"The appropriate word for all this might become, or might even be, 'Dianafication'".
("La parola giusta per tutto questo potrebbe diventare, o forse lo è già, 'Dianificazione'").
Tim Newman a proposito dell'appropriazione-santificazione-distorsione della figura di Anna Politkovskaja a un anno dalla morte, nei commenti a questo post di Sean Guillory.
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lunedì, ottobre 08, 2007
martedì, ottobre 24, 2006
La morte di Anna Politkovskaja e i media occidentali
Bene, è giunto il momento di prendere in considerazione altri punti di vista. Quello di John Laughland è anche una riflessione sulla presunta pluralità e indipendenza dei mezzi di informazione occidentali. Può essere un buon modo per ampliare il discorso partendo sempre dalla morte di Anna Politkovskaja.
Chi ha ucciso Anna Politkovskaja?
John Laughland
Nel romanzo distopico di C. S. Lewis Quell'orribile forza, l'organizzazione che controlla lo stato fa sì che i suoi agenti scrivano su giornali appartenenti a tutte le fazioni dello spettro politico per mascherare il potere dietro un falso pluralismo. Oggi in Occidente è caduta perfino quell'apparenza di pluralismo.
L'omicidio della giornalista russa Anna Politkovskaja, il 7 ottobre scorso, è stato accolto con l'unanimità monolitica che è diventata il segno distintivo della cosiddetta stampa libera occidentale. Il 9 gennaio il quotidiano di destra Daily Telegraph ha dedicato un fondo all'omicidio, che cominciava con la frase:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse lo scorso anno Anna Politkovskaja a proposito della Russia di Putin".
Quello stesso giorno anche il quotidiano di sinistra Guardian ha pubblicato un fondo sull'omicidio, che cominciava così:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse Anna Politkovskaja a una conferenza sulla libertà di stampa lo scorso dicembre.
Tutta la stampa britannica, americana e dell'Europa occidentale ha esaltato la Politkovskaja come "uno dei giornalisti russi più coraggiosi e brillanti" (The Guardian), "una delle poche voci che osavano contraddire la linea del partito" (The Daily Telegraph), "una forza incendiaria che lottava per la libertà" (The Independent), "la più famosa giornalista investigativa russa" (The Times), "una delle più coraggiose giornaliste russe" (The New York Times); "una vittima di raro coraggio" (The Washington Post). Tutte queste citazioni provengono dagli articoli di fondo che ciascuno di questi giornali ha ritenuto di dover dedicare alla sua morte. In realtà, Anna Politkovskaja era praticamente sconosciuta in Russia. La reazione esemplare di un ricco uomo d'affari russo durante una cena a Buxelles la sera dell'omicidio è stata:
"Politkovskaja? Mai sentita nominare".
Sotto questo aspetto la Politkovskaja ricorda un altro giornalista che aveva rapporti con il Caucaso, Georgij Gongadze, il cittadino ucraino dal cognome georgiano il cui omicidio nel 2000 fu strumentalizzato dagli Stati Uniti nel tentativo di compromettere l'allora presidente ucraino, Leonid Kučma. La Politkovskaja non era sconosciuta come Gongadze, che si limitava ad avere un semplice sito web (anche se a Washington DC fu ricevuto dal Segretario di Stato Madeleine Albright), mentre il giornale per il quale lavorava la giornalista russa ha una diffusione di 250.000 copie. Non è comunque moltissimo in un paese di quasi 150 milioni di abitanti e certamente non abbastanza per meritarle gli elogi esagerati che le sono stati rovesciati addosso dopo la morte.
I media britannici e americani hanno anche fatto a gara nell'indicare come colpevole il presidente Putin. Il Financial Times ha scritto che:
"In senso ampio, il signor Putin ha la responsabilità di aver creato, attraverso l'attacco del Cremlino ai media indipendenti, un'atmosfera in cui possono aver luogo omicidi di questo tipo".
Il Washington Post ha affermato pomposamente che:
"È possibile, senza svolgere alcun lavoro di indagine, indicare ciò che è in definitiva la causa di queste morti: il clima di brutalità che ha prosperato sotto il governo di Putin".
Tutti i giornali insinuavano che la Politkovskaja fosse stata uccisa da alleati del presidente russo per aver raccontato la verità sulla guerra in Cecenia. Secondo loro la Russia è quasi una dittatura in cui il governo non è disposto a tollerare alcuna forma di dissenso, e hanno illustrato questa teoria facendo riferimento - anche se in termini stranamente vaghi - al numero dei giornalisti che sono stati vittima di omicidi su commissione simili a questo.
È qui che possiamo chiamarli bugiardi. Alcuni di questi articoli contenevano sbrigativi riferimenti all'ultimo giornalista ucciso a Mosca prima della Politkovskaja, il direttore americano di Forbes magazine, Paul Klebnikov, senza aggiungere che nessuno aveva mai suggerito che fosse stato il governo russo a far uccidere Klebnikov. Al contrario: mentre la Politkovskaja era un'oppositrice di Putin, Klebnikov si opponeva agli oligarchi. Scrisse un brillante libro su Boris Berezovskij - uno dei libri più informativi sulla transizione russa negli anni Novanta, in cui accusava Berezovskij di omicidio e di collusione con la malavita e i trafficanti di droga ceceni - e pubblicò una serie di interviste con uno dei capi separatisti ceceni, intitolate poco diplomaticamente "conversazioni con un barbaro". Per il suo lavoro fu premiato con un proiettile in testa. Quando morì, sulla stampa occidentale non fu celebrato il suo coraggio, anche se era americano, perché Klebnikov per tutta la vita aveva affermato che la politica occidentale in Russia è basata su un'alleanza con criminali, e che gli "uomini d'affari" che l'occidente esalta come combattenti per la libertà - Berezovskij ha asilo politico in Gran Bretagna - sono di fatto un mucchio di spietati assassini.
All'opposto di Klebnikov e della Politkovskaja, l'unico giornalista russo ucciso che tutti i russi conoscevano - e il cui nome è praticamente sconosciuto in Occidente - era Vlad List'ev.
Quando cadde sotto i proiettili del suo assassino, la notte del 1° marzo 1995, List'ev era il più popolare conduttore russo di talk show e una delle persone più ascoltate del paese, una vera stella della televisione. Era appena diventato direttore del canale principale, ORT (ora Primo Canale). Nonostante la sua immensa fama, i media occidentali non hanno mai citato il suo omicidio come un esempio dell'illegalità o dell'intolleranza incoraggiate dall'allora presidente Boris El'cin (che è quello che stanno facendo adesso con Putin). Questo è certamente dovuto al fatto che - per usare i leggiadri eufemismi di Wikipedia - "Quando List'ev tagliò fuori l'intermediazione delle agenzie pubblicitarie privò molti uomini d'affari corrotti di una fonte di enormi profitti". In parole povere, significa che secondo la maggior parte dei russi List'ev fu assassinato o da Boris Berezovskij - che assunse il controllo di ORT immediatamente dopo l'omicidio, e ampiamente a causa di esso - o da Vladimir Gusinskij, un magnate televisivo rivale che, come Berezovsky, è un oligarca dell'era El'cin ora in esilio. L'unico giornalista occidentale che discusse apertamente della possibilità che il mandante dell'omicidio List'ev fosse Berezovsky, Gusinskij o un alleato di Berezovskij, e cioè il magnate della pubblicità Sergej Lisovskij, fu, stranamente, Paul Klebnikov.
Tra i colleghi della Politkovskaja alla Novaya Gazeta ci sono celebri commentatori filoamericani come l'analista della difesa Pavel Felgenhauer, che lavora anche come articolista per la Jamestown Foundation: il direttore di quell'organizzazione, Glen Howard, è direttore esecutivo del Comitato americano per la pace in Cecenia, un gruppo neocon che appoggia un "compromesso politico" con i terroristi della provincia del Caucaso Settentrionale della Federazione Russa. Questo può spiegare perché si riesca a trovare una sola, monolitica opinione sulla Politkovskaja in tutti i media occidentali.
Allo stesso tempo, però, nella stessa presunta dittatura russa c'è una grande varietà di ipotesi sul suo omicidio. Le teorie che ora circolano a Mosca sull'assassinio comprendono (oltre a quella che indica come responsabili il governo russo o le autorità cecene):
- la vendetta di poliziotti corrotti ricercati o incarcerati in seguito ai suoi articoli sensazionalistici;
- una cospirazione degli oppositori del presidente russo e del primo ministro ceceno, Ramzan Kadyrov, per screditarli;
- la vendetta di ex-militanti ceceni;
- un omicidio voluto dai nazionalisti russi che si oppongono a Putin (il suo nome era sulle liste di morte di vari gruppi neonazisti);
- la provocazione politica per screditare le autorità cecene o innescare reazioni in quella provincia;
- una cospirazione di oppositori dell'ex repubblica sovietica della Georgia, con la quale Mosca è attualmente impegnata in un acceso scontro diplomatico.
Scegliete l'ipotesi che vi sembra più plausibile, ma soprattutto notate che la varietà stessa di punti di vista smentisce l'affermazione che la Politkovskaja si trovasse a combattere contro una macchina mediatica monolitica controllata dal governo.
Tra i molti punti di vista espressi, pochi sono più efficaci come questo, scritto da un commentatore di Lentacom.ru:
"L'omicidio Politkovskaja produce inequivocabili benefici per l'Occidente. Nell'ultimo mese c'è stato un ufficioso giro di vite nei confronti della Russia. I tentativi di far entrare l'Ucraina nella NATO. L'intenso dialogo dell'alleanza con la Georgia. Il comportamento di Saakašvili (il presidente georgiano), molto umiliante per la Russia e certamente concordato precedentemente con le potenze occidentali. Teoricamente, l'omicidio Politkovskaja distoglie l'attenzione dalla Georgia e fa sì che crescano le pressioni occidentali sulla Russia: da questo, oggi, la Georgia può trarre solo vantaggi.
Credo tuttavia che coloro che hanno commissionato il crimine siano più globali. Non ci sono prove dirette del fatto che qualcuno a Ovest possa aver fornito istruzioni. Non c'è dubbio, però, che l'Occidente ne sia un beneficiario diretto".
Non dobbiamo credere a questa o ad altre teorie del complotto. Ma in Russia il lettore ha un gran numero di diversi punti di vista da prendere in considerazione, tutti facilmente accessibili all'uomo comune che compri un giornale o che navighi su internet. A Ovest, invece, anche il più assiduo e incallito teorico della cospirazione troverà molto difficile trovare qualcosa di diverso dall'ipotesi che indica Putin come colpevole.
Che cosa vi dice tutto questo sul pluralismo politico e mediatico in Occidente?
John Laughland è membro del British Helsinki Human Rights Group e socio di Sanders Research.
Link
Chi ha ucciso Anna Politkovskaja?
John Laughland
Nel romanzo distopico di C. S. Lewis Quell'orribile forza, l'organizzazione che controlla lo stato fa sì che i suoi agenti scrivano su giornali appartenenti a tutte le fazioni dello spettro politico per mascherare il potere dietro un falso pluralismo. Oggi in Occidente è caduta perfino quell'apparenza di pluralismo.
L'omicidio della giornalista russa Anna Politkovskaja, il 7 ottobre scorso, è stato accolto con l'unanimità monolitica che è diventata il segno distintivo della cosiddetta stampa libera occidentale. Il 9 gennaio il quotidiano di destra Daily Telegraph ha dedicato un fondo all'omicidio, che cominciava con la frase:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse lo scorso anno Anna Politkovskaja a proposito della Russia di Putin".
Quello stesso giorno anche il quotidiano di sinistra Guardian ha pubblicato un fondo sull'omicidio, che cominciava così:
"'Talvolta le persone pagano con la propria vita per dire ad alta voce quello che pensano,' disse Anna Politkovskaja a una conferenza sulla libertà di stampa lo scorso dicembre.
Tutta la stampa britannica, americana e dell'Europa occidentale ha esaltato la Politkovskaja come "uno dei giornalisti russi più coraggiosi e brillanti" (The Guardian), "una delle poche voci che osavano contraddire la linea del partito" (The Daily Telegraph), "una forza incendiaria che lottava per la libertà" (The Independent), "la più famosa giornalista investigativa russa" (The Times), "una delle più coraggiose giornaliste russe" (The New York Times); "una vittima di raro coraggio" (The Washington Post). Tutte queste citazioni provengono dagli articoli di fondo che ciascuno di questi giornali ha ritenuto di dover dedicare alla sua morte. In realtà, Anna Politkovskaja era praticamente sconosciuta in Russia. La reazione esemplare di un ricco uomo d'affari russo durante una cena a Buxelles la sera dell'omicidio è stata:
"Politkovskaja? Mai sentita nominare".
Sotto questo aspetto la Politkovskaja ricorda un altro giornalista che aveva rapporti con il Caucaso, Georgij Gongadze, il cittadino ucraino dal cognome georgiano il cui omicidio nel 2000 fu strumentalizzato dagli Stati Uniti nel tentativo di compromettere l'allora presidente ucraino, Leonid Kučma. La Politkovskaja non era sconosciuta come Gongadze, che si limitava ad avere un semplice sito web (anche se a Washington DC fu ricevuto dal Segretario di Stato Madeleine Albright), mentre il giornale per il quale lavorava la giornalista russa ha una diffusione di 250.000 copie. Non è comunque moltissimo in un paese di quasi 150 milioni di abitanti e certamente non abbastanza per meritarle gli elogi esagerati che le sono stati rovesciati addosso dopo la morte.
I media britannici e americani hanno anche fatto a gara nell'indicare come colpevole il presidente Putin. Il Financial Times ha scritto che:
"In senso ampio, il signor Putin ha la responsabilità di aver creato, attraverso l'attacco del Cremlino ai media indipendenti, un'atmosfera in cui possono aver luogo omicidi di questo tipo".
Il Washington Post ha affermato pomposamente che:
"È possibile, senza svolgere alcun lavoro di indagine, indicare ciò che è in definitiva la causa di queste morti: il clima di brutalità che ha prosperato sotto il governo di Putin".
Tutti i giornali insinuavano che la Politkovskaja fosse stata uccisa da alleati del presidente russo per aver raccontato la verità sulla guerra in Cecenia. Secondo loro la Russia è quasi una dittatura in cui il governo non è disposto a tollerare alcuna forma di dissenso, e hanno illustrato questa teoria facendo riferimento - anche se in termini stranamente vaghi - al numero dei giornalisti che sono stati vittima di omicidi su commissione simili a questo.
È qui che possiamo chiamarli bugiardi. Alcuni di questi articoli contenevano sbrigativi riferimenti all'ultimo giornalista ucciso a Mosca prima della Politkovskaja, il direttore americano di Forbes magazine, Paul Klebnikov, senza aggiungere che nessuno aveva mai suggerito che fosse stato il governo russo a far uccidere Klebnikov. Al contrario: mentre la Politkovskaja era un'oppositrice di Putin, Klebnikov si opponeva agli oligarchi. Scrisse un brillante libro su Boris Berezovskij - uno dei libri più informativi sulla transizione russa negli anni Novanta, in cui accusava Berezovskij di omicidio e di collusione con la malavita e i trafficanti di droga ceceni - e pubblicò una serie di interviste con uno dei capi separatisti ceceni, intitolate poco diplomaticamente "conversazioni con un barbaro". Per il suo lavoro fu premiato con un proiettile in testa. Quando morì, sulla stampa occidentale non fu celebrato il suo coraggio, anche se era americano, perché Klebnikov per tutta la vita aveva affermato che la politica occidentale in Russia è basata su un'alleanza con criminali, e che gli "uomini d'affari" che l'occidente esalta come combattenti per la libertà - Berezovskij ha asilo politico in Gran Bretagna - sono di fatto un mucchio di spietati assassini.
All'opposto di Klebnikov e della Politkovskaja, l'unico giornalista russo ucciso che tutti i russi conoscevano - e il cui nome è praticamente sconosciuto in Occidente - era Vlad List'ev.
Quando cadde sotto i proiettili del suo assassino, la notte del 1° marzo 1995, List'ev era il più popolare conduttore russo di talk show e una delle persone più ascoltate del paese, una vera stella della televisione. Era appena diventato direttore del canale principale, ORT (ora Primo Canale). Nonostante la sua immensa fama, i media occidentali non hanno mai citato il suo omicidio come un esempio dell'illegalità o dell'intolleranza incoraggiate dall'allora presidente Boris El'cin (che è quello che stanno facendo adesso con Putin). Questo è certamente dovuto al fatto che - per usare i leggiadri eufemismi di Wikipedia - "Quando List'ev tagliò fuori l'intermediazione delle agenzie pubblicitarie privò molti uomini d'affari corrotti di una fonte di enormi profitti". In parole povere, significa che secondo la maggior parte dei russi List'ev fu assassinato o da Boris Berezovskij - che assunse il controllo di ORT immediatamente dopo l'omicidio, e ampiamente a causa di esso - o da Vladimir Gusinskij, un magnate televisivo rivale che, come Berezovsky, è un oligarca dell'era El'cin ora in esilio. L'unico giornalista occidentale che discusse apertamente della possibilità che il mandante dell'omicidio List'ev fosse Berezovsky, Gusinskij o un alleato di Berezovskij, e cioè il magnate della pubblicità Sergej Lisovskij, fu, stranamente, Paul Klebnikov.
Tra i colleghi della Politkovskaja alla Novaya Gazeta ci sono celebri commentatori filoamericani come l'analista della difesa Pavel Felgenhauer, che lavora anche come articolista per la Jamestown Foundation: il direttore di quell'organizzazione, Glen Howard, è direttore esecutivo del Comitato americano per la pace in Cecenia, un gruppo neocon che appoggia un "compromesso politico" con i terroristi della provincia del Caucaso Settentrionale della Federazione Russa. Questo può spiegare perché si riesca a trovare una sola, monolitica opinione sulla Politkovskaja in tutti i media occidentali.
Allo stesso tempo, però, nella stessa presunta dittatura russa c'è una grande varietà di ipotesi sul suo omicidio. Le teorie che ora circolano a Mosca sull'assassinio comprendono (oltre a quella che indica come responsabili il governo russo o le autorità cecene):
- la vendetta di poliziotti corrotti ricercati o incarcerati in seguito ai suoi articoli sensazionalistici;
- una cospirazione degli oppositori del presidente russo e del primo ministro ceceno, Ramzan Kadyrov, per screditarli;
- la vendetta di ex-militanti ceceni;
- un omicidio voluto dai nazionalisti russi che si oppongono a Putin (il suo nome era sulle liste di morte di vari gruppi neonazisti);
- la provocazione politica per screditare le autorità cecene o innescare reazioni in quella provincia;
- una cospirazione di oppositori dell'ex repubblica sovietica della Georgia, con la quale Mosca è attualmente impegnata in un acceso scontro diplomatico.
Scegliete l'ipotesi che vi sembra più plausibile, ma soprattutto notate che la varietà stessa di punti di vista smentisce l'affermazione che la Politkovskaja si trovasse a combattere contro una macchina mediatica monolitica controllata dal governo.
Tra i molti punti di vista espressi, pochi sono più efficaci come questo, scritto da un commentatore di Lentacom.ru:
"L'omicidio Politkovskaja produce inequivocabili benefici per l'Occidente. Nell'ultimo mese c'è stato un ufficioso giro di vite nei confronti della Russia. I tentativi di far entrare l'Ucraina nella NATO. L'intenso dialogo dell'alleanza con la Georgia. Il comportamento di Saakašvili (il presidente georgiano), molto umiliante per la Russia e certamente concordato precedentemente con le potenze occidentali. Teoricamente, l'omicidio Politkovskaja distoglie l'attenzione dalla Georgia e fa sì che crescano le pressioni occidentali sulla Russia: da questo, oggi, la Georgia può trarre solo vantaggi.
Credo tuttavia che coloro che hanno commissionato il crimine siano più globali. Non ci sono prove dirette del fatto che qualcuno a Ovest possa aver fornito istruzioni. Non c'è dubbio, però, che l'Occidente ne sia un beneficiario diretto".
Non dobbiamo credere a questa o ad altre teorie del complotto. Ma in Russia il lettore ha un gran numero di diversi punti di vista da prendere in considerazione, tutti facilmente accessibili all'uomo comune che compri un giornale o che navighi su internet. A Ovest, invece, anche il più assiduo e incallito teorico della cospirazione troverà molto difficile trovare qualcosa di diverso dall'ipotesi che indica Putin come colpevole.
Che cosa vi dice tutto questo sul pluralismo politico e mediatico in Occidente?
John Laughland è membro del British Helsinki Human Rights Group e socio di Sanders Research.
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martedì, ottobre 17, 2006
L'errore di Putin
Quello che nuoce alle indagini
di Dmitrij Muratov, direttore responsabile della Novaja Gazeta
Il Presidente del paese ha il pieno diritto di non amare A. S. Politkovskaja. Del resto, sappiamo che A. S. Politkovskaja lo ricambiava. Probabilmente per la dichiarazione fatta in Germania il Presidente ha fatto riferimento alle pubblicazioni della Politkovskaja.
Penso che abbia fatto un errore. Quando il leader di una nazione, al quale sono soggette tutte le strutture del potere, offre nei primi giorni, nelle prime ore delle indagini la sua versione personale, cioè la versione del presidente secondo la quale gli assassini sono i nemici esterni della Russia, gli inquirenti possono interpretarlo come un ordine del comandante in capo e tralasciare le altre ipotesi. I giornalisti l'hanno già interpretato così. La "Selezione" (cioè il compendio di tesi significative che vale la pena di sviluppare) che viene passata alle televisioni e alle redazioni giornalistiche dal Cremlino, evidentemente, sta già funzionando.
E già non esistono altre ipotesi, oltre a quella presidenziale? Capisco che il presidente interpreti questo assassinio come un'azione criminosa e abbia voglia di passar sopra il fatto che è accaduto il giorno del suo compleanno. Il Presidente, a quanto pare, capisce che non è stato un duro colpo solo per i figli di Anna, per sua sorella, per sua madre, per tutta la famiglia, per noi del giornale, ma anche per lui. Ma non so se sappia da che parte è arrivato. Come non so se ci sia già nel paese un "Partito del Terzo Termine". Quello che per proteggere i propri interessi sarebbe pronto a tutto per fare del presidente una figura inaccettabile per la comunità internazionale ma tuttavia capace ("alla Lukašenko") di durare al potere.
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di Dmitrij Muratov, direttore responsabile della Novaja Gazeta
Il Presidente del paese ha il pieno diritto di non amare A. S. Politkovskaja. Del resto, sappiamo che A. S. Politkovskaja lo ricambiava. Probabilmente per la dichiarazione fatta in Germania il Presidente ha fatto riferimento alle pubblicazioni della Politkovskaja.
Penso che abbia fatto un errore. Quando il leader di una nazione, al quale sono soggette tutte le strutture del potere, offre nei primi giorni, nelle prime ore delle indagini la sua versione personale, cioè la versione del presidente secondo la quale gli assassini sono i nemici esterni della Russia, gli inquirenti possono interpretarlo come un ordine del comandante in capo e tralasciare le altre ipotesi. I giornalisti l'hanno già interpretato così. La "Selezione" (cioè il compendio di tesi significative che vale la pena di sviluppare) che viene passata alle televisioni e alle redazioni giornalistiche dal Cremlino, evidentemente, sta già funzionando.
E già non esistono altre ipotesi, oltre a quella presidenziale? Capisco che il presidente interpreti questo assassinio come un'azione criminosa e abbia voglia di passar sopra il fatto che è accaduto il giorno del suo compleanno. Il Presidente, a quanto pare, capisce che non è stato un duro colpo solo per i figli di Anna, per sua sorella, per sua madre, per tutta la famiglia, per noi del giornale, ma anche per lui. Ma non so se sappia da che parte è arrivato. Come non so se ci sia già nel paese un "Partito del Terzo Termine". Quello che per proteggere i propri interessi sarebbe pronto a tutto per fare del presidente una figura inaccettabile per la comunità internazionale ma tuttavia capace ("alla Lukašenko") di durare al potere.
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lunedì, ottobre 16, 2006
Una condannata, di Anna Politkovskaja
Ieri il Guardian ha pubblicato la traduzione inglese di un articolo inedito di Anna Politkovskaja.
L'ho tradotto:
1. perché è interessante e rivela molto dell'atteggiamento e delle motivazioni della giornalista, della sua sensazione di isolamento ma anche della sua testardaggine: c'era una forte consapevolezza, nel suo lavoro, più che una vocazione al martirio. Per quanto mi riguarda, preferisco questa Politkovskaja in versione da combattimento a quella semplificata ad uso emotivo-sentimentale che è spesso emersa nei giorni successivi alla sua morte;
2. perché dopo tre giorni non se ne parlava più;
3. perché adesso che ho un tag "Russia" questo è un buon modo per cominciare a occuparmi dell'argomento, dal mio punto di vista (i media, la percezione che la Russia ha di se stessa oggi, l'immagine spesso distorta e riduttiva fornita dai mezzi di informazione europei e americani). Sempre che ci riesca e che sia possibile, altrimenti il tag "Russia" cadrà pacificamente nell'oblio.
Una condannatadi Anna Politkovskaja
Sono un paria. Questo è il risultato principale del mio lavoro giornalistico negli anni della seconda guerra cecena e dell'aver pubblicato all'estero alcuni libri sulla vita in Russia e sulla guerra cecena. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle riunioni alle quali siano presenti personalità del Cremlino, perché non pensino che gli organizzatori covano simpatie nei miei confronti. Nonostante questo, tutti i più alti rappresentanti del governo mi parlano, se interpellati, quando scrivo i miei articoli o faccio delle inchieste, ma solo segretamente, dove non possono essere visti: all'aperto, in qualche piazza, in case sicure alle quali arriviamo prendendo strade diverse, come spie. Agli alti dirigenti piace parlare con me. Sono felici di darmi delle informazioni. Mi incontrano e mi raccontano quello che succede ai vertici. Ma solo in segreto.
A questo non ci si abitua, ma si impara a conviverci. È esattamente così che ho dovuto lavorare durante la seconda guerra cecena. Mi nascondevo dall'esercito federale russo, ma ero sempre in grado di entrare in contatto clandestinamente con le singole persone attraverso intermediari di fiducia, così che i miei informatori non corressero il rischio di essere denunciati ai generali.
Quando il progetto di cecenizzazione di Putin ebbe successo (facendo sì che i ceceni "buoni" leali al governo uccidessero quelli "cattivi" che vi si opponevano), ricorsi allo stesso sotterfugio per parlare con gli ufficiali ceceni "buoni", che naturalmente conoscevo da molto tempo e che prima di diventare "buoni" mi avevano accolto nelle loro case nei mesi più difficili della guerra. Adesso possiamo incontrarci solo clandestinamente perché sono un paria, un nemico. Anzi, un nemico incorreggibile che non si presta a essere rieducato.
Non sto scherzando. Tempo fa Vladislav Surkov, vice presidente dell'amministrazione presidenziale, ha spiegato che esistono dei nemici che possono essere ricondotti alla ragione e nemici incorreggibili con i quali ragionare è impossibile e che devono essere semplicemente "epurati" dall'arena politica.
E così stanno cercando di togliere di mezzo me e altri come me.
Il 5 agosto del 2006 mi trovavo in mezzo a una folla di donne nella piccola piazza di Kurčaloj, un polveroso villaggio ceceno. Indossavo sulla testa una sciarpa ripiegata e annodata come fanno molte donne della mia età in Cecenia, senza coprire completamente il capo ma anche senza lasciarlo scoperto. Era essenziale che mantenessi l'anonimato, altrimenti chissà cosa sarebbe successo.
Su un lato della piazza, sulla tubazione del gas che attraversa tutto il villaggio di Kurčaloj, erano stesi dei pantaloni di tuta maschili, imbrattati di sangue. Allora era già stata portata via la testa mozzata dell'uomo, che non vidi.
Nella notte tra il 27 e il 28 di luglio alla periferia di Kurčaloj due combattenti ceceni erano caduti in un'imboscata tesa loro dalle unità di Ramzan Kadyrov, leader amico del Cremlino. Uno, Adam Badaev, era stato catturato, mentre l'altro, Hoj-Ahmed Dušaev, di Kurčaloj, era stato ucciso. Verso l'alba una ventina di macchine Žiguli, piene di uomini armati, entrarono nel villaggio e andarono alla stazione di polizia. Avevano con sé la testa di Dušaev. Due di loro la appesero. Sotto stesero i pantaloni insanguinati che ora stavo vedendo.
Gli uomini armati passarono due ore a fotografare la testa con i cellulari.
La testa rimase lì per 24 ore, poi i miliziani la portarono via ma lasciarono i pantaloni dove stavano. Gli agenti dell'ufficio del procuratore generale cominciarono a ispezionare la scena dello scontro e la gente del posto sentì uno degli ufficiali chiedere a un sottoposto: "Hanno finito di ricucire la testa?".
Il corpo di Dušaev, con la testa ricucita al suo posto, fu portato sul luogo dell'imboscata e gli agenti del procuratore generale cominciarono a esaminare la scena del crimine seguendo le normali procedure investigative.
Scrissi di questo sul mio giornale, astenendomi dal commentare e limitandomi a mettere un po' di puntini sulle "i" a proposito di quello che era successo. Arrivai in Cecenia quando uscì l'articolo sul giornale. Le donne nella folla cercarono di nascondermi perché erano sicure che gli uomini di Kadyrov mi avrebbero uccisa sul posto se avessero saputo che mi trovavo lì. Mi ricordarono che Kadyrov aveva pubblicamente giurato di uccidermi. Durante una riunione del suo governo aveva detto che ne aveva abbastanza, e che la Politkovskaja era condannata. Me l'avevano riferito membri di quello stesso governo.
Perché? Perché non scrivevo quello che voleva Kadyrov? "Chiunque non sia dei nostri è un nemico". Così ha detto Surkov, e Surkov è il principale sostenitore di Ramzan Kadyrov nella cerchia di Putin.
"Ramzan mi ha detto, 'È così stupida da non conoscere il valore del denaro. Le ho offerto dei soldi ma non li ha presi'", mi raccontò quello stesso giorno un vecchio conoscente, un alto ufficiale delle forze speciali della milizia. Lo avevo incontrato in segreto. Essendo "uno dei nostri", diversamente da me, avrebbe avuto dei problemi se ci avessero visti insieme. Quando venne l'ora di andarmene era già sera, e insistette perché mi fermassi in quel luogo sicuro. Temeva che potessero uccidermi.
"Non devi uscire", mi disse. "Ramzan è infuriato con te".
Decisi di andarmene comunque. Quella notte mi aspettavano a Groznij per un altro colloquio segreto. Propose di farmici accompagnare con un'auto della milizia, ma mi sembrò ancora più rischioso. A quel punto sarei diventata un bersaglio per i combattenti.
"Sono almeno armati, là dove stai andando?", domandò ansiosamente. Durante tutta la guerra mi ero sempre trovata tra due fuochi. Quando qualcuno minaccia di ucciderti sei protetto dai suoi nemici, ma domani il pericolo verrà da qualcun altro.
Perché corro tutti questi rischi? Solo per spiegare che la gente in Cecenia ha paura per me, e lo trovo molto commovente. Hanno paura per me più di quanto ne abbia io, ed è così che sopravvivo.
Perché Ramzan ha giurato di uccidermi? Una volta lo intervistai e mandai in stampa l'intervista esattamente come l'aveva rilasciata, con la sua tipica stupidità da idiota, con la sua ignoranza e le sue inclinazioni diaboliche. Ramzan era convinto che l'avrei riscritta completamente, presentandolo come un uomo intelligente e onesto. Dopotutto così si comporta oggi la maggioranza dei giornalisti, quelli che "stanno dalla nostra parte".
È abbastanza perché qualcuno giuri di ucciderti? La risposta è semplice quanto la morale personalmente incoraggiata da Putin. "Siamo spietati con i nemici del Reich". "Chi non è con noi è contro di noi". "Coloro che sono contro di noi devono essere annientati".
"Perché te la prendi tanto per quella testa mozzata?", mi chiede Vasilij Pančenkov quando ritorno a Mosca. Dirige l'ufficio stampa delle truppe del Ministero degli Interni, ma è una brava persona. "Non hai niente di meglio di cui preoccuparti?". Gli sto chiedendo di commentare i fatti di Kurčaloj per il nostro giornale. "Scordatelo. Fingi che non sia mai successo. Te lo dico per il tuo bene!".
Ma come posso dimenticarlo, se è successo?
Disprezzo la linea del Cremlino elaborata da Surkov, che divide le persone tra coloro che stano "dalla nostra parte", "non dalla nostra parte" o perfino "dall'altra parte". Se un giornalista è "dalla nostra parte", riceverà premi e rispetto, forse anche un invito a candidarsi alla Duma. Se un giornalista "non è dalla nostra parte", invece, sarà considerato un sostenitore delle democrazie europee, dei valori europei e diventerà automaticamente un paria. È il destino di tutti quelli che si oppongono alla nostra "democrazia sovrana", alla nostra "tradizionale democrazia russa". (Cosa mai sia, non lo sa nessuno, eppure giurano di esserle fedeli: "Siamo per la democrazia sovrana!")
Non sono un animale politico. Non ho mai aderito a un partito e lo considererei uno sbaglio per un giornalista, almeno in Russia. Non ho mai sentito il bisogno di candidarmi alla Duma, anche se in passato sono stata invitata a farlo.
Dunque quale crimine mi ha meritato questa etichetta di "non una dei nostri"? Mi sono limitata a riferire quello che ho visto, niente di più. Ho scritto e, meno frequentemente, ho parlato. Sono perfino riluttante a commentare, perché mi ricorda le opinioni impostemi durante la mia infanzia e la mia giovinezza sovietiche. Mi sembra che i nostri lettori siano capaci di interpretare da soli quello che leggono. Ecco perché il mio genere è il reportage, con limitati interventi personali. Non sono un magistrato ma qualcuno che descrive la vita che ci circonda per coloro che non riescono a vederla con i loro occhi, perché quello che viene mostrato alla televisione e di cui scrive la schiacciante maggioranza dei giornali è ammorbidito e indebolito dall'ideologia. Le persone sanno molto poco di quello che succede in altre parti del loro paese, a volte perfino nella loro regione.
Il Cremlino reagisce cercando di bloccarmi l'accesso alle informazioni: i suoi ideologi suppongono che sia il modo migliore per rendere inoffensivo quello che scrivo. Però è impossibile fermare qualcuno fanaticamente dedito alla professione di raccontare il mondo che ci circonda. La mia vita può essere difficile, più spesso umiliante. A 47 anni non sono, dopotutto, così giovane da accettare di imbattermi costantemente nei rifiuti e di farmi sbattere in faccia la mia condizione di paria. Però posso conviverci.
Non voglio dilungarmi sulle altre gioie della strada che ho scelto: l'avvelenamento, gli arresti, le lettere e le e-mail minatorie, le minacce di morte al telefono, il fatto che mi convochino ogni settimana nell'ufficio del procuratore generale per firmare dichiarazioni praticamente su tutti gli articoli che scrivo (la prima domanda è sempre: "Come ha ottenuto questa informazione?"). Ovviamente non mi piacciono gli articoli costantemente derisori che appaiono su altri giornali e su siti internet che mi hanno a lungo presentata come la pazza di Mosca. Trovo disgustoso vivere così; mi piacerebbe ricevere un po' più di comprensione.
La cosa più importante, però, è continuare il mio lavoro, descrivere la vita che vedo, ricevere tutti i giorni in redazione persone che non hanno un altro luogo in cui portare i loro guai perché il Cremlino trova le loro storie inopportune, e così il solo luogo che può dar loro voce è il nostro giornale, la Novaja Gazeta.
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L'ho tradotto:
1. perché è interessante e rivela molto dell'atteggiamento e delle motivazioni della giornalista, della sua sensazione di isolamento ma anche della sua testardaggine: c'era una forte consapevolezza, nel suo lavoro, più che una vocazione al martirio. Per quanto mi riguarda, preferisco questa Politkovskaja in versione da combattimento a quella semplificata ad uso emotivo-sentimentale che è spesso emersa nei giorni successivi alla sua morte;
2. perché dopo tre giorni non se ne parlava più;
3. perché adesso che ho un tag "Russia" questo è un buon modo per cominciare a occuparmi dell'argomento, dal mio punto di vista (i media, la percezione che la Russia ha di se stessa oggi, l'immagine spesso distorta e riduttiva fornita dai mezzi di informazione europei e americani). Sempre che ci riesca e che sia possibile, altrimenti il tag "Russia" cadrà pacificamente nell'oblio.
Una condannatadi Anna Politkovskaja
Sono un paria. Questo è il risultato principale del mio lavoro giornalistico negli anni della seconda guerra cecena e dell'aver pubblicato all'estero alcuni libri sulla vita in Russia e sulla guerra cecena. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle riunioni alle quali siano presenti personalità del Cremlino, perché non pensino che gli organizzatori covano simpatie nei miei confronti. Nonostante questo, tutti i più alti rappresentanti del governo mi parlano, se interpellati, quando scrivo i miei articoli o faccio delle inchieste, ma solo segretamente, dove non possono essere visti: all'aperto, in qualche piazza, in case sicure alle quali arriviamo prendendo strade diverse, come spie. Agli alti dirigenti piace parlare con me. Sono felici di darmi delle informazioni. Mi incontrano e mi raccontano quello che succede ai vertici. Ma solo in segreto.
A questo non ci si abitua, ma si impara a conviverci. È esattamente così che ho dovuto lavorare durante la seconda guerra cecena. Mi nascondevo dall'esercito federale russo, ma ero sempre in grado di entrare in contatto clandestinamente con le singole persone attraverso intermediari di fiducia, così che i miei informatori non corressero il rischio di essere denunciati ai generali.
Quando il progetto di cecenizzazione di Putin ebbe successo (facendo sì che i ceceni "buoni" leali al governo uccidessero quelli "cattivi" che vi si opponevano), ricorsi allo stesso sotterfugio per parlare con gli ufficiali ceceni "buoni", che naturalmente conoscevo da molto tempo e che prima di diventare "buoni" mi avevano accolto nelle loro case nei mesi più difficili della guerra. Adesso possiamo incontrarci solo clandestinamente perché sono un paria, un nemico. Anzi, un nemico incorreggibile che non si presta a essere rieducato.
Non sto scherzando. Tempo fa Vladislav Surkov, vice presidente dell'amministrazione presidenziale, ha spiegato che esistono dei nemici che possono essere ricondotti alla ragione e nemici incorreggibili con i quali ragionare è impossibile e che devono essere semplicemente "epurati" dall'arena politica.
E così stanno cercando di togliere di mezzo me e altri come me.
Il 5 agosto del 2006 mi trovavo in mezzo a una folla di donne nella piccola piazza di Kurčaloj, un polveroso villaggio ceceno. Indossavo sulla testa una sciarpa ripiegata e annodata come fanno molte donne della mia età in Cecenia, senza coprire completamente il capo ma anche senza lasciarlo scoperto. Era essenziale che mantenessi l'anonimato, altrimenti chissà cosa sarebbe successo.
Su un lato della piazza, sulla tubazione del gas che attraversa tutto il villaggio di Kurčaloj, erano stesi dei pantaloni di tuta maschili, imbrattati di sangue. Allora era già stata portata via la testa mozzata dell'uomo, che non vidi.
Nella notte tra il 27 e il 28 di luglio alla periferia di Kurčaloj due combattenti ceceni erano caduti in un'imboscata tesa loro dalle unità di Ramzan Kadyrov, leader amico del Cremlino. Uno, Adam Badaev, era stato catturato, mentre l'altro, Hoj-Ahmed Dušaev, di Kurčaloj, era stato ucciso. Verso l'alba una ventina di macchine Žiguli, piene di uomini armati, entrarono nel villaggio e andarono alla stazione di polizia. Avevano con sé la testa di Dušaev. Due di loro la appesero. Sotto stesero i pantaloni insanguinati che ora stavo vedendo.
Gli uomini armati passarono due ore a fotografare la testa con i cellulari.
La testa rimase lì per 24 ore, poi i miliziani la portarono via ma lasciarono i pantaloni dove stavano. Gli agenti dell'ufficio del procuratore generale cominciarono a ispezionare la scena dello scontro e la gente del posto sentì uno degli ufficiali chiedere a un sottoposto: "Hanno finito di ricucire la testa?".
Il corpo di Dušaev, con la testa ricucita al suo posto, fu portato sul luogo dell'imboscata e gli agenti del procuratore generale cominciarono a esaminare la scena del crimine seguendo le normali procedure investigative.
Scrissi di questo sul mio giornale, astenendomi dal commentare e limitandomi a mettere un po' di puntini sulle "i" a proposito di quello che era successo. Arrivai in Cecenia quando uscì l'articolo sul giornale. Le donne nella folla cercarono di nascondermi perché erano sicure che gli uomini di Kadyrov mi avrebbero uccisa sul posto se avessero saputo che mi trovavo lì. Mi ricordarono che Kadyrov aveva pubblicamente giurato di uccidermi. Durante una riunione del suo governo aveva detto che ne aveva abbastanza, e che la Politkovskaja era condannata. Me l'avevano riferito membri di quello stesso governo.
Perché? Perché non scrivevo quello che voleva Kadyrov? "Chiunque non sia dei nostri è un nemico". Così ha detto Surkov, e Surkov è il principale sostenitore di Ramzan Kadyrov nella cerchia di Putin.
"Ramzan mi ha detto, 'È così stupida da non conoscere il valore del denaro. Le ho offerto dei soldi ma non li ha presi'", mi raccontò quello stesso giorno un vecchio conoscente, un alto ufficiale delle forze speciali della milizia. Lo avevo incontrato in segreto. Essendo "uno dei nostri", diversamente da me, avrebbe avuto dei problemi se ci avessero visti insieme. Quando venne l'ora di andarmene era già sera, e insistette perché mi fermassi in quel luogo sicuro. Temeva che potessero uccidermi.
"Non devi uscire", mi disse. "Ramzan è infuriato con te".
Decisi di andarmene comunque. Quella notte mi aspettavano a Groznij per un altro colloquio segreto. Propose di farmici accompagnare con un'auto della milizia, ma mi sembrò ancora più rischioso. A quel punto sarei diventata un bersaglio per i combattenti.
"Sono almeno armati, là dove stai andando?", domandò ansiosamente. Durante tutta la guerra mi ero sempre trovata tra due fuochi. Quando qualcuno minaccia di ucciderti sei protetto dai suoi nemici, ma domani il pericolo verrà da qualcun altro.
Perché corro tutti questi rischi? Solo per spiegare che la gente in Cecenia ha paura per me, e lo trovo molto commovente. Hanno paura per me più di quanto ne abbia io, ed è così che sopravvivo.
Perché Ramzan ha giurato di uccidermi? Una volta lo intervistai e mandai in stampa l'intervista esattamente come l'aveva rilasciata, con la sua tipica stupidità da idiota, con la sua ignoranza e le sue inclinazioni diaboliche. Ramzan era convinto che l'avrei riscritta completamente, presentandolo come un uomo intelligente e onesto. Dopotutto così si comporta oggi la maggioranza dei giornalisti, quelli che "stanno dalla nostra parte".
È abbastanza perché qualcuno giuri di ucciderti? La risposta è semplice quanto la morale personalmente incoraggiata da Putin. "Siamo spietati con i nemici del Reich". "Chi non è con noi è contro di noi". "Coloro che sono contro di noi devono essere annientati".
"Perché te la prendi tanto per quella testa mozzata?", mi chiede Vasilij Pančenkov quando ritorno a Mosca. Dirige l'ufficio stampa delle truppe del Ministero degli Interni, ma è una brava persona. "Non hai niente di meglio di cui preoccuparti?". Gli sto chiedendo di commentare i fatti di Kurčaloj per il nostro giornale. "Scordatelo. Fingi che non sia mai successo. Te lo dico per il tuo bene!".
Ma come posso dimenticarlo, se è successo?
Disprezzo la linea del Cremlino elaborata da Surkov, che divide le persone tra coloro che stano "dalla nostra parte", "non dalla nostra parte" o perfino "dall'altra parte". Se un giornalista è "dalla nostra parte", riceverà premi e rispetto, forse anche un invito a candidarsi alla Duma. Se un giornalista "non è dalla nostra parte", invece, sarà considerato un sostenitore delle democrazie europee, dei valori europei e diventerà automaticamente un paria. È il destino di tutti quelli che si oppongono alla nostra "democrazia sovrana", alla nostra "tradizionale democrazia russa". (Cosa mai sia, non lo sa nessuno, eppure giurano di esserle fedeli: "Siamo per la democrazia sovrana!")
Non sono un animale politico. Non ho mai aderito a un partito e lo considererei uno sbaglio per un giornalista, almeno in Russia. Non ho mai sentito il bisogno di candidarmi alla Duma, anche se in passato sono stata invitata a farlo.
Dunque quale crimine mi ha meritato questa etichetta di "non una dei nostri"? Mi sono limitata a riferire quello che ho visto, niente di più. Ho scritto e, meno frequentemente, ho parlato. Sono perfino riluttante a commentare, perché mi ricorda le opinioni impostemi durante la mia infanzia e la mia giovinezza sovietiche. Mi sembra che i nostri lettori siano capaci di interpretare da soli quello che leggono. Ecco perché il mio genere è il reportage, con limitati interventi personali. Non sono un magistrato ma qualcuno che descrive la vita che ci circonda per coloro che non riescono a vederla con i loro occhi, perché quello che viene mostrato alla televisione e di cui scrive la schiacciante maggioranza dei giornali è ammorbidito e indebolito dall'ideologia. Le persone sanno molto poco di quello che succede in altre parti del loro paese, a volte perfino nella loro regione.
Il Cremlino reagisce cercando di bloccarmi l'accesso alle informazioni: i suoi ideologi suppongono che sia il modo migliore per rendere inoffensivo quello che scrivo. Però è impossibile fermare qualcuno fanaticamente dedito alla professione di raccontare il mondo che ci circonda. La mia vita può essere difficile, più spesso umiliante. A 47 anni non sono, dopotutto, così giovane da accettare di imbattermi costantemente nei rifiuti e di farmi sbattere in faccia la mia condizione di paria. Però posso conviverci.
Non voglio dilungarmi sulle altre gioie della strada che ho scelto: l'avvelenamento, gli arresti, le lettere e le e-mail minatorie, le minacce di morte al telefono, il fatto che mi convochino ogni settimana nell'ufficio del procuratore generale per firmare dichiarazioni praticamente su tutti gli articoli che scrivo (la prima domanda è sempre: "Come ha ottenuto questa informazione?"). Ovviamente non mi piacciono gli articoli costantemente derisori che appaiono su altri giornali e su siti internet che mi hanno a lungo presentata come la pazza di Mosca. Trovo disgustoso vivere così; mi piacerebbe ricevere un po' più di comprensione.
La cosa più importante, però, è continuare il mio lavoro, descrivere la vita che vedo, ricevere tutti i giorni in redazione persone che non hanno un altro luogo in cui portare i loro guai perché il Cremlino trova le loro storie inopportune, e così il solo luogo che può dar loro voce è il nostro giornale, la Novaja Gazeta.
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giovedì, ottobre 12, 2006
L'ultimo articolo di Anna Politkovskaja
Ti dichiariamo terroristaLa politica antiterroristica basata sulla tortura nel Caucaso settentionale
di Anna Politkovskaja
Nota della redazione:
A tutti noi è stato chiesto: l'omicidio di Anna Politkovskaja è collegato alla preparazione dell'articolo sulle torture che aveva annunciato a Radio Svoboda giovedì 5 ottobre? Oggi pubblichiamo due frammenti del materiale che la nostra giornalista non è riuscita a terminare. Il primo è un testo con le testimonianze dirette dell'impiego di torture, confermate dai dati medici. Il secondo doveva essere la base di un altro articolo, che non è stato scritto. Sul disco della Politkovskaja (preghiamo la persona che le aveva fornito questi video di farsi vivo), ci sono torture compiute su persone delle quali non conosciamo l'identità. Le riprese sono state effettuate dagli stessi torturatori, presumibilmente in una struttura carceraria cecena.
Oggi davanti a me ci sono decine di raccoglitori. Contengono le copie del materiale relativo ai casi di persone che sono state condannate per "terrorismo" o che si trovano ancora sotto inchiesta. Perché uso la parola "terrorismo" tra virgolette? Perché la grandissima maggioranza di questa gente è stata "designata come terrorista". E questa pratica della "designazione" non solo ha impedito una vera lotta al terrorismo, ma ha contribuito a produrre un numero sempre maggiore di persone assetate di vendetta, e dunque potenziali terroristi. Quando le procure e i tribunali non lavorano per la legge e per la punizione dei colpevoli ma in base a considerazioni politiche e cercando di compiacere il Cremlino con una vera e propria contabilità antiterroristica, i casi criminali vengono sfornati a getto continuo.
L'organizzazione militare-governativa che si occupa delle cosiddette "confessioni sincere" fornisce dati eccellenti a proposito della lotta contro il terrorismo nel Caucaso settentrionale. Ecco cosa mi hanno scritto le madri dei giovani ceceni condannati: "... in sostanza, queste colonie di correzione sono diventate dei campi di concentramento per i detenuti ceceni. Sono sottoposti a discriminazioni sul suolo nazionale. I loro guardiani non li lasciano uscire dalle camere di isolamento. La maggioranza, quasi tutti, sono stati condannati per reati 'fabbricati', senza prove. Rinchiusi in condizioni precarie, umiliati nella propria dignità, sviluppano un odio verso tutto. Questo è un esercito di persone che ritornerà da noi con il destino devastato, con idee devastate...".
Onestamente, ho paura di quell'odio. Ne ho paura perché uscirà dagli argini, prima o poi. E ne risentiranno tutti, tranne quelli che li hanno fatti torturare. L'attribuzione dello status di terrorista è il campo in cui si affrontano testa a testa due approcci ideologici a ciò che sta accadendo nella zona delle operazioni antiterroristiche nel Caucaso settentrionale: lottare legalmente contro l'illegalità? Oppure schiacciarli con la nostra, di illegalità?
Questi due atteggiamenti sono destinati a scontrarsi e a fare scintille, nel presente come nel futuro. L'"attribuzione dello status di terrorista" farà aumentare il numero di coloro che a questo non intendono rassegnarsi.
Recentemente l'Ucraina ha accettato di estradare in Russia un certo Beslan Gadaev, ceceno, arrestato all'inizio di agosto dopo un controllo di documenti in Crimea, dove viveva come immigrato forzato. Ecco un estratto da una sua lettera del 29 agosto: "... Dopo avermi estradato dall'Ucraina a Groznij mi hanno condotto in un ufficio e mi hanno chiesto subito se avessi ucciso delle persone della famiglia Salikov, Anzor e un suo amico, un camionista russo. Io ho giurato che non avevo ucciso nessuno e che non avevo mai versato il sangue di nessuno, né russo né ceceno. Loro invece continuavano a dire con sicurezza: 'No, tu hai ucciso'. Io ho ripreso a negare. Dopo aver detto per la seconda volta che non avevo ucciso nessuno hanno cominciato a picchiarmi. All'inizio mi hanno colpito due volte con il pugno nella zona dell'occhio destro.
Non appena mi sono ripreso da questi colpi mi hanno immobilizzato e ammanettato, e tra le gambe mi hanno messo un tubo, così che non potessi muovere le mani, benché fossero già ammanettate.
Poi mi hanno preso, o meglio hanno preso le due estremità del tubo al quale ero legato, e mi hanno appeso a un'altezza di circa un metro tra due armadi dell'ufficio. Subito dopo avermi appeso mi hanno legato del filo di ferro ai mignoli delle mani. Un paio di secondi dopo hanno cominciato a darmi delle scariche elettriche e contemporaneamente a picchiarmi con mazze di gomma, più forte che potevano. Incapace di sopportare il dolore ho cominciato a urlare e a implorare Dio perché mettesse fine a tutto questo. Come reazione, per non sentire e per non ascoltare quello che gridavo, mi hanno messo sulla testa un sacchetto nero.
Non ricordo quanto sia andato avanti tutto ciò, ma ho cominciato a perdere conoscenza per il dolore. Vedendo che stavo perdendo conoscenza mi hanno tolto il sacchetto dalla testa e mi hanno chiesto se avevo intenzione di parlare. Ho risposto di sì, anche se non sapevo cosa dire. Ho risposto così solo per farli smettere. Mi hanno tirato giù, hanno tolto il tubo e mi hanno gettato sul pavimento. Mi hanno detto: 'Parla'. Io ho replicato che non avevo niente da dire. In tutta risposta loro hanno cominciato a picchiarmi sempre nella zona dell'occhio destro con il tubo di ferro al quale mi avevano immobilizzato. A causa di questi colpi sono caduto di lato e ho quasi perso conoscenza, mentre continuavano a picchiarmi dove capitava... Poi mi hanno nuovamente appeso e hanno ripetuto tutto daccapo. Non ricordo per quanto tempo siano andati avanti, di tanto in tanto mi gettavano addosso dell'acqua.
Il giorno dopo mi hanno lavato e mi hanno spalmato qualcosa sulla faccia e sul corpo. Intorno all'ora di cena è arrivato un uomo in borghese che mi ha detto che erano arrivati i giornalisti e che dovevo ammettere i tre omicidi e le rapine, aggiungendo che avrebbero ricominciato tutto daccapo se non avessi confessato, minacciando anche umiliazioni di carattere sessuale. Allora ho accettato. Dopo l'incontro con i giornalisti, sempre minacciandomi, mi hanno costretto a firmare una dichiarazione, fornita da loro, in cui affermavo che tutte le percosse che avevo ricevuto erano la conseguenza di un mio tentativo di fuga..."
L'avvocato Zaur Zakriev, incaricato della difesa di Gadaev, ha spiegato al Centro per i Diritti Umani "Memorial" che nella sede della stazione di polizia del distretto Groznenskij il suo assistito era stato oggetto di violenze fisiche e psicologiche. Come risulta dalla dichiarazione dell'avvocato, il suo cliente ha effettivamente ammesso di aver compiuto nel 2004 un attacco contro le forze dell'ordine. Tuttavia all'ufficio distrettuale hanno deciso di ottenere da lui anche la confessione di una serie di crimini che non aveva commesso, avvenuti nel villaggio di Starie Atagi nel distretto Groznenskij della Repubblica Cecena.
Secondo l'avvocato, dalle brutali violenze fisiche subite dal suo assistito sono derivati danni visibili. Nell'infermeria del carcere SIZO-1 di Groznij, dove attualmente si trova Beslan Gadaev [è incolpato in base all'articolo 209 del codice penale della Repubblica Russa ("banditismo")], è stato compilato un referto in cui figurano lesioni causate da percosse, cicatrici, abrasioni, contusioni, costole rotte e anche danni agli organi interni.
L'avvocato Zakriev ha denunciato queste feroci violazioni dei diritti umani alla Procura della Repubblica Cecena.
-------
Qui il testo di Anna Politkovskaja si interrompe.
Il sito della Novaja Gazeta rimanda anche a una cartella di foto, i fermi immagine di un video in suo possesso. Secondo la descrizione del giornale, nel video alcuni uomini che probabilmente lavorano in una delle strutture di detenzione cecene catturano e torturano due uomini di giovane età. Uno dei due siede a bordo di un'automobile, e sanguina (è visibile il coltello nella zona del collo della vittima). L'altro sembra essere stato spinto fuori dalla macchina sull'asfalto.
I loro torturatori non sono visibili, si sente parlare in ceceno, con insulti che si alternano a bestemmie.
Fonte: Novaja Gazeta
Filed in: Anja lutti Russia
di Anna Politkovskaja
Nota della redazione:
A tutti noi è stato chiesto: l'omicidio di Anna Politkovskaja è collegato alla preparazione dell'articolo sulle torture che aveva annunciato a Radio Svoboda giovedì 5 ottobre? Oggi pubblichiamo due frammenti del materiale che la nostra giornalista non è riuscita a terminare. Il primo è un testo con le testimonianze dirette dell'impiego di torture, confermate dai dati medici. Il secondo doveva essere la base di un altro articolo, che non è stato scritto. Sul disco della Politkovskaja (preghiamo la persona che le aveva fornito questi video di farsi vivo), ci sono torture compiute su persone delle quali non conosciamo l'identità. Le riprese sono state effettuate dagli stessi torturatori, presumibilmente in una struttura carceraria cecena.
Oggi davanti a me ci sono decine di raccoglitori. Contengono le copie del materiale relativo ai casi di persone che sono state condannate per "terrorismo" o che si trovano ancora sotto inchiesta. Perché uso la parola "terrorismo" tra virgolette? Perché la grandissima maggioranza di questa gente è stata "designata come terrorista". E questa pratica della "designazione" non solo ha impedito una vera lotta al terrorismo, ma ha contribuito a produrre un numero sempre maggiore di persone assetate di vendetta, e dunque potenziali terroristi. Quando le procure e i tribunali non lavorano per la legge e per la punizione dei colpevoli ma in base a considerazioni politiche e cercando di compiacere il Cremlino con una vera e propria contabilità antiterroristica, i casi criminali vengono sfornati a getto continuo.
L'organizzazione militare-governativa che si occupa delle cosiddette "confessioni sincere" fornisce dati eccellenti a proposito della lotta contro il terrorismo nel Caucaso settentrionale. Ecco cosa mi hanno scritto le madri dei giovani ceceni condannati: "... in sostanza, queste colonie di correzione sono diventate dei campi di concentramento per i detenuti ceceni. Sono sottoposti a discriminazioni sul suolo nazionale. I loro guardiani non li lasciano uscire dalle camere di isolamento. La maggioranza, quasi tutti, sono stati condannati per reati 'fabbricati', senza prove. Rinchiusi in condizioni precarie, umiliati nella propria dignità, sviluppano un odio verso tutto. Questo è un esercito di persone che ritornerà da noi con il destino devastato, con idee devastate...".
Onestamente, ho paura di quell'odio. Ne ho paura perché uscirà dagli argini, prima o poi. E ne risentiranno tutti, tranne quelli che li hanno fatti torturare. L'attribuzione dello status di terrorista è il campo in cui si affrontano testa a testa due approcci ideologici a ciò che sta accadendo nella zona delle operazioni antiterroristiche nel Caucaso settentrionale: lottare legalmente contro l'illegalità? Oppure schiacciarli con la nostra, di illegalità?
Questi due atteggiamenti sono destinati a scontrarsi e a fare scintille, nel presente come nel futuro. L'"attribuzione dello status di terrorista" farà aumentare il numero di coloro che a questo non intendono rassegnarsi.
Recentemente l'Ucraina ha accettato di estradare in Russia un certo Beslan Gadaev, ceceno, arrestato all'inizio di agosto dopo un controllo di documenti in Crimea, dove viveva come immigrato forzato. Ecco un estratto da una sua lettera del 29 agosto: "... Dopo avermi estradato dall'Ucraina a Groznij mi hanno condotto in un ufficio e mi hanno chiesto subito se avessi ucciso delle persone della famiglia Salikov, Anzor e un suo amico, un camionista russo. Io ho giurato che non avevo ucciso nessuno e che non avevo mai versato il sangue di nessuno, né russo né ceceno. Loro invece continuavano a dire con sicurezza: 'No, tu hai ucciso'. Io ho ripreso a negare. Dopo aver detto per la seconda volta che non avevo ucciso nessuno hanno cominciato a picchiarmi. All'inizio mi hanno colpito due volte con il pugno nella zona dell'occhio destro.
Non appena mi sono ripreso da questi colpi mi hanno immobilizzato e ammanettato, e tra le gambe mi hanno messo un tubo, così che non potessi muovere le mani, benché fossero già ammanettate.
Poi mi hanno preso, o meglio hanno preso le due estremità del tubo al quale ero legato, e mi hanno appeso a un'altezza di circa un metro tra due armadi dell'ufficio. Subito dopo avermi appeso mi hanno legato del filo di ferro ai mignoli delle mani. Un paio di secondi dopo hanno cominciato a darmi delle scariche elettriche e contemporaneamente a picchiarmi con mazze di gomma, più forte che potevano. Incapace di sopportare il dolore ho cominciato a urlare e a implorare Dio perché mettesse fine a tutto questo. Come reazione, per non sentire e per non ascoltare quello che gridavo, mi hanno messo sulla testa un sacchetto nero.
Non ricordo quanto sia andato avanti tutto ciò, ma ho cominciato a perdere conoscenza per il dolore. Vedendo che stavo perdendo conoscenza mi hanno tolto il sacchetto dalla testa e mi hanno chiesto se avevo intenzione di parlare. Ho risposto di sì, anche se non sapevo cosa dire. Ho risposto così solo per farli smettere. Mi hanno tirato giù, hanno tolto il tubo e mi hanno gettato sul pavimento. Mi hanno detto: 'Parla'. Io ho replicato che non avevo niente da dire. In tutta risposta loro hanno cominciato a picchiarmi sempre nella zona dell'occhio destro con il tubo di ferro al quale mi avevano immobilizzato. A causa di questi colpi sono caduto di lato e ho quasi perso conoscenza, mentre continuavano a picchiarmi dove capitava... Poi mi hanno nuovamente appeso e hanno ripetuto tutto daccapo. Non ricordo per quanto tempo siano andati avanti, di tanto in tanto mi gettavano addosso dell'acqua.
Il giorno dopo mi hanno lavato e mi hanno spalmato qualcosa sulla faccia e sul corpo. Intorno all'ora di cena è arrivato un uomo in borghese che mi ha detto che erano arrivati i giornalisti e che dovevo ammettere i tre omicidi e le rapine, aggiungendo che avrebbero ricominciato tutto daccapo se non avessi confessato, minacciando anche umiliazioni di carattere sessuale. Allora ho accettato. Dopo l'incontro con i giornalisti, sempre minacciandomi, mi hanno costretto a firmare una dichiarazione, fornita da loro, in cui affermavo che tutte le percosse che avevo ricevuto erano la conseguenza di un mio tentativo di fuga..."
L'avvocato Zaur Zakriev, incaricato della difesa di Gadaev, ha spiegato al Centro per i Diritti Umani "Memorial" che nella sede della stazione di polizia del distretto Groznenskij il suo assistito era stato oggetto di violenze fisiche e psicologiche. Come risulta dalla dichiarazione dell'avvocato, il suo cliente ha effettivamente ammesso di aver compiuto nel 2004 un attacco contro le forze dell'ordine. Tuttavia all'ufficio distrettuale hanno deciso di ottenere da lui anche la confessione di una serie di crimini che non aveva commesso, avvenuti nel villaggio di Starie Atagi nel distretto Groznenskij della Repubblica Cecena.
Secondo l'avvocato, dalle brutali violenze fisiche subite dal suo assistito sono derivati danni visibili. Nell'infermeria del carcere SIZO-1 di Groznij, dove attualmente si trova Beslan Gadaev [è incolpato in base all'articolo 209 del codice penale della Repubblica Russa ("banditismo")], è stato compilato un referto in cui figurano lesioni causate da percosse, cicatrici, abrasioni, contusioni, costole rotte e anche danni agli organi interni.
L'avvocato Zakriev ha denunciato queste feroci violazioni dei diritti umani alla Procura della Repubblica Cecena.
-------
Qui il testo di Anna Politkovskaja si interrompe.
Il sito della Novaja Gazeta rimanda anche a una cartella di foto, i fermi immagine di un video in suo possesso. Secondo la descrizione del giornale, nel video alcuni uomini che probabilmente lavorano in una delle strutture di detenzione cecene catturano e torturano due uomini di giovane età. Uno dei due siede a bordo di un'automobile, e sanguina (è visibile il coltello nella zona del collo della vittima). L'altro sembra essere stato spinto fuori dalla macchina sull'asfalto.
I loro torturatori non sono visibili, si sente parlare in ceceno, con insulti che si alternano a bestemmie.
Fonte: Novaja Gazeta
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mercoledì, ottobre 11, 2006
Le illusioni della Russia: ancora sulla morte di Anna Politkovskaja
Oggi l'assassinio di Anna Politkovskaja non faceva già più notizia, sui giornali russi (in compenso a Mosca ci sono stati altri due omicidi su commissione). Questo articolo dello scrittore russo Viktor Erofeev, pubblicato dall'International Herald Tribune, tenta di spiegare qualcosa della Russia e di questo omicidio all'Europa. È una buona sintesi. Non ho l'originale russo, la traduzione risente necessariamente del passaggio attraverso l'inglese. Spero di non aver svirgolato troppo.
Poi, per chi vuole ascoltare qualcosa, c'è questa intervista a Fahrenheit del 6 giugno 2005 ("Signora Miru, metta il link, è l'unico documento audio disponibile!". Certe volte si fa prima ad accontentarlo, Poligraf).
Cos'ha ucciso la Politkovskaja?
di Viktor Erofeev
L'assassinio su commissione di Anna Politkovskaja, la quarantottenne giornalista indipendente russa conosciuta soprattutto per i suoi articoli sulla guerra in Cecenia, si merita già lo status di omicidio di portata storica. Entrerà nella storia dello stato russo come un evento mostruoso ma tristemente logico.
Quest'omicidio giunge in un momento della storia russa in cui coloro che sono al potere, dopo aver fatto di tutto negli ultimi sette anni per limitare le critiche nei confronti delle autorità, si stanno finalmente godendo un tangibile trionfo: Anna Politkovskaja, specializzata nelle inchieste sui crimini politici russi, apparteneva a una specie in pericolo.
Le schiere di giornalisti coraggiosi che osano parlare del potere si stanno assottigliando. Alcuni hanno cominciato ad avvicinarsi timorosamente alle autorità, altri hanno deciso di dedicarsi ad argomenti meno pericolosi. In queste circostanze, Anna Politkovskaja era diventata un fenomeno unico e un bersaglio troppo visibile. Se in Russia ci fossero centinaia di giornalisti così, la sua uccisione non avrebbe avuto senso.
Sono convinto che a ucciderla sia stata, innanzitutto, la mancanza di libertà in Russia. L'assenza di libertà ha ucciso la libertà: da qui deriva la triste logica del suo assassinio, non importa chi ne sia il mandante.
L'assenza di libertà produce l'illegalità: la Russia ha allevato e incoraggiato molte persone vendicative e impunite che si indignano quando qualcuno osa accusarle e denunciare le loro azioni criminali. Al contempo il potere autoritario si frammenta sempre in clan, e le accuse di un giornalista indipendente possono costituire un'arma inestimabile nella lotta tra questi clan o nell'eliminazione di rivali politici.
Anna è stata uccisa dalla nebbia impenetrabile di segretezza che avvolge il sistema russo. Questo è stato un assassinio con vari livelli, in cui l'esecutore che si è lasciato riprendere dalla videocamera con il suo cappellino da baseball riveste il ruolo minore.
Anna è stata sepolta al cimitero Troekurov di Mosca, una specie di succursale del cimitero di Novodevič'e dove sono sepolti i grandi capi. È un paradosso storico, un misto di stili delle diverse ere. Stalin, dopo avere eliminato i suoi compagni l'uno dopo l'altro, amava concedere loro dei funerali sontuosi.
Non c'erano i capi politici, al funerale. C'erano, certo, ex leader dell'epoca di El'cin, i cocci della democrazia russa. Mi sembrava di essere tornato ai tempi dell'Unione Sovietica. Le centinaia di persone venute a dire addio ad Anna sembravano non solo annientate, ma anche impotenti. Sono state messe al loro posto, come gente priva di diritti che saprà solo ciò che il potere vuole che sappia.
Hanno sparato ad Anna, ma hanno colpito la Russia. Hanno sparato a una donna coraggiosa, a una madre di due figli; hanno ucciso molte delle speranze per il futuro del paese.
L'omicidio ha leso la reputazione internazionale della Russia. In realtà questo preoccupa sempre meno la Russia. Ciò che resta è solo una preoccupazione apparente. Sempre più spesso la Russia cerca in sé le proprie giustificazioni, spacciando per unicità la propria arretratezza e la propria mancanza di competitività.
Il ruolo di Anna Politkovskaja consisteva nel trovare i modi per modernizzare la Russia e per adattarli alle norme morali. Ha denunciato tutto il resto come barbarie, corruzione o semplice incompetenza. Ha alzato sempre più la voce non perché fosse in collera, ma perché i problemi del paese, che fossero le condizioni dell'esercito o la guerra in Cecenia, il sorgere di una dittatura o l'ascesa del nazionalismo stavano diventando sempre più complessi, perfino insolubili. Quello che l'ha uccisa è stato l'insieme di questi problemi.
La sua morte ha coinciso con il compleanno di Vladimir Putin e l'esasperarsi del sentimento antigeorgiano, che non può che spaventare le minoranze etniche del paese. Putin, la cui condotta era apertamente disapprovata dalla Politkovskaja, aveva ragione quando dopo la sua morte ha detto che il suo impatto sulla politica russa era minimo. Se teniamo conto del fatto che la Politkovskaja rappresentava un ideale irrealizzabile di società civile russa, il commento di Putin fa capire quanto poche siano le speranze.
La Russia vuole vedersi grande e bellissima. E se la prende con chi, anche se spinto dall'amore per il proprio paese, le impedisce di arrendersi alle illusioni.
Link
Poi, per chi vuole ascoltare qualcosa, c'è questa intervista a Fahrenheit del 6 giugno 2005 ("Signora Miru, metta il link, è l'unico documento audio disponibile!". Certe volte si fa prima ad accontentarlo, Poligraf).
Cos'ha ucciso la Politkovskaja?
di Viktor Erofeev
L'assassinio su commissione di Anna Politkovskaja, la quarantottenne giornalista indipendente russa conosciuta soprattutto per i suoi articoli sulla guerra in Cecenia, si merita già lo status di omicidio di portata storica. Entrerà nella storia dello stato russo come un evento mostruoso ma tristemente logico.
Quest'omicidio giunge in un momento della storia russa in cui coloro che sono al potere, dopo aver fatto di tutto negli ultimi sette anni per limitare le critiche nei confronti delle autorità, si stanno finalmente godendo un tangibile trionfo: Anna Politkovskaja, specializzata nelle inchieste sui crimini politici russi, apparteneva a una specie in pericolo.
Le schiere di giornalisti coraggiosi che osano parlare del potere si stanno assottigliando. Alcuni hanno cominciato ad avvicinarsi timorosamente alle autorità, altri hanno deciso di dedicarsi ad argomenti meno pericolosi. In queste circostanze, Anna Politkovskaja era diventata un fenomeno unico e un bersaglio troppo visibile. Se in Russia ci fossero centinaia di giornalisti così, la sua uccisione non avrebbe avuto senso.
Sono convinto che a ucciderla sia stata, innanzitutto, la mancanza di libertà in Russia. L'assenza di libertà ha ucciso la libertà: da qui deriva la triste logica del suo assassinio, non importa chi ne sia il mandante.
L'assenza di libertà produce l'illegalità: la Russia ha allevato e incoraggiato molte persone vendicative e impunite che si indignano quando qualcuno osa accusarle e denunciare le loro azioni criminali. Al contempo il potere autoritario si frammenta sempre in clan, e le accuse di un giornalista indipendente possono costituire un'arma inestimabile nella lotta tra questi clan o nell'eliminazione di rivali politici.
Anna è stata uccisa dalla nebbia impenetrabile di segretezza che avvolge il sistema russo. Questo è stato un assassinio con vari livelli, in cui l'esecutore che si è lasciato riprendere dalla videocamera con il suo cappellino da baseball riveste il ruolo minore.
Anna è stata sepolta al cimitero Troekurov di Mosca, una specie di succursale del cimitero di Novodevič'e dove sono sepolti i grandi capi. È un paradosso storico, un misto di stili delle diverse ere. Stalin, dopo avere eliminato i suoi compagni l'uno dopo l'altro, amava concedere loro dei funerali sontuosi.
Non c'erano i capi politici, al funerale. C'erano, certo, ex leader dell'epoca di El'cin, i cocci della democrazia russa. Mi sembrava di essere tornato ai tempi dell'Unione Sovietica. Le centinaia di persone venute a dire addio ad Anna sembravano non solo annientate, ma anche impotenti. Sono state messe al loro posto, come gente priva di diritti che saprà solo ciò che il potere vuole che sappia.
Hanno sparato ad Anna, ma hanno colpito la Russia. Hanno sparato a una donna coraggiosa, a una madre di due figli; hanno ucciso molte delle speranze per il futuro del paese.
L'omicidio ha leso la reputazione internazionale della Russia. In realtà questo preoccupa sempre meno la Russia. Ciò che resta è solo una preoccupazione apparente. Sempre più spesso la Russia cerca in sé le proprie giustificazioni, spacciando per unicità la propria arretratezza e la propria mancanza di competitività.
Il ruolo di Anna Politkovskaja consisteva nel trovare i modi per modernizzare la Russia e per adattarli alle norme morali. Ha denunciato tutto il resto come barbarie, corruzione o semplice incompetenza. Ha alzato sempre più la voce non perché fosse in collera, ma perché i problemi del paese, che fossero le condizioni dell'esercito o la guerra in Cecenia, il sorgere di una dittatura o l'ascesa del nazionalismo stavano diventando sempre più complessi, perfino insolubili. Quello che l'ha uccisa è stato l'insieme di questi problemi.
La sua morte ha coinciso con il compleanno di Vladimir Putin e l'esasperarsi del sentimento antigeorgiano, che non può che spaventare le minoranze etniche del paese. Putin, la cui condotta era apertamente disapprovata dalla Politkovskaja, aveva ragione quando dopo la sua morte ha detto che il suo impatto sulla politica russa era minimo. Se teniamo conto del fatto che la Politkovskaja rappresentava un ideale irrealizzabile di società civile russa, il commento di Putin fa capire quanto poche siano le speranze.
La Russia vuole vedersi grande e bellissima. E se la prende con chi, anche se spinto dall'amore per il proprio paese, le impedisce di arrendersi alle illusioni.
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martedì, ottobre 10, 2006
Le tre ipotesi
Allora, mettiamo insieme un po' di cose, quelle che ormai si sanno.
La uccidono nell'ascensore del palazzo n. 8/12 della Lesnaja Ulica, uno stabile di nove piani nel centro di Mosca vicino alla stazione ferroviaria Bielorussia. Un anno e mezzo fa aveva comprato un trilocale al settimo piano, dove viveva da sola con il suo cane.
Sabato, intorno alle 16, ritorna con le borse della spesa dal supermercato Ramstore. Parcheggia l'auto davanti alla farmacia che si trova al pianoterra dello stabile in cui vive, compone il codice di ingresso ed entra nell'atrio.
Il suo corpo viene trovato da Nina, 14 anni, ospite a casa dell'amica Sonja che vive allo stesso piano di Anna. Nina preme il pulsante dell'ascensore, le porte si aprono e la ragazzina vede un corpo femminile immobile. Si spaventa e corre a piedi fino al settimo piano.
A quel punto un altro vicino chiama l'ascensore e la cabina sale all'ottavo piano.
- Non ho riconosciuto subito Anna, - dice Tat'jana Elizarova, pensionata - La testa era piegata sul petto leggermente di lato e i capelli coprivano metà del viso. Sulla testa ho visto del sangue, ma non molto. E c'era una macchia di sangue anche sulla gamba... Avrei voluto sentirle il polso, ma avevo paura. Ho chiamato mia figlia.
- Accanto a lei ho visto una piccola pistola con il silenziatore, - continua la figlia - Ho telefonato al "2", ma non rispondevano. Allora ho chiamato il dipartimento di polizia del nostro quartiere. Sono arrivati in fretta.
I poliziotti capiscono subito che non si è trattato di una rapina (i documenti e i soldi sono al loro posto). L'assassino era già in attesa della Politkovskaja quando è tornata dal supermercato. L'ha lasciata entrare nell'ascensore e poi le ha sparato 4 volte. L'hanno colpita almeno due proiettili, uno di questi alla testa. Un proiettile ha preso la parete dell'ascensore. Dopo aver sparato l'assassino ha gettato a terra la Makarov ed è scappato.
Secondo gli investigatori l'omicida non era un professionista e non escludono che sia già morto. Primo, sul posto sono state trovate le sue impronte digitali. Secondo, non si è nascosto dalle videocamere di sicurezza, che l'hanno inquadrato. È però difficile distinguerne il viso.
La presenza di estranei nel vecchio palazzo di Mosca non è passata inosservata.
- Sono tornata dall'istituto intorno alle 16, - dice Ekaterina, dell'appartamento accanto, - io cerco sempre di guardarmi attorno. E ho visto una donna di 20-25 anni dall'aspetto slavo che stava accanto all'ingresso dello stabile e teneva aperto il portone con un piede. Il nostro portone ha il codice, e allora ho pensato che quella donna non vivesse nel nostro palazzo. È rimasta lì una decina di minuti, guardandosi attorno, e poi le si sono avvicinati due uomini, neanche loro inquilini del palazzo. Li ha lasciati passare e poi li ha seguiti all'interno. Ho descritto tutto alla polizia, loro mi hanno fatto vedere le immagini registrate dalla videocamera. Ho riconosciuto l'abbigliamento e le sagome ma le registrazioni erano di cattiva
qualità, credo che sarà impossibile fare un identikit per riconoscerli con sicurezza.
A questo punto i quotidiani russi si concentrano su tre ipotesi possibili. Ne parlano sia Kommersant sia Izvestija. Izvestija fa un discorso più interessante e articolato. Ecco le tre ipotesi:
- La Cecenia. Di questa si è scritto e parlato molto. Però è forse la versione meno probabile. Sarebbe stato molto più facile ucciderla in Cecenia, dove andava spesso. Inoltre per Ramzan Kadyrov la morte della giornalista potrebbe essere un danno molto maggiore dei suoi scritti: i sospetti cadono infatti proprio su di lui, accusato di averla fatta eliminare.
- L'omicidio a scopo di destabilizzazione. Subito dopo la morte di Anna Politkovskaja l'Izvestija ha trovato su Internet uno studio anonimo scritto nel 2005. Vi si legge che tra le misure con cui l'ex presidente della Yukos Leonid Nevzlin (attualmente in Israele) progetta di destabilizzare la situazione in Russia era previsto anche un attentato contro la Politkovskaja. Visto che si trovava in aperto conflitto con le autorità, la sua morte avrebbe compromesso il potere costituito.
La versione che ipotizza una partecipazione all'omicidio di Nevzlin o di un altro "esule" come Boris Berezovskij può sembrare assurda e delirante. Tuttavia non è da escludere che tra coloro che hanno lasciato il paese ci sia qualcuno che vuole mostrare al mondo che la Russia è un paese nel quale è possibile morire per le proprie idee. Lo status di chi ha lasciato il paese - la condizione di coloro che "soffrono" per gli ideali democratici e la libertà - si rafforzerebbe.
Berezovskij, a proposito, a suo tempo non reagì in alcun modo alle accuse di aver attentato alla vita di Ivan Rybkin (il candidato alla presidenza Rybkin scomparve per tre giorni; risultò in seguito che era stato a Kiev, ma non fu in grado di spiegare il motivo di quella scomparsa. Secondo alcuni in quel modo si è salvato dalla morte).
- Gli ambienti militari. Anna Politkovskaja potrebbe essere stata uccisa da persone che avevano bene in mente ciò di cui la Russia ha bisogno e quelli di cui bisogna sbarazzarsi. Per esempio persone come il Colonnello Kvačkov, ufficiali con esperienza di combattimento che sanno come organizzare e mettere in pratica l'eliminazione fisica di una persona. Il motivo è comprensibile: la giornalista faceva opposizione attiva, i suoi lavori venivano spesso citati dalla stampa straniera, la sua posizione poteva sembrare "antirussa" a una parte della popolazione. L'Izvestija è a conoscenza dell'insoddisfazione degli ambienti militari nei confronti di alcuni giornalisti e politici. I più attivi tra questi militari spesso si riuniscono in piccoli circoli e discutono dello sviluppo del paese. Amano paragonarsi ai decabristi. È possibile che queste "società segrete" abbiano deciso di passare dalla teoria ai fatti.
All'Izvestija sono riusciti a trovare in rete una "lista di fucilazione", un manifesto con le fotografie di persone non gradite agli estremisti. L'ultima della lista è Anna Politkovskaja. "È importante liquidare", sta scritto sotto la foto.
La uccidono nell'ascensore del palazzo n. 8/12 della Lesnaja Ulica, uno stabile di nove piani nel centro di Mosca vicino alla stazione ferroviaria Bielorussia. Un anno e mezzo fa aveva comprato un trilocale al settimo piano, dove viveva da sola con il suo cane.
Sabato, intorno alle 16, ritorna con le borse della spesa dal supermercato Ramstore. Parcheggia l'auto davanti alla farmacia che si trova al pianoterra dello stabile in cui vive, compone il codice di ingresso ed entra nell'atrio.
Il suo corpo viene trovato da Nina, 14 anni, ospite a casa dell'amica Sonja che vive allo stesso piano di Anna. Nina preme il pulsante dell'ascensore, le porte si aprono e la ragazzina vede un corpo femminile immobile. Si spaventa e corre a piedi fino al settimo piano.
A quel punto un altro vicino chiama l'ascensore e la cabina sale all'ottavo piano.
- Non ho riconosciuto subito Anna, - dice Tat'jana Elizarova, pensionata - La testa era piegata sul petto leggermente di lato e i capelli coprivano metà del viso. Sulla testa ho visto del sangue, ma non molto. E c'era una macchia di sangue anche sulla gamba... Avrei voluto sentirle il polso, ma avevo paura. Ho chiamato mia figlia.
- Accanto a lei ho visto una piccola pistola con il silenziatore, - continua la figlia - Ho telefonato al "2", ma non rispondevano. Allora ho chiamato il dipartimento di polizia del nostro quartiere. Sono arrivati in fretta.
I poliziotti capiscono subito che non si è trattato di una rapina (i documenti e i soldi sono al loro posto). L'assassino era già in attesa della Politkovskaja quando è tornata dal supermercato. L'ha lasciata entrare nell'ascensore e poi le ha sparato 4 volte. L'hanno colpita almeno due proiettili, uno di questi alla testa. Un proiettile ha preso la parete dell'ascensore. Dopo aver sparato l'assassino ha gettato a terra la Makarov ed è scappato.
Secondo gli investigatori l'omicida non era un professionista e non escludono che sia già morto. Primo, sul posto sono state trovate le sue impronte digitali. Secondo, non si è nascosto dalle videocamere di sicurezza, che l'hanno inquadrato. È però difficile distinguerne il viso.
La presenza di estranei nel vecchio palazzo di Mosca non è passata inosservata.
- Sono tornata dall'istituto intorno alle 16, - dice Ekaterina, dell'appartamento accanto, - io cerco sempre di guardarmi attorno. E ho visto una donna di 20-25 anni dall'aspetto slavo che stava accanto all'ingresso dello stabile e teneva aperto il portone con un piede. Il nostro portone ha il codice, e allora ho pensato che quella donna non vivesse nel nostro palazzo. È rimasta lì una decina di minuti, guardandosi attorno, e poi le si sono avvicinati due uomini, neanche loro inquilini del palazzo. Li ha lasciati passare e poi li ha seguiti all'interno. Ho descritto tutto alla polizia, loro mi hanno fatto vedere le immagini registrate dalla videocamera. Ho riconosciuto l'abbigliamento e le sagome ma le registrazioni erano di cattiva
qualità, credo che sarà impossibile fare un identikit per riconoscerli con sicurezza.
A questo punto i quotidiani russi si concentrano su tre ipotesi possibili. Ne parlano sia Kommersant sia Izvestija. Izvestija fa un discorso più interessante e articolato. Ecco le tre ipotesi:
- La Cecenia. Di questa si è scritto e parlato molto. Però è forse la versione meno probabile. Sarebbe stato molto più facile ucciderla in Cecenia, dove andava spesso. Inoltre per Ramzan Kadyrov la morte della giornalista potrebbe essere un danno molto maggiore dei suoi scritti: i sospetti cadono infatti proprio su di lui, accusato di averla fatta eliminare.
- L'omicidio a scopo di destabilizzazione. Subito dopo la morte di Anna Politkovskaja l'Izvestija ha trovato su Internet uno studio anonimo scritto nel 2005. Vi si legge che tra le misure con cui l'ex presidente della Yukos Leonid Nevzlin (attualmente in Israele) progetta di destabilizzare la situazione in Russia era previsto anche un attentato contro la Politkovskaja. Visto che si trovava in aperto conflitto con le autorità, la sua morte avrebbe compromesso il potere costituito.
La versione che ipotizza una partecipazione all'omicidio di Nevzlin o di un altro "esule" come Boris Berezovskij può sembrare assurda e delirante. Tuttavia non è da escludere che tra coloro che hanno lasciato il paese ci sia qualcuno che vuole mostrare al mondo che la Russia è un paese nel quale è possibile morire per le proprie idee. Lo status di chi ha lasciato il paese - la condizione di coloro che "soffrono" per gli ideali democratici e la libertà - si rafforzerebbe.
Berezovskij, a proposito, a suo tempo non reagì in alcun modo alle accuse di aver attentato alla vita di Ivan Rybkin (il candidato alla presidenza Rybkin scomparve per tre giorni; risultò in seguito che era stato a Kiev, ma non fu in grado di spiegare il motivo di quella scomparsa. Secondo alcuni in quel modo si è salvato dalla morte).
- Gli ambienti militari. Anna Politkovskaja potrebbe essere stata uccisa da persone che avevano bene in mente ciò di cui la Russia ha bisogno e quelli di cui bisogna sbarazzarsi. Per esempio persone come il Colonnello Kvačkov, ufficiali con esperienza di combattimento che sanno come organizzare e mettere in pratica l'eliminazione fisica di una persona. Il motivo è comprensibile: la giornalista faceva opposizione attiva, i suoi lavori venivano spesso citati dalla stampa straniera, la sua posizione poteva sembrare "antirussa" a una parte della popolazione. L'Izvestija è a conoscenza dell'insoddisfazione degli ambienti militari nei confronti di alcuni giornalisti e politici. I più attivi tra questi militari spesso si riuniscono in piccoli circoli e discutono dello sviluppo del paese. Amano paragonarsi ai decabristi. È possibile che queste "società segrete" abbiano deciso di passare dalla teoria ai fatti.
All'Izvestija sono riusciti a trovare in rete una "lista di fucilazione", un manifesto con le fotografie di persone non gradite agli estremisti. L'ultima della lista è Anna Politkovskaja. "È importante liquidare", sta scritto sotto la foto.
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lunedì, ottobre 09, 2006
Un cane malato in una grande città, di Anna Politkovskaja
Questo articolo (si tratta di un pezzo scritto per il numero pilota dell'edizione a colori della Novaja) non parla di politica.
Da parte mia e di Poligraf.
Un cane malato in una grande cittàdi Anna Politkovskaja
La scorsa estate è morto il nostro vecchissimo cane. Il fido Martin aveva quindici anni, aveva vissuto molto a lungo per essere un dobermann. Martin era un gran cane. Ci aveva protetti nei lunghi anni del caos della perestrojka, durante il periodo di criminalità che accompagnò il primo sfrenato capitalismo e nell'attuale disintegrazione delle libertà, quando la situazione divenne nuovamente insicura. Con lui ci sentivamo come sotto la protezione di uno stuolo di guardie del corpo: adorava i suoi e allontanava immediatamente i malintenzionati mettendoli in fuga senza esitazione, ma mordere no, mai un solo morso. Agli occhi di Martin litigavamo, non facevamo sempre serenamente la pace, ci allontanavamo, ci separavamo... Eppure ci amava disperatamente, fino allo sfinimento. Martin ha mancato di proteggerci solo negli ultimi quarantacinque minuti della sua vita, quando si è steso e ha perso conoscenza. Allora siamo stati noi a proteggerlo, a tenergli la mano sul cuore finché ha cessato di battere.
Sono cominciati allora sei mesi di torture: la vita senza un cane si è dimostrata una vita senza una capsula d'amore cucita permanentemente sotto la pelle.
Poi i ragazzi trovarono su Internet quello che faceva per noi. Da un lato, per noi era fondamentale che non assomigliasse a Martin; inoltre non aveva il pelo lungo, e noi eravamo abituati così; come terza cosa, secondo le informazioni che venivano fornite aveva un carattere amichevole. Un cucciolo di bloodhound, una specie di bassotto con le zampe lunghe, lo sguardo eternamente triste e grandi orecchie.
Decidemmo di andare dall'allevatrice, che non si stancava di ripeterci: "Un cane fantastico, il migliore della cucciolata". "Il migliore" faceva la pipì in continuazione, anche mentre ci guardava. Ma in un mare di dolcezza civettava con lo sguardo dicendoci "prendetemi, per favore". Questo fu decisivo: ce l'aveva chiesto con tanta forza.
"Ha quattro mesi, ha ancora il diritto di fare la pipì ovunque", continuava a dire l'allevatrice parlando senza sosta.
A casa lo abbiamo chiamato Van Gogh invece dello stupido nome Chagard che gli aveva dato l'allevatrice.
E abbiamo cominciato una nuova vita. Si è capito subito che Van Gogh non si limitava a "far sempre la pipì". Era una vera e propria macchina da pipì. E la cosa strana è che questo succedeva solo se vedeva un uomo: subito appariva la pozza di urina. Allora abbiamo smesso di far entrare in casa gli uomini (a parte quelli della famiglia), supponendo che questa cosa gli sarebbe passata.
Ma se si alzava la voce di mezzo tono - no, no, non gridando, per l'amor del cielo, ma parlando a voce un po' più alta - ecco il fiume di pipì. Solo che appena si accorgeva di quello che aveva fatto veniva colto dal panico, scappava, si nascondeva, e - cosa peggiore - cercava di leccare la pipì per evitare che ce ne accorgessimo.
E le passeggiate? Si capì subito che Van Gogh odiava le strade: lì tutto gli era ostile e sgradito. Il momento più felice della passeggiata era il rientro a casa, l'ascensore, l'appartamento. La coda si impennava gioiosamente solo quando rincasavamo.
La nostra casa divenne la sua fortezza, che avrebbe preferito non lasciare mai.
Alla clinica veterinaria ci informarono innanzitutto che non aveva quattro ma cinque mesi e ci dissero di chiederci perché l'allevatrice ci avesse taciuto la sua vera età.
- Perché?
- Perché ve lo portaste via. La gente non vuole cani adulti. Ai cani adulti è già stato insegnato qualcosa, e non c'è nessuna garanzia che sia qualcosa di positivo.
Questo si dimostrò vero. I veterinari trovarono inoltre della sabbia nella vescica di Van Gogh. Le analisi ci costarono più di 12 mila rubli. E poi altri duemila di antibiotici, perché c'era un processo infiammatorio in atto. Il dottore disse che a un'età così giovane (la sabbia e i calcoli urinari sono un problema tipico delle persone e degli animali anziani) questo poteva solo essere il risultato del cibo scadente usato da molti allevatori e commercianti di animali per risparmiare. Proprio quando è necessario nutrire bene i cuccioli in crescita danno loro da mangiare come capita, alterandone il metabolismo. La cosa più importante per loro è vendere il cucciolo confondendo le idee ai futuri padroni, e poi addio. Evocano l'amore, disse il dottore, ma in realtà sono nemici della specie, rovinano i cani per sempre.
Per sempre. Questo era solo un primo indizio. Divenne chiaro nel frattempo che Van Gogh si era attaccato a noi morbosamente. Aveva sempre più paura di chiunque entrasse in casa. Il terrore che degli estranei gli si avvicinassero divenne sempre più grande, e la tendenza a nascondersi dietro di noi addirittura maniacale. Immaginate la scena: qualcuno si avvicina, ci passa accanto per la strada e lui si nasconde dietro di me. Quel grande cagnolone dalle zampe robuste. Non abbaia, non ulula, guarda semplicemente il passante con un orrore tale che lo trasmette anche a te. Capimmo che aveva paura che lo portassero via. Lo avevano preso degli uomini, ed erano diventati suoi nemici. Per sempre. Ancora una volta, per sempre.
Quindi la situazione divenne sempre più chiara: ci era capitato un cane con gravi problemi mentali. Cosa può esserci di peggio? Lui non difende noi, dobbiamo essere noi a difendere lui?
Telefonai all'allevatrice: che cosa era successo in passato a quel cane? Non intendevo fare un reclamo. Volevo sapere per aiutare il cane e me stessa. L'allevatrice si arrese: prima di arrivare da noi il cane era stato rifiutato due volte, portato via e sbrigativamente restituito. Ma non si trattava solo di questo. L'avevano picchiato, ed erano stati degli uomini. L'avevano terrorizzato, e poi cacciato via.
Era chiaro: bisognava cercare degli psicologi per gli animali e degli addestratori che lavorassero non con gruppi di cani ma con cani singoli. Risultò che una visita dallo psicologo costava 50 dollari, come minimo. Per 50 dollari era possibile ricevere dei consigli per le seguenti situazioni: in vacanza, all'aperto, a riposo, in caso di trasloco, di cambiamento di città e di paese. Ma in una seduta non si occupavano di tutti i problemi: ogni consulto costava 50 dollari.
Uff. La missione era materialmente impossibile, assolutamente.
Allora ci rivolgemmo agli addestratori. Katja, che lavorava alla tariffa di 500 rubli all'ora per le ditte "Cane intelligente" e "Buon Amico", disse che lavorava solo con "cani d'élite" (intesi non come cani di razza, ma come cani dei ricchi), e che era occupata tutto il giorno.
Nonostante ciò, riuscì a trovare il tempo. Erano le sette del mattino, Katja arrivò ancora assonnata. Mise le mani in tasca e cominciò a darmi ordini: va' lì, fai questo. Niente di elitario, le stesse cose che stanno scritte sui libri di base sull'addestramento.
15 minuti prima della fine della lezione Katja, nonostante la sua tenuta no-global (maglione nero, anfibi, bandana) in stile globalista pretese i suoi 500 rubli, e arricciando il labbro sprezzante disse che non c'era tempo per occuparsi del cane, mostrando metodi, abilità, eccetera. Non l'abbiamo più vista: come mai?
Il secondo e il terzo addestratore erano completamente identici alla prima, da punto di vista delle lezioni. Solo che la tariffa si rivelò più alta: 700 e 900 rubli per la stessa ora scarsa.
Non potevamo ancora buttar via soldi inutilmente, soprattutto perché la vescica di Van Gogh richiedeva altre migliaia di rubli. Così la vita continuò come prima. Van Gogh era terrorizzato da tutto, e io lo difendevo da tutto. Dagli uomini, dagli oggetti sconosciuti, dal rumore della saracinesca di un garage, dalle frenate delle auto e ancora dai passanti.
Man mano che cresceva si aggiungevano dei problemi. Nel nostro quartiere per raggiungere l'area riservata ai cani è necessario attraversare una strada molto trafficata e priva di semaforo. Bisogna cioè lanciarsi tra le macchine, che non hanno l'abitudine di rallentare sulle strisce pedonali. Quando ci avvicinavamo al passaggio pedonale Van Gogh era così terrorizzato che cadeva sulle quattro zampe e a me toccava ora portarlo in braccio, ora trascinarlo come una slitta (40-50 chili di carne e muscoli) tra le automobili. Una corsa del genere all'andata e al ritorno, e lo sbalzo di pressione era assicurato.
Ma un cane con questo metabolismo così sballato, la sabbia nella vescica e i suoi problemi di socializzazione deve per forza uscire e stare insieme ai propri simili! E così andò a finire che cominciai a caricare Van Gogh sulla mia macchina e a portarlo dall'altra parte della strada. Lì correva timidamente tra gli altri cani, non ci giocava molto spesso ma qualche volta sì. Però almeno andava in giro, fiutava, si abituava.
Tuttavia la sua principale occupazione era stare vicino alla recinzione e fissare malinconicamente la nostra macchina. E non appena aprivo la portiera Van Gogh saltava sul sedile posteriore tutto allegro. A quanto pare adora spostarsi in macchina o anche solo semplicemente starci seduto. Il piccolo spazio chiuso, dove è isolato dal resto del mondo insieme alla sua padrona, per Van Gogh è il territorio più confortevole del mondo. Lì si calma, guarda soddisfatto fuori dal finestrino, il suo sguardo si rasserena, accosta le orecchie al finestrino posteriore e così può perfino addormentarsi: si è lasciato tutte le paure alle spalle. Salta fuori dalla macchina e si infila subito nel portone, correndo verso l'ascensore, veloce. Ancora più velocemente entra nell'appartamento e... Lì è tutto a posto: la mia casa, la mia fortezza.
Così la mia pressione si normalizzò. Ma cosa fare in futuro? I veterinari si erano già espressi senza mezze parole: farlo addormentare per sempre. Gli amici dicevano la stessa cosa: perché torturarlo? Un cane non è un uomo. Dallo a qualcun altro... Ma questa non è che un espressione civile per intendere la stessa cosa: "farlo addormentare". Chi si metterà a giocare e a far chiasso con lui, a parte le persone che si sono già legate con tutta l'anima a questa creatura dalle grandi orecchie e dagli occhi tristi che non è colpevole di nulla?
Nessuno. I tanti cani malati di questa grande città devono essere "fatti addormentare", se i loro padroni non hanno i mezzi per curarli e per mantenerli. Il mondo, che è già tanto crudele con le persone sfortunate (gli invalidi, gli orfani, i malati) è diventato molto cattivo anche con gli animali. È naturale, non potrebbe essere altrimenti. Fino a che punto ci renda peggiori il profumo delle grandi quantità di denaro lo si capisce molto bene quando si porta in giro un cane malato. Non appartengo al gruppo di persone che amano i cani alla follia, e che sono tanto numerose quanto coloro che li detestano. Quelli che amano i cani alla follia si distinguono dalle altre persone per una particolarità: amano i cani più degli uomini. Io invece no, amo le persone più dei cani.
Ma non mi hanno insegnato a buttar via le cose. Soprattutto se si tratta di un essere vivente, che non sarebbe in grado di sopravvivere a un altro rifiuto, e che se non fosse per me morirebbe. Dipende completamente da me, fino all'ultimo pelo delle sue lunghe setose orecchie. Come da chiunque lo avesse spinto il volere del fato. Il mondo dei ricchi ha prodotto un numero molto grande e in costante crescita di animali abbandonati, i fratelli di Van Gogh. Comprano i Van Gogh come se fossero giocattoli: ci si gioca, non piace, lo si prende a calci e tante grazie se non lo abbandonano per la strada ma lo restituiscono a chi l'ha venduto. Non c'è rispetto per il valore del denaro, né per quello dell'anima di un essere vivente che ti si rivela in tutta la sua profondità.
Capisco che bisogna essere giusti: non tutti i ricchi sono così male, e non tutti i veterinari sono tanto cinici. Naturalmente. Ma allora perché vediamo tutti questi cani di razza abbandonati per le strade?
... È di nuovo sera. Giro la chiave nella porta e Van Gogh mi corre incontro, sempre e ovunque si trovi. Anche se ha avuto il mal di stomaco, anche se dormiva della grossa, e non importa cos'ha mangiato o non ha mangiato... È una fonte di amoroso moto perpetuo. Possono abbandonarti tutti, o tenerti il muso: il tuo cane non smetterà di amarti.
Lo prendo, lo conduco fino alla macchina, lo porto sull'altro lato della strada, salto giù al suo fianco perché possa andare a correre con gli altri cani. Gli mostro che deve giocare con loro, e mi arrampico con lui sugli ostacoli per aiutarlo a superare la paura, lo accompagno vicino agli estranei, prendo loro la mano e faccio loro toccare le orecchie di Van Gogh, giurandogli che non sono poi così terribili...
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Da parte mia e di Poligraf.
Un cane malato in una grande cittàdi Anna Politkovskaja
La scorsa estate è morto il nostro vecchissimo cane. Il fido Martin aveva quindici anni, aveva vissuto molto a lungo per essere un dobermann. Martin era un gran cane. Ci aveva protetti nei lunghi anni del caos della perestrojka, durante il periodo di criminalità che accompagnò il primo sfrenato capitalismo e nell'attuale disintegrazione delle libertà, quando la situazione divenne nuovamente insicura. Con lui ci sentivamo come sotto la protezione di uno stuolo di guardie del corpo: adorava i suoi e allontanava immediatamente i malintenzionati mettendoli in fuga senza esitazione, ma mordere no, mai un solo morso. Agli occhi di Martin litigavamo, non facevamo sempre serenamente la pace, ci allontanavamo, ci separavamo... Eppure ci amava disperatamente, fino allo sfinimento. Martin ha mancato di proteggerci solo negli ultimi quarantacinque minuti della sua vita, quando si è steso e ha perso conoscenza. Allora siamo stati noi a proteggerlo, a tenergli la mano sul cuore finché ha cessato di battere.
Sono cominciati allora sei mesi di torture: la vita senza un cane si è dimostrata una vita senza una capsula d'amore cucita permanentemente sotto la pelle.
Poi i ragazzi trovarono su Internet quello che faceva per noi. Da un lato, per noi era fondamentale che non assomigliasse a Martin; inoltre non aveva il pelo lungo, e noi eravamo abituati così; come terza cosa, secondo le informazioni che venivano fornite aveva un carattere amichevole. Un cucciolo di bloodhound, una specie di bassotto con le zampe lunghe, lo sguardo eternamente triste e grandi orecchie.
Decidemmo di andare dall'allevatrice, che non si stancava di ripeterci: "Un cane fantastico, il migliore della cucciolata". "Il migliore" faceva la pipì in continuazione, anche mentre ci guardava. Ma in un mare di dolcezza civettava con lo sguardo dicendoci "prendetemi, per favore". Questo fu decisivo: ce l'aveva chiesto con tanta forza.
"Ha quattro mesi, ha ancora il diritto di fare la pipì ovunque", continuava a dire l'allevatrice parlando senza sosta.
A casa lo abbiamo chiamato Van Gogh invece dello stupido nome Chagard che gli aveva dato l'allevatrice.
E abbiamo cominciato una nuova vita. Si è capito subito che Van Gogh non si limitava a "far sempre la pipì". Era una vera e propria macchina da pipì. E la cosa strana è che questo succedeva solo se vedeva un uomo: subito appariva la pozza di urina. Allora abbiamo smesso di far entrare in casa gli uomini (a parte quelli della famiglia), supponendo che questa cosa gli sarebbe passata.
Ma se si alzava la voce di mezzo tono - no, no, non gridando, per l'amor del cielo, ma parlando a voce un po' più alta - ecco il fiume di pipì. Solo che appena si accorgeva di quello che aveva fatto veniva colto dal panico, scappava, si nascondeva, e - cosa peggiore - cercava di leccare la pipì per evitare che ce ne accorgessimo.
E le passeggiate? Si capì subito che Van Gogh odiava le strade: lì tutto gli era ostile e sgradito. Il momento più felice della passeggiata era il rientro a casa, l'ascensore, l'appartamento. La coda si impennava gioiosamente solo quando rincasavamo.
La nostra casa divenne la sua fortezza, che avrebbe preferito non lasciare mai.
Alla clinica veterinaria ci informarono innanzitutto che non aveva quattro ma cinque mesi e ci dissero di chiederci perché l'allevatrice ci avesse taciuto la sua vera età.
- Perché?
- Perché ve lo portaste via. La gente non vuole cani adulti. Ai cani adulti è già stato insegnato qualcosa, e non c'è nessuna garanzia che sia qualcosa di positivo.
Questo si dimostrò vero. I veterinari trovarono inoltre della sabbia nella vescica di Van Gogh. Le analisi ci costarono più di 12 mila rubli. E poi altri duemila di antibiotici, perché c'era un processo infiammatorio in atto. Il dottore disse che a un'età così giovane (la sabbia e i calcoli urinari sono un problema tipico delle persone e degli animali anziani) questo poteva solo essere il risultato del cibo scadente usato da molti allevatori e commercianti di animali per risparmiare. Proprio quando è necessario nutrire bene i cuccioli in crescita danno loro da mangiare come capita, alterandone il metabolismo. La cosa più importante per loro è vendere il cucciolo confondendo le idee ai futuri padroni, e poi addio. Evocano l'amore, disse il dottore, ma in realtà sono nemici della specie, rovinano i cani per sempre.
Per sempre. Questo era solo un primo indizio. Divenne chiaro nel frattempo che Van Gogh si era attaccato a noi morbosamente. Aveva sempre più paura di chiunque entrasse in casa. Il terrore che degli estranei gli si avvicinassero divenne sempre più grande, e la tendenza a nascondersi dietro di noi addirittura maniacale. Immaginate la scena: qualcuno si avvicina, ci passa accanto per la strada e lui si nasconde dietro di me. Quel grande cagnolone dalle zampe robuste. Non abbaia, non ulula, guarda semplicemente il passante con un orrore tale che lo trasmette anche a te. Capimmo che aveva paura che lo portassero via. Lo avevano preso degli uomini, ed erano diventati suoi nemici. Per sempre. Ancora una volta, per sempre.
Quindi la situazione divenne sempre più chiara: ci era capitato un cane con gravi problemi mentali. Cosa può esserci di peggio? Lui non difende noi, dobbiamo essere noi a difendere lui?
Telefonai all'allevatrice: che cosa era successo in passato a quel cane? Non intendevo fare un reclamo. Volevo sapere per aiutare il cane e me stessa. L'allevatrice si arrese: prima di arrivare da noi il cane era stato rifiutato due volte, portato via e sbrigativamente restituito. Ma non si trattava solo di questo. L'avevano picchiato, ed erano stati degli uomini. L'avevano terrorizzato, e poi cacciato via.
Era chiaro: bisognava cercare degli psicologi per gli animali e degli addestratori che lavorassero non con gruppi di cani ma con cani singoli. Risultò che una visita dallo psicologo costava 50 dollari, come minimo. Per 50 dollari era possibile ricevere dei consigli per le seguenti situazioni: in vacanza, all'aperto, a riposo, in caso di trasloco, di cambiamento di città e di paese. Ma in una seduta non si occupavano di tutti i problemi: ogni consulto costava 50 dollari.
Uff. La missione era materialmente impossibile, assolutamente.
Allora ci rivolgemmo agli addestratori. Katja, che lavorava alla tariffa di 500 rubli all'ora per le ditte "Cane intelligente" e "Buon Amico", disse che lavorava solo con "cani d'élite" (intesi non come cani di razza, ma come cani dei ricchi), e che era occupata tutto il giorno.
Nonostante ciò, riuscì a trovare il tempo. Erano le sette del mattino, Katja arrivò ancora assonnata. Mise le mani in tasca e cominciò a darmi ordini: va' lì, fai questo. Niente di elitario, le stesse cose che stanno scritte sui libri di base sull'addestramento.
15 minuti prima della fine della lezione Katja, nonostante la sua tenuta no-global (maglione nero, anfibi, bandana) in stile globalista pretese i suoi 500 rubli, e arricciando il labbro sprezzante disse che non c'era tempo per occuparsi del cane, mostrando metodi, abilità, eccetera. Non l'abbiamo più vista: come mai?
Il secondo e il terzo addestratore erano completamente identici alla prima, da punto di vista delle lezioni. Solo che la tariffa si rivelò più alta: 700 e 900 rubli per la stessa ora scarsa.
Non potevamo ancora buttar via soldi inutilmente, soprattutto perché la vescica di Van Gogh richiedeva altre migliaia di rubli. Così la vita continuò come prima. Van Gogh era terrorizzato da tutto, e io lo difendevo da tutto. Dagli uomini, dagli oggetti sconosciuti, dal rumore della saracinesca di un garage, dalle frenate delle auto e ancora dai passanti.
Man mano che cresceva si aggiungevano dei problemi. Nel nostro quartiere per raggiungere l'area riservata ai cani è necessario attraversare una strada molto trafficata e priva di semaforo. Bisogna cioè lanciarsi tra le macchine, che non hanno l'abitudine di rallentare sulle strisce pedonali. Quando ci avvicinavamo al passaggio pedonale Van Gogh era così terrorizzato che cadeva sulle quattro zampe e a me toccava ora portarlo in braccio, ora trascinarlo come una slitta (40-50 chili di carne e muscoli) tra le automobili. Una corsa del genere all'andata e al ritorno, e lo sbalzo di pressione era assicurato.
Ma un cane con questo metabolismo così sballato, la sabbia nella vescica e i suoi problemi di socializzazione deve per forza uscire e stare insieme ai propri simili! E così andò a finire che cominciai a caricare Van Gogh sulla mia macchina e a portarlo dall'altra parte della strada. Lì correva timidamente tra gli altri cani, non ci giocava molto spesso ma qualche volta sì. Però almeno andava in giro, fiutava, si abituava.
Tuttavia la sua principale occupazione era stare vicino alla recinzione e fissare malinconicamente la nostra macchina. E non appena aprivo la portiera Van Gogh saltava sul sedile posteriore tutto allegro. A quanto pare adora spostarsi in macchina o anche solo semplicemente starci seduto. Il piccolo spazio chiuso, dove è isolato dal resto del mondo insieme alla sua padrona, per Van Gogh è il territorio più confortevole del mondo. Lì si calma, guarda soddisfatto fuori dal finestrino, il suo sguardo si rasserena, accosta le orecchie al finestrino posteriore e così può perfino addormentarsi: si è lasciato tutte le paure alle spalle. Salta fuori dalla macchina e si infila subito nel portone, correndo verso l'ascensore, veloce. Ancora più velocemente entra nell'appartamento e... Lì è tutto a posto: la mia casa, la mia fortezza.
Così la mia pressione si normalizzò. Ma cosa fare in futuro? I veterinari si erano già espressi senza mezze parole: farlo addormentare per sempre. Gli amici dicevano la stessa cosa: perché torturarlo? Un cane non è un uomo. Dallo a qualcun altro... Ma questa non è che un espressione civile per intendere la stessa cosa: "farlo addormentare". Chi si metterà a giocare e a far chiasso con lui, a parte le persone che si sono già legate con tutta l'anima a questa creatura dalle grandi orecchie e dagli occhi tristi che non è colpevole di nulla?
Nessuno. I tanti cani malati di questa grande città devono essere "fatti addormentare", se i loro padroni non hanno i mezzi per curarli e per mantenerli. Il mondo, che è già tanto crudele con le persone sfortunate (gli invalidi, gli orfani, i malati) è diventato molto cattivo anche con gli animali. È naturale, non potrebbe essere altrimenti. Fino a che punto ci renda peggiori il profumo delle grandi quantità di denaro lo si capisce molto bene quando si porta in giro un cane malato. Non appartengo al gruppo di persone che amano i cani alla follia, e che sono tanto numerose quanto coloro che li detestano. Quelli che amano i cani alla follia si distinguono dalle altre persone per una particolarità: amano i cani più degli uomini. Io invece no, amo le persone più dei cani.
Ma non mi hanno insegnato a buttar via le cose. Soprattutto se si tratta di un essere vivente, che non sarebbe in grado di sopravvivere a un altro rifiuto, e che se non fosse per me morirebbe. Dipende completamente da me, fino all'ultimo pelo delle sue lunghe setose orecchie. Come da chiunque lo avesse spinto il volere del fato. Il mondo dei ricchi ha prodotto un numero molto grande e in costante crescita di animali abbandonati, i fratelli di Van Gogh. Comprano i Van Gogh come se fossero giocattoli: ci si gioca, non piace, lo si prende a calci e tante grazie se non lo abbandonano per la strada ma lo restituiscono a chi l'ha venduto. Non c'è rispetto per il valore del denaro, né per quello dell'anima di un essere vivente che ti si rivela in tutta la sua profondità.
Capisco che bisogna essere giusti: non tutti i ricchi sono così male, e non tutti i veterinari sono tanto cinici. Naturalmente. Ma allora perché vediamo tutti questi cani di razza abbandonati per le strade?
... È di nuovo sera. Giro la chiave nella porta e Van Gogh mi corre incontro, sempre e ovunque si trovi. Anche se ha avuto il mal di stomaco, anche se dormiva della grossa, e non importa cos'ha mangiato o non ha mangiato... È una fonte di amoroso moto perpetuo. Possono abbandonarti tutti, o tenerti il muso: il tuo cane non smetterà di amarti.
Lo prendo, lo conduco fino alla macchina, lo porto sull'altro lato della strada, salto giù al suo fianco perché possa andare a correre con gli altri cani. Gli mostro che deve giocare con loro, e mi arrampico con lui sugli ostacoli per aiutarlo a superare la paura, lo accompagno vicino agli estranei, prendo loro la mano e faccio loro toccare le orecchie di Van Gogh, giurandogli che non sono poi così terribili...
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domenica, ottobre 08, 2006
Anna Politkovskaja/Post in aggiornamento
Uno
Dalla prima pagina della Novaja Gazeta:
"Anna non aveva niente in comune con gli intrighi politici o con qualsivoglia 'interesse finanziario'. Era assolutamente impossibile farla tacere o corromperla. Considerava la ricerca della verità e della giustizia un proprio dovere giornalistico e umano, e in questo era inflessibile. Ha cercato la giustizia e la verità anche nei tragici eventi ceceni, dall'inizio della guerra cecena fino a oggi, ed era consapevole di quanto ciò fosse pericoloso. Oggi non sappiamo chi l'ha uccisa, né perché. Possiamo solo avanzare due versioni. O è stata una vendetta di Ramzan Kadyrov, delle cui attività ha scritto e ha parlato molto. Oppure sono stati coloro che volevano far cadere dei sospetti proprio sull'attuale primo ministro ceceno, il quale, avendo superato i trent'anni d'età [l'età minima per candidarsi alla carica, n.d.T.], può ora aspirare alla presidenza".
Due
Questo invece è il pezzo che appare sulla prima pagina dello speciale di 7 pagine della Novaja Gazeta che sarà in edicola domani:
"Era bella. Negli anni lo era diventata anche di più. Sapete perché? Dio ci dà un volto, ma poi siamo noi a costruirlo, a seconda di come viviamo.
Si dice anche che nella maturità nel viso cominci a trasparire l'anima. La sua anima era bellissima.
Era molto femminile. Sapeva ridere in modo incantevole per uno scherzo riuscito e piangere per un'ingiustizia. Qualsiasi ingiustizia - qualsiasi cosa riguardasse - era per lei un nemico personale. E l'affrontava lottando fino all'ultimo.
Era anche incredibilmente coraggiosa. Di gran lunga più coraggiosa di molti uomini che si muovono su mezzi blindati, circondati da guardie del corpo.
L'hanno minacciata, hanno cercato di spaventarla, l'hanno sottoposta a pedinamenti e a perquisizioni. In Cecenia i 'nostri' soldati l'hanno arrestata e hanno minacciato di fucilarla.
L'hanno avvelenata, quando ha preso l'aereo per Beslan, e si era ripresa a stento. E anche se in seguito non è più stata bene, ha continuato a indignarsi e a lottare come e più di prima.
Molti, perfino gli amici della Novaja Gazeta, a volte dicevano: 'Beh, la vostra Politkovskaja... questa poi...'. Macché. Scriveva sempre la verità. Piuttosto, questa verità era spesso così tremenda che molti facevano fatica ad accettarla. E di qui la reazione di difesa che portava a esclamare 'questa poi...'. Talvolta capitava anche a noi della redazione.
Probabilmente la cosa più difficile per la gente normale è cercare di non voltare le spalle a ciò che atterrisce. Ma se si guarda il male dritto negli occhi il male non è in grado di sostenere quello sguardo. Anja guardava il male dritto negli occhi. Forse per questo era uscita vincitrice da situazioni molto difficili. E forse sempre per questo era riuscita a rimanere viva laddove coloro che distolgono lo sguardo non sarebbero sopravvissuti.
Per noi è ancora viva. Non ci rassegneremo mai alla morte della nostra Anja. E chiunque abbia preso sotto la propria responsabilità questo feroce omicidio - nel centro di Mosca, in pieno giorno - saremo noi stessi a cercare gli assassini. Possiamo anche immaginare dove si trovano...
Come vanno le cose in Russia con l'indipendenza dei mezzi di informazione di massa? Se ne parla in America e in Europa. Ma intanto alla Novaja Gazeta negli ultimi anni hanno ucciso tre
importanti giornalisti.
Igor Dominikov. I suoi assassini, grazie al buon lavoro di bravi giudici e del giornale stesso, sono comparsi in tribunale.
Jurij Ščekočichin. Le autorità hanno rifiutato perfino ai suoi genitori il legittimo diritto di conoscere i risultati delle indagini... Ma noi continuiamo le nostre ricerche. Gli assassini saranno puniti.
Adesso, la nostra Anja Politkovskaja. Non hanno ucciso solo una giornalista, una persona che lottava per difendere la verità e una cittadina, ma anche una donna e una madre bellissima.
Finché ci sarà la Novaja Gazeta, i suoi assassini non dormiranno sonni tranquilli".
Tre
Ecco la trascrizione dell'ultima intervista di Anna Politkovskaja, ospite in collegamento telefonico del programmma "Čas pressy" ("L'ora della stampa"), su Radio Svoboda. L'argomento di discussione era un articolo uscito su Kommersant in occasione del compleanno di Ramzan Kadyrov, il primo ministro ceceno (il quale, avendo compiuto trent'anni, può ora candidarsi alla carica di presidente).
Anna Politkovskaja: Cosa significa "piangere sui diritti umani"? Non bisogna piangere sui diritti umani. Bisogna semplicemente incontrare non solo Kadyrov, ma anche la gente, coloro che hanno sofferto per le azioni di Kadyrov. E non in modo ipotetico: ne hanno sofferto nella maniera più diretta. I loro cari sono stati uccisi, tormentati, costretti a fuggire. La maggioranza di queste persone erano onestissime. Ne conoscevo molte.
Adesso sulla mia scrivania ci sono due fotografie. Sto conducendo un'inchiesta. Si tratta delle torture avvenute nelle camere di tortura di Kadyrov ieri e oggi. Si tratta di persone che sono state sequestrate dagli uomini di Kadyrov [detti Kadyrovcy, vere e proprie squadre della morte; l'uso di questo termine è stato bandito dallo stesso Kadyrov nell'aprile del 2006, n.d.T.] per ragioni assolutamente incomprensibili, con l'unico scopo di organizzare una campagna propagandistica [...]
Voglio raccontare che queste persone sequestrate, le cui fotografie stanno sulla mia scrivania, queste persone (uno è russo, l'altro ceceno) sono state presentate come se fossero dei combattenti contro i quali i Kadyrovcy facevano la guerra nel villaggio di Aleroi. Questa è una storia nota, che è finita sui nostri teleschermi, alla radio e sui giornali, quando Kadyrov, sullo sfondo dei combattenti sconfitti concedeva interviste davanti alle telecamere della televisione di stato e di altri canali. Ma la realtà è che tutte queste persone erano state rastrellate e uccise.
Elena Rykovceva: Anja, ma non le sembra che queste persone sullo sfondo possano costituire "casi isolati"? Cioè, le persone sequestrate sarebbero casi isolati, perché altre hanno invece avuto dei benefici. Ci sono i segni di un miglioramento, di una ricostruzione. Però c'è ancora una piccola percentuale di vittime di questa situazione.
Anna Politkovskaja: Una piccola percentuale di vittime?
Elena Rykovceva: Piccola, pare.
Anna Politkovskaja: Vorrei dire allora che le persone sequestrate nella prima metà di quest'anno sono più numerose di quelle sequestrate nella prima metà dell'anno precedente, se queste considerazioni possono essere rappresentative. E questi sono solo i casi in cui la gente ha denunciato la scomparsa dei propri familiari, che non sono stati più trovati. Vorrei riportare l'attenzione sul fatto che possiamo parlare di casi isolati solo perché non si tratta dei nostri cari: non è mio figlio, non è mio fratello o mio marito. Le fotografie di cui le parlo ritraggono corpi spezzati dalle torture. Non si possono ridurre a una piccola percentuale. È una percentuale enorme. [...]
I giornalisti che non conoscono quella regione dicono che [Kadyrov] sta facendo rinascere le tradizioni cecene. È una fesseria. Lui le sta distruggendo. Non sono certo a favore della vendetta di sangue, ma il fatto è che ha contribuito a mantenere per anni una certa stabilità nella regione.
Ramzan è riuscito a interferire e a distruggere anche questo.
Questo è un codardo armato fino ai denti che vive circondato da guardie. Io credo che non diventerà presidente. Dentro di me c'è una una sicurezza intima e profonda, forse perfino intuitiva, in nessun modo razionale, in nessun modo confortata da Alu Alchanov [il presidente ceceno, filorusso, eletto nel 2004 in circostanze sospette, successore del padre di Kadyrov, n.d.T.]. Alu Alchanov è un uomo molto debole. In questo problema di Alchanov sotto molti aspetti c'entra anche l'inasprirsi della violenza sotto il giovane Kadyrov.
Il mio sogno personale nel giorno del compleanno di Kadyrov riguarda solo una cosa. Ne parlo con assoluta serietà. Sogno che si sieda sul banco degli imputati. Sogno una procedura giuridica il più possibile rigorosa con l'enumerazione di tutti suoi crimini, e un'indagine per tutti i reati che ha commesso. A proposito, grazie a tre articoli del nostro giornale - di questo, naturalmente, le altre pubblicazioni non scrivono - è stata promossa un'azione giudiziaria contro Kadyrov a causa dei kadyrovci. Io, per esempio, farò da testimone per una delle accuse, quella che riguarda i rapimenti. Un crimine di cui Kadyrov è accusato è proprio il sequestro di persona - la partecipazione di Ramzan Kadyrov al sequestro di due persone. Il mio sogno è semplicemente questo.
Dalla prima pagina della Novaja Gazeta:
"Anna non aveva niente in comune con gli intrighi politici o con qualsivoglia 'interesse finanziario'. Era assolutamente impossibile farla tacere o corromperla. Considerava la ricerca della verità e della giustizia un proprio dovere giornalistico e umano, e in questo era inflessibile. Ha cercato la giustizia e la verità anche nei tragici eventi ceceni, dall'inizio della guerra cecena fino a oggi, ed era consapevole di quanto ciò fosse pericoloso. Oggi non sappiamo chi l'ha uccisa, né perché. Possiamo solo avanzare due versioni. O è stata una vendetta di Ramzan Kadyrov, delle cui attività ha scritto e ha parlato molto. Oppure sono stati coloro che volevano far cadere dei sospetti proprio sull'attuale primo ministro ceceno, il quale, avendo superato i trent'anni d'età [l'età minima per candidarsi alla carica, n.d.T.], può ora aspirare alla presidenza".
Due
Questo invece è il pezzo che appare sulla prima pagina dello speciale di 7 pagine della Novaja Gazeta che sarà in edicola domani:
"Era bella. Negli anni lo era diventata anche di più. Sapete perché? Dio ci dà un volto, ma poi siamo noi a costruirlo, a seconda di come viviamo.
Si dice anche che nella maturità nel viso cominci a trasparire l'anima. La sua anima era bellissima.
Era molto femminile. Sapeva ridere in modo incantevole per uno scherzo riuscito e piangere per un'ingiustizia. Qualsiasi ingiustizia - qualsiasi cosa riguardasse - era per lei un nemico personale. E l'affrontava lottando fino all'ultimo.
Era anche incredibilmente coraggiosa. Di gran lunga più coraggiosa di molti uomini che si muovono su mezzi blindati, circondati da guardie del corpo.
L'hanno minacciata, hanno cercato di spaventarla, l'hanno sottoposta a pedinamenti e a perquisizioni. In Cecenia i 'nostri' soldati l'hanno arrestata e hanno minacciato di fucilarla.
L'hanno avvelenata, quando ha preso l'aereo per Beslan, e si era ripresa a stento. E anche se in seguito non è più stata bene, ha continuato a indignarsi e a lottare come e più di prima.
Molti, perfino gli amici della Novaja Gazeta, a volte dicevano: 'Beh, la vostra Politkovskaja... questa poi...'. Macché. Scriveva sempre la verità. Piuttosto, questa verità era spesso così tremenda che molti facevano fatica ad accettarla. E di qui la reazione di difesa che portava a esclamare 'questa poi...'. Talvolta capitava anche a noi della redazione.
Probabilmente la cosa più difficile per la gente normale è cercare di non voltare le spalle a ciò che atterrisce. Ma se si guarda il male dritto negli occhi il male non è in grado di sostenere quello sguardo. Anja guardava il male dritto negli occhi. Forse per questo era uscita vincitrice da situazioni molto difficili. E forse sempre per questo era riuscita a rimanere viva laddove coloro che distolgono lo sguardo non sarebbero sopravvissuti.
Per noi è ancora viva. Non ci rassegneremo mai alla morte della nostra Anja. E chiunque abbia preso sotto la propria responsabilità questo feroce omicidio - nel centro di Mosca, in pieno giorno - saremo noi stessi a cercare gli assassini. Possiamo anche immaginare dove si trovano...
Come vanno le cose in Russia con l'indipendenza dei mezzi di informazione di massa? Se ne parla in America e in Europa. Ma intanto alla Novaja Gazeta negli ultimi anni hanno ucciso tre
importanti giornalisti.
Igor Dominikov. I suoi assassini, grazie al buon lavoro di bravi giudici e del giornale stesso, sono comparsi in tribunale.
Jurij Ščekočichin. Le autorità hanno rifiutato perfino ai suoi genitori il legittimo diritto di conoscere i risultati delle indagini... Ma noi continuiamo le nostre ricerche. Gli assassini saranno puniti.
Adesso, la nostra Anja Politkovskaja. Non hanno ucciso solo una giornalista, una persona che lottava per difendere la verità e una cittadina, ma anche una donna e una madre bellissima.
Finché ci sarà la Novaja Gazeta, i suoi assassini non dormiranno sonni tranquilli".
Tre
Ecco la trascrizione dell'ultima intervista di Anna Politkovskaja, ospite in collegamento telefonico del programmma "Čas pressy" ("L'ora della stampa"), su Radio Svoboda. L'argomento di discussione era un articolo uscito su Kommersant in occasione del compleanno di Ramzan Kadyrov, il primo ministro ceceno (il quale, avendo compiuto trent'anni, può ora candidarsi alla carica di presidente).
Anna Politkovskaja: Cosa significa "piangere sui diritti umani"? Non bisogna piangere sui diritti umani. Bisogna semplicemente incontrare non solo Kadyrov, ma anche la gente, coloro che hanno sofferto per le azioni di Kadyrov. E non in modo ipotetico: ne hanno sofferto nella maniera più diretta. I loro cari sono stati uccisi, tormentati, costretti a fuggire. La maggioranza di queste persone erano onestissime. Ne conoscevo molte.
Adesso sulla mia scrivania ci sono due fotografie. Sto conducendo un'inchiesta. Si tratta delle torture avvenute nelle camere di tortura di Kadyrov ieri e oggi. Si tratta di persone che sono state sequestrate dagli uomini di Kadyrov [detti Kadyrovcy, vere e proprie squadre della morte; l'uso di questo termine è stato bandito dallo stesso Kadyrov nell'aprile del 2006, n.d.T.] per ragioni assolutamente incomprensibili, con l'unico scopo di organizzare una campagna propagandistica [...]
Voglio raccontare che queste persone sequestrate, le cui fotografie stanno sulla mia scrivania, queste persone (uno è russo, l'altro ceceno) sono state presentate come se fossero dei combattenti contro i quali i Kadyrovcy facevano la guerra nel villaggio di Aleroi. Questa è una storia nota, che è finita sui nostri teleschermi, alla radio e sui giornali, quando Kadyrov, sullo sfondo dei combattenti sconfitti concedeva interviste davanti alle telecamere della televisione di stato e di altri canali. Ma la realtà è che tutte queste persone erano state rastrellate e uccise.
Elena Rykovceva: Anja, ma non le sembra che queste persone sullo sfondo possano costituire "casi isolati"? Cioè, le persone sequestrate sarebbero casi isolati, perché altre hanno invece avuto dei benefici. Ci sono i segni di un miglioramento, di una ricostruzione. Però c'è ancora una piccola percentuale di vittime di questa situazione.
Anna Politkovskaja: Una piccola percentuale di vittime?
Elena Rykovceva: Piccola, pare.
Anna Politkovskaja: Vorrei dire allora che le persone sequestrate nella prima metà di quest'anno sono più numerose di quelle sequestrate nella prima metà dell'anno precedente, se queste considerazioni possono essere rappresentative. E questi sono solo i casi in cui la gente ha denunciato la scomparsa dei propri familiari, che non sono stati più trovati. Vorrei riportare l'attenzione sul fatto che possiamo parlare di casi isolati solo perché non si tratta dei nostri cari: non è mio figlio, non è mio fratello o mio marito. Le fotografie di cui le parlo ritraggono corpi spezzati dalle torture. Non si possono ridurre a una piccola percentuale. È una percentuale enorme. [...]
I giornalisti che non conoscono quella regione dicono che [Kadyrov] sta facendo rinascere le tradizioni cecene. È una fesseria. Lui le sta distruggendo. Non sono certo a favore della vendetta di sangue, ma il fatto è che ha contribuito a mantenere per anni una certa stabilità nella regione.
Ramzan è riuscito a interferire e a distruggere anche questo.
Questo è un codardo armato fino ai denti che vive circondato da guardie. Io credo che non diventerà presidente. Dentro di me c'è una una sicurezza intima e profonda, forse perfino intuitiva, in nessun modo razionale, in nessun modo confortata da Alu Alchanov [il presidente ceceno, filorusso, eletto nel 2004 in circostanze sospette, successore del padre di Kadyrov, n.d.T.]. Alu Alchanov è un uomo molto debole. In questo problema di Alchanov sotto molti aspetti c'entra anche l'inasprirsi della violenza sotto il giovane Kadyrov.
Il mio sogno personale nel giorno del compleanno di Kadyrov riguarda solo una cosa. Ne parlo con assoluta serietà. Sogno che si sieda sul banco degli imputati. Sogno una procedura giuridica il più possibile rigorosa con l'enumerazione di tutti suoi crimini, e un'indagine per tutti i reati che ha commesso. A proposito, grazie a tre articoli del nostro giornale - di questo, naturalmente, le altre pubblicazioni non scrivono - è stata promossa un'azione giudiziaria contro Kadyrov a causa dei kadyrovci. Io, per esempio, farò da testimone per una delle accuse, quella che riguarda i rapimenti. Un crimine di cui Kadyrov è accusato è proprio il sequestro di persona - la partecipazione di Ramzan Kadyrov al sequestro di due persone. Il mio sogno è semplicemente questo.
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sabato, ottobre 07, 2006
16 e 20, ora di Mosca
"Il 10 luglio è semplicemente un'altra data sul calendario russo. Capita però che sia l'ultimo giorno utile per apportare cambiamenti a questo libro.
Ieri, in tarda serata, Paul Chlebnikov, redattore capo dell'edizione russa di Forbes Magazine, è stato assassinato a Mosca. L'hanno falciato mentre lasciava la sede della rivista. Chlebnikov era famoso per aver scritto degli oligarchi, della struttura del 'capitalismo malavitoso' russo e delle ingenti somme di denaro sulle quali certi nostri cittadini sono riusciti a mettere le mani. Sempre ieri sera, Viktor Čerepkov è stato fatto saltare in aria a Vladivostok. Era un membro del nostro parlamento, la Duma, e famoso per essersi fatto portavoce dei più deboli e dei più poveri di questa terra. Čerepkov era candidato come sindaco di Vladivostok, sua città natale, la più importante dell'estremo oriente russo. Aveva superato con successo il secondo turno e sembrava avere buone possibilità di essere eletto. Mentre usciva dalla sede del suo comitato elettorale è stato fatto saltare in aria da una mina antiuomo attivata a distanza.
Sì, in Russia è arrivata la stabilità. È una stabilità mostruosa, sotto la quale nessuno cerca giustizia in tribunali che ostentano il proprio servilismo e la propria partigianeria. Nessuna persona sana di mente può cercare protezione nelle istituzioni incaricate di difendere la legge e l'ordine, perché sono completamente corrotte. La legge del taglione è all'ordine del giorno, nella mentalità delle persone e nelle loro azioni. Occhio per occhio, dente per dente."
Anna Politkovskaja, giornalista, 48 anni, assassinata questo pomeriggio a Mosca (il corpo accanto all'ascensore, quattro proiettili, una pistola Makarov).
Il brano è tratto dal suo libro Putin's Russia, Harvill Press, 2004.
Ieri, in tarda serata, Paul Chlebnikov, redattore capo dell'edizione russa di Forbes Magazine, è stato assassinato a Mosca. L'hanno falciato mentre lasciava la sede della rivista. Chlebnikov era famoso per aver scritto degli oligarchi, della struttura del 'capitalismo malavitoso' russo e delle ingenti somme di denaro sulle quali certi nostri cittadini sono riusciti a mettere le mani. Sempre ieri sera, Viktor Čerepkov è stato fatto saltare in aria a Vladivostok. Era un membro del nostro parlamento, la Duma, e famoso per essersi fatto portavoce dei più deboli e dei più poveri di questa terra. Čerepkov era candidato come sindaco di Vladivostok, sua città natale, la più importante dell'estremo oriente russo. Aveva superato con successo il secondo turno e sembrava avere buone possibilità di essere eletto. Mentre usciva dalla sede del suo comitato elettorale è stato fatto saltare in aria da una mina antiuomo attivata a distanza.
Sì, in Russia è arrivata la stabilità. È una stabilità mostruosa, sotto la quale nessuno cerca giustizia in tribunali che ostentano il proprio servilismo e la propria partigianeria. Nessuna persona sana di mente può cercare protezione nelle istituzioni incaricate di difendere la legge e l'ordine, perché sono completamente corrotte. La legge del taglione è all'ordine del giorno, nella mentalità delle persone e nelle loro azioni. Occhio per occhio, dente per dente."
Anna Politkovskaja, giornalista, 48 anni, assassinata questo pomeriggio a Mosca (il corpo accanto all'ascensore, quattro proiettili, una pistola Makarov).
Il brano è tratto dal suo libro Putin's Russia, Harvill Press, 2004.
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