Sto infine per traslocare.
È normale che abbia questo strano desiderio di nascondermi nella cassapanca con il signor G. e un chilo di fondotinta per tutte le evenienze?
Che poi facevamo che io ero nella cassapanca e voi mi portavate qualcosa da mangiare e le notizie del giorno, e così non si faceva nessun trasloco. Che i nuovi inquilini imparavano ad amarmi e forse a rispettarmi, io continuavo a usare la loro connessione internet ma a mangiare pochissimo, il pomeriggio facevo partire il videoregistratore così non serviva mettere il timer, la mattina sgusciavo dalla cassapanca e andavo a comprare le brioche e i krapfen con la marmellata, e facevo anche il pane per tutti, per le feste e per i battesimi, portavo a scuola i bambini e gli facevo i compiti di nascosto. Che andavo alle riunioni di condominio e a pagare l'ici. Che il signor G. pattinava per casa come un matto lucidando il pavimento. Che mettevo alla porta con cortesia e fermezza i testimoni di Geova e i rappresentanti del Folletto Hoover.
E invece no. Devo prendere questi 4300 libri e inscatolarli, chiedendomi cosa me ne faccio della storia del baccalà, come si giustifica un manuale di danza del ventre, e perché possiedo una vecchia edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray che ha come titolo Doriano Gray dipinto. Prendere il ritratto 50x70 del maresciallo Tito e incartarlo.
Prendere quella madonna placcata oro zecchino su base di legno regalata da chissà chi e trovare il coraggio di abbandonarla sul raccordo Gorizia-Villesse, insieme al gruppo di pietra portoghese raffigurante nonno che fuma la pipa e legge il giornale, fanciullo triste e cane mesto (o nonno mesto, cane che legge il giornale e fanciullo che fuma), regalo lo so io di chi (parlo di te, Umberto N.). Scalpellare la targhetta "attention chat bizarre" e salutare la piastrella "Deu vos guard", che invoca la benevolenza di un dio straniero e fa pendant con il gruppo di pietra (Umberto, sempre tu: conoscerai la mia vendetta).
Nel cassetto dell'angoliera ho scoperto un pennino vecchissimo marca "Impero", ossidato. Sotto l'angoliera, invece, una pallina rosa e nera del signor G., una cartina argentata e una moneta da un euro. In quel momento il felino e io ci siamo guardati e abbiamo allungato zampa e mano contemporaneamente sul malloppo, grati alla divinità che nasconde le cose e poi te le fa ritrovare impolverate.
Dietro ai libri di ricette, in cucina, ho trovato un topolino di peluche della gatta, nascosto dalla divinità specializzata in pugni allo stomaco e colpi bassi.
Il mio medico mi ha appena comunicato con soddisfazione pettegola che tra i miei nuovi vicini di casa ci sono alcuni suoi colleghi. Mi destabilizza, questa concentrazione: immagino già l'agonia dei viaggi in ascensore con l'ematologa che scruta la mia faccia pallida e mi propone un controllo delle piastrine. O il fisiatra che mentre esco di casa mi grida dietro "su con quella schiena, e che cazzo". Al dentista non voglio nemmeno pensarci.
Il signor G. domani andrà dai miei con il suo beauty case e la prossima settimana - dopo essere stato pettinato, vezzeggiato, baciato e interrogato senza sosta e dunque fino allo sfinimento da mia madre - sarà depositato in una casa sconosciuta già abitata in precedenza da un gatto obeso e provvista di un divano nuovo di mia scelta e gusto. Marcherà il suo territorio diligentemente e poi stravaccandosi felice sul plaid si guarderà attorno con fare scettico pensando: "sta' a vedere che con tutti questi medici c'è pure un Mengele di veterinario, con la sfiga che gira ultimamente."
Voglio arrivare lì e attaccare il quadro degli anni Sessanta con le due facce della luna, il poster incorniciato di The Great Bear e il ritratto di Peter Sellers di Bill Brandt. Bruciare le erbette dell'amica di Alessandra ("guarda che non si fumano, ma allora lo vedi che sei scema!") e accendere le sue candele magiche perché non si sa mai e magari non farlo porta pegola. Poi mettere via i libri e sperare che il tecnico della Telecom tanto gentile che mi ha detto che mi telefona sul cellulare martedì pomeriggio e mercoledì mi mette la linea non sia un mitomane o uno scappato dal manicomio o un troll padano (un fan, invece, escluderei).
La sera tardi voglio farmi una cioccolata calda, sedermi sul divano e aspettare, chiedendomi per la centesima volta come ho fatto a prestare tutta la serie di Douglas Adams. E poi finalmente sentire un urlo angosciato e le parole "chi ha appeso il ritratto di Tito nell'armadio guardaroba?".
A quel punto, lo sapete voi e lo so anch'io, mi scapperà il primo sorriso della giornata.
giovedì, dicembre 15, 2005
La regressione da trasloco
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Non ci posso credere
Per mettere fine agli abusi (leggete pure torture), gli Stati Uniti ispezioneranno le carceri gestite dagli iracheni.
New York Times, mica The Onion.
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mercoledì, dicembre 14, 2005
La realtà e la manipolazione dei media
Quello che segue è tratto da un'intervista di Joshua Holland di Alternet a Larry Beinhart, scrittore e saggista interessato all'influenza della politica sui mezzi di informazione di massa. L'ho trovata interessante per come smonta i meccanismi che governano i media statunitensi, facendo riferimento ad alcuni casi specifici.
Beinhart è autore del libro Fog Facts: Searching for Truth in the Land of Spin. E proprio di fog facts (che ho tradotto liberamente come "fatti fumosi", a prendersi qualche altra libertà mi verrebbe da scrivere "nebbia dell'informazione") parla questa intervista.
Cosa sono i "fatti fumosi"?
Sono cose che sono state pubblicate e rese note, ma scomparse poi sullo sfondo in una specie di nebbia. E ci sono molti fatti che dovrebbero scomparire così, le curiosità, le stupidaggini, e tutte quelle cose che non abbiamo bisogno di sapere. Ma ora sto parlando di cose importanti, cose che, se portate in primo piano, sono in grado di cambiare la nostra visione della realtà.
Come diventa “fumoso”, un fatto?
Con alcune eccezioni, le notizie non sono da subito e automaticamente grandi notizie. Le eccezioni sono la morte di un papa, il campionato del mondo, gli tsunami, i vulcani, le guerre, o almeno quelle che ci coinvolgono. Ma la maggioranza delle notizie diventa tale - comprese le guerre - grazie ai comunicati stampa. L'esempio che uso sempre, visto che ci troviamo in una piccola cittadina, è il calendario della serie minore. Se il calendario della serie minore è sul giornale, è solo perché l'allenatore o sua moglie glielo spediscono.
La maggior parte delle notizie nasce come comunicato stampa, conferenza stampa o dichiarazione. E se vuole restare tra le notizie, deve avere nuovi comunicati stampa e nuove storie da raccontare. Ci deve lavorare su qualcuno, che deve investire tempo ed energie per farci su una storia più grossa. E se non lo fa nessuno, può anche non diventare affatto una storia, può restare una notizia isolata. Ha presente, pagina 12 del New York Times, pagina 26.
E in parte ciò che accade è che coloro che lavorano nei media - specialmente nell'ambiente della carta stampata - pensano che se hanno riferito una notizia hanno fatto il loro lavoro. Il loro lavoro non consiste nel determinare quale sarà l'effetto sulla popolazione, come assorbiremo quella notizia, quanto ci colpirà - non è quello, il loro lavoro. Non fanno che prendere un fatto e metterlo in pagina. E hanno finito. Se poi la notizia si ripresenta, con un nuovo comunicato stampa o una nuova svolta, la seguono.
Un ottimo esempio è il denaro di Oil-for-Food. Tutti in America sanno che c'è una specie di scandalo su quello che le Nazioni Unite hanno fatto del denaro di Oil-for-Food. Non sanno esattamente cos'è, ma sanno che è uno scandalo, che Kofi Annan ha fatto qualcosa di sporco. Ora, per quel che si sa, la corruzione e il malaffare hanno riguardato al massimo centinaia di migliaia di dollari, escluso il denaro su cui Saddam Hussein fu in grado di mettere le mani, cosa che fu generalmente approvata e permessa da tutti. Comunque, i torti delle Nazioni Unite si possono definire minori.
Dopo la conquista statunitense dell'Iraq il denaro di Oil-for-Food fu trasferito a una nuova entità, la CPA, l'Autorità provvisoria della coalizione diretta da Paul Bremer. E circa 9 miliardi di dollari di quel petrolio andarono nelle casse della CPA, oltre a circa 10 miliardi di altri fondi. Questo denaro veniva essenzialmente custodito per conto del governo iracheno. Adesso ne sono scomparsi circa 19 miliardi.
Se ricordo bene, dei 20 miliardi ne è rimasto solo mezzo. E la cosa è emersa solo in tre notizie. La ragione è che non esiste un gruppo di potere che influenzi i media americani al quale interessi qualcosa dei soldi iracheni. C'è invece un ampio gruppo di potere che odia l'ONU. E odia l'ONU perché la semplice idea di porre delle restrizioni all'autorità sovrana degli Stati Uniti è una cosa che lo irrita infinitamente. Così questo gruppo di potere non vedeva l'ora di trovare il modo per infangare l'ONU, e dunque lavorarono su quella storia, la spinsero, e di conseguenza ne abbiamo sentito parlare moltissimo.
E così una notizia è rimasta nebulosa e confusa, l'altra è diventata un fatto ben noto.
Un altro esempio si ha quando sono gli stessi mezzi di informazione a decidere di creare un fatto fumoso, perché non vogliono che qualcosa si sappia. Il caso più noto è stato il nuovo conteggio dei voti dopo le elezioni del 2000 in Florida, che fu pagato dai media stessi. Ci furono così tante controversie su quel voto che New York Times, Washington Post, Tribune Company - cioè Chicago Tribune - Los Angeles Times, CNN, Wall Street Journal and St. Petersburg Times si misero insieme e dissero che avremmo ricalcolato quei voti per scoprire chi aveva vinto davvero. Lo fecero e ci spesero un milione di dollari. E il vero vincitore avrebbe fatto notizia.
Era questa la cosa eccitante. Se scoprivano che aveva vinto Al Gore, sarebbe stata una notizia ben più grossa che se avesse vinto Bush. Quella è notizia vecchia, chi se ne frega? E quando contarono tutti i voti da cui si potesse capire con certezza la scelta di voto, vinse Al Gore.
Così i titoli avrebbero dovuto essere "Al Gore ha ricevuto più voti" o "Al Gore avrebbe dovuto diventare presidente" o "Eletto l'uomo sbagliato" o "La Corte Suprema blocca la verifica in tempo per salvare Bush." Non è così? Ma i titoli non furono quelli. I titoli furono "Bush ha vinto comunque" "I nuovi conteggi dimostrano che Bush ha vinto", "I nuovi conteggi dimostrano che l'azione della Corte Suprema era inutile."
E il New York Times fu il peggiore di tutti. A meno che non si leggesse la storia con attenzione ragionieristica, era letteralmente impossibile decifrare che Al Gore aveva ricevuto più voti. La verità è che io non ci riuscii. Lessi la storia e pensai, "oh, merda, che delusione." Due anni dopo lessi una storia dell'altro Gore, Vidal, e lui ne parlò. Allora andai a rileggermi il Times. E pensai: "Oh, mio Dio. Al Gore ha preso più voti di George Bush. Incredibile."
E poi lessi tutti gli altri giornali e dissi: "Questo è uno dei più sorprendenti eventi mediatici che io abbia mai visto." Voglio scoprire come tutti e sette hanno preso la stessa decisione di affossare la storia. Non di negarla, ma di affossarla così da poter dire con la coscienza pulita: "abbiamo riferito la verità." E l'hanno fatto. Ma l'hanno manipolata così pesantemente che perfino i più impegnati, le persone di sinistra e i blogger se la sono persa.
[Questa è solo una parte. L'intervista, in cui si parla di 11 settembre, di manipolazione dell'opinione pubblica utilizzando i metodi delle pubbliche relazioni e del futuro del giornalismo oggettivo, è per intero sul miro 2.0.]
Beinhart è autore del libro Fog Facts: Searching for Truth in the Land of Spin. E proprio di fog facts (che ho tradotto liberamente come "fatti fumosi", a prendersi qualche altra libertà mi verrebbe da scrivere "nebbia dell'informazione") parla questa intervista.
Cosa sono i "fatti fumosi"?
Sono cose che sono state pubblicate e rese note, ma scomparse poi sullo sfondo in una specie di nebbia. E ci sono molti fatti che dovrebbero scomparire così, le curiosità, le stupidaggini, e tutte quelle cose che non abbiamo bisogno di sapere. Ma ora sto parlando di cose importanti, cose che, se portate in primo piano, sono in grado di cambiare la nostra visione della realtà.
Come diventa “fumoso”, un fatto?
Con alcune eccezioni, le notizie non sono da subito e automaticamente grandi notizie. Le eccezioni sono la morte di un papa, il campionato del mondo, gli tsunami, i vulcani, le guerre, o almeno quelle che ci coinvolgono. Ma la maggioranza delle notizie diventa tale - comprese le guerre - grazie ai comunicati stampa. L'esempio che uso sempre, visto che ci troviamo in una piccola cittadina, è il calendario della serie minore. Se il calendario della serie minore è sul giornale, è solo perché l'allenatore o sua moglie glielo spediscono.
La maggior parte delle notizie nasce come comunicato stampa, conferenza stampa o dichiarazione. E se vuole restare tra le notizie, deve avere nuovi comunicati stampa e nuove storie da raccontare. Ci deve lavorare su qualcuno, che deve investire tempo ed energie per farci su una storia più grossa. E se non lo fa nessuno, può anche non diventare affatto una storia, può restare una notizia isolata. Ha presente, pagina 12 del New York Times, pagina 26.
E in parte ciò che accade è che coloro che lavorano nei media - specialmente nell'ambiente della carta stampata - pensano che se hanno riferito una notizia hanno fatto il loro lavoro. Il loro lavoro non consiste nel determinare quale sarà l'effetto sulla popolazione, come assorbiremo quella notizia, quanto ci colpirà - non è quello, il loro lavoro. Non fanno che prendere un fatto e metterlo in pagina. E hanno finito. Se poi la notizia si ripresenta, con un nuovo comunicato stampa o una nuova svolta, la seguono.
Un ottimo esempio è il denaro di Oil-for-Food. Tutti in America sanno che c'è una specie di scandalo su quello che le Nazioni Unite hanno fatto del denaro di Oil-for-Food. Non sanno esattamente cos'è, ma sanno che è uno scandalo, che Kofi Annan ha fatto qualcosa di sporco. Ora, per quel che si sa, la corruzione e il malaffare hanno riguardato al massimo centinaia di migliaia di dollari, escluso il denaro su cui Saddam Hussein fu in grado di mettere le mani, cosa che fu generalmente approvata e permessa da tutti. Comunque, i torti delle Nazioni Unite si possono definire minori.
Dopo la conquista statunitense dell'Iraq il denaro di Oil-for-Food fu trasferito a una nuova entità, la CPA, l'Autorità provvisoria della coalizione diretta da Paul Bremer. E circa 9 miliardi di dollari di quel petrolio andarono nelle casse della CPA, oltre a circa 10 miliardi di altri fondi. Questo denaro veniva essenzialmente custodito per conto del governo iracheno. Adesso ne sono scomparsi circa 19 miliardi.
Se ricordo bene, dei 20 miliardi ne è rimasto solo mezzo. E la cosa è emersa solo in tre notizie. La ragione è che non esiste un gruppo di potere che influenzi i media americani al quale interessi qualcosa dei soldi iracheni. C'è invece un ampio gruppo di potere che odia l'ONU. E odia l'ONU perché la semplice idea di porre delle restrizioni all'autorità sovrana degli Stati Uniti è una cosa che lo irrita infinitamente. Così questo gruppo di potere non vedeva l'ora di trovare il modo per infangare l'ONU, e dunque lavorarono su quella storia, la spinsero, e di conseguenza ne abbiamo sentito parlare moltissimo.
E così una notizia è rimasta nebulosa e confusa, l'altra è diventata un fatto ben noto.
Un altro esempio si ha quando sono gli stessi mezzi di informazione a decidere di creare un fatto fumoso, perché non vogliono che qualcosa si sappia. Il caso più noto è stato il nuovo conteggio dei voti dopo le elezioni del 2000 in Florida, che fu pagato dai media stessi. Ci furono così tante controversie su quel voto che New York Times, Washington Post, Tribune Company - cioè Chicago Tribune - Los Angeles Times, CNN, Wall Street Journal and St. Petersburg Times si misero insieme e dissero che avremmo ricalcolato quei voti per scoprire chi aveva vinto davvero. Lo fecero e ci spesero un milione di dollari. E il vero vincitore avrebbe fatto notizia.
Era questa la cosa eccitante. Se scoprivano che aveva vinto Al Gore, sarebbe stata una notizia ben più grossa che se avesse vinto Bush. Quella è notizia vecchia, chi se ne frega? E quando contarono tutti i voti da cui si potesse capire con certezza la scelta di voto, vinse Al Gore.
Così i titoli avrebbero dovuto essere "Al Gore ha ricevuto più voti" o "Al Gore avrebbe dovuto diventare presidente" o "Eletto l'uomo sbagliato" o "La Corte Suprema blocca la verifica in tempo per salvare Bush." Non è così? Ma i titoli non furono quelli. I titoli furono "Bush ha vinto comunque" "I nuovi conteggi dimostrano che Bush ha vinto", "I nuovi conteggi dimostrano che l'azione della Corte Suprema era inutile."
E il New York Times fu il peggiore di tutti. A meno che non si leggesse la storia con attenzione ragionieristica, era letteralmente impossibile decifrare che Al Gore aveva ricevuto più voti. La verità è che io non ci riuscii. Lessi la storia e pensai, "oh, merda, che delusione." Due anni dopo lessi una storia dell'altro Gore, Vidal, e lui ne parlò. Allora andai a rileggermi il Times. E pensai: "Oh, mio Dio. Al Gore ha preso più voti di George Bush. Incredibile."
E poi lessi tutti gli altri giornali e dissi: "Questo è uno dei più sorprendenti eventi mediatici che io abbia mai visto." Voglio scoprire come tutti e sette hanno preso la stessa decisione di affossare la storia. Non di negarla, ma di affossarla così da poter dire con la coscienza pulita: "abbiamo riferito la verità." E l'hanno fatto. Ma l'hanno manipolata così pesantemente che perfino i più impegnati, le persone di sinistra e i blogger se la sono persa.
[Questa è solo una parte. L'intervista, in cui si parla di 11 settembre, di manipolazione dell'opinione pubblica utilizzando i metodi delle pubbliche relazioni e del futuro del giornalismo oggettivo, è per intero sul miro 2.0.]
martedì, dicembre 13, 2005
Lui ha un piano (ce l'ha?)
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Benvenuti
"I think we are welcomed. But it was not a peaceful welcome."
G. W. Bush sull'Iraq.
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lunedì, dicembre 12, 2005
Il presepe e la performativa fase mistica
"Papa denuncia materialismo affacciandosi a balcone di edificio di marmo con cupola dorata, attorniato da icone religiose incastonate di gioielli mentre indossa gigantesca croce d'oro."
titolo di Fark, via J-Walk Blog.
C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."
Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.
Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.
Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.
titolo di Fark, via J-Walk Blog.
C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."
Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.
Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.
Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.
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domenica, dicembre 11, 2005
Il numero 3 del quartierino
Leggendo questo pezzo della CNN in cui si dice che i quattro volontari del Christian Peacemaker Team rapiti il 26 novembre stavano raccogliendo informazioni sulle torture in Iraq, mi sono imbattuta nella notizia della cattura a Ramadi di Amir Khalaf Fanus, detto "il macellaio". E ho scoperto che nel suo piccolo anche il macellaio è un numero 3: il numero 3 sulla lista dei ricercati stilata dalla 2nd Brigade Combat Team che pattuglia l'area occidentale di Baghdad. Insomma un numero 3 di riserva, praticamente un caposcala.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.
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Make-up:
Fondotinta 3-in-1 Inevitable Beauty, Eyeliner e Mascara Catch me if you can n. 1, l'irrinunciabile rossetto rosso estremo Butcher Red.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.
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Fondotinta 3-in-1 Inevitable Beauty, Eyeliner e Mascara Catch me if you can n. 1, l'irrinunciabile rossetto rosso estremo Butcher Red.
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venerdì, dicembre 09, 2005
Comunicazione di servizio
Mi sono accorta che il blog ha appena compiuto tre anni e mi sono detta: perché lasciare quando posso raddoppiare?
Così d'ora in poi i pezzi lunghi e le traduzioni verranno dapprima pubblicate sia qui, sia su http://mirumir.altervista.org, e in seguito probabilmente finiranno solo lì.
Fatevi coraggio, resta sempre in piedi l'ipotesi di registrarvi delle cassette da ascoltare nel sonno.
Così d'ora in poi i pezzi lunghi e le traduzioni verranno dapprima pubblicate sia qui, sia su http://mirumir.altervista.org, e in seguito probabilmente finiranno solo lì.
Fatevi coraggio, resta sempre in piedi l'ipotesi di registrarvi delle cassette da ascoltare nel sonno.
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giovedì, dicembre 08, 2005
Categorie merceologiche
La chiave di ricerca del giorno è: "water nei negozi di sanitaria". Attenzione, neanche sanitari, ma sanitaria: cioè quel genere di posto dall'aria triste e illuminato al neon dove si comprano le panciere, gli apparecchi per aerosol, certi sandali per infermieri e gli orrendi plantari anatomici che usa mia suocera e che sospetto siano fatti di pelle umana neanche tanto trattata.
(E questa volta non dite che è colpa mia e che me li merito, eccetera eccetera)
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lunedì, dicembre 05, 2005
La regina di picche
"one of [Saddam's] closest aides", "a figure on the US playing card deck of most-wanted Iraqis", "lieutenant", "key role", "Queen of Spades"...
Oh, no, ditemi che non dobbiamo rimetterci a contare anche i vice di Saddam.
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Make-up:
Fondotinta Flexilift Teint n. 3, ombretto Queen of Shades nei toni del grigio e del malva, e per lunghe ciglia stregamaschi il mascara Oh my Lieutenant! n. 1.
Oh, no, ditemi che non dobbiamo rimetterci a contare anche i vice di Saddam.
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Make-up:
Fondotinta Flexilift Teint n. 3, ombretto Queen of Shades nei toni del grigio e del malva, e per lunghe ciglia stregamaschi il mascara Oh my Lieutenant! n. 1.
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domenica, dicembre 04, 2005
Il numero 3 numero 4
Ieri un missile della CIA lanciato da un Predator ha ucciso in Pakistan il numero 3 di Bin Laden, Hamza Rabia. Questo dovrebbe essere almeno il quarto numero 3 di al-Qaeda. Era succeduto al numero 3 che lo precedeva, Abu Faraj al Libbi, a sua volta subentrato a Khalid Sheikh Mohammed, prima del quale c'era Abu Zubaida.
Insomma, il concetto sarebbe che appena il posto numero 3 si libera, il numero 4 sale in classifica.
Riepilogando, siamo a 35 vice di al-Zarqawi e a quattro numeri 3 di Bin Laden.
Insomma, il concetto sarebbe che appena il posto numero 3 si libera, il numero 4 sale in classifica.
Riepilogando, siamo a 35 vice di al-Zarqawi e a quattro numeri 3 di Bin Laden.
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Make-up:
Per un trucco delicato ma impeccabile, fondotinta Aera Teint n. 458, Ombretto Color Intrigue n. 107 o Darling Pink n. 803, rossetto Couleur&Brillance Divinora n. 208, smalto Predator Rose n. 538.
Make-up:
Per un trucco delicato ma impeccabile, fondotinta Aera Teint n. 458, Ombretto Color Intrigue n. 107 o Darling Pink n. 803, rossetto Couleur&Brillance Divinora n. 208, smalto Predator Rose n. 538.
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venerdì, dicembre 02, 2005
Dove ho sbagliato?
Gli ultimi referrals: "franz ferdinand ferro da stiro", "foto o filmati come annodare la cravatta", "portachiavi all'uncinetto" (questa potrebbe essere mia suocera a corto di idee per i regali), "french kiss lingue" (adesso gli faccio un disegnino), "dove vengono salvate le conversazioni telefoniche" (eh, cari miei), "previsioni da giocare al lotto 1-12-2005", "soffitti sfondati" (no, qui solo esplosivi nei controsoffitti), il sempreverde "zar della steppa" e una grande richiesta di "fonduta bourguignonne". Uno solo che si è applicato e ha cercato "fosforobianco" - tutto attaccato, come nei tag di delicious. E uno "sciti torturano sunniti", che però potrebbe anche essere un sadico.
Chi mi dice qual è il nesso tra i Franz Ferdinand e un ferro da stiro vince una playlist dei quattro di Glasgow o un anticalcare, a scelta.
Chi mi dice qual è il nesso tra i Franz Ferdinand e un ferro da stiro vince una playlist dei quattro di Glasgow o un anticalcare, a scelta.
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giovedì, dicembre 01, 2005
Un incontro costruttivo
Auditorium di Ramadi. Gli arabi sunniti dicono di esser lì per un unico motivo, e cioè sentir parlare di ritiro statunitense. I militari americani invece sono lì per incoraggiare i capi tribali a entrare nell'esercito iracheno.
"Incredibile", commenta il capitano Nash, comandante dei marines a Ramadi, riferendosi ai capi sunniti che affollano la sala. "Sono venuti, e non avevo mai assistito a una cosa del genere." Un giornalista iracheno gli ha risposto: "Ai tempi di Saddam avrebbero sacrificato una pecora per visite come questa. Oggi penso che potrebbero macellare voi."
Frasi notevoli pronunciate dai leader sunniti:
"Vogliamo il ritiro."
"Crediamo che questa sia un'occupazione illegittima, e che la resistenza sia legittima."
"Rendiamo onore al popolo americano perché dopo aver visto la televisione via satellite sappiamo che è pronto ad andarsene."
"La gente di Fallujah ama Cindy Sheehan."
Frasi notevoli pronunciate dagli ufficiali statunitensi e iracheni:
"Siamo coinvolti nel problema del ritiro."
"La cosa migliore che possiate fare è convincere i vostri figli a entrare nell'esercito e nella polizia." Eccetera.
Tradurre è un po' tradire, e il fatto che gli interpreti degli Stati Uniti siano stati accuratamente scelti tra arabi non iracheni accentua il problema e favorisce le incomprensioni: mentre in sala si alzano le grida di insoddisfazione e qualcuno comincia a puntare loro il dito contro, gli americani sono ancora convinti che si tratti "di un incontro molto utile".
Dice il brigadier generale Williams della seconda divisione dei marines:
"Siamo qui per risolvere i problemi. Sono problemi complessi. Non esistono soluzioni facili, ma esistono delle soluzioni."
Traduzione dell'interprete, un libanese ormai stanco dopo cinque ore di estenuanti colloqui: "Non ho tempo da perdere. Anche se voi avete tempo da perdere, non è giornata."
"Può funzionare," ha commentato un generale iracheno, comandante dell'esercito già ai tempi di Saddam, a incontro terminato.
In effetti, i marines non hanno fatto la fine della pecora.
Fonte: "U.S. Debate on Pullout Resonates As Troops Engage Sunnis in Talks", Washington Post.
"Incredibile", commenta il capitano Nash, comandante dei marines a Ramadi, riferendosi ai capi sunniti che affollano la sala. "Sono venuti, e non avevo mai assistito a una cosa del genere." Un giornalista iracheno gli ha risposto: "Ai tempi di Saddam avrebbero sacrificato una pecora per visite come questa. Oggi penso che potrebbero macellare voi."
Frasi notevoli pronunciate dai leader sunniti:
"Vogliamo il ritiro."
"Crediamo che questa sia un'occupazione illegittima, e che la resistenza sia legittima."
"Rendiamo onore al popolo americano perché dopo aver visto la televisione via satellite sappiamo che è pronto ad andarsene."
"La gente di Fallujah ama Cindy Sheehan."
Frasi notevoli pronunciate dagli ufficiali statunitensi e iracheni:
"Siamo coinvolti nel problema del ritiro."
"La cosa migliore che possiate fare è convincere i vostri figli a entrare nell'esercito e nella polizia." Eccetera.
Tradurre è un po' tradire, e il fatto che gli interpreti degli Stati Uniti siano stati accuratamente scelti tra arabi non iracheni accentua il problema e favorisce le incomprensioni: mentre in sala si alzano le grida di insoddisfazione e qualcuno comincia a puntare loro il dito contro, gli americani sono ancora convinti che si tratti "di un incontro molto utile".
Dice il brigadier generale Williams della seconda divisione dei marines:
"Siamo qui per risolvere i problemi. Sono problemi complessi. Non esistono soluzioni facili, ma esistono delle soluzioni."
Traduzione dell'interprete, un libanese ormai stanco dopo cinque ore di estenuanti colloqui: "Non ho tempo da perdere. Anche se voi avete tempo da perdere, non è giornata."
"Può funzionare," ha commentato un generale iracheno, comandante dell'esercito già ai tempi di Saddam, a incontro terminato.
In effetti, i marines non hanno fatto la fine della pecora.
Fonte: "U.S. Debate on Pullout Resonates As Troops Engage Sunnis in Talks", Washington Post.
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mercoledì, novembre 30, 2005
Se non vogliono, non vogliono
Secondo il direttore della CIA Porter Goss, Bin Laden e al-Zarqawi non sono ancora stati trovati "principalmente perché non vogliono che li troviamo, e stanno facendo di tutto per assicurarsi che non li troviamo."
Ha!
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Make-up:
Per i due di al-Qaeda, Pure Pops Brush-on Color Pure Chameleon e Pure Color Nail Lacquer Chameleon Prism. Per Mr. Goss, un make-up polveroso ed etereo e Vanilla Kiss Body Shimmer (trasforma la pelle in una fonte di luce).
Ha!
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Make-up:
Per i due di al-Qaeda, Pure Pops Brush-on Color Pure Chameleon e Pure Color Nail Lacquer Chameleon Prism. Per Mr. Goss, un make-up polveroso ed etereo e Vanilla Kiss Body Shimmer (trasforma la pelle in una fonte di luce).
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martedì, novembre 29, 2005
I SEALS lo facevano meglio
Questi sono lunghi estratti da una recente intervista di Amy Goodman di Democracy Now a Tony Lagouranis, ex-specialista addetto agli interrogatori dell'esercito americano. Una decina di giorni fa l'ho tradotta velocemente per farla leggere a un amico. Pensavo che presto ne avrebbero parlato giornali e blog, ma non ha ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato (o almeno, non in Italia). Per questo oggi ho deciso di riportarne sul blog alcune parti, soprattutto quelle in cui Lagouranis descrive alcune tecniche di interrogatorio, quello che vide a Fallujah e i metodi usati dai marines Force Recon alla base di North Babel.
GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?
LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.
GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?
LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?
LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.
GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?
LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.
GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?
LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.
GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?
LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.
GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?
LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.
GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?
LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.
[...]
GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?
LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.
[...]
GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Cosa faceva laggiù?
LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.
GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?
LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.
GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?
LAGOURANIS: 500.
GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?
LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.
GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?
LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.
GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?
LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.
GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?
LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...
GOODMAN: E lei cosa diceva?
LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.
GOODMAN: E le donne e i bambini?
LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.
GOODMAN: Ne avete discusso?
LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.
GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?
LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.
GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?
LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.
[...]
A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.
GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?
LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.
GOODMAN: E cosa raccontavano?
LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.
GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?
LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.
GOODMAN: Perché era bollente?
LAGOURANIS: Esatto.
GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?
LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.
GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?
LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...
GOODMAN: Che intende dire?
LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.
GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?
LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.
[...]
GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?
LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.
GOODMAN: Be'..
LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.
GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?
LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.
Fonte: Democracy Now!
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Perché voi valete:
Palette Model'Eyes con quattro ombretti e una base per attenuare le occhiaie e illuminare lo sguardo, mascara Extreme ("extension immediata"), fondotinta Sensual Clone, fard Joues Contrast rosa, sulle labbra Wet Cream Lipgloss n° 13.
GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?
LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.
GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?
LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?
LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.
GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?
LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.
GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?
LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.
GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?
LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.
GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?
LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.
GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?
LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.
[...]
GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?
LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.
[...]
GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Cosa faceva laggiù?
LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.
GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?
LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.
GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?
LAGOURANIS: 500.
GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?
LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.
GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?
LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.
GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?
LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.
GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?
LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...
GOODMAN: E lei cosa diceva?
LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.
GOODMAN: E le donne e i bambini?
LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.
GOODMAN: Ne avete discusso?
LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.
GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?
LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.
GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?
LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.
[...]
A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.
GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?
LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.
GOODMAN: E cosa raccontavano?
LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.
GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?
LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.
GOODMAN: Perché era bollente?
LAGOURANIS: Esatto.
GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?
LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.
GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?
LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...
GOODMAN: Che intende dire?
LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.
GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?
LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.
[...]
GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?
LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.
GOODMAN: Be'..
LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.
GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?
LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.
Fonte: Democracy Now!
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Perché voi valete:
Palette Model'Eyes con quattro ombretti e una base per attenuare le occhiaie e illuminare lo sguardo, mascara Extreme ("extension immediata"), fondotinta Sensual Clone, fard Joues Contrast rosa, sulle labbra Wet Cream Lipgloss n° 13.
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lunedì, novembre 28, 2005
Al-Jazeera, Belgrado 99 e amnesie
Stavo mettendo giù qualche scomposta riflessione (io scrivo riflessione, ma voi leggete pure delirio) sull'indignazione dei media di fronte al caso "BushBlairAl-Jazeera" e la loro mancata reazione al bombardamento NATO della radiotelevisione serba nel 1999 (e per una guerra altrettanto ingiusta), quando ho letto questo splendido articolo di Brendan O'Neill intitolato "Al-Jazeera, Serbia, and Liberal Amnesia. When killing journalists was permissible". Dice quello su cui stavo rimuginando da un paio di giorni - e immagino di non essere la sola - ma lo dice molto meglio.
Eccone alcuni estratti (ci si dilunga un po', procuratevi alcuni generi di conforto):
“Non sorprende che i giornalisti vogliano difendere i colleghi [di Al-Jazeera] da un presidente dal grilletto facile, soprattutto considerando che l’esercito americano ha già colpito gli uffici di Al-Jazeera a Kabul nel novembre del 2001 e i suoi inviati in Iraq. Ma ho una domanda da fare. Perché alcuni giornalisti sembrano più indignati per le presunte minacce e offese del presidente Bush nei confronti di una stazione televisiva di quanto lo siano stati quando un altro presidente giunse a bombardarne una?
Perché danno sfogo a tanta rabbia e indignazione per l’incidente di Bush e Al-Jazeera, mentre finsero di non vedere - e tentarono addirittura di giustificare - il vergognoso bombardamento della televisione serba ne 1999 che provocò la morte e il ferimento di molti dipendenti?
[…]
Quando la NATO - con Clinton e Blair al comando - bombardò la sede della radiotelevisione serba a Belgrado il 23 aprile 1999, non si trattò di uno scherzo. Accadde veramente. Nel mezzo della notte, alle 2.20 del mattino - dei missili Cruise distrussero l’ingresso dell’edificio e ridussero in macerie almeno uno studio. C’erano circa 120 persone al lavoro, in quel momento; almeno 16 rimasero uccise, ed altre 16 furono ferite. Erano tutti civili, per lo più tecnici e operatori. John Simpson della BBC raccontò di aver visto ‘il corpo di una giovane truccatrice… sul pavimento di un camerino.’
Fu un attacco intenzionale ai lavoratori civili del settore dell’informazione. La NATO parlò apertamente e senza vergogna di questi attacchi come di un mezzo per segnar punti nella guerra di propaganda e indebolire ulteriormente il controllo del presidente Milosevic sulla Serbia.
[...]
Oggi i giornalisti si chiedono se Blair abbia o no preso sul serio la battuta di Bush sul bombardamento di Al-Jazeera. Non fateci caso. Ecco quello che disse Blair - in pubblico, ufficialmente - sul bombardamento e l’uccisione dei giornalisti nella campagna del Kosovo: i media ‘sono l’apparato che mantiene [Milosevic] al potere e siamo totalmente giustificati in quanto alleati NATO a danneggiare e a colpire quegli obiettivi.’
Anche l’ex ministro britannico Clare Short - che si è dimessa perché contraria alla guerra in Iraq e adesso posa da guerriera pacifista - giustificò il bombardamento dei giornalisti nel 1999. Disse allora: ‘Questa è una guerra, questo è un grave conflitto, vengono commessi e taciuti degli orrori. La macchina della propaganda sta prolungando la guerra ed è un bersaglio legittimo.’ Raccontatelo alla famiglia della giovane truccatrice.
Gli attacchi erano progettati per causare il massimo danno alla stazione televisiva, e, per citare un ufficiale statunitense, si sperava che i bombardamenti avessero ‘il massimo impatto in termini di propaganda a livello nazionale e internazionale’ per la NATO. La rivista militare Jane’s Defense Weekly riferì nel luglio del 2000 che gli strateghi della NATO avevano stabilito quali parti dell’edificio ospitassero con maggiore probabilità i sistemi di controllo dell’impianto antincendio, e che i missili erano programmati per colpire proprio questi punti, così che l’incendio causato dalle bombe potesse diffondersi più rapidamente e fosse più difficile estinguerlo.
Clinton, Blair e i loro compari della NATO giustificarono questi attacchi come ‘legittimi’ tentativi di indebolire il nemico colpendo la macchina della sua propaganda. Vogliono farci credere che gli operatori, i tecnici del suono e una truccatrice fossero quelli che mantenevano Milosevic al potere? In verità, il bombardamento segnò un nuovo minimo storico nella guerra ‘umanitaria’ privilegiata da Clinton e Blair: fu fatto per colpire i civili; fu progettato per causare il massimo danno; e serviva a dare una mano sul piano nazionale e internazionale a Stati Uniti e Gran Bretagna.
[...]
E tuttavia, l’indignazione tra i giornalisti per questo attacco ai loro colleghi si fece notare per la propria assenza; fu senz’altro più smorzata delle manifestazioni di sdegno che hanno accolto le rivelazioni sull’incidente Bush-Blair. In Gran Bretagna alcuni sindacati della stampa si rifiutarono perfino di condannare il bombardamento della sede della RTS. Il BECTU [Broadcasting Entertainment Cinematograph and Theatre Union] evitò perfino di commentare l’attacco e proibì che il proprio nome figurasse nelle manifestazioni pacifiste.
Ci fu un tono quasi celebrativo nei servizi che il Guardian dedicò al bombardamento della RTS. Nel suo primo pezzo dopo l’attacco, il quotidiano ripeté le giustificazioni della NATO senza metterle in discussione, dichiarando: ‘nel primo mattino la NATO ha attaccato il cuore della base del potere del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic bombardando la sede della televisione di stato serba, interrompendo le trasmissioni nel mezzo di un notiziario.’
[...]
Alcuni giornalisti condannarono il bombardamento, non perché fosse moralmente e politicamente ingiusto, ma perché regalava una ‘vittoria di propaganda’ agli oppositori della guerra. L’editorialista del Guardian Polly Toynbee, che era favorevole ai bombardamenti, disse: ‘è stato un inutile atto di follia bombardare la stazione radiotelevisiva serba,’ poiché non era altro che un ‘regalo ai molti critici della NATO.’
Naturalmente vi furono giornalisti che presero posizione contro il bombardamento della tv serba. In Gran Bretagna, per esempio, il portavoce del Sindacato nazionale dei giornalisti si oppose con forza all’attacco. Ma in generale - in un momento in cui i mezzi di informazione non solo appoggiavano l’intervento ma lo incoraggiavano entusiasticamente - vi fu una certa indifferenza verso questo vergognoso attacco ai lavoratori dell’informazione: più un senso di imbarazzo che una reale opposizione.
Questa disparità tra l’atteggiamento dei media nell’incidente di Al-Jazeera e la loro reazione al bombardamento della TV serba da parte di Clinton è rivelatrice.
Da Clare Short ai giornalisti del Guardian ai rappresentanti sindacali, alcuni di coloro che oggi mettono in ridicolo la guerra illegale di Blair e Bush all’Iraq erano in prima linea nell’appoggiare una guerra altrettanto illegale per il Kosovo (neanche quell’intervento si guadagnò l’appoggio unanime delle Nazioni Unite). Anzi, alcuni degli argomenti che usarono per giustificare gli attacchi alla Jugoslavia - come la necessità di punire un ‘dittatore colpevole di genocidio’, di proteggere una ‘popolazione vulnerabile’ e di adempiere all'‘impegno internazionale’ di diffondere la pace e l’armonia - sono stati ripetuti da Bush e Blair con riferimento all’Iraq.
I giornalisti, specie di convinzioni liberali e di sinistra, hanno atteggiamenti molto contraddittori nei confronti delle guerre d’aggressione occidentali. Questo significa che non sono nella posizione migliore per lamentarsi degli aspetti della guerra in Iraq, visto che il loro supino consenso alla guerra del Kosovo ha preparato la strada ai successivi interventi in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003.”
Eccone alcuni estratti (ci si dilunga un po', procuratevi alcuni generi di conforto):
“Non sorprende che i giornalisti vogliano difendere i colleghi [di Al-Jazeera] da un presidente dal grilletto facile, soprattutto considerando che l’esercito americano ha già colpito gli uffici di Al-Jazeera a Kabul nel novembre del 2001 e i suoi inviati in Iraq. Ma ho una domanda da fare. Perché alcuni giornalisti sembrano più indignati per le presunte minacce e offese del presidente Bush nei confronti di una stazione televisiva di quanto lo siano stati quando un altro presidente giunse a bombardarne una?
Perché danno sfogo a tanta rabbia e indignazione per l’incidente di Bush e Al-Jazeera, mentre finsero di non vedere - e tentarono addirittura di giustificare - il vergognoso bombardamento della televisione serba ne 1999 che provocò la morte e il ferimento di molti dipendenti?
[…]
Quando la NATO - con Clinton e Blair al comando - bombardò la sede della radiotelevisione serba a Belgrado il 23 aprile 1999, non si trattò di uno scherzo. Accadde veramente. Nel mezzo della notte, alle 2.20 del mattino - dei missili Cruise distrussero l’ingresso dell’edificio e ridussero in macerie almeno uno studio. C’erano circa 120 persone al lavoro, in quel momento; almeno 16 rimasero uccise, ed altre 16 furono ferite. Erano tutti civili, per lo più tecnici e operatori. John Simpson della BBC raccontò di aver visto ‘il corpo di una giovane truccatrice… sul pavimento di un camerino.’
Fu un attacco intenzionale ai lavoratori civili del settore dell’informazione. La NATO parlò apertamente e senza vergogna di questi attacchi come di un mezzo per segnar punti nella guerra di propaganda e indebolire ulteriormente il controllo del presidente Milosevic sulla Serbia.
[...]
Oggi i giornalisti si chiedono se Blair abbia o no preso sul serio la battuta di Bush sul bombardamento di Al-Jazeera. Non fateci caso. Ecco quello che disse Blair - in pubblico, ufficialmente - sul bombardamento e l’uccisione dei giornalisti nella campagna del Kosovo: i media ‘sono l’apparato che mantiene [Milosevic] al potere e siamo totalmente giustificati in quanto alleati NATO a danneggiare e a colpire quegli obiettivi.’
Anche l’ex ministro britannico Clare Short - che si è dimessa perché contraria alla guerra in Iraq e adesso posa da guerriera pacifista - giustificò il bombardamento dei giornalisti nel 1999. Disse allora: ‘Questa è una guerra, questo è un grave conflitto, vengono commessi e taciuti degli orrori. La macchina della propaganda sta prolungando la guerra ed è un bersaglio legittimo.’ Raccontatelo alla famiglia della giovane truccatrice.
Gli attacchi erano progettati per causare il massimo danno alla stazione televisiva, e, per citare un ufficiale statunitense, si sperava che i bombardamenti avessero ‘il massimo impatto in termini di propaganda a livello nazionale e internazionale’ per la NATO. La rivista militare Jane’s Defense Weekly riferì nel luglio del 2000 che gli strateghi della NATO avevano stabilito quali parti dell’edificio ospitassero con maggiore probabilità i sistemi di controllo dell’impianto antincendio, e che i missili erano programmati per colpire proprio questi punti, così che l’incendio causato dalle bombe potesse diffondersi più rapidamente e fosse più difficile estinguerlo.
Clinton, Blair e i loro compari della NATO giustificarono questi attacchi come ‘legittimi’ tentativi di indebolire il nemico colpendo la macchina della sua propaganda. Vogliono farci credere che gli operatori, i tecnici del suono e una truccatrice fossero quelli che mantenevano Milosevic al potere? In verità, il bombardamento segnò un nuovo minimo storico nella guerra ‘umanitaria’ privilegiata da Clinton e Blair: fu fatto per colpire i civili; fu progettato per causare il massimo danno; e serviva a dare una mano sul piano nazionale e internazionale a Stati Uniti e Gran Bretagna.
[...]
E tuttavia, l’indignazione tra i giornalisti per questo attacco ai loro colleghi si fece notare per la propria assenza; fu senz’altro più smorzata delle manifestazioni di sdegno che hanno accolto le rivelazioni sull’incidente Bush-Blair. In Gran Bretagna alcuni sindacati della stampa si rifiutarono perfino di condannare il bombardamento della sede della RTS. Il BECTU [Broadcasting Entertainment Cinematograph and Theatre Union] evitò perfino di commentare l’attacco e proibì che il proprio nome figurasse nelle manifestazioni pacifiste.
Ci fu un tono quasi celebrativo nei servizi che il Guardian dedicò al bombardamento della RTS. Nel suo primo pezzo dopo l’attacco, il quotidiano ripeté le giustificazioni della NATO senza metterle in discussione, dichiarando: ‘nel primo mattino la NATO ha attaccato il cuore della base del potere del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic bombardando la sede della televisione di stato serba, interrompendo le trasmissioni nel mezzo di un notiziario.’
[...]
Alcuni giornalisti condannarono il bombardamento, non perché fosse moralmente e politicamente ingiusto, ma perché regalava una ‘vittoria di propaganda’ agli oppositori della guerra. L’editorialista del Guardian Polly Toynbee, che era favorevole ai bombardamenti, disse: ‘è stato un inutile atto di follia bombardare la stazione radiotelevisiva serba,’ poiché non era altro che un ‘regalo ai molti critici della NATO.’
Naturalmente vi furono giornalisti che presero posizione contro il bombardamento della tv serba. In Gran Bretagna, per esempio, il portavoce del Sindacato nazionale dei giornalisti si oppose con forza all’attacco. Ma in generale - in un momento in cui i mezzi di informazione non solo appoggiavano l’intervento ma lo incoraggiavano entusiasticamente - vi fu una certa indifferenza verso questo vergognoso attacco ai lavoratori dell’informazione: più un senso di imbarazzo che una reale opposizione.
Questa disparità tra l’atteggiamento dei media nell’incidente di Al-Jazeera e la loro reazione al bombardamento della TV serba da parte di Clinton è rivelatrice.
Da Clare Short ai giornalisti del Guardian ai rappresentanti sindacali, alcuni di coloro che oggi mettono in ridicolo la guerra illegale di Blair e Bush all’Iraq erano in prima linea nell’appoggiare una guerra altrettanto illegale per il Kosovo (neanche quell’intervento si guadagnò l’appoggio unanime delle Nazioni Unite). Anzi, alcuni degli argomenti che usarono per giustificare gli attacchi alla Jugoslavia - come la necessità di punire un ‘dittatore colpevole di genocidio’, di proteggere una ‘popolazione vulnerabile’ e di adempiere all'‘impegno internazionale’ di diffondere la pace e l’armonia - sono stati ripetuti da Bush e Blair con riferimento all’Iraq.
I giornalisti, specie di convinzioni liberali e di sinistra, hanno atteggiamenti molto contraddittori nei confronti delle guerre d’aggressione occidentali. Questo significa che non sono nella posizione migliore per lamentarsi degli aspetti della guerra in Iraq, visto che il loro supino consenso alla guerra del Kosovo ha preparato la strada ai successivi interventi in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003.”
Il cuore e l'anima della compagnia
Su Crooks and Liars, il video dei mercenari che sparano con fucili automatici per le strade di Baghdad (apparentemente si tratta della route Irish, "la strada più pericolosa del mondo", quella che porta all'aeroporto), colpendo macchine di civili iracheni a caso. Ne aveva parlato ieri il Sunday Telegraph: il filmato era apparso per la prima volta su www.aegisIraq.co.uk e in seguito rimosso. Sull'homepage sta scritto: "Questo sito non appartiene alla Aegis Defence Ltd, appartiene agli uomini sul campo che rappresentano il cuore e l'anima della compagnia."
La Aegis nega che si tratti di propri dipendenti; comunque, in almeno uno dei filmati si sentono delle voci con accento scozzese o irlandese.
Certo: aegis significa protezione.
La Aegis nega che si tratti di propri dipendenti; comunque, in almeno uno dei filmati si sentono delle voci con accento scozzese o irlandese.
Certo: aegis significa protezione.
domenica, novembre 27, 2005
Il numero 35
Bilal Mahmud Awad Shebah, noto con il nome di Abu Ubaydah, era confidente, guardiano, messaggero e segretario personale di Al Zarqawi. In breve, il braccio destro numero 35.
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venerdì, novembre 25, 2005
You have to do it with candor
L'ex direttore pasticcione e raccomandato della FEMA, Michael Brown, ha un nuovo lavoro: dirigerà in Colorado una ditta di consulenze nel settore della gestione dei disastri e delle emergenze.
In pratica, insegnerà ai clienti come evitare di commettere i suoi stessi errori.
Quando gli hanno chiesto come intende affrontare questo nuovo compito, ha risposto: "You have to do it with candor".
Fonti: CNN, SHNS.
In pratica, insegnerà ai clienti come evitare di commettere i suoi stessi errori.
Quando gli hanno chiesto come intende affrontare questo nuovo compito, ha risposto: "You have to do it with candor".
Fonti: CNN, SHNS.
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mercoledì, novembre 23, 2005
Il cartaro truffaldino
Scrivevano Bonini e D'Avanzo poco tempo fa, a proposito del "cartaro truffaldino" Rocco Martino e del falso dossier sull'uranio del Niger:
"Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, 'di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938'.
Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: 'È vero, c'è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigeriano), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di disinformazione'.
Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell''operazione'. Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.
Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il '77 'allontanato per difetti di comportamento'. Nell'85 arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, 'fino al 1999' collabora ancora con il Sismi. E' un doppiogiochista."
È emerso un particolare che a me sembra nuovo: l'ex-analista della National Security Agency Wayne Madsen (il suo sito non ha i permalink, basta fare una ricerca nel testo con il nome "Martino") ha scritto ieri che Rocco Martino ha lavorato ufficiosamente per George H.W. Bush negli anni Ottanta: "Martino, che ha mantenuto la residenza in Lussemburgo, fa parte di una complessa rete di individui che figurarono come elementi di primo piano nella vicenda Iran-Contra. Tra di essi vi sono Michael Ledeen, Manucher Ghorbanifar, Adnan Khashoggi, e altri protagonisti di quell'operazione segreta che si sarebbe trasformata in uno scandalo di grandi proporzioni per l'amministrazione Reagan." Questa informazione verrebbe da fonti dell'intelligence statunitense.
Che Madsen disponga di molte fonti tra amici ed ex amici all'interno dei servizi segreti americani, si era capito già in questa intervista sulla morte di Nicola Calipari risalente allo scorso mese di maggio, nella quale di fatto anticipava informazioni sul falso dossier sull'uranio nigeriano e il ruolo avuto dagli italiani: "Secondo i miei contatti nel governo americano, le persone coinvolte in incontri segreti che hanno portato alla guerra in Iraq comprendono il neo-conservatore Michael Ledeen, sua figlia Simone Ledeen, il sedicente agente a tempo del SISMI, Rocco Martino, Ghorbanifar, il funzionario del Pentagono Larry Franklin recentemente arrestato come spia israeliana, il suo superiore al Pentagono, Harold Rhode che è anche ufficiale di collegamento con l’attuale Ministro del Petrolio iracheno, Ahmad Chalabi. Penso che molti dettagli emergeranno su questa storia."
Cosmesi:
Prima di dormire, Eau de Soin demaquillante, Lozione detergente pelli intolleranti, maschera nutriente Yellowcake, crema Coherence Rass notte.
"Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, 'di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938'.
Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: 'È vero, c'è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigeriano), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di disinformazione'.
Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell''operazione'. Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.
Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il '77 'allontanato per difetti di comportamento'. Nell'85 arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, 'fino al 1999' collabora ancora con il Sismi. E' un doppiogiochista."
È emerso un particolare che a me sembra nuovo: l'ex-analista della National Security Agency Wayne Madsen (il suo sito non ha i permalink, basta fare una ricerca nel testo con il nome "Martino") ha scritto ieri che Rocco Martino ha lavorato ufficiosamente per George H.W. Bush negli anni Ottanta: "Martino, che ha mantenuto la residenza in Lussemburgo, fa parte di una complessa rete di individui che figurarono come elementi di primo piano nella vicenda Iran-Contra. Tra di essi vi sono Michael Ledeen, Manucher Ghorbanifar, Adnan Khashoggi, e altri protagonisti di quell'operazione segreta che si sarebbe trasformata in uno scandalo di grandi proporzioni per l'amministrazione Reagan." Questa informazione verrebbe da fonti dell'intelligence statunitense.
Che Madsen disponga di molte fonti tra amici ed ex amici all'interno dei servizi segreti americani, si era capito già in questa intervista sulla morte di Nicola Calipari risalente allo scorso mese di maggio, nella quale di fatto anticipava informazioni sul falso dossier sull'uranio nigeriano e il ruolo avuto dagli italiani: "Secondo i miei contatti nel governo americano, le persone coinvolte in incontri segreti che hanno portato alla guerra in Iraq comprendono il neo-conservatore Michael Ledeen, sua figlia Simone Ledeen, il sedicente agente a tempo del SISMI, Rocco Martino, Ghorbanifar, il funzionario del Pentagono Larry Franklin recentemente arrestato come spia israeliana, il suo superiore al Pentagono, Harold Rhode che è anche ufficiale di collegamento con l’attuale Ministro del Petrolio iracheno, Ahmad Chalabi. Penso che molti dettagli emergeranno su questa storia."
Cosmesi:
Prima di dormire, Eau de Soin demaquillante, Lozione detergente pelli intolleranti, maschera nutriente Yellowcake, crema Coherence Rass notte.
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martedì, novembre 22, 2005
Il fosforo bianco sono gli altri
Per minimizzare l'impatto politico delle rivelazioni sull'uso del fosforo bianco a Fallujah da parte dell'esercito americano, il Pentagono ha sostenuto che le munizioni al fosforo sono legali perché non sono tecnicamente "armi chimiche."
Gabriele Zamparini dà notizia di un documento del Pentagono risalente al 1995 intitolato “Possible Use of Phosphorous Chemical”, che descrive l'uso che Saddam Hussein fece del fosforo bianco contro i curdi. Il documento, ripreso anche da Think Progress, sarebbe questo.
Vi si legge:
"L'Iraq potrebbe aver impiegato armi chimiche al fosforo contro la popolazione curda in aree lungo i confini tra Iraq, Iran e Turchia. […]
Alla fine di febbraio del 1991, dopo la schiacciante vittoria delle forze della coalizione in Iraq, i ribelli curdi intensificarono la loro lotta contro l'esercito iracheno nell'Iraq settentrionale. Durante la brutale repressione che seguì alla sollevazione curda, le forze irachene leali al presidente Saddam (Hussein) potrebbero aver usato arme chimiche al fosforo bianco (WP) contro i ribelli curdi e la popolazione delle province irachene di Erbil (GEOCOORD:3412N/04401E) (nei pressi del confine iraniano) e Dohuk (GEOCOORD:3652N/04301E) (nei pressi del confine iracheno). [sic. qui dovrebbe stare scritto confine turco, credo]"
Se questo documento è autentico, ne possiamo dedurre che il Pentagono definisce il fosforo bianco un'arma chimica quando viene usata dal nemico.
La gente di Fallujah, naturalmente, sarebbe morta comunque, anche usando mezzi convenzionali. È importante, allora, che siano state usate anche armi chimiche? Sì, lo è. Come scrive oggi George Monbiot sul Guardian "chiunque abbia visto le foto di reduci della prima guerra mondiale resi ciechi dalle armi chimiche comprenderà le ragioni della legge internazionale, e i pericoli impliciti nella sua violazione." Ma, aggiunge, "non dobbiamo dimenticare che l'uso di armi chimiche è stato un crimine di guerra all'interno di un crimine di guerra all'interno di un altro crimine di guerra. L'invasione dell'Iraq e l'attacco di Fallujah sono stati atti d'aggressione illegali. Prima di attaccare Fallujah, i marines impedirono di lasciare la città agli uomini in grado di combattere. Anche molte donne e bambini rimasero: il corrispondente del Guardian ha stimato che in città restarono tra i 30.000 e i 50.000 civili. I marines trattarono Fallujah come se i suoi unici abitanti fossero i combattenti. Rasero al suolo migliaia di edifici, negarono illegalmente l'accesso alla Mezzaluna Rossa irachena e secondo lo special rapporteur dell'ONU, usarono 'la fame e la mancanza d'acqua come armi contro la popolazione civile.'"
Monbiot ricorda un'altra cosa importante, e cioè che "su un'arma d'assalto usata dai marines erano montate delle testate contenenti 'circa un 35% di esplosivo termobarico e un 65% di esplosivo standard.'" Le utilizzarono per causare il crollo dei tetti e schiacciare gli insorti asserragliati, e lo fecero ripetutamente: "L'impiego di esplosivo per sgombrare le case fu enorme. Un articolo pubblicato nel 2000 descrive gli effetti che queste armi provocarono quando furono usate dai russi a Grozny. Le armi termobariche o fuel-air, secondo questo articolo, formano una nuvola di gas volatili o di esplosivi finemente polverizzati. 'Questa nuvola successivamente si incendia e risucchia l'ossigeno dell'area circostante. La mancanza d'ossigeno crea un'enorme pressione... chi si trova sotto questa nube muore letteralmente schiacciato. Al di fuori di quest'area l'onda d'urto viaggia a circa 3000 metri al secondo... Di conseguenza, un esplosivo fuel-air può avere gli effetti di un'arma tattica nucleare senza provocare radiazioni... Chi si trova direttamente sotto la nuvola muore incenerito o a causa della pressione. Chi si trova ai margini può riportare ferite molto gravi: ustioni, fratture, contusioni, cecità. La pressione può inoltre causare embolia, commozioni cerebrali, emorragie interne multiple al fegato e alla milza, collasso dei polmoni, rottura dei timpani e spostamento degli occhi dalle orbite.'"
Conclude Monbiot che "è molto difficile capire come si siano potute usare queste armi a Fallujah senza uccidere dei civili."
Dunque il problema diventa: "esiste un crimine che le forze della coalizione non abbiano commesso in Iraq?". Esiste?
Make up
Armi segrete: lucidalabbra Phyto-Lip n. 1, fondotinta mousse Matte Soufflé n. 620, cipria multicolor: Météorites Poudre Pressée, col. Winter Radiance (WR).
Gabriele Zamparini dà notizia di un documento del Pentagono risalente al 1995 intitolato “Possible Use of Phosphorous Chemical”, che descrive l'uso che Saddam Hussein fece del fosforo bianco contro i curdi. Il documento, ripreso anche da Think Progress, sarebbe questo.
Vi si legge:
"L'Iraq potrebbe aver impiegato armi chimiche al fosforo contro la popolazione curda in aree lungo i confini tra Iraq, Iran e Turchia. […]
Alla fine di febbraio del 1991, dopo la schiacciante vittoria delle forze della coalizione in Iraq, i ribelli curdi intensificarono la loro lotta contro l'esercito iracheno nell'Iraq settentrionale. Durante la brutale repressione che seguì alla sollevazione curda, le forze irachene leali al presidente Saddam (Hussein) potrebbero aver usato arme chimiche al fosforo bianco (WP) contro i ribelli curdi e la popolazione delle province irachene di Erbil (GEOCOORD:3412N/04401E) (nei pressi del confine iraniano) e Dohuk (GEOCOORD:3652N/04301E) (nei pressi del confine iracheno). [sic. qui dovrebbe stare scritto confine turco, credo]"
Se questo documento è autentico, ne possiamo dedurre che il Pentagono definisce il fosforo bianco un'arma chimica quando viene usata dal nemico.
La gente di Fallujah, naturalmente, sarebbe morta comunque, anche usando mezzi convenzionali. È importante, allora, che siano state usate anche armi chimiche? Sì, lo è. Come scrive oggi George Monbiot sul Guardian "chiunque abbia visto le foto di reduci della prima guerra mondiale resi ciechi dalle armi chimiche comprenderà le ragioni della legge internazionale, e i pericoli impliciti nella sua violazione." Ma, aggiunge, "non dobbiamo dimenticare che l'uso di armi chimiche è stato un crimine di guerra all'interno di un crimine di guerra all'interno di un altro crimine di guerra. L'invasione dell'Iraq e l'attacco di Fallujah sono stati atti d'aggressione illegali. Prima di attaccare Fallujah, i marines impedirono di lasciare la città agli uomini in grado di combattere. Anche molte donne e bambini rimasero: il corrispondente del Guardian ha stimato che in città restarono tra i 30.000 e i 50.000 civili. I marines trattarono Fallujah come se i suoi unici abitanti fossero i combattenti. Rasero al suolo migliaia di edifici, negarono illegalmente l'accesso alla Mezzaluna Rossa irachena e secondo lo special rapporteur dell'ONU, usarono 'la fame e la mancanza d'acqua come armi contro la popolazione civile.'"
Monbiot ricorda un'altra cosa importante, e cioè che "su un'arma d'assalto usata dai marines erano montate delle testate contenenti 'circa un 35% di esplosivo termobarico e un 65% di esplosivo standard.'" Le utilizzarono per causare il crollo dei tetti e schiacciare gli insorti asserragliati, e lo fecero ripetutamente: "L'impiego di esplosivo per sgombrare le case fu enorme. Un articolo pubblicato nel 2000 descrive gli effetti che queste armi provocarono quando furono usate dai russi a Grozny. Le armi termobariche o fuel-air, secondo questo articolo, formano una nuvola di gas volatili o di esplosivi finemente polverizzati. 'Questa nuvola successivamente si incendia e risucchia l'ossigeno dell'area circostante. La mancanza d'ossigeno crea un'enorme pressione... chi si trova sotto questa nube muore letteralmente schiacciato. Al di fuori di quest'area l'onda d'urto viaggia a circa 3000 metri al secondo... Di conseguenza, un esplosivo fuel-air può avere gli effetti di un'arma tattica nucleare senza provocare radiazioni... Chi si trova direttamente sotto la nuvola muore incenerito o a causa della pressione. Chi si trova ai margini può riportare ferite molto gravi: ustioni, fratture, contusioni, cecità. La pressione può inoltre causare embolia, commozioni cerebrali, emorragie interne multiple al fegato e alla milza, collasso dei polmoni, rottura dei timpani e spostamento degli occhi dalle orbite.'"
Conclude Monbiot che "è molto difficile capire come si siano potute usare queste armi a Fallujah senza uccidere dei civili."
Dunque il problema diventa: "esiste un crimine che le forze della coalizione non abbiano commesso in Iraq?". Esiste?
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Armi segrete: lucidalabbra Phyto-Lip n. 1, fondotinta mousse Matte Soufflé n. 620, cipria multicolor: Météorites Poudre Pressée, col. Winter Radiance (WR).
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domenica, novembre 20, 2005
Due gradi di separazione
(Avvertenza: mi avete concesso democraticamente un po' di teoria del complotto, di tanto in tanto. Sit back and enjoy.)
Allora, gli attentati di Amman. Capisco che i giornalisti italiani in quei giorni scioperavano e che la notizia non è stata seguita benissimo – salvo poi dare grande rilievo alla kamikaze mancata, fotografata con tanto di corpetto esplosivo – ma la versione ufficiale e accettata sembra fatta apposta per un'innocua esercitazione di dietrologia.
Il soffitto
Probabilmente un esperto di esplosioni sarebbe in grado di spiegarmi come mai i soffitti del Radisson erano sfondati mentre le pareti vicine ai luoghi delle esplosioni sono rimaste praticamente intatte, quindi su questo non mi soffermerò più di tanto. Però al dietrologo dilettante verrebbe da dire che c'erano delle bombe sul/nel soffitto, non che si sono fatte saltare in aria delle persone. Ah, dimenticavo: di bombe posizionate nel controsoffitto parlava il primo lancio Reuters (ne parlano Al Jazeera qui, e anche il Daily Star, qui).
La kamikaze mancata
Storia dell'Associated Press: la donna ha detto che lei e il marito indossavano cinture esplosive quando sono entrati nella sala da ballo del Radisson in cui si trovavano centinaia di persone, compresi dei bambini, ospiti di una festa di matrimonio giordano-palestinese. "Mio marito indossava una cintura e ne fece indossare una anche a me. Mi insegnò come usarla, come tirare e farla esplodere," ha detto. "Mio marito fece esplodere la sua bomba. Io cercai di far esplodere la mia cintura, ma non ci riuscii. Me ne andai, c'era gente che scappava e io scappai fuori con loro." Nella versione dell'Associated Press, il vice primo ministro Muasher aggiunge un particolare importante: il marito, vedendo che la donna non riusciva a farsi esplodere, la spinse fuori dalla sala da ballo, e poi si fece saltare in aria.
La stessa storia su Al Jazeera è raccontata così: "Entrammo nell'albergo. Mio marito andò in un angolo e io andai nell'altro. Nell'albergo c'era un matrimonio. C'erano donne e bambini. Mio marito fece esplodere la sua bomba, io cercai di far esplodere la mia, ma non funzionava. La gente scappava e anch'io scappai con loro".
Allora il marito la spinse fuori prima di farsi esplodere o no? E soprattutto, perché avrebbe dovuto farlo?
Parenti serpenti
La donna è stata arrestata la domenica mattina successiva all'attentato in una "casa sicura" che si trova nello stesso quartiere in cui il marito e gli altri avevano affittato un appartamento immobiliato. I servizi giordani si sono basati sul comunicato di rivendicazione dei tre attacchi terroristici firmato dall'Organizzazione di al Qaeda per la Jihad in Giordania, in cui si parlava di una donna tra gli attentatori. Come abbiano fatto a trovare il nascondiglio "sicuro", non si sa. Visto che era, per l'appunto, "sicuro".
Infatti la versione negli ultimi giorni è cambiata ancora una volta: niente più luogo sicuro, la donna si era rifugiata a Salt, chiedendo ospitalità alla famiglia del defunto marito di sua sorella. Il defunto marito della sorella non era uno qualunque, ma Nidal Arabiyat, un alleato di al-Zarqawi che era rimasto ucciso in uno scontro con gli americani in Iraq nel 2003, secondo le fonti ufficiali del governo giordano. E mica solo un alleato: no, addirittura un esperto di esplosivi. Il mondo è piccolo.
Non volevo, uffaQui la storia si fa appassionante, perché al-Zarkawi interpreta il suo solito cameo. Innanzitutto bisogna osservare che le rivendicazioni del fantomatico al-Zarkawi sono sempre precise, tempestive e aggiungono utili dettagli. In questo caso alla rivendicazione è perfino seguita una seconda dichiarazione. O questo signore è un grafomane, o qualcuno stava dando dei ritocchi strategici alla storia. Poi, venerdì scorso è arrivata un'ulteriore precisazione di al-Zarqawi, ovviamente in una registrazione radio diffusa su internet: non voleva colpire i fedeli musulmani intenti a partecipare alle feste nuziali. Da una notizia AGI: "una puntualizzazione che sembra confermare quanto stragi così sanguinose, che hanno provocato nel complesso almeno 58 morti, abbiano messo seriamente in imbarazzo il super-terrorista di origini giordane, luogotenente di Osama bin Laden in Iraq, per lo sdegno che hanno suscitato prima di tutto nello stesso mondo islamico." In imbarazzo.
Insomma, 'sta al Qaeda per la Jihad nella Terra dei Due Fiumi credeva che gli alberghi fossero "covi di agenti dei servizi segreti americani, israeliani e giordani", quando la proprietà del Radisson di Amman è giordano-palestinese. Infatti sono stati fatti fuori i capi dell'intelligence palestinese e alcuni cinesi, oltre ai molti civili giordani, e lasciamo pure perdere l'articolo di Haaretz, poi smentito, secondo cui prima degli attentati alcuni israeliani erano stati fatti uscire dal Radisson dai servizi di sicurezza giordani (nel sito del quotidiano ci sono ancora le due versioni: uno e due). Ma invece no, al Quaeda pensava che lì ci fosse il megaraduno dell'asse del male.
Il soffitto, reloaded
Nella necessità di spiegarsi del "super-terrorista" c'è un altro strano riferimento: "L'idea che si siano fatti esplodere nel mezzo di festeggiamenti per un matrimonio è una bugia del regime giordano... l'obiettivo era un incontro di servizi segreti, solo che a causa dell'esplosione è crollato il soffitto sugli ospiti del ricevimento".
Ci teneva, a spiegare perché fosse crollato il soffitto. E poi uno non deve pensar male.
Due gradi di separazione
Ma se c'è una cosa che mi fa impazzire è che praticamente tutti gli iracheni sembrano essere divisi da non più di due gradi di separazione da al-Zarqawi. In questo caso, Sajida Mubarak Atrous al-Rishawi, la kamikaze mancata, è la sorella del defunto Mubarak Atrous al-Rishawi, già braccio destro (ma non sappiamo quale numero) di al Zarqawi ucciso non si sa quando a Fallujah. E suo cognato - l'esperto di esplosivi, morto anche lui in battaglia - era un altro braccio destro. Naturalmente, in questo modo gli Stati Uniti possono dire che al-Zarqawi è ormai alle corde, perché è costretto a mandare a morire i suoi uomini migliori (e le loro sorelle, e i loro mariti, altri elementi validi dell'organizzazione). Il fatto che quattro iracheni debbano farsi la gita suicida in Giordania non si spiega se non con il fatto che Abu Musab è rimasto senza parenti.
E però
Al-Zarqawi non esiste. Se non esiste, possiamo dire che ha i giorni contati. Può scriversi le letterine con al-Zawahiri. Può telefonarsi con Bin Laden. Può fare dichiarazioni. Può anche essere ripudiato dalla sua famiglia.
Se telefonasse in diretta dalla De Filippi io personalmente mi insospettirei, e anche se improvvisamente cominciasse a dire "voi giornalisti fraintendete tutto quel che dico, uffa", però tutto il resto può reggere ancora per un po'.
Un po' di materiale interessante in:
Xymphora, Another day in the Empire, "Did Al Zarqawi really bomb Amman?", Xiaodong People, Uruknet.
Make up
Il fondotinta adatto a questo post dovrebbe essere molto coprente: diciamo l'Unifiance Lissage Optique, da abbinare alla Poudre Coromandel (che uniforma e scalda). E poi, grande ritorno dell'eyeliner con lo Spectacular nero; per sopracciglia ben definite come quelle di al-Zarqawi, Dual Perfection n. 01. E poi due gocce di Baiser du Dragon.
Allora, gli attentati di Amman. Capisco che i giornalisti italiani in quei giorni scioperavano e che la notizia non è stata seguita benissimo – salvo poi dare grande rilievo alla kamikaze mancata, fotografata con tanto di corpetto esplosivo – ma la versione ufficiale e accettata sembra fatta apposta per un'innocua esercitazione di dietrologia.
Il soffitto
Probabilmente un esperto di esplosioni sarebbe in grado di spiegarmi come mai i soffitti del Radisson erano sfondati mentre le pareti vicine ai luoghi delle esplosioni sono rimaste praticamente intatte, quindi su questo non mi soffermerò più di tanto. Però al dietrologo dilettante verrebbe da dire che c'erano delle bombe sul/nel soffitto, non che si sono fatte saltare in aria delle persone. Ah, dimenticavo: di bombe posizionate nel controsoffitto parlava il primo lancio Reuters (ne parlano Al Jazeera qui, e anche il Daily Star, qui).
La kamikaze mancata
Storia dell'Associated Press: la donna ha detto che lei e il marito indossavano cinture esplosive quando sono entrati nella sala da ballo del Radisson in cui si trovavano centinaia di persone, compresi dei bambini, ospiti di una festa di matrimonio giordano-palestinese. "Mio marito indossava una cintura e ne fece indossare una anche a me. Mi insegnò come usarla, come tirare e farla esplodere," ha detto. "Mio marito fece esplodere la sua bomba. Io cercai di far esplodere la mia cintura, ma non ci riuscii. Me ne andai, c'era gente che scappava e io scappai fuori con loro." Nella versione dell'Associated Press, il vice primo ministro Muasher aggiunge un particolare importante: il marito, vedendo che la donna non riusciva a farsi esplodere, la spinse fuori dalla sala da ballo, e poi si fece saltare in aria.
La stessa storia su Al Jazeera è raccontata così: "Entrammo nell'albergo. Mio marito andò in un angolo e io andai nell'altro. Nell'albergo c'era un matrimonio. C'erano donne e bambini. Mio marito fece esplodere la sua bomba, io cercai di far esplodere la mia, ma non funzionava. La gente scappava e anch'io scappai con loro".
Allora il marito la spinse fuori prima di farsi esplodere o no? E soprattutto, perché avrebbe dovuto farlo?
Parenti serpenti
La donna è stata arrestata la domenica mattina successiva all'attentato in una "casa sicura" che si trova nello stesso quartiere in cui il marito e gli altri avevano affittato un appartamento immobiliato. I servizi giordani si sono basati sul comunicato di rivendicazione dei tre attacchi terroristici firmato dall'Organizzazione di al Qaeda per la Jihad in Giordania, in cui si parlava di una donna tra gli attentatori. Come abbiano fatto a trovare il nascondiglio "sicuro", non si sa. Visto che era, per l'appunto, "sicuro".
Infatti la versione negli ultimi giorni è cambiata ancora una volta: niente più luogo sicuro, la donna si era rifugiata a Salt, chiedendo ospitalità alla famiglia del defunto marito di sua sorella. Il defunto marito della sorella non era uno qualunque, ma Nidal Arabiyat, un alleato di al-Zarqawi che era rimasto ucciso in uno scontro con gli americani in Iraq nel 2003, secondo le fonti ufficiali del governo giordano. E mica solo un alleato: no, addirittura un esperto di esplosivi. Il mondo è piccolo.
Non volevo, uffaQui la storia si fa appassionante, perché al-Zarkawi interpreta il suo solito cameo. Innanzitutto bisogna osservare che le rivendicazioni del fantomatico al-Zarkawi sono sempre precise, tempestive e aggiungono utili dettagli. In questo caso alla rivendicazione è perfino seguita una seconda dichiarazione. O questo signore è un grafomane, o qualcuno stava dando dei ritocchi strategici alla storia. Poi, venerdì scorso è arrivata un'ulteriore precisazione di al-Zarqawi, ovviamente in una registrazione radio diffusa su internet: non voleva colpire i fedeli musulmani intenti a partecipare alle feste nuziali. Da una notizia AGI: "una puntualizzazione che sembra confermare quanto stragi così sanguinose, che hanno provocato nel complesso almeno 58 morti, abbiano messo seriamente in imbarazzo il super-terrorista di origini giordane, luogotenente di Osama bin Laden in Iraq, per lo sdegno che hanno suscitato prima di tutto nello stesso mondo islamico." In imbarazzo.
Insomma, 'sta al Qaeda per la Jihad nella Terra dei Due Fiumi credeva che gli alberghi fossero "covi di agenti dei servizi segreti americani, israeliani e giordani", quando la proprietà del Radisson di Amman è giordano-palestinese. Infatti sono stati fatti fuori i capi dell'intelligence palestinese e alcuni cinesi, oltre ai molti civili giordani, e lasciamo pure perdere l'articolo di Haaretz, poi smentito, secondo cui prima degli attentati alcuni israeliani erano stati fatti uscire dal Radisson dai servizi di sicurezza giordani (nel sito del quotidiano ci sono ancora le due versioni: uno e due). Ma invece no, al Quaeda pensava che lì ci fosse il megaraduno dell'asse del male.
Il soffitto, reloaded
Nella necessità di spiegarsi del "super-terrorista" c'è un altro strano riferimento: "L'idea che si siano fatti esplodere nel mezzo di festeggiamenti per un matrimonio è una bugia del regime giordano... l'obiettivo era un incontro di servizi segreti, solo che a causa dell'esplosione è crollato il soffitto sugli ospiti del ricevimento".
Ci teneva, a spiegare perché fosse crollato il soffitto. E poi uno non deve pensar male.
Due gradi di separazione
Ma se c'è una cosa che mi fa impazzire è che praticamente tutti gli iracheni sembrano essere divisi da non più di due gradi di separazione da al-Zarqawi. In questo caso, Sajida Mubarak Atrous al-Rishawi, la kamikaze mancata, è la sorella del defunto Mubarak Atrous al-Rishawi, già braccio destro (ma non sappiamo quale numero) di al Zarqawi ucciso non si sa quando a Fallujah. E suo cognato - l'esperto di esplosivi, morto anche lui in battaglia - era un altro braccio destro. Naturalmente, in questo modo gli Stati Uniti possono dire che al-Zarqawi è ormai alle corde, perché è costretto a mandare a morire i suoi uomini migliori (e le loro sorelle, e i loro mariti, altri elementi validi dell'organizzazione). Il fatto che quattro iracheni debbano farsi la gita suicida in Giordania non si spiega se non con il fatto che Abu Musab è rimasto senza parenti.
E però
Al-Zarqawi non esiste. Se non esiste, possiamo dire che ha i giorni contati. Può scriversi le letterine con al-Zawahiri. Può telefonarsi con Bin Laden. Può fare dichiarazioni. Può anche essere ripudiato dalla sua famiglia.
Se telefonasse in diretta dalla De Filippi io personalmente mi insospettirei, e anche se improvvisamente cominciasse a dire "voi giornalisti fraintendete tutto quel che dico, uffa", però tutto il resto può reggere ancora per un po'.
Un po' di materiale interessante in:
Xymphora, Another day in the Empire, "Did Al Zarqawi really bomb Amman?", Xiaodong People, Uruknet.
Make up
Il fondotinta adatto a questo post dovrebbe essere molto coprente: diciamo l'Unifiance Lissage Optique, da abbinare alla Poudre Coromandel (che uniforma e scalda). E poi, grande ritorno dell'eyeliner con lo Spectacular nero; per sopracciglia ben definite come quelle di al-Zarqawi, Dual Perfection n. 01. E poi due gocce di Baiser du Dragon.
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sabato, novembre 19, 2005
Pelle e capelli scuri
I soldati americani in Iraq hanno ucciso finora ben 13 giornalisti dall'inizio dell'invasione e ne stanno tenendo cinque in arresto senza che siano stati incriminati.
I militari dicono che è loro intenzione prevenire l'uccisione di civili, ma che la natura della guerra costringe i soldati a reagire rapidamente per proteggersi. Quindi l'atteggiamento trigger happy delle truppe sarebbe giustificato (boh, questa mi ricorda qualcosa).
Nell'agosto del 2003 gli americani uccisero Mazen Dana, un noto cameraman palestinese che lavorava per la Reuters e che aveva ottenuto il permesso di fare delle riprese all'esterno della prigione di Abu Ghraib. L'inchiesta militare che ne seguì giunse alla conclusione che il soldato che aveva sparato aveva agito ragionevolmente: aveva infatti visto un uomo "con pelle e capelli scuri" e aveva scambiato la telecamera per un lanciagranate.
Ragionevole.
Un altro problema è costituito dai giornalisti imprigionati, attualmente cinque. Il tenente colonnello Rudisill, addetto alle pubbliche relazioni della forza multinazionale in Iraq, ha spiegato che la coalizione ha l'autorità di tenere in arresto chiunque sia sospettato di costituire una minaccia per la sicurezza, e che i detenuti non hanno diritto a un avvocato finché non vengono incriminati: cosa che può richiedere dei mesi e anche non verificarsi mai. Quindi, se vieni arrestato e non incriminato non hai diritto a un avvocato. Questi si prendono da 90 a 120 giorni per decidere se incriminarti o meno. Tre-quattro mesi ad Abu Ghraib sono assicurati, in ogni caso. Poi al limite ti rilasciano perché non sei colpevole. Che metodo.
Ali Mashhadani è stato arrestato in agosto: durante una perquisizione le truppe americane hanno trovato nella sua videocamera del materiale sugli insorti. È finito ad Abu Ghraib senza neanche sapere perché, niente avvocati e niente visite. Samir Mohammed Noor, arrestato in circostanze simili dai soldati iracheni, è stato portato ad Abu Ghraib dentro una coperta, per come lo avevano conciato. Se c'è qualcosa che l'esercito iracheno impara in fretta, sono le cattive lezioni.
Fonte: "Journalists' perils in Iraq highlighted", The Boston Globe.
I militari dicono che è loro intenzione prevenire l'uccisione di civili, ma che la natura della guerra costringe i soldati a reagire rapidamente per proteggersi. Quindi l'atteggiamento trigger happy delle truppe sarebbe giustificato (boh, questa mi ricorda qualcosa).
Nell'agosto del 2003 gli americani uccisero Mazen Dana, un noto cameraman palestinese che lavorava per la Reuters e che aveva ottenuto il permesso di fare delle riprese all'esterno della prigione di Abu Ghraib. L'inchiesta militare che ne seguì giunse alla conclusione che il soldato che aveva sparato aveva agito ragionevolmente: aveva infatti visto un uomo "con pelle e capelli scuri" e aveva scambiato la telecamera per un lanciagranate.
Ragionevole.
Un altro problema è costituito dai giornalisti imprigionati, attualmente cinque. Il tenente colonnello Rudisill, addetto alle pubbliche relazioni della forza multinazionale in Iraq, ha spiegato che la coalizione ha l'autorità di tenere in arresto chiunque sia sospettato di costituire una minaccia per la sicurezza, e che i detenuti non hanno diritto a un avvocato finché non vengono incriminati: cosa che può richiedere dei mesi e anche non verificarsi mai. Quindi, se vieni arrestato e non incriminato non hai diritto a un avvocato. Questi si prendono da 90 a 120 giorni per decidere se incriminarti o meno. Tre-quattro mesi ad Abu Ghraib sono assicurati, in ogni caso. Poi al limite ti rilasciano perché non sei colpevole. Che metodo.
Ali Mashhadani è stato arrestato in agosto: durante una perquisizione le truppe americane hanno trovato nella sua videocamera del materiale sugli insorti. È finito ad Abu Ghraib senza neanche sapere perché, niente avvocati e niente visite. Samir Mohammed Noor, arrestato in circostanze simili dai soldati iracheni, è stato portato ad Abu Ghraib dentro una coperta, per come lo avevano conciato. Se c'è qualcosa che l'esercito iracheno impara in fretta, sono le cattive lezioni.
Fonte: "Journalists' perils in Iraq highlighted", The Boston Globe.
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venerdì, novembre 18, 2005
Overheard in Friuli
– Come va?
– Male, male. Di giorno ho sempre sonno, mi addormento in piedi. Poi verso il tardo pomeriggio mi sveglio e la notte ho l'insonnia.
– Ma da quanto tempo soffri di questi disturbi?
– Da sempre! Ho finito a fatica le scuole medie. Per fortuna alle superiori tutto bene, il massimo dei voti.
– Ah, allora stavi meglio.
– No. Ho fatto le serali.
– Male, male. Di giorno ho sempre sonno, mi addormento in piedi. Poi verso il tardo pomeriggio mi sveglio e la notte ho l'insonnia.
– Ma da quanto tempo soffri di questi disturbi?
– Da sempre! Ho finito a fatica le scuole medie. Per fortuna alle superiori tutto bene, il massimo dei voti.
– Ah, allora stavi meglio.
– No. Ho fatto le serali.
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Comunicazione di servizio
La mia anima complottista stava già sospettando che la Tin volesse dirottarmi su Alice a colpi di disservizi, ma a quanto pare oggi sono ferme tutte le ADSL Telecom del Friuli Venezia Giulia. (mi consola? un po'). Questo significa che per spedire dei file ho dovuto connettermi a 56k. Questo significa che la mia velocità di reazione - e di risposta alle mail - sarà direttamente proporzionale a quella del modem.
In compenso, spero che anche la funzione Autotrolling® sia disabilitata.
In compenso, spero che anche la funzione Autotrolling® sia disabilitata.
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mercoledì, novembre 16, 2005
Come Mogadiscio
Sciiti torturano sunniti: in una prigione segreta, al Ministero degli Interni iracheno, sono stati scoperti 173 prigionieri accusati di "terrorismo" e rapimenti. Al solito: botte, fame, elettricità, buio e paura.
Baghdad "sta diventando sempre più simile a Mogadiscio, ogni giorno che passa", ha commentato un ufficiale americano.
Anche questa ci mancava.
Non è bella, la democrazia?
-------------------
Make-up: per un trucco notturno, un tratto di Pure Color Eyeliner nella tonalità pervinca, sulle ciglia un tocco di mascara Magnascopic blu scuro, fondotinta Individualist matte beige n° 6.
Baghdad "sta diventando sempre più simile a Mogadiscio, ogni giorno che passa", ha commentato un ufficiale americano.
Anche questa ci mancava.
Non è bella, la democrazia?
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Gli exit poll
Considerazioni varie:
1. in effetti la (c) doveva essere "ti tocchi", ma è stata sostituita con il fondotinta coprente nell'esigenza di mantenere il blog entro limiti pudibondi (vi conosco, mascherine, e c'era il rischio che mi sbracaste subito, procurandomi la bandierina nera di objectionable content. Ecco, già che ci siamo, non pasticciate mai con l'angolo in alto a destra di blogger: e non faccio nomi).
2. però scusate, possibile che dobbiamo farci sputtanare subito? C'è stata una finta doppia delega, tra un po' diranno che abbiamo falsificato il sondaggio e che siamo i soliti comunisti.
3. mi sembra di capire che un po' di dietrologia si può fare, nei limiti, abbinandola a consigli di bellezza. Quando parlerò di mascara allungaciglia Bodansky non andate a chiederlo in profumeria.
4. non volevo far saltare la copertura del signorG - smaliziato agente operativo nordcoreano - come se fosse un Valerie Plame qualunque; a questo punto mi trovo costretta a dichiarare aperto il G-gate.
5. grazie per non aver mai preso in considerazione l'ipotesi (a).
I risultati:
due traslochi, tre fondotinta, un qualsiasi cosa tranne il trasloco, un ok per tutto, un'opzione omega,quattro cinque dietrologie, un dubbio sul fondotinta di puffetta e una roba da chiarire sul bambino kinder candidato manciuriano.
1. in effetti la (c) doveva essere "ti tocchi", ma è stata sostituita con il fondotinta coprente nell'esigenza di mantenere il blog entro limiti pudibondi (vi conosco, mascherine, e c'era il rischio che mi sbracaste subito, procurandomi la bandierina nera di objectionable content. Ecco, già che ci siamo, non pasticciate mai con l'angolo in alto a destra di blogger: e non faccio nomi).
2. però scusate, possibile che dobbiamo farci sputtanare subito? C'è stata una finta doppia delega, tra un po' diranno che abbiamo falsificato il sondaggio e che siamo i soliti comunisti.
3. mi sembra di capire che un po' di dietrologia si può fare, nei limiti, abbinandola a consigli di bellezza. Quando parlerò di mascara allungaciglia Bodansky non andate a chiederlo in profumeria.
4. non volevo far saltare la copertura del signorG - smaliziato agente operativo nordcoreano - come se fosse un Valerie Plame qualunque; a questo punto mi trovo costretta a dichiarare aperto il G-gate.
5. grazie per non aver mai preso in considerazione l'ipotesi (a).
I risultati:
due traslochi, tre fondotinta, un qualsiasi cosa tranne il trasloco, un ok per tutto, un'opzione omega,
martedì, novembre 15, 2005
I leoni di Uday
Due iracheni arrestati nel loro paese dalle forze di occupazione americane ma mai accusati di alcun crimine hanno denunciato il trattamento subito.
In particolare, i soldati americani:
– hanno finto di volerli giustiziare, mettendoli al muro e puntando loro addosso i fucili. (ce l'ho)
– li hanno umiliati durante gli interrogatori in varie strutture di detenzione. (ce l'ho)
– li hanno messi in una gabbia di leoni. (leoni? mi manca)
Sherzad Khalid, 35 anni, e Thahe Sabar, 37, dicono di essere stati picchiati brutalmente durante i vari mesi di prigionia trascorsi in posti come Camp Bucca, Abu Ghraib e un'altra struttura di detenzione che si trova all'aeroporto di Baghdad. Le torture hanno avuto luogo perché i due non erano in grado di dire dove si nascondesse Saddam Hussein e di parlare delle armi di distruzione di massa in Iraq. Quando a Sabar fu chiesto delle armi di distruzione di massa e del nascondiglio di Saddam, lui ovviamente si mise a ridere; ovviamente lo picchiarono più forte.
Entrambi uomini d'affari, erano stati arrestati il 17 luglio 2003. Entrambi erano favorevoli all'invasione degli Stati Uniti.
"Per me quello è stato un periodo tremendo," ha detto Khalid, raccontando che fu spinto per ben tre volte dentro una gabbia di leoni in uno dei palazzi presidenziali di Baghdad, prima di finire contro il muro per una finta esecuzione. "Mi chiedevo se l'esercito americano potesse davvero comportarsi in questo modo."
Adesso fanno causa a Rumsfeld e agli alti comandi militari in Iraq.
Fonte: "Abuse Included Use of Lions, Iraqis Allege", Washington Post.
Altre informazioni sul sito dell'American Civil Liberties Union:
Thahe Mohammed Sabar, sposato con quattro figli, è stato in carcere per circa sei mesi e sottoposto a torture e a trattamento crudele e degradante. Adesso ha un problemi nervosi e ci sono momenti in cui perde il controllo, trema e piange.
È stato frequentemente e brutalmente percosso con fucili e armi elettriche. È stato legato a una recinzione e lasciato molte ore a una temperatura di oltre 48° C.
Durante una delle finte fucilazioni, lui ed altri prigionieri hanno perso il controllo della vescica, e sono stati derisi e umiliati. I soldati li hanno minacciati di spedirli a Guantánamo, dove sarebbero morti. Poi: gabbia di leoni, privazione del cibo e dell'acqua, somministrazione di razioni di cibo marcio, divieto di andare in bagno.
Quando l'hanno rilasciato, Sabar è tornato ad Abu Ghraib perché gli restituissero i suoi effetti personali e per chiedere notizie di un amico e di un socio che erano ancora prigionieri. L'hanno rinchiuso di nuovo. Poi l'hanno lasciato andare, senza restituirgli nulla.
Sherzad Kamal Khalid è sposato con quattro figli. Ha fatto due mesi di prigionia. È stato sottoposto a violente percosse e altri crudeli abusi. Il personale militare statunitense gli infliggeva regolarmente e intenzionalmente abusi fisici. Lo hanno preso a calci e pugni per ore dopo averlo legato e incappucciato, terrorizzandolo e ferendolo con colpi a caso e inaspettati.
Poi, minacce di morte e finte esecuzioni. Privazione di sonno, cibo e acqua. Somministrazione di cibo guasto. Divieto di andare in bagno. A un certo punto è stato costretto a restare per alcuni giorni in una "tenda del silenzio", dove veniva picchiato quando dava segno di addormentarsi.
A più di un anno dal rilascio, soffre ancora di ulcere gastriche per una malattia non curata durante la prigionia. Soffre anche di una depressione grave e di incubi.
Khalid e Saber continuano a non saper nulla di armi di distruzioni di massa o di dove cavolo si nascondesse il Saddam.
In compenso adesso sanno dove Uday teneva i grandi felini.
In particolare, i soldati americani:
– hanno finto di volerli giustiziare, mettendoli al muro e puntando loro addosso i fucili. (ce l'ho)
– li hanno umiliati durante gli interrogatori in varie strutture di detenzione. (ce l'ho)
– li hanno messi in una gabbia di leoni. (leoni? mi manca)
Sherzad Khalid, 35 anni, e Thahe Sabar, 37, dicono di essere stati picchiati brutalmente durante i vari mesi di prigionia trascorsi in posti come Camp Bucca, Abu Ghraib e un'altra struttura di detenzione che si trova all'aeroporto di Baghdad. Le torture hanno avuto luogo perché i due non erano in grado di dire dove si nascondesse Saddam Hussein e di parlare delle armi di distruzione di massa in Iraq. Quando a Sabar fu chiesto delle armi di distruzione di massa e del nascondiglio di Saddam, lui ovviamente si mise a ridere; ovviamente lo picchiarono più forte.
Entrambi uomini d'affari, erano stati arrestati il 17 luglio 2003. Entrambi erano favorevoli all'invasione degli Stati Uniti.
"Per me quello è stato un periodo tremendo," ha detto Khalid, raccontando che fu spinto per ben tre volte dentro una gabbia di leoni in uno dei palazzi presidenziali di Baghdad, prima di finire contro il muro per una finta esecuzione. "Mi chiedevo se l'esercito americano potesse davvero comportarsi in questo modo."
Adesso fanno causa a Rumsfeld e agli alti comandi militari in Iraq.
Fonte: "Abuse Included Use of Lions, Iraqis Allege", Washington Post.
Altre informazioni sul sito dell'American Civil Liberties Union:
Thahe Mohammed Sabar, sposato con quattro figli, è stato in carcere per circa sei mesi e sottoposto a torture e a trattamento crudele e degradante. Adesso ha un problemi nervosi e ci sono momenti in cui perde il controllo, trema e piange.
È stato frequentemente e brutalmente percosso con fucili e armi elettriche. È stato legato a una recinzione e lasciato molte ore a una temperatura di oltre 48° C.
Durante una delle finte fucilazioni, lui ed altri prigionieri hanno perso il controllo della vescica, e sono stati derisi e umiliati. I soldati li hanno minacciati di spedirli a Guantánamo, dove sarebbero morti. Poi: gabbia di leoni, privazione del cibo e dell'acqua, somministrazione di razioni di cibo marcio, divieto di andare in bagno.
Quando l'hanno rilasciato, Sabar è tornato ad Abu Ghraib perché gli restituissero i suoi effetti personali e per chiedere notizie di un amico e di un socio che erano ancora prigionieri. L'hanno rinchiuso di nuovo. Poi l'hanno lasciato andare, senza restituirgli nulla.
Sherzad Kamal Khalid è sposato con quattro figli. Ha fatto due mesi di prigionia. È stato sottoposto a violente percosse e altri crudeli abusi. Il personale militare statunitense gli infliggeva regolarmente e intenzionalmente abusi fisici. Lo hanno preso a calci e pugni per ore dopo averlo legato e incappucciato, terrorizzandolo e ferendolo con colpi a caso e inaspettati.
Poi, minacce di morte e finte esecuzioni. Privazione di sonno, cibo e acqua. Somministrazione di cibo guasto. Divieto di andare in bagno. A un certo punto è stato costretto a restare per alcuni giorni in una "tenda del silenzio", dove veniva picchiato quando dava segno di addormentarsi.
A più di un anno dal rilascio, soffre ancora di ulcere gastriche per una malattia non curata durante la prigionia. Soffre anche di una depressione grave e di incubi.
Khalid e Saber continuano a non saper nulla di armi di distruzioni di massa o di dove cavolo si nascondesse il Saddam.
In compenso adesso sanno dove Uday teneva i grandi felini.
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Ma voi, gentili lettori e commentatori, che ne direste di un post di dietrologia pura, di tanto in tanto? Un po' di teoria della cospirazione da far invidia agli amici iraniani e alle loro ipotesi su Edoardo Agnelli e il complotto sionista degli Elkann. O a quelli che dicono che non si è schiantato nessun aereo sul Pentagono. Tra la fantapolitica, il fantaterrorismo e final fantasy. Solo per divertirsi un po'.
Mi fate un favore se rispondete nei commenti, scegliendo tra:
a) naa, meglio se continui così.
b) uhm non mi va, parla un po' di questo interessantissimo trasloco che assorbe tanto del tuo interessantissimo tempo.
c) pensandoci bene, non hai mai parlato di fondotinta coprenti.
d) perché, non stai già facendo dietrologia da anni?
I timidi possono scrivermi una mail. Quelli che rispondono d si accomodino all'uscita.
Mi fate un favore se rispondete nei commenti, scegliendo tra:
a) naa, meglio se continui così.
b) uhm non mi va, parla un po' di questo interessantissimo trasloco che assorbe tanto del tuo interessantissimo tempo.
c) pensandoci bene, non hai mai parlato di fondotinta coprenti.
d) perché, non stai già facendo dietrologia da anni?
I timidi possono scrivermi una mail. Quelli che rispondono d si accomodino all'uscita.
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domenica, novembre 13, 2005
La cura dell'acqua e altre utili torture
Non credo che tra i gentili lettori e commentatori di questo blog ci sia un fanatico abbonato del Wall Street Journal, e così ho pensato di segnalarvi l'editoriale di sabato (io ci sono arrivata via War and Piece). Sappiamo che esistono entusiastici sostenitori della tortura per il bene della sicurezza nazionale, ma questo articolo è una vera apologia dei metodi disinvolti. Anzi, per usare le parole di Laura Rozen di War and Piece, quello che colpisce è che "il contenuto è tremendo, ma è scritto nel tipico stile 'siamo ragionevoli, contrariamente a quello che vi hanno insegnato in chiesa il tipo di tortura che facciamo noi è l'unico sistema per vincere una guerra.' Onestamente, questo articolo dovrebbe finire sui libri di storia, come le foto dei linciaggi, perché segna un momento bassissimo della storia americana."
Insomma, vediamo se siete d'accordo:
“Se Osama bin Laden è vivo e sta cercando segni di cedimento nella volontà degli Stati Uniti di combattere la guerra contro il terrorismo, non deve far altro che assistere al dibattito nazionale sui metodi impiegati per interrogare i suoi compatrioti e gli altri che intendono farci del male.
Dopo l'11 settembre non è irrealistico ipotizzare uno scenario in cui la nostra capacità di ottenere informazioni da un terrorista sia l'unico sistema per prevenire un attacco bioterroristico o perfino la distruzione nucleare di una città americana. E sappiamo che le informazioni ottenute dalla mente dell'11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed, e da altre persone hanno contribuito a prevenire ulteriori attacchi sul suolo americano.
E tuttavia, secondo coloro che criticano l'amministrazione Bush, le tecniche d'interrogatorio aggressive e stressanti usate con successo su gente come KSM [sic] hanno posto gli Stati Uniti sulla china pericolosa della 'tortura' diffusa e indiscriminata e degli abusi di Abu Ghraib. John McCain (R., Arizona) ha proposto al Senato un emendamento che proibirebbe tutte le tecniche di interrogatorio stressanti. Il pericolo per la sicurezza nazionale è che questo farebbe capire a tutti i terroristi del mondo che non hanno assolutamente niente da temere se mantengono il silenzio una volta caduti nelle mani degli Stati Uniti.
L'Emendamento McCain si basa sull'ipotesi che le tecniche usate dalla CIA per interrogare i pezzi grossi di al Qaeda siano in qualche modo 'migrate' in Iraq, causando gli abusi di Abu Ghraib. Ma l'ironia è che il Congresso sta proponendo questa eccessiva reazione riparatrice proprio mentre emergono prove schiaccianti che dimostrano la falsità di questa interpretazione.
L'ex segretario alla difesa Jim Schlesinger ha condotto più di dieci inchieste sugli abusi sui detenuti, e lo scorso anno ha spiegato che gli abusi di Abu Ghraib erano dovuti semplicemente al comportamento sadico di riservisti malamente addestrati assegnati ai 'turni di notte'. Le vittime non erano nemmeno obiettivi dell'intelligence. Se questi argomenti non sono sufficienti, abbiamo ora i verdetti delle nove corti marziali che hanno punito i soldati colpevoli di Abu Ghraib, nessuno dei quali è stato in grado di dimostrare l'affermazione che gli abusi avessero qualcosa a che fare con gli interrogatori.
Non stiamo dicendo che non ci sono stati abusi sui detenuti nella guerra al terrorismo - ce ne sono stati probabilmente centinaia. Ma ci sono stati anche più di 70.000 prigionieri. In altre parole, la percentuale degli abusi è positiva se confrontata con il sistema carcerario civile statunitense. Ed è migliore della percentuale relativa a conflitti del passato come il Vietnam e la seconda guerra mondiale.
Due fondamentali fonti di confusione sono costituite da un travisamento delle Convenzioni di Ginevra e da un uso abborracciato (o intenzionalmente distorto) della parola 'tortura'. Le Convenzioni di Ginevra sono molto rigide su quali siano i detenuti ai quali va applicato lo status e la protezione di 'prigionieri di guerra'. Per esempio, devono aver combattuto in uniforme e aver mostrato un certo rispetto per le leggi della guerra, come quella di evitare attacchi ai civili.
Inoltre, ogni forma di manipolazione, comprese le modifiche in senso positivo come il miglioramento delle razioni, è proibita negli interrogatori di legittimi prigionieri di guerra. Concedere ai guerriglieri e ai terroristi lo status di prigionieri di guerra sarebbe una forma di disarmo unilaterale, e, cosa peggiore, legittimerebbe la loro condotta.
Per quanto riguarda la 'tortura', è semplicemente perverso mettere insieme la amputazioni e le elettroesecuzioni che Saddam infliggeva ad Abu Ghraib con gli abusi minori commessi da alcune canaglie tra i soldati americani e tanto meno con le tecniche di interrogatorio autorizzate dagli Stati Uniti. Nessuno ha ancora dimostrato concretamente che qualcosa di simile alla 'tortura' sia stato sanzionato dall'esercito o dal governo americano. Le 'posizioni di stress' che sono state consentite (come portare un cappuccio, l'esposizione al caldo e al freddo, e il raramente autorizzato waterboarding, che induce una sensazione di soffocamento) sono tutte tecniche psicologiche intese a spezzare la resistenza del detenuto."
E continua, ma direi che può bastare per farsi un'idea senza esser costretti a dare di stomaco.
Ora, in cosa consiste il "raramente autorizzato waterboarding"? Andrew Sullivan rimanda alla pagina di Wikipedia, che qui sintetizzo.
Sembrano esistere diverse varietà di tortura note con il nome di waterboarding. La prima di queste va anche sotto il nome di cura dell'acqua. La cura dell'acqua consiste nel legare il soggetto a una sedia, coprirgli la faccia con uno straccio e versarci sopra dell'acqua. Il soggetto ha la sensazione di annegare. Una variante consiste nel versargli dell'acqua in gola stando ben attenti a non farlo annegare ma facendo in modo che ne abbia l'impressione.
La seconda forma di waterboarding prevede che il soggetto sia legato a una tavola e calato in una tinozza piena d'acqua, dove deve credere che l'annegamento è imminente. Poi lo si solleva e lo si rianima. Se necessario si ripete il processo. La tortura dovrebbe essere più psicologica che fisica, poiché la vittima è portata a credere di essere sul punto di morire. Questo rafforza il controllo del torturatore e fa sì che la vittima sperimenti un terrore mortale.
Poi c'è la tortura dell'acqua che veniva riservata alle donne accusate di stregoneria: le presunte streghe venivano immerse nell'acqua e tirate fuori dopo un po', quando erano in grado di confessare. Se confessavano, venivano uccise. Se non confessavano, venivano rimesse in acqua. Quindi la vittima era libera o di annegare o di farsi condannare a morte.
Il waterboarding attualmente praticato richiede che si leghi la vittima a una tavola in modo che la testa sia più bassa rispetto ai piedi per impedire qualsiasi movimento. Si tiene uno straccio sulla faccia del torturato, e ci si versa sopra dell'acqua. La respirazione diventa difficile e la vittima avrà paura di morire per asfissia; ma è relativamente difficile aspirare una grande quantità d'acqua, perché i polmoni si trovano più in alto rispetto alla bocca, e se i torturatori sono esperti è difficile che la vittima muoia.
Insomma, vediamo se siete d'accordo:
“Se Osama bin Laden è vivo e sta cercando segni di cedimento nella volontà degli Stati Uniti di combattere la guerra contro il terrorismo, non deve far altro che assistere al dibattito nazionale sui metodi impiegati per interrogare i suoi compatrioti e gli altri che intendono farci del male.
Dopo l'11 settembre non è irrealistico ipotizzare uno scenario in cui la nostra capacità di ottenere informazioni da un terrorista sia l'unico sistema per prevenire un attacco bioterroristico o perfino la distruzione nucleare di una città americana. E sappiamo che le informazioni ottenute dalla mente dell'11 settembre, Khalid Sheikh Mohammed, e da altre persone hanno contribuito a prevenire ulteriori attacchi sul suolo americano.
E tuttavia, secondo coloro che criticano l'amministrazione Bush, le tecniche d'interrogatorio aggressive e stressanti usate con successo su gente come KSM [sic] hanno posto gli Stati Uniti sulla china pericolosa della 'tortura' diffusa e indiscriminata e degli abusi di Abu Ghraib. John McCain (R., Arizona) ha proposto al Senato un emendamento che proibirebbe tutte le tecniche di interrogatorio stressanti. Il pericolo per la sicurezza nazionale è che questo farebbe capire a tutti i terroristi del mondo che non hanno assolutamente niente da temere se mantengono il silenzio una volta caduti nelle mani degli Stati Uniti.
L'Emendamento McCain si basa sull'ipotesi che le tecniche usate dalla CIA per interrogare i pezzi grossi di al Qaeda siano in qualche modo 'migrate' in Iraq, causando gli abusi di Abu Ghraib. Ma l'ironia è che il Congresso sta proponendo questa eccessiva reazione riparatrice proprio mentre emergono prove schiaccianti che dimostrano la falsità di questa interpretazione.
L'ex segretario alla difesa Jim Schlesinger ha condotto più di dieci inchieste sugli abusi sui detenuti, e lo scorso anno ha spiegato che gli abusi di Abu Ghraib erano dovuti semplicemente al comportamento sadico di riservisti malamente addestrati assegnati ai 'turni di notte'. Le vittime non erano nemmeno obiettivi dell'intelligence. Se questi argomenti non sono sufficienti, abbiamo ora i verdetti delle nove corti marziali che hanno punito i soldati colpevoli di Abu Ghraib, nessuno dei quali è stato in grado di dimostrare l'affermazione che gli abusi avessero qualcosa a che fare con gli interrogatori.
Non stiamo dicendo che non ci sono stati abusi sui detenuti nella guerra al terrorismo - ce ne sono stati probabilmente centinaia. Ma ci sono stati anche più di 70.000 prigionieri. In altre parole, la percentuale degli abusi è positiva se confrontata con il sistema carcerario civile statunitense. Ed è migliore della percentuale relativa a conflitti del passato come il Vietnam e la seconda guerra mondiale.
Due fondamentali fonti di confusione sono costituite da un travisamento delle Convenzioni di Ginevra e da un uso abborracciato (o intenzionalmente distorto) della parola 'tortura'. Le Convenzioni di Ginevra sono molto rigide su quali siano i detenuti ai quali va applicato lo status e la protezione di 'prigionieri di guerra'. Per esempio, devono aver combattuto in uniforme e aver mostrato un certo rispetto per le leggi della guerra, come quella di evitare attacchi ai civili.
Inoltre, ogni forma di manipolazione, comprese le modifiche in senso positivo come il miglioramento delle razioni, è proibita negli interrogatori di legittimi prigionieri di guerra. Concedere ai guerriglieri e ai terroristi lo status di prigionieri di guerra sarebbe una forma di disarmo unilaterale, e, cosa peggiore, legittimerebbe la loro condotta.
Per quanto riguarda la 'tortura', è semplicemente perverso mettere insieme la amputazioni e le elettroesecuzioni che Saddam infliggeva ad Abu Ghraib con gli abusi minori commessi da alcune canaglie tra i soldati americani e tanto meno con le tecniche di interrogatorio autorizzate dagli Stati Uniti. Nessuno ha ancora dimostrato concretamente che qualcosa di simile alla 'tortura' sia stato sanzionato dall'esercito o dal governo americano. Le 'posizioni di stress' che sono state consentite (come portare un cappuccio, l'esposizione al caldo e al freddo, e il raramente autorizzato waterboarding, che induce una sensazione di soffocamento) sono tutte tecniche psicologiche intese a spezzare la resistenza del detenuto."
E continua, ma direi che può bastare per farsi un'idea senza esser costretti a dare di stomaco.
Ora, in cosa consiste il "raramente autorizzato waterboarding"? Andrew Sullivan rimanda alla pagina di Wikipedia, che qui sintetizzo.
Sembrano esistere diverse varietà di tortura note con il nome di waterboarding. La prima di queste va anche sotto il nome di cura dell'acqua. La cura dell'acqua consiste nel legare il soggetto a una sedia, coprirgli la faccia con uno straccio e versarci sopra dell'acqua. Il soggetto ha la sensazione di annegare. Una variante consiste nel versargli dell'acqua in gola stando ben attenti a non farlo annegare ma facendo in modo che ne abbia l'impressione.
La seconda forma di waterboarding prevede che il soggetto sia legato a una tavola e calato in una tinozza piena d'acqua, dove deve credere che l'annegamento è imminente. Poi lo si solleva e lo si rianima. Se necessario si ripete il processo. La tortura dovrebbe essere più psicologica che fisica, poiché la vittima è portata a credere di essere sul punto di morire. Questo rafforza il controllo del torturatore e fa sì che la vittima sperimenti un terrore mortale.
Poi c'è la tortura dell'acqua che veniva riservata alle donne accusate di stregoneria: le presunte streghe venivano immerse nell'acqua e tirate fuori dopo un po', quando erano in grado di confessare. Se confessavano, venivano uccise. Se non confessavano, venivano rimesse in acqua. Quindi la vittima era libera o di annegare o di farsi condannare a morte.
Il waterboarding attualmente praticato richiede che si leghi la vittima a una tavola in modo che la testa sia più bassa rispetto ai piedi per impedire qualsiasi movimento. Si tiene uno straccio sulla faccia del torturato, e ci si versa sopra dell'acqua. La respirazione diventa difficile e la vittima avrà paura di morire per asfissia; ma è relativamente difficile aspirare una grande quantità d'acqua, perché i polmoni si trovano più in alto rispetto alla bocca, e se i torturatori sono esperti è difficile che la vittima muoia.
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sabato, novembre 12, 2005
Lo possiamo torturare?
Quanto tempo ci vorrà al procuratore speciale Patrick Fitzgerald per presentare le prove contro Lewis "Scooter" Libby, per scoprire se ha mentito per coprire le proprie azioni o quelle di altri alla Casa Bianca, per convincere i testimoni a parlare? Tanto.
Linwood Barclay del Toronto Star avanza la sua modesta proposta:
"Fitzgerald non potrebbe attaccare un po' di elettrodi al torace di Libby e tirar su i volt? Alcuni di voi troveranno questa mia posizione un po' estrema, ma se non ho preso una cantonata questo è esattamente il genere di cose che incontrano il favore del superiore di Libby, il vicepresidente Dick Cheney."[...]
"Non fraintendetemi. Non sto dicendo che il vecchio Scooter è un terrorista. Non me lo vedo a legarsi in vita della dinamite e a salire su un autobus. Insomma, guardate i completi eleganti che indossa. Chi vorrebbe rovinare dei vestiti così? Però lasciar filtrare il nome di un agente della CIA è una questione di sicurezza nazionale. E se anche un solo funzionario degli Stati Uniti pensa che vada bene spifferare i nomi di agenti sotto copertura, o coprire quelli che pensano che vada bene, non è che poi tutti penseranno che è normale? Se Dick Cheney dice che bisogna torturare i sospetti terroristi per scoprire cosa sanno e che minaccia rappresentano per la sicurezza nazionale, perché dovrebbe opporsi all'uso degli stessi metodi sul suo ex collaboratore? E anche se Libby poi si rivela completamente innocente è comunque una bella scorciatoia per arrivare alla verità. Certo, alcuni repubblicani possono temere che Libby sotto tortura si lasci sfuggire qualcosa, o che che faccia dei nomi, giusto per salvarsi dal dolore. Potrebbe perfino inventarsi delle cose, confessare crimini che non ha commesso, e solo per compiacere i tizi che gli infilano il bambù sotto le unghie o fanno su e giù con l'interruttore della corrente. Ma di sicuro Dick Cheney non sarebbe preoccupato. Se Cheney pensasse che la tortura è un metodo inaffidabile per ottenere la verità, non cercherebbe di ottenere un'esenzione da leggi che vietano il trattamento 'crudele, inumano o degradante' dei sospetti criminali.
L'unico problema è: chi dovrebbe farlo? Se Fitzgerald si sente a disagio a torturare in prima persona, ci sono vari paesi stranieri in cui spedire Libby. Alla Casa Bianca potrebbe controllare lui stesso la lista completa. Ma come dicevo, è solo un'idea. Forse Cheney rilascerebbe una dichiarazione: 'Sono così dedito alla tortura per estorcere informazioni che sono disposto, come gesto di buona volontà, a farla praticare sul mio ex capo di gabinetto.' Allora sarei disposto a credergli."
Linwood Barclay del Toronto Star avanza la sua modesta proposta:
"Fitzgerald non potrebbe attaccare un po' di elettrodi al torace di Libby e tirar su i volt? Alcuni di voi troveranno questa mia posizione un po' estrema, ma se non ho preso una cantonata questo è esattamente il genere di cose che incontrano il favore del superiore di Libby, il vicepresidente Dick Cheney."[...]
"Non fraintendetemi. Non sto dicendo che il vecchio Scooter è un terrorista. Non me lo vedo a legarsi in vita della dinamite e a salire su un autobus. Insomma, guardate i completi eleganti che indossa. Chi vorrebbe rovinare dei vestiti così? Però lasciar filtrare il nome di un agente della CIA è una questione di sicurezza nazionale. E se anche un solo funzionario degli Stati Uniti pensa che vada bene spifferare i nomi di agenti sotto copertura, o coprire quelli che pensano che vada bene, non è che poi tutti penseranno che è normale? Se Dick Cheney dice che bisogna torturare i sospetti terroristi per scoprire cosa sanno e che minaccia rappresentano per la sicurezza nazionale, perché dovrebbe opporsi all'uso degli stessi metodi sul suo ex collaboratore? E anche se Libby poi si rivela completamente innocente è comunque una bella scorciatoia per arrivare alla verità. Certo, alcuni repubblicani possono temere che Libby sotto tortura si lasci sfuggire qualcosa, o che che faccia dei nomi, giusto per salvarsi dal dolore. Potrebbe perfino inventarsi delle cose, confessare crimini che non ha commesso, e solo per compiacere i tizi che gli infilano il bambù sotto le unghie o fanno su e giù con l'interruttore della corrente. Ma di sicuro Dick Cheney non sarebbe preoccupato. Se Cheney pensasse che la tortura è un metodo inaffidabile per ottenere la verità, non cercherebbe di ottenere un'esenzione da leggi che vietano il trattamento 'crudele, inumano o degradante' dei sospetti criminali.
L'unico problema è: chi dovrebbe farlo? Se Fitzgerald si sente a disagio a torturare in prima persona, ci sono vari paesi stranieri in cui spedire Libby. Alla Casa Bianca potrebbe controllare lui stesso la lista completa. Ma come dicevo, è solo un'idea. Forse Cheney rilascerebbe una dichiarazione: 'Sono così dedito alla tortura per estorcere informazioni che sono disposto, come gesto di buona volontà, a farla praticare sul mio ex capo di gabinetto.' Allora sarei disposto a credergli."
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venerdì, novembre 11, 2005
Tra un minuto
Io avrei un paio di argomenti (volendo anche) seri da trattare. Appena smetto di ridere.
Ecco, per ottenere il jackpot del sadico bisognerebbe almeno aggiungere "pavimento bagnato", secondo me.
Altre chiavi di ricerca di oggi: "auguri di buon natale al fidanzato", "calendario delle donne cozze", "visto con la suocera" ("visto" sarà participio passato o sostantivo?) e il fondamentale "michael della terza".
Ecco, per ottenere il jackpot del sadico bisognerebbe almeno aggiungere "pavimento bagnato", secondo me.
Altre chiavi di ricerca di oggi: "auguri di buon natale al fidanzato", "calendario delle donne cozze", "visto con la suocera" ("visto" sarà participio passato o sostantivo?) e il fondamentale "michael della terza".
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giovedì, novembre 10, 2005
Segnatevi questo link/Timeline on Iraq
Enigma America pubblica una cronologia del coinvolgimento americano in Iraq dall'inizio della guerra Iran-Iraq al mese di giugno 2005.
Via Crooks and Liars.
Via Crooks and Liars.
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Saluto alla bandiera di Blair
La prima pagina del Sun di martedì scorso mostrava il volto sofferente e coperto di sangue di John Tulloch, ferito negli attentati del 7 luglio a Londra. Il titolo era "Dite a Tony che ha ragione", e la pagina era composta in modo da far pensare ai lettori che la vittima approvasse le misure antiterrorismo messe in atto dal governo Blair.
Problema: John Tulloch, docente di comunicazione (e dunque abituato ad analizzare i media e le loro distorsioni), non pensa affatto che Tony abbia ragione:
Dal Guardian di oggi (via Davblog)
"Questo significa usare la mia immagine per fa approvare una legislazione draconiana e assolutamente non necessaria. È un'incredibile ironia che il Sun dica di rappresentare la gente, e che non chieda invece alle persone coinvolte, alle vittime, ciò che pensano veramente. Se volete proprio usare la mia immagine, le parole che escono dalla mia bocca devono essere 'Non a nome mio, Tony'. Niente di quel che ho letto o visto negli ultimi mesi mi ha convinto che queste leggi sono necessarie."
"È un classico caso di manipolazione dei media che dimostra la connivenza tra il New Labour e la stampa di Murdoch. Non c'è bisogno di un'analisi sofisticata per capire quello che stanno facendo con la retorica delle immagini e il testo. Le parole collegano la mia immagine a una particolare interpretazione politica di quell'evento, dando l'impressione che escano dalla mia bocca. Mi viene in mente il famoso saggio del semiologo Roland Barthes, il quale analizzò l'immagine di un soldato nero che faceva il saluto militare alla bandiera francese. Ecco cos'abbiamo qui: mi fanno salutare la bandiera di Blair."
Finalmente un'"immagine iconica" che sa il fatto suo.
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venerdì, novembre 04, 2005
Tra parentesi
(Buon compleanno, signor G.)
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giovedì, novembre 03, 2005
Loro ci stanno attenti
Purtroppo il problema va avanti da settembre, ma non per questo bisogna smettere di parlarne. Oggi sul Guardian è uscito un articolo del quale riporto alcuni estratti interessanti per capire quello che sta passando la popolazione della Striscia di Gaza:
"Israele sta impiegando una nuova terrificante tattica contro i civili palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza, ricorrendo ad assordanti "bombe sonore" che provocano terrore, causano aborti e traumatizzano i bambini. Dopo lo sgombero dei coloni ebrei dalla Striscia di Gaza sono cominciati i boom sonici provocati dagli aerei dell'aviazione israeliana che superano la barriera del suono, cosa che accade spesso di notte. I palestinesi hanno paragonato l'onda d'urto a un terremoto o a una grossa esplosione. Dicono che è some essere stati colpiti da un muro d'aria, che provoca dolore agli orecchi e causa talvolta sanguinamenti dal naso e 'lascia l'organismo in preda a un tremore interno'.
Il ministero della salute palestinese ha dichiarato che le bombe sonore hanno causato aborti e problemi cardiaci. Le Nazioni Unite hanno chiesto che si ponga fine a questa tattica, affermando che causa attacchi di panico nei bambini. Le scosse hanno anche danneggiato gli edifici causando crepe nei muri e mandando in pezzi i vetri di migliaia di finestre.
[...]
Durante la scorsa settimana gli aerei israeliani hanno causato 28 boom sonici volando ad alta velocità e a bassa quota sulla Striscia di Gaza, a volte a distanza di un'ora l'uno dall'altro e di notte. Nel mese di settembre l'aviazione israeliana ha causato 29 boom sonici in cinque giorni.
Un ufficiale dei servizi dell'esercito israeliano che ci è stato vietato di nominare ha detto che la tattica è stata pensata per incrinare il consenso dei civili nei confronti dei gruppi armanti palestinesi. 'Vogliamo mandare un messaggio senza far del male alla gente. Vogliamo incoraggiare i palestinesi a far qualcosa per risolvere il problema del terrorismo,' ha detto. 'Quali sono le alternative? Noi non siamo come i terroristi che sparano ai civili. Noi ci stiamo attenti. Ci assicuriamo che nessuno rimanga ferito.'
[...]
L'agenzia dell'ONU per i profughi palestinesi ha detto che una maggioranza dei pazienti ricoverati per le conseguenze dei boom sonici è costituita da minori di 16 anni che soffrono di sintomi come attacchi d'ansia, enuresi, spasmi muscolari, temporanea perdita dell'udito e difficoltà respiratorie.
Anche se gli israeliani dicono che le onde d'urto non causano feriti, i dottori dell'ospedale di Gaza affermano che i sorvoli hanno provocato numerosi aborti. Questi ultimi sono aumentati del 40%, secondo il chirurgo Jumaa Saqqa, che è anche il portavoce dell'ospedale. 'Non c'erano altri sintomi, e l'aumento ha avuto luogo dopo i boom sonici. Non vediamo altra spiegazione. Il numero di pazienti ricoverati in cardiologia è raddoppiato. Alcuni di essi hanno subito danni gravi.'
Il ministero della sanità palestinese ha stimato che gli aborti causati dalle onde d'urto sono almeno 20.
[...]
L'esercito è stato costretto a scusarsi dopo che un boom sonico è stato sentito in territorio israeliano, la scorsa settimana. Il quotidiano Maariv ha descritto il suono paragonandolo a 'un bombardamento pesante. Il rumore che ha scosso i cieli israeliani è stato terrorizzante. Migliaia di cittadini sono saltati giù dai loro letti in preda al panico, molti di loro hanno telefonato preoccupati alla polizia e ai pompieri. I centralini sono andati in tilt.'"
Fonte: "Palestinians hit by sonic boom air raids", The Guardian.
"Israele sta impiegando una nuova terrificante tattica contro i civili palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza, ricorrendo ad assordanti "bombe sonore" che provocano terrore, causano aborti e traumatizzano i bambini. Dopo lo sgombero dei coloni ebrei dalla Striscia di Gaza sono cominciati i boom sonici provocati dagli aerei dell'aviazione israeliana che superano la barriera del suono, cosa che accade spesso di notte. I palestinesi hanno paragonato l'onda d'urto a un terremoto o a una grossa esplosione. Dicono che è some essere stati colpiti da un muro d'aria, che provoca dolore agli orecchi e causa talvolta sanguinamenti dal naso e 'lascia l'organismo in preda a un tremore interno'.
Il ministero della salute palestinese ha dichiarato che le bombe sonore hanno causato aborti e problemi cardiaci. Le Nazioni Unite hanno chiesto che si ponga fine a questa tattica, affermando che causa attacchi di panico nei bambini. Le scosse hanno anche danneggiato gli edifici causando crepe nei muri e mandando in pezzi i vetri di migliaia di finestre.
[...]
Durante la scorsa settimana gli aerei israeliani hanno causato 28 boom sonici volando ad alta velocità e a bassa quota sulla Striscia di Gaza, a volte a distanza di un'ora l'uno dall'altro e di notte. Nel mese di settembre l'aviazione israeliana ha causato 29 boom sonici in cinque giorni.
Un ufficiale dei servizi dell'esercito israeliano che ci è stato vietato di nominare ha detto che la tattica è stata pensata per incrinare il consenso dei civili nei confronti dei gruppi armanti palestinesi. 'Vogliamo mandare un messaggio senza far del male alla gente. Vogliamo incoraggiare i palestinesi a far qualcosa per risolvere il problema del terrorismo,' ha detto. 'Quali sono le alternative? Noi non siamo come i terroristi che sparano ai civili. Noi ci stiamo attenti. Ci assicuriamo che nessuno rimanga ferito.'
[...]
L'agenzia dell'ONU per i profughi palestinesi ha detto che una maggioranza dei pazienti ricoverati per le conseguenze dei boom sonici è costituita da minori di 16 anni che soffrono di sintomi come attacchi d'ansia, enuresi, spasmi muscolari, temporanea perdita dell'udito e difficoltà respiratorie.
Anche se gli israeliani dicono che le onde d'urto non causano feriti, i dottori dell'ospedale di Gaza affermano che i sorvoli hanno provocato numerosi aborti. Questi ultimi sono aumentati del 40%, secondo il chirurgo Jumaa Saqqa, che è anche il portavoce dell'ospedale. 'Non c'erano altri sintomi, e l'aumento ha avuto luogo dopo i boom sonici. Non vediamo altra spiegazione. Il numero di pazienti ricoverati in cardiologia è raddoppiato. Alcuni di essi hanno subito danni gravi.'
Il ministero della sanità palestinese ha stimato che gli aborti causati dalle onde d'urto sono almeno 20.
[...]
L'esercito è stato costretto a scusarsi dopo che un boom sonico è stato sentito in territorio israeliano, la scorsa settimana. Il quotidiano Maariv ha descritto il suono paragonandolo a 'un bombardamento pesante. Il rumore che ha scosso i cieli israeliani è stato terrorizzante. Migliaia di cittadini sono saltati giù dai loro letti in preda al panico, molti di loro hanno telefonato preoccupati alla polizia e ai pompieri. I centralini sono andati in tilt.'"
Fonte: "Palestinians hit by sonic boom air raids", The Guardian.
mercoledì, novembre 02, 2005
OGGI
"Cara M.,
Se non fosse per Pasolini e per la poesia che hai inserito nel blog, non ti avrei forse raccontato quanto segue, e che a questo punto diventa una specie di epigrafe personale a lui dedicata.
Giovedì scorso ero in viaggio per il Veneto assieme all'amministratore delegato della società per cui lavoro. È stata una giornata sgradevolissima, a fianco di un uomo con le impazienze, le intemperanze e le parole fastidiose di un bambino viziato. Avrei diversi episodi da descrivere: la sua incazzatura per avere modificato un programma che lui stesso aveva alterato; la sua incazzatura per essere salito nella mia macchina ed aver trovato il seggiolino ad impedirgli la giusta reclinazione del sedile; la sua incazzatura ripetuta ad ogni errore del navigatore satellitare; la sua incazzatura per essere entrato nel palazzo sbagliato all'ultimo degli appuntamenti; la sua incazzatura per non essere stato riportato tempestivamente in autostrada a causa della mia vista non all'altezza del compito.
Imboccando finalmente l'ultimo degli ingressi della Venezia-Milano, a Mestre, ho avuto modo di dirgli due cose. La prima, che se fosse stato un mio parente, lo avrei lasciato a piedi già da un pezzo; la seconda, una citazione di Popper riguardo al fatto che non occorre essere più precisi di quanto la situazione non richieda. Alla sua contestazione che quel tale non facesse il "nostro" lavoro, ho risposto che, purtroppo per lui, non solo il lavoro, ma le leggi, la morale e quant'altro dipendono da gente come Popper (non è del tutto vero, ma in quel momento doveva essere così). È seguito un silenzio di mezz'ora e un 'buonasera' finale.
Non sapevo di aver fatto tutto questo anche per mia madre, ma se lo dice Pasolini è certamente vero.
Un bacio,
D."
Se non fosse per Pasolini e per la poesia che hai inserito nel blog, non ti avrei forse raccontato quanto segue, e che a questo punto diventa una specie di epigrafe personale a lui dedicata.
Giovedì scorso ero in viaggio per il Veneto assieme all'amministratore delegato della società per cui lavoro. È stata una giornata sgradevolissima, a fianco di un uomo con le impazienze, le intemperanze e le parole fastidiose di un bambino viziato. Avrei diversi episodi da descrivere: la sua incazzatura per avere modificato un programma che lui stesso aveva alterato; la sua incazzatura per essere salito nella mia macchina ed aver trovato il seggiolino ad impedirgli la giusta reclinazione del sedile; la sua incazzatura ripetuta ad ogni errore del navigatore satellitare; la sua incazzatura per essere entrato nel palazzo sbagliato all'ultimo degli appuntamenti; la sua incazzatura per non essere stato riportato tempestivamente in autostrada a causa della mia vista non all'altezza del compito.
Imboccando finalmente l'ultimo degli ingressi della Venezia-Milano, a Mestre, ho avuto modo di dirgli due cose. La prima, che se fosse stato un mio parente, lo avrei lasciato a piedi già da un pezzo; la seconda, una citazione di Popper riguardo al fatto che non occorre essere più precisi di quanto la situazione non richieda. Alla sua contestazione che quel tale non facesse il "nostro" lavoro, ho risposto che, purtroppo per lui, non solo il lavoro, ma le leggi, la morale e quant'altro dipendono da gente come Popper (non è del tutto vero, ma in quel momento doveva essere così). È seguito un silenzio di mezz'ora e un 'buonasera' finale.
Non sapevo di aver fatto tutto questo anche per mia madre, ma se lo dice Pasolini è certamente vero.
Un bacio,
D."
Il selvaggio dolore di esser uomini
Mi domando che madri avete avuto.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d’esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l’antico, vergognoso segreto
d’accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!
Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
Pier Paolo Pasolini, "Ballata delle madri"
da Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964.
Se ora vi vedessero al lavoro
in un mondo a loro sconosciuto,
presi in un giro mai compiuto
d’esperienze così diverse dalle loro,
che sguardo avrebbero negli occhi?
Se fossero lì, mentre voi scrivete
il vostro pezzo, conformisti e barocchi,
o lo passate a redattori rotti
a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore
antico, quello che come un male
deforma i lineamenti in un biancore
che li annebbia, li allontana dal cuore,
li chiude nel vecchio rifiuto morale.
Madri vili, poverine, preoccupate
che i figli conoscano la viltà
per chiedere un posto, per essere pratici,
per non offendere anime privilegiate,
per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato
con umiltà di bambine, di noi,
un unico, nudo significato,
con anime in cui il mondo è dannato
a non dare né dolore né gioia.
Madri mediocri, che non hanno avuto
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli
a chinare senza amore la testa,
a trasmettere al loro feto
l’antico, vergognoso segreto
d’accontentarsi dei resti della festa.
Madri servili, che vi hanno insegnato
come il servo può essere felice
odiando chi è, come lui, legato,
come può essere, tradendo, beato,
e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere
quel poco che, borghesi, possiedono,
la normalità e lo stipendio,
quasi con rabbia di chi si vendichi
o sia stretto da un assurdo assedio.
Madri feroci, che vi hanno detto:
Sopravvivete! Pensate a voi!
Non provate mai pietà o rispetto
per nessuno, covate nel petto
la vostra integrità di avvoltoi!
Ecco, vili, mediocri, servi,
feroci, le vostre povere madri!
Che non hanno vergogna a sapervi
– nel vostro odio – addirittura superbi,
se non è questa che una valle di lacrime.
È così che vi appartiene questo mondo:
fatti fratelli nelle opposte passioni,
o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo
a essere diversi: a rispondere
del selvaggio dolore di esser uomini.
Pier Paolo Pasolini, "Ballata delle madri"
da Poesia in forma di rosa, Garzanti, Milano 1964.
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martedì, novembre 01, 2005
Souvenir d'Abu Ghraib
Ciascuno dei cinquecentosessantacinque prigionieri liberati oggi da Abu Ghraib ha ricevuto:
1. una copia del Corano;
2. 25 dollari;
3. una maglietta per papà, con la scritta "Mio figlio è stato ad Abu Ghraib e mi ha portato solo questa maglietta del cavolo."
Va bene, l'ultima me la sono parzialmente inventata. La maglietta c'è, ma è bianca.
1. una copia del Corano;
2. 25 dollari;
3. una maglietta per papà, con la scritta "Mio figlio è stato ad Abu Ghraib e mi ha portato solo questa maglietta del cavolo."
Va bene, l'ultima me la sono parzialmente inventata. La maglietta c'è, ma è bianca.
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