io dico che se molli Scientology forse cominciamo a ragionare. Per il momento il pezzo numero 15 fa proprio schifo, tientelo.
Scusa per il disturbo. Il mio amico dice che quando mi faccio queste pare (cioè gli scrupoli, scusandomi per questo e quello) sono fastidiosa e gli metto il nervosismo, cioè sono più dannosa quando faccio così di quando sono quasi normale. E ha ragione.
Ma con te non si sa, perché sei scientologo e quindi normale normale non sei nemmeno tu. Inoltre è probabile che tu sia già nervoso di tuo, mentre il mio amico quando io non lo agito sembra davvero calmissimo. Altrimenti non sarebbe in grado di fare a mente calcoli relativamente complessi, non credi?
Con tanti cari saluti,
miru
p.s. cerca di mangiare un po' di più; scommetto che sono anni che non mangi carboidrati due giorni di fila.
Update:
Il mio amico dice che non ci piace neanche dopo venti volte. Non ha usato esattamente questa espressione, ma ho pensato che adesso magari stavi mangiando. Quando passi, ho un pasticcio di radicchio rosso alla goriziana nel freezer (cioè, se non sei pratico di queste cose: carboidrati).
Etichette:
famigliamir,
lettere,
musica,
The Real Thing
Come maltrattare Google e vivere felici/26
Tutto sommato basterebbe un impeachment, no?
Etichette:
metablog
domenica, novembre 05, 2006
Braccio destro non ce ne eravamo accorti: l'emiro
Nome: Rafa al-Ithawi.
Nome lungo: Rafa Abdel Salam Hamoud al-Ithawi.
Anche detto: Abu Taha.
Rango: comandante di al Qaeda, quadro intermedio.
Più precisamente: emiro di al Qaeda-Iraq, comandante a livello locale nella provincia di Anbar, "cuore dell'insorgenza sunnita". Anche detto "l'Emiro di Shamiyya".
Cosa: ucciso in un attacco aereo di precisione.
Spiegare meglio: ma sì, con un missile laserguidato. Quella roba lì.
Quando: mercoledì.
Abbiamo rischiato di: non accorgercene.
Danni collaterali: l'autista è morto, la macchina è da buttar via.
Di cosa si occupava l'emiro: "forniva spesso rifugio ai militanti stranieri giunti in Iraq per attaccare civili innocenti e forze della coalizione".
La sua uccisione ha prodotto: gravi danni ad al Qaeda.
Agendine, portatili, cellulari, rubriche, database? Assenti.
Neanche un cd con l'organigramma di alcaida appeso allo specchietto retrovisore? Ma per favore.
------------------------
Make-up:
Sunni Funny Perfect Foundation #3 Warmish Beige, I'm in Haven Pressed Power #4 Sand Blend, Precision Kajal #1 Pitch Black, mascara allungaciglia Tales of the Ramadi Nights, lucidalabbra CoaLiption #345, come allover questa volta oserei con un Laser Phaser Total Effect.
Nome lungo: Rafa Abdel Salam Hamoud al-Ithawi.
Anche detto: Abu Taha.
Rango: comandante di al Qaeda, quadro intermedio.
Più precisamente: emiro di al Qaeda-Iraq, comandante a livello locale nella provincia di Anbar, "cuore dell'insorgenza sunnita". Anche detto "l'Emiro di Shamiyya".
Cosa: ucciso in un attacco aereo di precisione.
Spiegare meglio: ma sì, con un missile laserguidato. Quella roba lì.
Quando: mercoledì.
Abbiamo rischiato di: non accorgercene.
Danni collaterali: l'autista è morto, la macchina è da buttar via.
Di cosa si occupava l'emiro: "forniva spesso rifugio ai militanti stranieri giunti in Iraq per attaccare civili innocenti e forze della coalizione".
La sua uccisione ha prodotto: gravi danni ad al Qaeda.
Agendine, portatili, cellulari, rubriche, database? Assenti.
Neanche un cd con l'organigramma di alcaida appeso allo specchietto retrovisore? Ma per favore.
------------------------
Make-up:
Sunni Funny Perfect Foundation #3 Warmish Beige, I'm in Haven Pressed Power #4 Sand Blend, Precision Kajal #1 Pitch Black, mascara allungaciglia Tales of the Ramadi Nights, lucidalabbra CoaLiption #345, come allover questa volta oserei con un Laser Phaser Total Effect.
Etichette:
alcaida,
braccidestri
giovedì, novembre 02, 2006
L'importanza di non chiamarsi Sandrino
Abbiamo avuto quasi tutti un giocattolo brutto, rotto, sporco e amatissimo. Io ero una vera specialista in pupazzi ripugnanti, tanto che i miei genitori avevano deciso di regalarmi un set di bambole presentabili da esibire in presenza di ospiti in un contesto dignitosamente proletario con aperture piccoloborghesi.
Questo naturalmente era prima che mi appassionassi esclusivamente allo smontaggio e al rimontaggio casuale di vecchie radio a transistor e non meglio identificati apparecchi elettronici. C'è stato un periodo in cui bastava che mio padre impegnato in piccole geniali riparazioni perdesse di vista il trapano per cinque minuti per poi ritrovarselo sventrato, con vitine e pezzetti in bell'ordine sul davanzale della cucina. Io lo aspettavo orgogliosa come un gattino che avesse appena dilaniato il cocorito di casa e l'avesse ricomposto sullo zerbino come pegno d'amore per il padrone. Capitava che Antonia passasse di lì, con un catino pieno di lenzuola da stendere:
- Cos'era 'sta roba, amore?
- Il trapano del papi.
- Brava, stelassa. Come sarà contento, to' pare.
Mi prendevo una carezza all'odor di varechina e annuivo soddisfatta.
Ma prima del cacciavite c'era stato il pupazzo brutto. Sandrino.
Sandrino era un mostro nudo e calvo che in un passato dimenticato da tutti era probabilmente stato una vezzosa bambola bionda vestita. Sandrino si era guadagnato il mio amore sul campo, perdendo pezzi e capelli, talvolta perfino smarrendo se stesso in plateali gesti di eroismo.
In uno di questi incidenti aveva perso un occhio.
A quei tempi, un occhio di vetro mancante al momento della conta serale generava soprassalti d'angoscia e telefonate al pediatra. "Oddio, oddio, la bambina ha mangiato l'occhio di Sandrino". Vaglielo a spiegare che un occhio non è un'amarena Fabbri e che mai avrei privato volontariamente il mio tesoro del prezioso bulbo. La mamma andava a chiamare il dottor Krainer (che arrivava di corsa poco dopo, solitamente con il tovagliolo macchiato di ragù ancora annodato al collo) e intanto Antonia ne approfittava per sussurrarmi all'orecchio le diverse pratiche di estrazione dell'occhio dalla mia pancia, tutte ugualmente terrorizzanti.
Sandrino era il mio doppio e il mio custode, mangiava quello che io odiavo e si ammalava al posto mio. Era anche finito nelle acque del Natisone, durante una sciagurata gita a Pulfero. Un momento prima era accanto a me, un momento dopo la corrente trascinava il povero corpo ignudo e papà lasciava cadere in acqua una canna da pesca per lanciarsi a recuperarlo, mentre urlavo disperata. Eppure quella presenza scomoda e sconcia sembrava garantire la mia incolumità: prima di Sandrino le gite a Pulfero si concludevano con l'accensione di un falò per asciugarmi i vestiti mentre avvolta in un plaid battevo i denti e covavo la quindicesima tonsillite della stagione (Antonia già in macchina, le sicure delle portiere abbassate, che scrutava il crepuscolo mentre l'ora di cena si avvicinava e la cena si allontanava).
Per una straordinaria coincidenza, mio padre aveva un amico di nome Sandrino. Lo avevo visto solo di sfuggita e da lontano, come figura in movimento: una capigliatura biondissima, una camicia a quadretti allegri e i jeans a zampa di elefante che usavano allora. Sandrino mi piaceva, era una versione cresciuta e decentemente vestita del mio amico di plastica. Trovavo l'omonimia straordinaria e fortunata, anche se avevo la certezza che un incontro tra i due sarebbe stato inopportuno.
Una mattina di primavera, mentre contemplavo assorta un arto penzolante del mio pupazzo preferito, notai che Antonia sbirciava il giardino attraverso le tende della cucina.
- Cosa, nonna?
- Eh?
- Cosa.
- Amico di tuo papà.
Seduto di spalle sulla sedia di plastica verde sotto il vecchio ombrellone con la scritta Recoaro c'era Sandrino. Mio padre gli stava evidentemente esponendo le virtù di un mulinello Mitchell di ultima generazione sul quale non ero ancora riuscita a mettere le mani. Osservai incantata la capoccia bionda annuire entusiasta.
- Prendi due bottigliette di gingerino, che io porto i bicchieri. Vediamo com'è fatto 'sto Sandrino.
Seguii Antonia trotterellando, le bottigliette di liquido arancione in mano. Quando mi resi conto che sotto il braccio stringevo ancora Sandrino e non una bambola presentabile era ormai troppo tardi. Dovevo trovargli un altro nome, e subito.
- Ah, grazie. Mia suocera, Antonia. La bambina, Manuela. Il mio amico Sandrino.
Osservai confusamente la nonna metter su la faccia da sfinge di quando si accorgeva di aver dimenticato la dentiera e presi a meditare febbrilmente sulla nuova urgente identità del mio amico di plastica.
- E come si chiama il tuo bambolotto?
- Ehm. Si chiama. Si chiama. Occhietto, si chiama!
Silenzio, turbato da un gemito di Antonia e dallo 'swush' del mulinello di papà.
Alzai lo sguardo.
Il Sandrino di carne e capelli e quello di plastica si fissavano. Camicia contro nudità, chioma bionda contro lustra calvizie. Un solo occhio, in entrambi, il sinistro: nel Sandrino di carne il destro era sostituito da un'immobile pupilla di vetro celeste. Li guardai terrorizzata per un lunghissimo istante in cui tutto sembrò fissarsi sotto i riflessi bluastri dell'ombrellone come plastilina sotto uno strato di smalto trasparente.
Sentii le mani di Antonia appoggiarsi dolcemente sulle mie spalle.
- Compermesso, signor Sandrino. Vien con mi, stelassa.
Mi lasciai condurre via ciabattando sulla ghiaia, voltandomi a tratti verso l'amico di papà e il suo occhio di vetro, incespicando mentre Antonia mi teneva in piedi borbottando.
- Ocio, picinìna. Oh, la mi scusi, signor Sandrino!
Capii che avrei continuato a vedere l'amico di papà solo da lontano, e sempre con un brivido di orrore e di incredulità.
Pochi giorni dopo trovai il Mitchell abbandonato su una mensola e con gusto lo smontai, mentre Antonia faceva il palo.
Documentazione fotografica
Reperto A:
la mamma, io e Sandrino.
Reperto B:
io, la mamma, Antonia e Sandrino. Antonia fissa l'obiettivo con l'espressione 'demenza precoce + lieve sadismo + accenno di pericolosità sociale' con cui ama innervosire papà. Il babbo, dal canto suo, è sempre stato spavaldamente favorevole all'eliminazione dei piedi delle signore dall'inquadratura.
Questo naturalmente era prima che mi appassionassi esclusivamente allo smontaggio e al rimontaggio casuale di vecchie radio a transistor e non meglio identificati apparecchi elettronici. C'è stato un periodo in cui bastava che mio padre impegnato in piccole geniali riparazioni perdesse di vista il trapano per cinque minuti per poi ritrovarselo sventrato, con vitine e pezzetti in bell'ordine sul davanzale della cucina. Io lo aspettavo orgogliosa come un gattino che avesse appena dilaniato il cocorito di casa e l'avesse ricomposto sullo zerbino come pegno d'amore per il padrone. Capitava che Antonia passasse di lì, con un catino pieno di lenzuola da stendere:
- Cos'era 'sta roba, amore?
- Il trapano del papi.
- Brava, stelassa. Come sarà contento, to' pare.
Mi prendevo una carezza all'odor di varechina e annuivo soddisfatta.
Ma prima del cacciavite c'era stato il pupazzo brutto. Sandrino.
Sandrino era un mostro nudo e calvo che in un passato dimenticato da tutti era probabilmente stato una vezzosa bambola bionda vestita. Sandrino si era guadagnato il mio amore sul campo, perdendo pezzi e capelli, talvolta perfino smarrendo se stesso in plateali gesti di eroismo.
In uno di questi incidenti aveva perso un occhio.
A quei tempi, un occhio di vetro mancante al momento della conta serale generava soprassalti d'angoscia e telefonate al pediatra. "Oddio, oddio, la bambina ha mangiato l'occhio di Sandrino". Vaglielo a spiegare che un occhio non è un'amarena Fabbri e che mai avrei privato volontariamente il mio tesoro del prezioso bulbo. La mamma andava a chiamare il dottor Krainer (che arrivava di corsa poco dopo, solitamente con il tovagliolo macchiato di ragù ancora annodato al collo) e intanto Antonia ne approfittava per sussurrarmi all'orecchio le diverse pratiche di estrazione dell'occhio dalla mia pancia, tutte ugualmente terrorizzanti.
Sandrino era il mio doppio e il mio custode, mangiava quello che io odiavo e si ammalava al posto mio. Era anche finito nelle acque del Natisone, durante una sciagurata gita a Pulfero. Un momento prima era accanto a me, un momento dopo la corrente trascinava il povero corpo ignudo e papà lasciava cadere in acqua una canna da pesca per lanciarsi a recuperarlo, mentre urlavo disperata. Eppure quella presenza scomoda e sconcia sembrava garantire la mia incolumità: prima di Sandrino le gite a Pulfero si concludevano con l'accensione di un falò per asciugarmi i vestiti mentre avvolta in un plaid battevo i denti e covavo la quindicesima tonsillite della stagione (Antonia già in macchina, le sicure delle portiere abbassate, che scrutava il crepuscolo mentre l'ora di cena si avvicinava e la cena si allontanava).
Per una straordinaria coincidenza, mio padre aveva un amico di nome Sandrino. Lo avevo visto solo di sfuggita e da lontano, come figura in movimento: una capigliatura biondissima, una camicia a quadretti allegri e i jeans a zampa di elefante che usavano allora. Sandrino mi piaceva, era una versione cresciuta e decentemente vestita del mio amico di plastica. Trovavo l'omonimia straordinaria e fortunata, anche se avevo la certezza che un incontro tra i due sarebbe stato inopportuno.
Una mattina di primavera, mentre contemplavo assorta un arto penzolante del mio pupazzo preferito, notai che Antonia sbirciava il giardino attraverso le tende della cucina.
- Cosa, nonna?
- Eh?
- Cosa.
- Amico di tuo papà.
Seduto di spalle sulla sedia di plastica verde sotto il vecchio ombrellone con la scritta Recoaro c'era Sandrino. Mio padre gli stava evidentemente esponendo le virtù di un mulinello Mitchell di ultima generazione sul quale non ero ancora riuscita a mettere le mani. Osservai incantata la capoccia bionda annuire entusiasta.
- Prendi due bottigliette di gingerino, che io porto i bicchieri. Vediamo com'è fatto 'sto Sandrino.
Seguii Antonia trotterellando, le bottigliette di liquido arancione in mano. Quando mi resi conto che sotto il braccio stringevo ancora Sandrino e non una bambola presentabile era ormai troppo tardi. Dovevo trovargli un altro nome, e subito.
- Ah, grazie. Mia suocera, Antonia. La bambina, Manuela. Il mio amico Sandrino.
Osservai confusamente la nonna metter su la faccia da sfinge di quando si accorgeva di aver dimenticato la dentiera e presi a meditare febbrilmente sulla nuova urgente identità del mio amico di plastica.
- E come si chiama il tuo bambolotto?
- Ehm. Si chiama. Si chiama. Occhietto, si chiama!
Silenzio, turbato da un gemito di Antonia e dallo 'swush' del mulinello di papà.
Alzai lo sguardo.
Il Sandrino di carne e capelli e quello di plastica si fissavano. Camicia contro nudità, chioma bionda contro lustra calvizie. Un solo occhio, in entrambi, il sinistro: nel Sandrino di carne il destro era sostituito da un'immobile pupilla di vetro celeste. Li guardai terrorizzata per un lunghissimo istante in cui tutto sembrò fissarsi sotto i riflessi bluastri dell'ombrellone come plastilina sotto uno strato di smalto trasparente.
Sentii le mani di Antonia appoggiarsi dolcemente sulle mie spalle.
- Compermesso, signor Sandrino. Vien con mi, stelassa.
Mi lasciai condurre via ciabattando sulla ghiaia, voltandomi a tratti verso l'amico di papà e il suo occhio di vetro, incespicando mentre Antonia mi teneva in piedi borbottando.
- Ocio, picinìna. Oh, la mi scusi, signor Sandrino!
Capii che avrei continuato a vedere l'amico di papà solo da lontano, e sempre con un brivido di orrore e di incredulità.
Pochi giorni dopo trovai il Mitchell abbandonato su una mensola e con gusto lo smontai, mentre Antonia faceva il palo.
Documentazione fotografica
Reperto A:
la mamma, io e Sandrino.
Reperto B:
io, la mamma, Antonia e Sandrino. Antonia fissa l'obiettivo con l'espressione 'demenza precoce + lieve sadismo + accenno di pericolosità sociale' con cui ama innervosire papà. Il babbo, dal canto suo, è sempre stato spavaldamente favorevole all'eliminazione dei piedi delle signore dall'inquadratura.
Etichette:
Antonia,
famigliamir
Come maltrattare Google e vivere felici/25
Il cinefilo
Deve trattarsi di un film d'animazione giapponese sulla malavita irlandese.
L'esigente
Ma gratis, mi raccomando.
Bianco Natal
Grotte di lichene, niente?
Attenti al canino
Bella domanda.
Deve trattarsi di un film d'animazione giapponese sulla malavita irlandese.
L'esigente
Ma gratis, mi raccomando.
Bianco Natal
Grotte di lichene, niente?
Attenti al canino
Bella domanda.
Etichette:
metablog
lunedì, ottobre 30, 2006
La seconda guerra dei blog russi/In the Sup
Circa tre settimane fa qualche piacevole coincidenza di troppo mi ha convinta ad avvicinarmi a un mondo che finora avevo frequentato in modo poco sistematico per una cronica mancanza di tempo, un aggregatore già molto affollato e un Grande Rimosso - l'URSS, la Russia, il russo - che ho tenuto a bada per anni focalizzando l'attenzione su alcuni temi e limitandomi ai soli siti di informazione (e a letture private, che a volte sono un'altra cosa da ciò che si scrive sui blog).
Circa tre settimane fa, dunque, ho fatto un bel respiro profondo e ho cominciato a osservare.
La blogosfera russa è enorme, varia, caotica: un milione e mezzo di blog, secondo il motore di ricerca Jandeks (dati recenti, diffusi il 28 settembre scorso). Un centinaio di nuovi blog al giorno. 3 post al secondo. Il 44,78% sta su Livejournal, che in russo si dice Živoj Žurnal (traduzione letterale), comunemente abbreviato in ŽeŽe.
O meglio ci stava.
Perché la Signora Miru, come direbbe Poligraf, è arrivata barcollando sulle sue zeppe da dieci centimetri con bagagli, beauty case, insostituibile dizionario di epoca sovietica ed ex-cane al seguito proprio mentre su Livejournal accadeva qualcosa di molto strano. Blog che chiudevano, altri che si trasferivano nel libero regno virtuale di Trinidad e Tobago, strani post postdatati - scusate il bisticcio - o scritti usando il font greco dove una Signora Miru avrebbe avuto il diritto di aspettarsi quello cirillico.
Era cominciata la seconda guerra dei blog.
Adesso vi spiego.
La società statunitense Six Apart, proprietaria di Livejournal, ha da poco annunciato che cederà il segmento cirillico della piattaforma a una compagnia russa, la Sup, fondata dall'oligarca russo Aleksandr Mamut e dall'imprenditore americano Andrew Paulson. A questo punto il fatto che Sup si pronunci come soup, e che "to be in the soup" in inglese significhi "essere nei guai", è un'ironia accessoria.
La popolarità di Livejournal in Russia aveva un suo bel perché: essenzialmente, era molto più rassicurante poter affidare informazioni personali a una piattaforma straniera, senza correre il rischio di attirare l'attenzione dei servizi segreti e del temuto sistema giudiziario russo.
Gli ingredienti per scatenare la seconda guerra dei blog dunque c'erano tutti: l'oligarca amico del regime e con il solito passato poco pulito nelle privatizzazioni, le prossime elezioni del 2007 e del 2008 e la presenza tra i manager di Sup di un blogger molto discusso (Anton Nosik, padre della rete russa ma anche legato in passato a Gleb Pavlovskij, politologo di fiducia e spin doctor del Cremlino). Poi sembra anche che parecchi non gradiscano che molti manager di Sup siano ebrei. Su questo punto però ci sono state smentite indignate; del resto i žežeisti sono tanti, più o meno autorevoli e più o meno impegnati, e soprattutto opinionano moltissimo e senza sosta. Litigano anche parecchio, su tutto. Uguali a noi, ma di più.
Il problema è soprattutto quanto controllo potrà avere il partner locale sui dati degli utenti e se questi dati saranno conservati sui server americani o su quelli russi. I blogger sono anche preoccupati perché la Sup ha istituito un Abuse Team russo che si occuperà di monitorare i blog e di individuare eventuali contenuti inappropriati (esisteva anche prima, ma era americano).
Finora in Europa e negli Stati Uniti questa seconda guerra dei blog russi (la prima si era scatenata nell'estate del 2005 quando l'Abuse Team americano aveva chiuso un blog per aver pubblicato un poster di propaganda sovietica in cui la scritta "Babbo, uccidi un tedesco!" era stata sostituita con "Babbo, uccidi un soldato della NATO!"), è stata abbastanza ignorata, come notava Evgenij Morozov nel suo articolo per l'International Herald Tribune (l'unico di un certo peso uscito in lingua inglese a beneficio di un pubblico più vasto e soprattutto non russo).
Lo stesso Morozov è stato poi attaccato sui blog russi, per aver parlato di Nosik come di una figura discutibile, ma soprattutto per aver osato dire che la vicenda è accaduta in un momento in cui "la blogosfera russa piangeva la morte di Anna Politkovskaja": "come ti permetti? non abbiamo mai fatto una cosa del genere", gli hanno risposto inviperiti in moltissimi. Ed è vero: come scrivevo nei commenti nelle scorse settimane, gli opinionanti blogger russi sono tutt'altro che compatti nella valutazione di Anna Politkovskaja e del suo lavoro, con punte di cinismo e - direi - di crudeltà.
Il problema di questa seconda guerra dei blog è dunque politico e di libertà di espressione: la compagnia russa ha tentato di rassicurare gli utenti, ma molti blog stanno chiudendo o migrando e c'è già chi dice che ŽeŽe ha i giorni contati.
Queste preoccupazioni potrebbero essere eccessive, forse isteriche, la mobilitazione prematura. Resta però il fatto che la blogosfera russa appariva fino ad ora come un luogo affollato, disordinato, multiforme, contaminato, vivacissimo, impegnato e litigioso. Ma libero, anche. In futuro, non si sa.
(Qui la Miru si allontana in punta di zeppe per dedicarsi a segmenti cirillici meno incandescenti e alla scoperta di cose bellissime, sconosciute e forse inutili. Però se vogliamo parlare di Russia e di libertà di espressione questa storia bisognava cercare di raccontarla).
Per le fonti, dovrei linkare metà ŽeŽe. Una buona ricostruzione in lingua inglese è su Global Voices Online qui, mentre l'articolo di Morozov, "Meanwhile: Russia's last refuge: the blogosphere" è qui.
I dati di Jandeks sulla blogosfera russa sono (in russo) qui. Invece della prima guerra dei blog si parlava su Exile.ru, qui. (la prossima volta, ve lo prometto, ci saranno anche quo e qua).
Circa tre settimane fa, dunque, ho fatto un bel respiro profondo e ho cominciato a osservare.
La blogosfera russa è enorme, varia, caotica: un milione e mezzo di blog, secondo il motore di ricerca Jandeks (dati recenti, diffusi il 28 settembre scorso). Un centinaio di nuovi blog al giorno. 3 post al secondo. Il 44,78% sta su Livejournal, che in russo si dice Živoj Žurnal (traduzione letterale), comunemente abbreviato in ŽeŽe.
O meglio ci stava.
Perché la Signora Miru, come direbbe Poligraf, è arrivata barcollando sulle sue zeppe da dieci centimetri con bagagli, beauty case, insostituibile dizionario di epoca sovietica ed ex-cane al seguito proprio mentre su Livejournal accadeva qualcosa di molto strano. Blog che chiudevano, altri che si trasferivano nel libero regno virtuale di Trinidad e Tobago, strani post postdatati - scusate il bisticcio - o scritti usando il font greco dove una Signora Miru avrebbe avuto il diritto di aspettarsi quello cirillico.
Era cominciata la seconda guerra dei blog.
Adesso vi spiego.
La società statunitense Six Apart, proprietaria di Livejournal, ha da poco annunciato che cederà il segmento cirillico della piattaforma a una compagnia russa, la Sup, fondata dall'oligarca russo Aleksandr Mamut e dall'imprenditore americano Andrew Paulson. A questo punto il fatto che Sup si pronunci come soup, e che "to be in the soup" in inglese significhi "essere nei guai", è un'ironia accessoria.
La popolarità di Livejournal in Russia aveva un suo bel perché: essenzialmente, era molto più rassicurante poter affidare informazioni personali a una piattaforma straniera, senza correre il rischio di attirare l'attenzione dei servizi segreti e del temuto sistema giudiziario russo.
Gli ingredienti per scatenare la seconda guerra dei blog dunque c'erano tutti: l'oligarca amico del regime e con il solito passato poco pulito nelle privatizzazioni, le prossime elezioni del 2007 e del 2008 e la presenza tra i manager di Sup di un blogger molto discusso (Anton Nosik, padre della rete russa ma anche legato in passato a Gleb Pavlovskij, politologo di fiducia e spin doctor del Cremlino). Poi sembra anche che parecchi non gradiscano che molti manager di Sup siano ebrei. Su questo punto però ci sono state smentite indignate; del resto i žežeisti sono tanti, più o meno autorevoli e più o meno impegnati, e soprattutto opinionano moltissimo e senza sosta. Litigano anche parecchio, su tutto. Uguali a noi, ma di più.
Il problema è soprattutto quanto controllo potrà avere il partner locale sui dati degli utenti e se questi dati saranno conservati sui server americani o su quelli russi. I blogger sono anche preoccupati perché la Sup ha istituito un Abuse Team russo che si occuperà di monitorare i blog e di individuare eventuali contenuti inappropriati (esisteva anche prima, ma era americano).
Finora in Europa e negli Stati Uniti questa seconda guerra dei blog russi (la prima si era scatenata nell'estate del 2005 quando l'Abuse Team americano aveva chiuso un blog per aver pubblicato un poster di propaganda sovietica in cui la scritta "Babbo, uccidi un tedesco!" era stata sostituita con "Babbo, uccidi un soldato della NATO!"), è stata abbastanza ignorata, come notava Evgenij Morozov nel suo articolo per l'International Herald Tribune (l'unico di un certo peso uscito in lingua inglese a beneficio di un pubblico più vasto e soprattutto non russo).
Lo stesso Morozov è stato poi attaccato sui blog russi, per aver parlato di Nosik come di una figura discutibile, ma soprattutto per aver osato dire che la vicenda è accaduta in un momento in cui "la blogosfera russa piangeva la morte di Anna Politkovskaja": "come ti permetti? non abbiamo mai fatto una cosa del genere", gli hanno risposto inviperiti in moltissimi. Ed è vero: come scrivevo nei commenti nelle scorse settimane, gli opinionanti blogger russi sono tutt'altro che compatti nella valutazione di Anna Politkovskaja e del suo lavoro, con punte di cinismo e - direi - di crudeltà.
Il problema di questa seconda guerra dei blog è dunque politico e di libertà di espressione: la compagnia russa ha tentato di rassicurare gli utenti, ma molti blog stanno chiudendo o migrando e c'è già chi dice che ŽeŽe ha i giorni contati.
Queste preoccupazioni potrebbero essere eccessive, forse isteriche, la mobilitazione prematura. Resta però il fatto che la blogosfera russa appariva fino ad ora come un luogo affollato, disordinato, multiforme, contaminato, vivacissimo, impegnato e litigioso. Ma libero, anche. In futuro, non si sa.
(Qui la Miru si allontana in punta di zeppe per dedicarsi a segmenti cirillici meno incandescenti e alla scoperta di cose bellissime, sconosciute e forse inutili. Però se vogliamo parlare di Russia e di libertà di espressione questa storia bisognava cercare di raccontarla).
Per le fonti, dovrei linkare metà ŽeŽe. Una buona ricostruzione in lingua inglese è su Global Voices Online qui, mentre l'articolo di Morozov, "Meanwhile: Russia's last refuge: the blogosphere" è qui.
I dati di Jandeks sulla blogosfera russa sono (in russo) qui. Invece della prima guerra dei blog si parlava su Exile.ru, qui. (la prossima volta, ve lo prometto, ci saranno anche quo e qua).
domenica, ottobre 29, 2006
Braccio destro numero basta: The Man with a Camera
Nome: Khalid al-Hayani.
Nazionalità: non ce la dicono perché potrebbe ostacolare altre operazioni.
Occupazione: cameraman personale di al Zarqawi.
Cosa: preso.
Come: vivo.
Dove: provincia di Diyala, a nordest di Baghdad.
Chi lo dice: il Ministero della Difesa iracheno.
Aveva con sé: videocassette e documenti.
Anche una foto ricordo di bin Laden, vero? Ma no!
Un moleskine scritto fitto fitto da destra a sinistra? Nemmeno.
Esplosivi, ne teneva? No.
Robba chimica? Ma cosa volete da me.
Siamo già al cameraman, gli scenografi e i costumisti del tenebroso giordano stanno tremando.
----------------------
Make-up:
DeMille Foundation #4 Warm Beige, Wonderscenic Mascara, Alidada* Precision Eyeliner, Perfect Close-up Pressed Powder, Great Escape Lipstick #406 Eternal Red. Come allover, consiglio il Sunset Blvd. Glistening Illuminator.
*è sempre consigliabile applicare l'eyeliner con l'aiuto un istrumento fatto per pigliare la misura degli angoli.
Nazionalità: non ce la dicono perché potrebbe ostacolare altre operazioni.
Occupazione: cameraman personale di al Zarqawi.
Cosa: preso.
Come: vivo.
Dove: provincia di Diyala, a nordest di Baghdad.
Chi lo dice: il Ministero della Difesa iracheno.
Aveva con sé: videocassette e documenti.
Anche una foto ricordo di bin Laden, vero? Ma no!
Un moleskine scritto fitto fitto da destra a sinistra? Nemmeno.
Esplosivi, ne teneva? No.
Robba chimica? Ma cosa volete da me.
Siamo già al cameraman, gli scenografi e i costumisti del tenebroso giordano stanno tremando.
----------------------
Make-up:
DeMille Foundation #4 Warm Beige, Wonderscenic Mascara, Alidada* Precision Eyeliner, Perfect Close-up Pressed Powder, Great Escape Lipstick #406 Eternal Red. Come allover, consiglio il Sunset Blvd. Glistening Illuminator.
*è sempre consigliabile applicare l'eyeliner con l'aiuto un istrumento fatto per pigliare la misura degli angoli.
Etichette:
alcaida,
braccidestri
sabato, ottobre 28, 2006
Le uova della Regina Elisabetta
Cosa succede quando alla Reuters attivano il correttore automatico? Che un articolo sul genoma delle api esce con un errore tipografico irresistibile: queen bee, ape regina, è sostituito da Queen Elizabeth. Si apprende così che "la Regina Elisabetta vive dieci volte più a lungo delle operaie e depone più di 2000 uova al giorno", più altre particolarità che dai Windsor non ci saremmo mai aspettati (cioè, cervello piccolo sì, accentuate capacità cognitive: ma quando mai).
Ecco l'articolo, non più online:
via Regret the Error
Ecco l'articolo, non più online:
via Regret the Error
Etichette:
corrections,
correzioni
venerdì, ottobre 27, 2006
Come finire a Guantanamo in poche semplici mosse
Questa pagina web, realizzata da Christopher Soghoian, genera una carta d'imbarco che può essere utilizzata per superare i controlli della TSA (l'ente americano per la sicurezza dei trasporti) ed entrare nelle aree "sicure" del terminal (ma non per salire su un aereo: per quello bisogna comprare un biglietto vero).
A cosa serve questa carta d'imbarco? Per andare a prendere i nonni o a salutare la fidanzata alla porta d'imbarco, per dimostrare che i controlli della TSA sulle carte d'imbarco sono inutili ed è possibile (nei voli interni) passare sotto il radar della "no-fly list", o anche per vincere un viaggio di sola andata a Guantanamo nel caso che qualcosa non funzionasse.
Ci sono due tecniche:
1. compri un biglietto online sotto falso nome, usando una carta di credito prepagata comprata in un 7/11 pagando in contanti. Non usare nomi come "John Smith" o "Robert Johnson", stanno sulla "no-fly list".
2. ti presenti all'aeroporto e dici al personale del check in della compagnia aerea che non hai il documento di identificazione. Ti daranno una speciale carta d'imbarco con la scritta "NO ID" e "SSSS" che ti permetterà di passare i controlli senza autenticare la tua identità.
3. ti imbarchi sull'aereo.
oppure:
1. compri sempre un biglietto online sotto falso nome (no John Smith, no Robert Johnson) usando una prepagata acquistata in contanti.
2. fai il check in online 24 ore prima della partenza e stampi la carta d'imbarco.
3. editi il codice HTML della carta di imbarco oppure (se voli con la Northwest) stampi con il generatore una carta d'imbarco identica in tutto, con la differenza che qui scrivi il tuo vero nome. Stampi.
4. Vai all'aeroporto, presenti la carta d'imbarco falsa con il tuo vero nome e il tuo vero documento d'identità. Controlleranno che corrispondano e ti lasceranno passare i controlli.
5. Presenti la carta d'imbarco con il nome falso all'addetto al gate. Dato che il biglietto è stato acquistato sotto questo falso nome, tutto andrà liscio.
6. Ce l'hai fatta!
La tecnica 1 è più semplice e richiede una sola carta d'imbarco. Però ti sottoporrà comunque a un controllo della TSA perché non hai il documento di identità. La tecnica 2 è più complessa ma ti permette di passare tranquillamente il controllo della TSA. Sarai un passeggero come tutti gli altri e verrai sottoposto a un normale controllo (a patto che tu non sia arabo o asiatico).
La tecnica 2 e il Boarding Pass Generator sfruttano una ben nota falla della security aeroportuale americana: l'intervallo tra il momento in cui viene emessa o stampata una carta d'imbarco e il momento in cui il passeggero passa il controllo per salire sull'aereo, oltre al fatto che la possibilità di stampare a casa la carta d'imbarco rende molto facile la contraffazione.
Christopher Soghoian sta facendo un dottorato in informatica all'Università dell'Indiana, dove studia in particolare i problemi della security aeroportuale. Gli avvocati della sua Università invece stanno studiando il modo per impedire che prima o poi le sue ricerche lo facciano finire a Guantanamo.
Ha sfidato anche la proibizione di liquidi a bordo. Ora vuole stamparsi da solo etichette con la scritta 3 once da attaccare su bottigliette da 10: la TSA, infatti, non permette di portare con sé flaconi di liquido che possano contenere più di 3 once, anche se sono flaconi da 4 pieni solo a metà.
"Si possono portare 5 flaconi da 3 once, e allora perché non un flacone da 15?".
Eh.
Teniamolo d'occhio, questo ragazzo prima o poi ci procura il padre di tutti i falsi allarmi.
Via Boing Boing
A cosa serve questa carta d'imbarco? Per andare a prendere i nonni o a salutare la fidanzata alla porta d'imbarco, per dimostrare che i controlli della TSA sulle carte d'imbarco sono inutili ed è possibile (nei voli interni) passare sotto il radar della "no-fly list", o anche per vincere un viaggio di sola andata a Guantanamo nel caso che qualcosa non funzionasse.
Ci sono due tecniche:
1. compri un biglietto online sotto falso nome, usando una carta di credito prepagata comprata in un 7/11 pagando in contanti. Non usare nomi come "John Smith" o "Robert Johnson", stanno sulla "no-fly list".
2. ti presenti all'aeroporto e dici al personale del check in della compagnia aerea che non hai il documento di identificazione. Ti daranno una speciale carta d'imbarco con la scritta "NO ID" e "SSSS" che ti permetterà di passare i controlli senza autenticare la tua identità.
3. ti imbarchi sull'aereo.
oppure:
1. compri sempre un biglietto online sotto falso nome (no John Smith, no Robert Johnson) usando una prepagata acquistata in contanti.
2. fai il check in online 24 ore prima della partenza e stampi la carta d'imbarco.
3. editi il codice HTML della carta di imbarco oppure (se voli con la Northwest) stampi con il generatore una carta d'imbarco identica in tutto, con la differenza che qui scrivi il tuo vero nome. Stampi.
4. Vai all'aeroporto, presenti la carta d'imbarco falsa con il tuo vero nome e il tuo vero documento d'identità. Controlleranno che corrispondano e ti lasceranno passare i controlli.
5. Presenti la carta d'imbarco con il nome falso all'addetto al gate. Dato che il biglietto è stato acquistato sotto questo falso nome, tutto andrà liscio.
6. Ce l'hai fatta!
La tecnica 1 è più semplice e richiede una sola carta d'imbarco. Però ti sottoporrà comunque a un controllo della TSA perché non hai il documento di identità. La tecnica 2 è più complessa ma ti permette di passare tranquillamente il controllo della TSA. Sarai un passeggero come tutti gli altri e verrai sottoposto a un normale controllo (a patto che tu non sia arabo o asiatico).
La tecnica 2 e il Boarding Pass Generator sfruttano una ben nota falla della security aeroportuale americana: l'intervallo tra il momento in cui viene emessa o stampata una carta d'imbarco e il momento in cui il passeggero passa il controllo per salire sull'aereo, oltre al fatto che la possibilità di stampare a casa la carta d'imbarco rende molto facile la contraffazione.
Christopher Soghoian sta facendo un dottorato in informatica all'Università dell'Indiana, dove studia in particolare i problemi della security aeroportuale. Gli avvocati della sua Università invece stanno studiando il modo per impedire che prima o poi le sue ricerche lo facciano finire a Guantanamo.
Ha sfidato anche la proibizione di liquidi a bordo. Ora vuole stamparsi da solo etichette con la scritta 3 once da attaccare su bottigliette da 10: la TSA, infatti, non permette di portare con sé flaconi di liquido che possano contenere più di 3 once, anche se sono flaconi da 4 pieni solo a metà.
"Si possono portare 5 flaconi da 3 once, e allora perché non un flacone da 15?".
Eh.
Teniamolo d'occhio, questo ragazzo prima o poi ci procura il padre di tutti i falsi allarmi.
Via Boing Boing
Etichette:
falsiallarmi,
Usa
Come maltrattare Google e vivere felici/24
A chi dirlo, se non a Google?
Un problema di facile soluzione
Come si chiama, già, il compagno della ex?
Un problema di facile soluzione
Come si chiama, già, il compagno della ex?
Etichette:
metablog
giovedì, ottobre 26, 2006
Tanti saluti dal Grande Revisore
Hello,
Your blog has been reviewed, verified, and cleared for regular use so that
it will no longer appear as potential spam. If you sign out of Blogger and
sign back in again, you should be able to post as normal. Thanks for your
patience, and we apologize for any inconvenience this has caused.
Sincerely,
The Blogger Team
Mi hanno letta, verificata e scagionata, quindi il mio blog non sarà più considerato potenziale spam. Se esco da Blogger e rientro* dovrei essere in grado di postare normalmente. Mi ringraziano per la pazienza e il disturbo e si scusano.
Bene, I'm clean, era proprio un falso allarme. Testo ripetitivo, irrilevante, talvolta privo di senso, ma la bionda non è spam. Non avete più alibi per evitare di rispondere alle mie mail.
Firmato:
Il Capo
* Non mi fido. Se esco cinque minuti da Blogger questi cambiano la serratura, lo sento. (Ehi! Cosa? Sono io, fatemi entrare. Io chi? Io la Miru. Lamiru chi? Fatemi almeno prendere Poli! Poligraf adesso lavora per noi. E cosa fa? Cambia serrature).
Etichette:
metablog
mercoledì, ottobre 25, 2006
Di orsi, boschi e re
C'era un orso nei boschi
"C'è un orso nei boschi": così cominciava un famoso filmato realizzato per la campagna presidenziale del 1984 di Reagan, candidato al secondo mandato contro il democratico Mondale. Vi si vedeva un orso bruno che vagava in una foresta, mentre la cupa voce del narratore suggeriva che l'Unione Sovietica (tradizionalmente simboleggiata dall'orso) era una grave minaccia alla stabilità mondiale e che Reagan sarebbe stato la persona adatta a combatterla. L'ultima inquadratura mostrava un cacciatore che si apprestava ad affrontare l'orso; il filmato finiva con un'immagine di Reagan e la frase "President Reagan: Prepared for Peace". Era uno con le carte in regola per la pace, Reagan.
"L'orso" è considerato uno dei più efficaci filmati elettorali mai realizzati, soprattutto per le immagini semplici e il messaggio "sottile e vagamente ottimista" (e subdolo). Non vi si nomina mai l'Unione Sovietica, l'avversario Mondale, le spese per la difesa né la guerra nucleare, che poi è la minaccia implicita in tutto il video.
Il video è qui, e questo è il testo:
"C'è un orso nei boschi. Per alcuni l'orso è facilmente visibile. Altri non lo vedono affatto. Alcuni dicono che l'orso è ammaestrato, altri che è cattivo e pericoloso. Giacché nessuno può sapere chi ha davvero ragione, non sarebbe bello essere forti quanto l'orso? Se c'è un orso".
Reagan vinse le elezioni con una valanga di voti.
Io tifavo per l'orso. Diciamo che a un certo punto lui mi è svenuto tra le braccia.
Mitrofan
Mitrofan è un pacifico e allegro (proprio dobrodušnyj e vecelyj, scrive il Kommersant) orso ammaestrato che vive in una fattoria nel villaggio di Novlenskoe, nella regione di Vologda. Verso la fine dell'agosto scorso Juan Carlos di Spagna è in visita da quelle parti: il re non fa mistero del fatto che se si trova in mezzo al nulla è esclusivamente per amore della caccia. Allora qualcuno per rallegrarlo pensa di prendere Mitrofan, di metterlo in una gabbia, di ubriacarlo di vodka e miele e di lasciarlo libero nella zona di caccia del re. Mitrofan è visibile, ammaestrato, non pericoloso e soprattutto barcollante: ucciso con un solo colpo, complimenti al cacciatore e al suo brillante seguito.
Questo post è motivato dall'idiosincrasia del Capo verso i monarchi (soprattutto quelli armati) e dalla sua evidente, storica, indifendibile debolezza per gli orsi.
"C'è un orso nei boschi": così cominciava un famoso filmato realizzato per la campagna presidenziale del 1984 di Reagan, candidato al secondo mandato contro il democratico Mondale. Vi si vedeva un orso bruno che vagava in una foresta, mentre la cupa voce del narratore suggeriva che l'Unione Sovietica (tradizionalmente simboleggiata dall'orso) era una grave minaccia alla stabilità mondiale e che Reagan sarebbe stato la persona adatta a combatterla. L'ultima inquadratura mostrava un cacciatore che si apprestava ad affrontare l'orso; il filmato finiva con un'immagine di Reagan e la frase "President Reagan: Prepared for Peace". Era uno con le carte in regola per la pace, Reagan.
"L'orso" è considerato uno dei più efficaci filmati elettorali mai realizzati, soprattutto per le immagini semplici e il messaggio "sottile e vagamente ottimista" (e subdolo). Non vi si nomina mai l'Unione Sovietica, l'avversario Mondale, le spese per la difesa né la guerra nucleare, che poi è la minaccia implicita in tutto il video.
Il video è qui, e questo è il testo:
"C'è un orso nei boschi. Per alcuni l'orso è facilmente visibile. Altri non lo vedono affatto. Alcuni dicono che l'orso è ammaestrato, altri che è cattivo e pericoloso. Giacché nessuno può sapere chi ha davvero ragione, non sarebbe bello essere forti quanto l'orso? Se c'è un orso".
Reagan vinse le elezioni con una valanga di voti.
Io tifavo per l'orso. Diciamo che a un certo punto lui mi è svenuto tra le braccia.
Mitrofan
Mitrofan è un pacifico e allegro (proprio dobrodušnyj e vecelyj, scrive il Kommersant) orso ammaestrato che vive in una fattoria nel villaggio di Novlenskoe, nella regione di Vologda. Verso la fine dell'agosto scorso Juan Carlos di Spagna è in visita da quelle parti: il re non fa mistero del fatto che se si trova in mezzo al nulla è esclusivamente per amore della caccia. Allora qualcuno per rallegrarlo pensa di prendere Mitrofan, di metterlo in una gabbia, di ubriacarlo di vodka e miele e di lasciarlo libero nella zona di caccia del re. Mitrofan è visibile, ammaestrato, non pericoloso e soprattutto barcollante: ucciso con un solo colpo, complimenti al cacciatore e al suo brillante seguito.
Questo post è motivato dall'idiosincrasia del Capo verso i monarchi (soprattutto quelli armati) e dalla sua evidente, storica, indifendibile debolezza per gli orsi.
Etichette:
Russia,
Vaghe stelle dell'URSS
martedì, ottobre 24, 2006
On the Google
Dall'intervista a George W. Bush sulla CNBC:
– Sono curiosa: mai cercato su Google qualcuno? Ha mai usato Google?
– Occasionalmente. Una delle cose che ho usato sul Google sono le mappe. È molto interessante, questa cosa. Mi sono dimenticato il nome del programma, ma si va sul satellite e si può... tipo a me piace guardare il ranch su Google, mi ricorda dove vorrei essere in certi momenti. Ma sì, un po'.
Link
– Sono curiosa: mai cercato su Google qualcuno? Ha mai usato Google?
– Occasionalmente. Una delle cose che ho usato sul Google sono le mappe. È molto interessante, questa cosa. Mi sono dimenticato il nome del programma, ma si va sul satellite e si può... tipo a me piace guardare il ranch su Google, mi ricorda dove vorrei essere in certi momenti. Ma sì, un po'.
Link
La morte di Anna Politkovskaja e i media occidentali
Bene, è giunto il momento di prendere in considerazione altri punti di vista. Quello di John Laughland è anche una riflessione sulla presunta pluralità e indipendenza dei mezzi di informazione occidentali. Può essere un buon modo per ampliare il discorso partendo sempre dalla morte di Anna Politkovskaja.
Chi ha ucciso Anna Politkovskaja?
John Laughland
Nel romanzo distopico di C. S. Lewis Quell'orribile forza, l'organizzazione che controlla lo stato fa sì che i suoi agenti scrivano su giornali appartenenti a tutte le fazioni dello spettro politico per mascherare il potere dietro un falso pluralismo. Oggi in Occidente è caduta perfino quell'apparenza di pluralismo.
L'omicidio della giornalista russa Anna Politkovskaja, il 7 ottobre scorso, è stato accolto con l'unanimità monolitica che è diventata il segno distintivo della cosiddetta stampa libera occidentale. Il 9 gennaio il quotidiano di destra Daily Telegraph ha dedicato un fondo all'omicidio, che cominciava con la frase:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse lo scorso anno Anna Politkovskaja a proposito della Russia di Putin".
Quello stesso giorno anche il quotidiano di sinistra Guardian ha pubblicato un fondo sull'omicidio, che cominciava così:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse Anna Politkovskaja a una conferenza sulla libertà di stampa lo scorso dicembre.
Tutta la stampa britannica, americana e dell'Europa occidentale ha esaltato la Politkovskaja come "uno dei giornalisti russi più coraggiosi e brillanti" (The Guardian), "una delle poche voci che osavano contraddire la linea del partito" (The Daily Telegraph), "una forza incendiaria che lottava per la libertà" (The Independent), "la più famosa giornalista investigativa russa" (The Times), "una delle più coraggiose giornaliste russe" (The New York Times); "una vittima di raro coraggio" (The Washington Post). Tutte queste citazioni provengono dagli articoli di fondo che ciascuno di questi giornali ha ritenuto di dover dedicare alla sua morte. In realtà, Anna Politkovskaja era praticamente sconosciuta in Russia. La reazione esemplare di un ricco uomo d'affari russo durante una cena a Buxelles la sera dell'omicidio è stata:
"Politkovskaja? Mai sentita nominare".
Sotto questo aspetto la Politkovskaja ricorda un altro giornalista che aveva rapporti con il Caucaso, Georgij Gongadze, il cittadino ucraino dal cognome georgiano il cui omicidio nel 2000 fu strumentalizzato dagli Stati Uniti nel tentativo di compromettere l'allora presidente ucraino, Leonid Kučma. La Politkovskaja non era sconosciuta come Gongadze, che si limitava ad avere un semplice sito web (anche se a Washington DC fu ricevuto dal Segretario di Stato Madeleine Albright), mentre il giornale per il quale lavorava la giornalista russa ha una diffusione di 250.000 copie. Non è comunque moltissimo in un paese di quasi 150 milioni di abitanti e certamente non abbastanza per meritarle gli elogi esagerati che le sono stati rovesciati addosso dopo la morte.
I media britannici e americani hanno anche fatto a gara nell'indicare come colpevole il presidente Putin. Il Financial Times ha scritto che:
"In senso ampio, il signor Putin ha la responsabilità di aver creato, attraverso l'attacco del Cremlino ai media indipendenti, un'atmosfera in cui possono aver luogo omicidi di questo tipo".
Il Washington Post ha affermato pomposamente che:
"È possibile, senza svolgere alcun lavoro di indagine, indicare ciò che è in definitiva la causa di queste morti: il clima di brutalità che ha prosperato sotto il governo di Putin".
Tutti i giornali insinuavano che la Politkovskaja fosse stata uccisa da alleati del presidente russo per aver raccontato la verità sulla guerra in Cecenia. Secondo loro la Russia è quasi una dittatura in cui il governo non è disposto a tollerare alcuna forma di dissenso, e hanno illustrato questa teoria facendo riferimento - anche se in termini stranamente vaghi - al numero dei giornalisti che sono stati vittima di omicidi su commissione simili a questo.
È qui che possiamo chiamarli bugiardi. Alcuni di questi articoli contenevano sbrigativi riferimenti all'ultimo giornalista ucciso a Mosca prima della Politkovskaja, il direttore americano di Forbes magazine, Paul Klebnikov, senza aggiungere che nessuno aveva mai suggerito che fosse stato il governo russo a far uccidere Klebnikov. Al contrario: mentre la Politkovskaja era un'oppositrice di Putin, Klebnikov si opponeva agli oligarchi. Scrisse un brillante libro su Boris Berezovskij - uno dei libri più informativi sulla transizione russa negli anni Novanta, in cui accusava Berezovskij di omicidio e di collusione con la malavita e i trafficanti di droga ceceni - e pubblicò una serie di interviste con uno dei capi separatisti ceceni, intitolate poco diplomaticamente "conversazioni con un barbaro". Per il suo lavoro fu premiato con un proiettile in testa. Quando morì, sulla stampa occidentale non fu celebrato il suo coraggio, anche se era americano, perché Klebnikov per tutta la vita aveva affermato che la politica occidentale in Russia è basata su un'alleanza con criminali, e che gli "uomini d'affari" che l'occidente esalta come combattenti per la libertà - Berezovskij ha asilo politico in Gran Bretagna - sono di fatto un mucchio di spietati assassini.
All'opposto di Klebnikov e della Politkovskaja, l'unico giornalista russo ucciso che tutti i russi conoscevano - e il cui nome è praticamente sconosciuto in Occidente - era Vlad List'ev.
Quando cadde sotto i proiettili del suo assassino, la notte del 1° marzo 1995, List'ev era il più popolare conduttore russo di talk show e una delle persone più ascoltate del paese, una vera stella della televisione. Era appena diventato direttore del canale principale, ORT (ora Primo Canale). Nonostante la sua immensa fama, i media occidentali non hanno mai citato il suo omicidio come un esempio dell'illegalità o dell'intolleranza incoraggiate dall'allora presidente Boris El'cin (che è quello che stanno facendo adesso con Putin). Questo è certamente dovuto al fatto che - per usare i leggiadri eufemismi di Wikipedia - "Quando List'ev tagliò fuori l'intermediazione delle agenzie pubblicitarie privò molti uomini d'affari corrotti di una fonte di enormi profitti". In parole povere, significa che secondo la maggior parte dei russi List'ev fu assassinato o da Boris Berezovskij - che assunse il controllo di ORT immediatamente dopo l'omicidio, e ampiamente a causa di esso - o da Vladimir Gusinskij, un magnate televisivo rivale che, come Berezovsky, è un oligarca dell'era El'cin ora in esilio. L'unico giornalista occidentale che discusse apertamente della possibilità che il mandante dell'omicidio List'ev fosse Berezovsky, Gusinskij o un alleato di Berezovskij, e cioè il magnate della pubblicità Sergej Lisovskij, fu, stranamente, Paul Klebnikov.
Tra i colleghi della Politkovskaja alla Novaya Gazeta ci sono celebri commentatori filoamericani come l'analista della difesa Pavel Felgenhauer, che lavora anche come articolista per la Jamestown Foundation: il direttore di quell'organizzazione, Glen Howard, è direttore esecutivo del Comitato americano per la pace in Cecenia, un gruppo neocon che appoggia un "compromesso politico" con i terroristi della provincia del Caucaso Settentrionale della Federazione Russa. Questo può spiegare perché si riesca a trovare una sola, monolitica opinione sulla Politkovskaja in tutti i media occidentali.
Allo stesso tempo, però, nella stessa presunta dittatura russa c'è una grande varietà di ipotesi sul suo omicidio. Le teorie che ora circolano a Mosca sull'assassinio comprendono (oltre a quella che indica come responsabili il governo russo o le autorità cecene):
- la vendetta di poliziotti corrotti ricercati o incarcerati in seguito ai suoi articoli sensazionalistici;
- una cospirazione degli oppositori del presidente russo e del primo ministro ceceno, Ramzan Kadyrov, per screditarli;
- la vendetta di ex-militanti ceceni;
- un omicidio voluto dai nazionalisti russi che si oppongono a Putin (il suo nome era sulle liste di morte di vari gruppi neonazisti);
- la provocazione politica per screditare le autorità cecene o innescare reazioni in quella provincia;
- una cospirazione di oppositori dell'ex repubblica sovietica della Georgia, con la quale Mosca è attualmente impegnata in un acceso scontro diplomatico.
Scegliete l'ipotesi che vi sembra più plausibile, ma soprattutto notate che la varietà stessa di punti di vista smentisce l'affermazione che la Politkovskaja si trovasse a combattere contro una macchina mediatica monolitica controllata dal governo.
Tra i molti punti di vista espressi, pochi sono più efficaci come questo, scritto da un commentatore di Lentacom.ru:
"L'omicidio Politkovskaja produce inequivocabili benefici per l'Occidente. Nell'ultimo mese c'è stato un ufficioso giro di vite nei confronti della Russia. I tentativi di far entrare l'Ucraina nella NATO. L'intenso dialogo dell'alleanza con la Georgia. Il comportamento di Saakašvili (il presidente georgiano), molto umiliante per la Russia e certamente concordato precedentemente con le potenze occidentali. Teoricamente, l'omicidio Politkovskaja distoglie l'attenzione dalla Georgia e fa sì che crescano le pressioni occidentali sulla Russia: da questo, oggi, la Georgia può trarre solo vantaggi.
Credo tuttavia che coloro che hanno commissionato il crimine siano più globali. Non ci sono prove dirette del fatto che qualcuno a Ovest possa aver fornito istruzioni. Non c'è dubbio, però, che l'Occidente ne sia un beneficiario diretto".
Non dobbiamo credere a questa o ad altre teorie del complotto. Ma in Russia il lettore ha un gran numero di diversi punti di vista da prendere in considerazione, tutti facilmente accessibili all'uomo comune che compri un giornale o che navighi su internet. A Ovest, invece, anche il più assiduo e incallito teorico della cospirazione troverà molto difficile trovare qualcosa di diverso dall'ipotesi che indica Putin come colpevole.
Che cosa vi dice tutto questo sul pluralismo politico e mediatico in Occidente?
John Laughland è membro del British Helsinki Human Rights Group e socio di Sanders Research.
Link
Chi ha ucciso Anna Politkovskaja?
John Laughland
Nel romanzo distopico di C. S. Lewis Quell'orribile forza, l'organizzazione che controlla lo stato fa sì che i suoi agenti scrivano su giornali appartenenti a tutte le fazioni dello spettro politico per mascherare il potere dietro un falso pluralismo. Oggi in Occidente è caduta perfino quell'apparenza di pluralismo.
L'omicidio della giornalista russa Anna Politkovskaja, il 7 ottobre scorso, è stato accolto con l'unanimità monolitica che è diventata il segno distintivo della cosiddetta stampa libera occidentale. Il 9 gennaio il quotidiano di destra Daily Telegraph ha dedicato un fondo all'omicidio, che cominciava con la frase:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse lo scorso anno Anna Politkovskaja a proposito della Russia di Putin".
Quello stesso giorno anche il quotidiano di sinistra Guardian ha pubblicato un fondo sull'omicidio, che cominciava così:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse Anna Politkovskaja a una conferenza sulla libertà di stampa lo scorso dicembre.
Tutta la stampa britannica, americana e dell'Europa occidentale ha esaltato la Politkovskaja come "uno dei giornalisti russi più coraggiosi e brillanti" (The Guardian), "una delle poche voci che osavano contraddire la linea del partito" (The Daily Telegraph), "una forza incendiaria che lottava per la libertà" (The Independent), "la più famosa giornalista investigativa russa" (The Times), "una delle più coraggiose giornaliste russe" (The New York Times); "una vittima di raro coraggio" (The Washington Post). Tutte queste citazioni provengono dagli articoli di fondo che ciascuno di questi giornali ha ritenuto di dover dedicare alla sua morte. In realtà, Anna Politkovskaja era praticamente sconosciuta in Russia. La reazione esemplare di un ricco uomo d'affari russo durante una cena a Buxelles la sera dell'omicidio è stata:
"Politkovskaja? Mai sentita nominare".
Sotto questo aspetto la Politkovskaja ricorda un altro giornalista che aveva rapporti con il Caucaso, Georgij Gongadze, il cittadino ucraino dal cognome georgiano il cui omicidio nel 2000 fu strumentalizzato dagli Stati Uniti nel tentativo di compromettere l'allora presidente ucraino, Leonid Kučma. La Politkovskaja non era sconosciuta come Gongadze, che si limitava ad avere un semplice sito web (anche se a Washington DC fu ricevuto dal Segretario di Stato Madeleine Albright), mentre il giornale per il quale lavorava la giornalista russa ha una diffusione di 250.000 copie. Non è comunque moltissimo in un paese di quasi 150 milioni di abitanti e certamente non abbastanza per meritarle gli elogi esagerati che le sono stati rovesciati addosso dopo la morte.
I media britannici e americani hanno anche fatto a gara nell'indicare come colpevole il presidente Putin. Il Financial Times ha scritto che:
"In senso ampio, il signor Putin ha la responsabilità di aver creato, attraverso l'attacco del Cremlino ai media indipendenti, un'atmosfera in cui possono aver luogo omicidi di questo tipo".
Il Washington Post ha affermato pomposamente che:
"È possibile, senza svolgere alcun lavoro di indagine, indicare ciò che è in definitiva la causa di queste morti: il clima di brutalità che ha prosperato sotto il governo di Putin".
Tutti i giornali insinuavano che la Politkovskaja fosse stata uccisa da alleati del presidente russo per aver raccontato la verità sulla guerra in Cecenia. Secondo loro la Russia è quasi una dittatura in cui il governo non è disposto a tollerare alcuna forma di dissenso, e hanno illustrato questa teoria facendo riferimento - anche se in termini stranamente vaghi - al numero dei giornalisti che sono stati vittima di omicidi su commissione simili a questo.
È qui che possiamo chiamarli bugiardi. Alcuni di questi articoli contenevano sbrigativi riferimenti all'ultimo giornalista ucciso a Mosca prima della Politkovskaja, il direttore americano di Forbes magazine, Paul Klebnikov, senza aggiungere che nessuno aveva mai suggerito che fosse stato il governo russo a far uccidere Klebnikov. Al contrario: mentre la Politkovskaja era un'oppositrice di Putin, Klebnikov si opponeva agli oligarchi. Scrisse un brillante libro su Boris Berezovskij - uno dei libri più informativi sulla transizione russa negli anni Novanta, in cui accusava Berezovskij di omicidio e di collusione con la malavita e i trafficanti di droga ceceni - e pubblicò una serie di interviste con uno dei capi separatisti ceceni, intitolate poco diplomaticamente "conversazioni con un barbaro". Per il suo lavoro fu premiato con un proiettile in testa. Quando morì, sulla stampa occidentale non fu celebrato il suo coraggio, anche se era americano, perché Klebnikov per tutta la vita aveva affermato che la politica occidentale in Russia è basata su un'alleanza con criminali, e che gli "uomini d'affari" che l'occidente esalta come combattenti per la libertà - Berezovskij ha asilo politico in Gran Bretagna - sono di fatto un mucchio di spietati assassini.
All'opposto di Klebnikov e della Politkovskaja, l'unico giornalista russo ucciso che tutti i russi conoscevano - e il cui nome è praticamente sconosciuto in Occidente - era Vlad List'ev.
Quando cadde sotto i proiettili del suo assassino, la notte del 1° marzo 1995, List'ev era il più popolare conduttore russo di talk show e una delle persone più ascoltate del paese, una vera stella della televisione. Era appena diventato direttore del canale principale, ORT (ora Primo Canale). Nonostante la sua immensa fama, i media occidentali non hanno mai citato il suo omicidio come un esempio dell'illegalità o dell'intolleranza incoraggiate dall'allora presidente Boris El'cin (che è quello che stanno facendo adesso con Putin). Questo è certamente dovuto al fatto che - per usare i leggiadri eufemismi di Wikipedia - "Quando List'ev tagliò fuori l'intermediazione delle agenzie pubblicitarie privò molti uomini d'affari corrotti di una fonte di enormi profitti". In parole povere, significa che secondo la maggior parte dei russi List'ev fu assassinato o da Boris Berezovskij - che assunse il controllo di ORT immediatamente dopo l'omicidio, e ampiamente a causa di esso - o da Vladimir Gusinskij, un magnate televisivo rivale che, come Berezovsky, è un oligarca dell'era El'cin ora in esilio. L'unico giornalista occidentale che discusse apertamente della possibilità che il mandante dell'omicidio List'ev fosse Berezovsky, Gusinskij o un alleato di Berezovskij, e cioè il magnate della pubblicità Sergej Lisovskij, fu, stranamente, Paul Klebnikov.
Tra i colleghi della Politkovskaja alla Novaya Gazeta ci sono celebri commentatori filoamericani come l'analista della difesa Pavel Felgenhauer, che lavora anche come articolista per la Jamestown Foundation: il direttore di quell'organizzazione, Glen Howard, è direttore esecutivo del Comitato americano per la pace in Cecenia, un gruppo neocon che appoggia un "compromesso politico" con i terroristi della provincia del Caucaso Settentrionale della Federazione Russa. Questo può spiegare perché si riesca a trovare una sola, monolitica opinione sulla Politkovskaja in tutti i media occidentali.
Allo stesso tempo, però, nella stessa presunta dittatura russa c'è una grande varietà di ipotesi sul suo omicidio. Le teorie che ora circolano a Mosca sull'assassinio comprendono (oltre a quella che indica come responsabili il governo russo o le autorità cecene):
- la vendetta di poliziotti corrotti ricercati o incarcerati in seguito ai suoi articoli sensazionalistici;
- una cospirazione degli oppositori del presidente russo e del primo ministro ceceno, Ramzan Kadyrov, per screditarli;
- la vendetta di ex-militanti ceceni;
- un omicidio voluto dai nazionalisti russi che si oppongono a Putin (il suo nome era sulle liste di morte di vari gruppi neonazisti);
- la provocazione politica per screditare le autorità cecene o innescare reazioni in quella provincia;
- una cospirazione di oppositori dell'ex repubblica sovietica della Georgia, con la quale Mosca è attualmente impegnata in un acceso scontro diplomatico.
Scegliete l'ipotesi che vi sembra più plausibile, ma soprattutto notate che la varietà stessa di punti di vista smentisce l'affermazione che la Politkovskaja si trovasse a combattere contro una macchina mediatica monolitica controllata dal governo.
Tra i molti punti di vista espressi, pochi sono più efficaci come questo, scritto da un commentatore di Lentacom.ru:
"L'omicidio Politkovskaja produce inequivocabili benefici per l'Occidente. Nell'ultimo mese c'è stato un ufficioso giro di vite nei confronti della Russia. I tentativi di far entrare l'Ucraina nella NATO. L'intenso dialogo dell'alleanza con la Georgia. Il comportamento di Saakašvili (il presidente georgiano), molto umiliante per la Russia e certamente concordato precedentemente con le potenze occidentali. Teoricamente, l'omicidio Politkovskaja distoglie l'attenzione dalla Georgia e fa sì che crescano le pressioni occidentali sulla Russia: da questo, oggi, la Georgia può trarre solo vantaggi.
Credo tuttavia che coloro che hanno commissionato il crimine siano più globali. Non ci sono prove dirette del fatto che qualcuno a Ovest possa aver fornito istruzioni. Non c'è dubbio, però, che l'Occidente ne sia un beneficiario diretto".
Non dobbiamo credere a questa o ad altre teorie del complotto. Ma in Russia il lettore ha un gran numero di diversi punti di vista da prendere in considerazione, tutti facilmente accessibili all'uomo comune che compri un giornale o che navighi su internet. A Ovest, invece, anche il più assiduo e incallito teorico della cospirazione troverà molto difficile trovare qualcosa di diverso dall'ipotesi che indica Putin come colpevole.
Che cosa vi dice tutto questo sul pluralismo politico e mediatico in Occidente?
John Laughland è membro del British Helsinki Human Rights Group e socio di Sanders Research.
Link
Etichette:
media,
Politkovskaja,
Russia,
traduzioni
venerdì, ottobre 20, 2006
Falso Positivo per Intrinseca Incoerenza
Mi sono appena accorta che Blogger mi ha attivato la verifica delle parole. Cioè, prima di pubblicare o modificare un post devo digitare le parole strane e tutte storte tipo cvpcici o plinkvz o pljskvca.
Che brutta roba.
E perché, Blogger? Ci siamo forse litigati?
"I robot di prevenzione dello spam di Blogger hanno rilevato che il tuo blog mostra le caratteristiche di un blog di spam. Dal momento che tu stai leggendo, il tuo blog non è verosimilmente un blog di spam. Il rilevamento dello spam automatizzato è intrinsecamente incoerente. Ci scusiamo per questo falso positivo".
Sono un falso positivo.
Allora mi faccio coraggio e vado a leggere la sezione "Che cos'è un blog di spam?".
E lì, capisco:
"[I blog di spam] sono riconoscibili per la presenza di testo irrilevante, ripetitivo o senza senso".
Sono io.
"Prima di poter disattivare la verifica delle parole obbligatoria sui tuoi post, è necessario che il tuo blog venga revisionato da un nostro responsabile per verificare che non si tratti di un blog di spam. Compila il seguente modulo per ottenere una revisione".
Ho compilato (c'erano delle paroline storte da copiare anche lì), adesso aspettiamo che passi questo responsabile che ci guarderà strano, frugherà dappertutto come una suocera e non si farà andar bene niente (e cosa sono 'ste parolacce, e come mai nei commenti parlate tutti insieme, e perché il tostapane e il server di Blogger stanno collegati alla stessa presa elettrica, e mai nessuno che faccia la polvere, cosa ci fa il capo in cucina, sono queste le ore di mangiare, ci sono briciole di patatine dappertutto).
Per ora sto sul giro d'aria.
E se mi mandano in rieducazione? E se all'improvviso mi costringono a scrivere solo cose intelligenti? E se vengo espulsa da Blogger e mi tocca chiedere asilo a Splinder? Lì su Splinder però esiste già un mirumir, e io ho due ipotesi:
1. è un camionista degli Urali che ha rinunciato per sempre all'idea di un blog e ha messo su un salone di acconciature Lui&Lei alla periferia di Ekaterinburg (probabilità: 5%);
2. sono sempre io che mi sono dimenticata la password (probabilità: 95%).
Allora ho chiesto a Splinder di rispedirmi questa benedetta parola chiave dei miei stivaletti (a questo punto almeno avessi scelto "alidada", che poi sarebbe tornata utile anche in un altro modo), ma la mail o arriva a un mio indirizzo ormai estinto oppure va dritta a Ekaterinburg dove non sanno che farsene ("Nu, Sergej, što že takoe Splinder?"). Come che sia, su consiglio di Anna mi sono registrata come m1rum1r, però in compenso mi filano solo i tredicenni. Ho anche riperso la password.
Come è duro calle lo scendere 'l salir per l'altrui piattaforme. Due palle, chioserebbe m1rum1r.
Che brutta roba.
E perché, Blogger? Ci siamo forse litigati?
"I robot di prevenzione dello spam di Blogger hanno rilevato che il tuo blog mostra le caratteristiche di un blog di spam. Dal momento che tu stai leggendo, il tuo blog non è verosimilmente un blog di spam. Il rilevamento dello spam automatizzato è intrinsecamente incoerente. Ci scusiamo per questo falso positivo".
Sono un falso positivo.
Allora mi faccio coraggio e vado a leggere la sezione "Che cos'è un blog di spam?".
E lì, capisco:
"[I blog di spam] sono riconoscibili per la presenza di testo irrilevante, ripetitivo o senza senso".
Sono io.
"Prima di poter disattivare la verifica delle parole obbligatoria sui tuoi post, è necessario che il tuo blog venga revisionato da un nostro responsabile per verificare che non si tratti di un blog di spam. Compila il seguente modulo per ottenere una revisione".
Ho compilato (c'erano delle paroline storte da copiare anche lì), adesso aspettiamo che passi questo responsabile che ci guarderà strano, frugherà dappertutto come una suocera e non si farà andar bene niente (e cosa sono 'ste parolacce, e come mai nei commenti parlate tutti insieme, e perché il tostapane e il server di Blogger stanno collegati alla stessa presa elettrica, e mai nessuno che faccia la polvere, cosa ci fa il capo in cucina, sono queste le ore di mangiare, ci sono briciole di patatine dappertutto).
Per ora sto sul giro d'aria.
E se mi mandano in rieducazione? E se all'improvviso mi costringono a scrivere solo cose intelligenti? E se vengo espulsa da Blogger e mi tocca chiedere asilo a Splinder? Lì su Splinder però esiste già un mirumir, e io ho due ipotesi:
1. è un camionista degli Urali che ha rinunciato per sempre all'idea di un blog e ha messo su un salone di acconciature Lui&Lei alla periferia di Ekaterinburg (probabilità: 5%);
2. sono sempre io che mi sono dimenticata la password (probabilità: 95%).
Allora ho chiesto a Splinder di rispedirmi questa benedetta parola chiave dei miei stivaletti (a questo punto almeno avessi scelto "alidada", che poi sarebbe tornata utile anche in un altro modo), ma la mail o arriva a un mio indirizzo ormai estinto oppure va dritta a Ekaterinburg dove non sanno che farsene ("Nu, Sergej, što že takoe Splinder?"). Come che sia, su consiglio di Anna mi sono registrata come m1rum1r, però in compenso mi filano solo i tredicenni. Ho anche riperso la password.
Come è duro calle lo scendere 'l salir per l'altrui piattaforme. Due palle, chioserebbe m1rum1r.
Etichette:
metablog,
The Real Thing
Falso Allarme per Ragazzina Canaglia
Sul suo MySpace Julia Wilson, 14 anni, scrive "E così Bush è un idiota, sai che novità?"; poi posta un'immagine con la faccia del presidente, il coltello conficcato in una mano e la scritta "Kill Bush".
Gli agenti del Servizio Segreto degli Stati Uniti vanno a prelevarla a scuola durante la lezione di biologia per sottoporla a un interrogatorio di venti minuti.
A sua madre hanno già fatto alcune intriganti domande: che lavoro fa suo marito? appartenete a qualche organizzazione che pianifica il rovesciamento dell'attuale governo? lo sa che se un terrorista straniero arriva sul sito di sua figlia e vede quello che ci ha scritto può trarne ispirazione? lo sa che quell'immagine è considerata una grave minaccia nei confronti del Presidente degli Stati Uniti?
Il fatto che la creazione antibush di Julia risalga a diversi mesi fa e sia stata rimossa dal sito l'estate scorsa sembra non fare alcuna differenza.
"Ho detto loro che semplicemente non sono d'accordo con la politica di Bush. Non intendo fargli del male in alcun modo. Sono un tipo molto pacifico. Semplicemente non mi piace Bush", ha dichiarato Julia nostra. Ce l'hanno fatta anche piangere, i federali.
Il Servizio Segreto non ha commentato il fatto.
Peter Scheer, della California First Amendment Coalition, ha detto: "La soglia si è abbassata. È stato per far capire ai ragazzini di MySpace che postare una cosa come 'Uccidete il Presidente' non è come dirlo via e-mail o al telefono. Il governo controlla la rete".
Perché come ha detto ier Michael Chertoff, segretario per la Sicurezza Nazionale, la rete è un utile strumento per gli aspiranti terroristi: "Adesso possono addestrarsi su Internet. Non devono necessariamente andare in un campo d'addestramento né parlare con qualcuno, e il diffondersi di questa combinazione di odio e di competenze tecniche in cose come la fabbricazione di bombe è pericoloso".
Sciocchezze.
Ora spiegatemi di nuovo con calma, gentilmente e per la terza volta come si carica questo stupido Ak47.
Adesso, su consiglio di un'insegnante bastarda, Julie modera un gruppo che promuove la pace nel mondo.
[Pling plong! Questo falso allarme ci è stato gentilmente offerto da: Petrolio]
Gli agenti del Servizio Segreto degli Stati Uniti vanno a prelevarla a scuola durante la lezione di biologia per sottoporla a un interrogatorio di venti minuti.
A sua madre hanno già fatto alcune intriganti domande: che lavoro fa suo marito? appartenete a qualche organizzazione che pianifica il rovesciamento dell'attuale governo? lo sa che se un terrorista straniero arriva sul sito di sua figlia e vede quello che ci ha scritto può trarne ispirazione? lo sa che quell'immagine è considerata una grave minaccia nei confronti del Presidente degli Stati Uniti?
Il fatto che la creazione antibush di Julia risalga a diversi mesi fa e sia stata rimossa dal sito l'estate scorsa sembra non fare alcuna differenza.
"Ho detto loro che semplicemente non sono d'accordo con la politica di Bush. Non intendo fargli del male in alcun modo. Sono un tipo molto pacifico. Semplicemente non mi piace Bush", ha dichiarato Julia nostra. Ce l'hanno fatta anche piangere, i federali.
Il Servizio Segreto non ha commentato il fatto.
Peter Scheer, della California First Amendment Coalition, ha detto: "La soglia si è abbassata. È stato per far capire ai ragazzini di MySpace che postare una cosa come 'Uccidete il Presidente' non è come dirlo via e-mail o al telefono. Il governo controlla la rete".
Perché come ha detto ier Michael Chertoff, segretario per la Sicurezza Nazionale, la rete è un utile strumento per gli aspiranti terroristi: "Adesso possono addestrarsi su Internet. Non devono necessariamente andare in un campo d'addestramento né parlare con qualcuno, e il diffondersi di questa combinazione di odio e di competenze tecniche in cose come la fabbricazione di bombe è pericoloso".
Sciocchezze.
Ora spiegatemi di nuovo con calma, gentilmente e per la terza volta come si carica questo stupido Ak47.
Adesso, su consiglio di un'insegnante bastarda, Julie modera un gruppo che promuove la pace nel mondo.
[Pling plong! Questo falso allarme ci è stato gentilmente offerto da: Petrolio]
Etichette:
Bush,
falsiallarmi,
Usa
Motori
"Quando penso al Presidente Bush e alla sua politica estera mi viene in mente quella vecchia barzelletta sul tale che sale per la prima volta su un aereo. Quando si ferma un motore si tranquillizza all'annuncio che non c'è nessun pericolo ma che l'aereo atterrerà con mezz'ora di ritardo. Resta tranquillo anche quando si ferma il secondo motore e gli dicono che ci saranno solo due ore di ritardo. Quando si ferma il terzo motore, e viene annunciato un ritardo di quattro ore, si gira verso il suo vicino e dice: 'Se si ferma anche anche il quarto, finiremo per star quassù tutto il giorno'".
H.D.S. Greenway, A Foreign Policy Meltdown, The Boston Globe.
H.D.S. Greenway, A Foreign Policy Meltdown, The Boston Globe.
Etichette:
Bush
giovedì, ottobre 19, 2006
Falso Allarme per Lassativo
Tra gli attentati terroristici con armi di distruzione di massa sventati dal Governo americano nel 2006 (raccolti in un documento propagandistico diffuso da un senatore repubblicano) non figura nessun presunto terrorista islamico.
In compenso c'è William Krar, che potremmo chiamare obiettore fiscale e che aveva messo insieme un bel po' di materiale chimico e di letteratura in cui si spiegava come abbattere governi tirannici e uccidere il papa e le persone di pelle scura. Con lui ci sono anche la moglie e l'amico, solo che sono considerati come casi separati (e fanno tre).
E poi c'è Casey Culter. A quanto pare Culter soffre di problemi mentali e si sta "curando da solo" con la marijuana e altre droghe. Per vendicarsi dei suoi disonesti spacciatori decide di avvelenarli con la ricina. Scarica da internet le istruzioni per fabbricare la sostanza tossica - che prevedono tra le altre cose la macinazione di semi di ricino - e scopre che gli mancano i semi e non sa come procurarseli. Allora va in farmacia a comprare dell'olio di ricino, che ovviamente non contiene ricina.
Però Cutler non lo sa, e fa bollire l'olio di ricino "per ridurlo" e utilizza l'acetone come da istruzioni per estrarre la famosa ricina.
Ma com'è che si è fatto beccare dai federali?
Cutler ha un compagno di stanza, anche lui un po' confuso e di certo not the sharpest knife in the drawer: il tizio si prende una bronchite, ma siccome sa quello che sta combinando Cutler pensa di essere stato avvelenato e corre al pronto soccorso.
Lì a un certo punto viene pronunciata la magica parola "ricina", che porta al tempestivo intervento della squadra SWAT di Phoenix, delle unità antiterrorismo e dell'FBI.
Il Documento della corte federale si trova a un certo punto nell'imbarazzo di dover ammettere che Casey era ben lontano dalla fabbricazione di un'arma di distruzione di massa. E allora scrive che "L'imputato ha fatto qualcosa che costituiva un passo importante verso la produzione di una tossina biologica".
Certo: il più potente lassativo in circolazione.
Link
In compenso c'è William Krar, che potremmo chiamare obiettore fiscale e che aveva messo insieme un bel po' di materiale chimico e di letteratura in cui si spiegava come abbattere governi tirannici e uccidere il papa e le persone di pelle scura. Con lui ci sono anche la moglie e l'amico, solo che sono considerati come casi separati (e fanno tre).
E poi c'è Casey Culter. A quanto pare Culter soffre di problemi mentali e si sta "curando da solo" con la marijuana e altre droghe. Per vendicarsi dei suoi disonesti spacciatori decide di avvelenarli con la ricina. Scarica da internet le istruzioni per fabbricare la sostanza tossica - che prevedono tra le altre cose la macinazione di semi di ricino - e scopre che gli mancano i semi e non sa come procurarseli. Allora va in farmacia a comprare dell'olio di ricino, che ovviamente non contiene ricina.
Però Cutler non lo sa, e fa bollire l'olio di ricino "per ridurlo" e utilizza l'acetone come da istruzioni per estrarre la famosa ricina.
Ma com'è che si è fatto beccare dai federali?
Cutler ha un compagno di stanza, anche lui un po' confuso e di certo not the sharpest knife in the drawer: il tizio si prende una bronchite, ma siccome sa quello che sta combinando Cutler pensa di essere stato avvelenato e corre al pronto soccorso.
Lì a un certo punto viene pronunciata la magica parola "ricina", che porta al tempestivo intervento della squadra SWAT di Phoenix, delle unità antiterrorismo e dell'FBI.
Il Documento della corte federale si trova a un certo punto nell'imbarazzo di dover ammettere che Casey era ben lontano dalla fabbricazione di un'arma di distruzione di massa. E allora scrive che "L'imputato ha fatto qualcosa che costituiva un passo importante verso la produzione di una tossina biologica".
Certo: il più potente lassativo in circolazione.
Link
Etichette:
falsiallarmi
Iscriviti a:
Post (Atom)