Visualizzazione post con etichetta famigliamir. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta famigliamir. Mostra tutti i post

mercoledì, ottobre 03, 2012

Il piffero


Mio padre adora le cantine. Gli piace soprattutto la mia, che riordina incessantemente con l'estro e la crudeltà di un piccolo dio annoiato. Ricamino a punto croce raffigurante gattino scontento: appeso alla parete in pesante cornice di legno. Cintura rossa Lady Gaga meets Ziggy Stardust meets Perestrojka: acciambellata su uno scaffale come una vipera in letargo. Borraccia termica, sprezzantemente ribattezzata water marino: in bilico su un pacco di carta igienica da 12 rotoli che dichiara la propria morbistenza. Foto di me bambina, paffuta, avvinghiata a un tronco d'albero: appoggiata a un tubo rosso in similpelle con scritta dorata in latinorum accademico.

Un momento.

Tubo rosso in similpelle con scritta dorata in latinorum accademico: novità.
"La laurea", ho pensato e forse detto a voce alta.
Poi ho fatto quello che facciamo noi Vittorelli prima di scoperchiare qualcosa: ho soppesato, annusato, agitato. Faceva un rumore strano, non il fruscio rassicurante di una pergamena ritrovata. Ho aperto. Dentro non c'era la laurea. C'era un flauto dolce di legno. Verde.

– Papà, ho visto che hai trovato il tubone della laurea.
– Sì, ci ho messo dentro il piffero.
– Ho visto.
– No, perché magari cerchi il piffero.
– Certo.
– E allora l'ho messo lì.
– Se mi viene voglia di suonare la sigla dell'Almanacco del giorno dopo.
– Vedi che adesso puoi.
– Grazie papi.
– Siamo molto contenti?
– Siamo molto contenti.

mercoledì, settembre 19, 2012

Un posto all'ombra/11. La Marega




"A mio marito glielo dicevo sempre: insieme tutta la vita, ma dopo ciascuno a casa sua. Il mio povero marito, tic e tac. Quella sera avevamo visto la partita e lui forse si era un po' agitato. Dopo eravamo usciti sul terrazzo a prendere il fresco, era estate, e lui si è acceso una sigaretta. Allora io ho protestato e ho anche cercato di strappargliela di mano, e lui ha detto ancora una, lasciami in pace, ancora una. E non l'ha mai finita, quella sigaretta. Chissà, forse l'agitazione per la partita. Comunque una bella età, sa.

Il mio Ermanno, lo avevo avvertito: insieme tutta la vita, ma dopo ciascuno a casa sua. Lui invece aveva voluto costruire la grande tomba in Sicilia per tutti i fratelli e i genitori, e aveva comprato un posto anche per me. Io quel posto non lo desideravo, ma c'è da dire che un fratello non ha mai voluto pagare la sua parte. E poi la moglie di questo fratello, vede le cose della vita, è morta giovane lasciando due figli piccoli e tante preoccupazioni. Allora il fratello ha chiesto a mio marito se gliela lasciava mettere nella tomba, che poi la toglievano. Una cosa provvisoria. E mio marito ha detto sì, se poi la toglievano che poi avevamo bisogno noi. Ma non l'hanno mai tolta, i figli sono diventati grandi, il marito è morto, l'altro fratello è morto, il mio Ermanno è morto e adesso tutti i posti sono occupati.

Io l'avevo detto, a mio marito: dopo ciascuno a casa sua. Ma mia cognata sta in un posto dove non deve stare. Allora ho preso da parte mia nipote e ho detto: io dove vado? Io dove vado, ho detto. Se volete lasciarla lì almeno pagate la vostra parte, quello sarebbe il posto mio, il mio Ermanno mi voleva accanto a lui.
Invece sa una cosa, signorina? Con quei soldi io mi compro la tomba qui, magari una tomba vecchia perché dopo un po' di anni li buttano fuori, me l'ha detto il suo gentilissimo zio.

Potevo almeno stare zitta, magari la sigaretta l'avrebbe finita. E non tenergli il muso. Ma adesso ciascuno a casa sua. Bisogna fare attenzione ai parenti, pensano di essere immortali e finisce che ti rubano il posto. Provvisorio, dicono. E poi si fermano per l'eternità."

Dopo l'incontro con la Marega il Pepi è cambiato. Ci vede tutti morti prima di lui, pronti a buttarci nella sua fossa e mettere radici, in una gara di salto in lungo dentro l'ombra.
Ed è forse così che, non essendo mai stato un uomo buono né giusto e dunque partendo di molto avvantaggiato, è diventato più patetico che cattivo, più stupido che patetico, più ridicolo che stupido.

"Quando ci penso mi sembra di non vedere l'ora. Tranquilla, in un posto riparato in mezzo ai fiori, e anch'io un fiore piantato per terra, contenta. Lontano da quelli là. Wie eine Viole in Casarsa, come dice sempre il suo gentilissimo zio."

lunedì, settembre 17, 2012

Un posto all'ombra/10. Vedove


Ha trovato un impiego per il Vosvaghen. Mette insieme quattro-cinque vedove amiche di Dorugero, passa a prenderle, le accomoda sul pullmino e le porta al camposanto a trovare i mariti, una o due volte la settimana. Il Pepi si convince così di unire l'utile al dilettevole, perché dopo aver lasciato le vedove libere di pascolare tra le lapidi va a controllare il suo Tombone, il Tombone che è solo suo perché i figli, la moglie e i parenti non hanno creduto nell'investimento in un aldilà comune, in un posto di famiglia dove diventare polvere e sporco tutti insieme, tutti insieme quando sarà il momento.

Basta mettere insieme quattro-cinque vedove. Quattro-cinque vedove si trovano sempre.
Dopo un'ora le vede tornare, accaldate e pigolanti.
"Bitte, bitte, Damen!"
E le riporta a casa, senza fretta, una rotatoria dopo l'altra, guatandole nello specchietto retrovisore.
Il Pepi vorrebbe quasi imparentarsele, queste reumatiche loquaci e scrupolose. Se le immagina che lustrano il suo ritratto sulla lapide, strappano le erbacce, rinvasano le azalee, gli sussurrano lunghe liste della spesa e qualche dolciastra maldicenza.

Poi c'è la Marega.
Lei è diversa, lei non ha tombe da accudire.
La Marega è interessata all'acquisto.

venerdì, settembre 07, 2012

Prima lei


– Pronto!
– Pronto, con chi sto parlando?
– No, mi dica lei con chi sto parlando.
– Chi parla, scusi?
– Guardi che ha chiamato lei.
– Sto facendo un giro di telefonate al buio.
– Non mi interessa, mi dica il suo nome.
– E ho anche una chiamata da questo numero.
– Se mi dice chi è lei le dico chi sono io.
– Prima lei.
– Prima lei, mi faccia la cortesia.
– Qui Vittorelli.
– Non è possibile, qui è Vittorelli.
– Qui Vittorelli, le dico.
– Vittorio?
– No, non sono Vittorio, sono il papà.
– Mio padre è morto, guardi.
– Orpo scusi condoglianze.
– Da trent'anni.
– Anche il mio. O wie klein ist doch die Zeit!
– Pepi, ses tu?
– Elio?


venerdì, agosto 03, 2012

Un posto all'ombra/9. Il conto


Dalla finestra della cucina il Pepi fissa il muso del suo Vosvaghen del 2008, otto posti, sei beghine da pascolare a Medjugorje due volte la settimana, andata e ritorno, preghiera e meditazione, 4800 euro/mese netti e garantiti.
"Conosco un agriturismo a Quisca" dice di punto in bianco. "Una fattoria."

Il business di Medjugorje era controllato da due autisti dell'APT in pensione. Correva voce che si fossero stufati. Quella voce era tenuta in allenamento da Dorugero.
"Guadagno sicuro," aveva detto il parroco. "Donne di chiesa, autosufficienti. Gli metti su un cd di Bocelli, ti fermi ogni due ore per la pipì, perché le donne hanno il problema della pipì, che a Aidussina già gli scappa, e bòn. Sei babe due volte la settimana andata ritorno preghiera meditazione."
"Non so, mein Kommandant."
"O clemente o pia o dolce Vergine Maria. Dài Giuseppe, no sta far il mona. La accendiamo?"
"La accendiamo" aveva detto lui.
L'avevano accesa.

Quattro mesi dopo i due autisti dell'APT si erano comprati un Mercedes e avevano raddoppiato le corse, lasciando il Pepi a incrociare sguardi malinconici con il Vosvaghen dalla finestra della cucina.

"A Quisca quando chiedi il conto ti arriva un vecchio vestito da asino" dice il Pepi. "Con una pelle d'asino sulle spalle, una testa d'asino sulla cocuzza. Il vecchio segna le consumazioni a matita su un bloc notes, e intanto fa un verso, ziic, ziic, ziic. Metti che alla fine ti dice quaranta euro. Tu non devi pagare. Devi dirgli di mandarti suo figlio. Allora arriva suo figlio e lui ti dice trentacinque euro. E tu paghi. A quel punto paghi. Non prima."
"E il vecchio?"
"Il vecchio va a fare il conto a un altro tavolo. Ziic ziic ziic."
Tira su col naso e si allontana dalla finestra.
"A casa dicevano che eri cambiato per via di Medjugorje."
"Pensavo al business."
"Beve meno e va a Medjugorje, dicevano."
"Invece bevevo sempre uguale" si mette ad armeggiare con la caffettiera. "E pagavo il conto a un asino."

sabato, luglio 21, 2012

Un posto all'ombra/8. Tic e tac



Il tic e tac è l'uscita di scena rapida e inaspettata, la fatalità, la spallata misericordiosa. Come sta il Nevio? È morto. Come? Tic e tac.

Il Gedeone, che a novantanove anni è finito in una casa di riposo di Nova Gorica ed è creduto morto da quasi tutti, non è materiale da tic e tac. Il Pepi va a trovarlo tutti i giorni, per convincerlo a investire qualche migliaia di euro nel futuro: si presenta all'ora della minestrina e imboccandolo gli parla di silenzi e di foglie mosse dal vento, di marmi e monumentini, tutti insieme, Gedeone, tutti insieme all'ombra dei cipressi. Il Gedeone si limita ad aprire e chiudere la bocca, senza un sì, senza un no, lo sguardo fisso sul cucchiaio. Poi arriva il momento in cui il Pepi manca platealmente la bocca spalancata e il Gedeone gli strappa di mano il cucchiaio. La visita è finita. Il Pepi si alza, raccoglie moduli bancari e dépliant, si infila la biro nel taschino, saluta tutti e se ne va.

Per quelli come il Pepi il tic e tac tocca sempre agli altri. A lui sono rimaste le illusioni travestite da Vosvaghen del 2008, otto posti, sei beghine da portare a Medjugorje due volte la settimana, andata e ritorno, preghiera e meditazione, 1200 euro/settimana garantiti, netti e garantiti, un lentissimo interminabile tic da riempire alla rinfusa di denaro, parole vane, menù turistici e vini della casa.


venerdì, luglio 06, 2012

Un posto all'ombra/7. Senza kümmel non è vita



"La solitudine è come la piova" dice il Pepi addentando uno spiedino. "Die Einsamkeit ist wie ein Regen, Dorugero".
"Rosso di sera bel tempo si spera", dice Dorugero. "Passami il sale, Giuseppe".
"Da cinque anni rifletto sul futuro."
"Bravo, caro, bravo."
"Faccio progetti."
"A proposito di progetti, trovandoci in questo luogo di preghiera e di meditazione."
"Esumazioni."
"A proposito di progetti, Giuseppe."
"Riunisco i miei morti. La mamma, il papà, il nonno, la nonna."
"Il Gedeone."
"No, il Gedeone è ancora vivo."
"Il caro Gedeone."
"La Pinuta invece è andata, tic e tac, un anno fa."
"Il gulasch della Pinuta ai Tre Amici, Giuseppe."
"Col kümmel."
"Senza kümmel non è gulasch."
"Senza kümmel non è vita."
Contemplano i malinconici resti della grigliata mista.
"Giuseppe, a proposito di futuro."
"Sì."
"Dobbiamo parlare."
"Della morte. Sono pronto, mein Kommandant."
"Non della morte, mona" dice Dorugero, slacciandosi il collare. "Di un Vosvaghen del 2008. Otto posti. Dodicimila euro."
"Diesel?"
"Natürlich."


mercoledì, luglio 04, 2012

Un posto all'ombra/6. Tra gostilne e gostione


Il Pepi e Dorugero trottano lenti e solenni verso Medjugorje tra gostilne e gostione, bottiglie di vino stappate nella frescura dei camposanti, uova di giornata bevute sul ciglio della strada, piccole constatazioni amichevoli, case benedette con la Radenska, teste di bambini accarezzate con il palmo tiepido e sudato, trattori sorpassati con scatti improvvisi, chilometri e chilometri in terza, allungando il collo per indovinare se oltre la prossima curva, oltre gli orti e la boscaglia, si vedrà il mare.

Il navigatore dice sette ore. Loro ce ne mettono undici.
Arrivano per la preghiera della sera, accolti da un coro di beghine esauste sotto un cielo afono, pronti ad apparire alla Madonna e affamati di ražnjići e ćevapi.


lunedì, giugno 25, 2012

Un posto all'ombra/5. Due neri cavallini



La privata è il saloon dei muloni goriziani: ragazzi settantenni, vecchi compagni di scuola o di lavoro, ex vicini di casa. La vita li ha trasformati in qualcosa, li ha menati un po' in giro per il mondo e li ha depositati nuovamente qui, sulla casella di partenza, dove tutti i giorni si osservano e si contano. "Cosa vuoi che facciano", commenta mio padre da lontano. "Fanno il check-in."


Un giorno, mentre il Pepi raccoglie distratto gli sguardi malinconici della padrona di casa, la Maria, gli si siede accanto Dorugero, parroco. Capelli bianchi, guance rosse e sguardo etilico, da qualche anno Dorugero dichiara guerra a mio padre organizzandogli un mese di ardite celebrazioni mariane nel prato sotto casa. Da qualche anno mio padre lo ricambia disseminando il prato di gomme da masticare. Con il Pepi sono amici dalle elementari.
"Come va, Giuseppe?"
"Zwei schwarze Rößlein weiden" risponde lui, la testa incassata tra le spalle.
"No sta far il mona. Programmi per domenica?"
"Nessuno, mein Kommandant."
"Mai stato a Medjugorje?"
"Nein."
"Perché domenica porto giù le mie donne. Preghiera e meditazione, Giuseppe."
"Una corriera piena de beghine che canta. No grazie, vonde monadis."
"Loro, in corriera."
"E noi?"
"Noi col tuo Mercedes."
"Qualche sosta per ristorarci, padre?"
"Naturalmente."
"A che ora passo a prenderla con i miei neri cavallini?"
"Piazzale della parrocchia, ore 7:30. Puntuale."


Il Pepi si alza, si aggiusta la cintura dei pantaloni, tira su col naso.
"Porta la patente" dice. "Non si sa mai."

venerdì, giugno 22, 2012

Un posto all'ombra/4. Sotto una brutta pergola



La privata, o frasca, è il luogo dove un tempo si andava la domenica o alla fine della giornata, vestiti decentemente, portandosi da casa il pane e l'uovo duro, e si passava il tempo in pace armata con la vita e con i vicini di casa.

Molte vecchie private hanno chiuso. Altre si sono trasformate in agriturismi con tutti i comfort, valide alternative agli alberghi, prima colazione a buffet, gradita la prenotazione.
Alcune sono rimaste com'erano. Sono case e cortili di confine dove oggi come allora si ordina un litro di merlot per guadagnarsi il diritto di stare seduti sotto una brutta pergola, o una tettoia di eternit, a ragionare del mondo.

È lì che va il Pepi, quasi tutti i giorni. Alla fine del pomeriggio si lava, si rade, sceglie con cura camicia celeste e pantaloni con la piega e così, ben vestito e ben stirato, la faccia lustra e profumata di Mennen, si chiude il cancello alle spalle ed esce a regolare i conti con i trigliceridi e con la società.

mercoledì, giugno 20, 2012

Un posto all'ombra/3. Ultima luce



"E questa è la signora Marega" dice mia zia, indicandomi la vecchia. "Aspetta il Pepi. Che dovrebbe arrivare tra un momento, sa, signora Marega? Perché aveva un impegno urgente ma arriva subito."
Seguo mia zia in cucina.
"Impegno urgente?"
"In privata, come al solito. Mi hai portato le spese mediche, nini? Vai che adesso arrivo."

Torno un po' svogliatamente in salotto. La vecchia è seduta sotto il quadro grande, quello che sembra un cielo di Dugo ma è in realtà un Vittorelli, cioè un Dugo terrestre, svuotato di solitudini romantiche e di presagi di mortalità. Dopo una serie interminabile di barche a vela su mare in tempesta, di placide marine, di fiori fiamminghi, mio padre aveva deciso di mettersi in cuor suo a bottega da un vivente, meglio se coetaneo, meglio se conterraneo. Forse per l'orizzonte comune, forse per comodità: l'idea di avere l'ignaro maestro vicino, a portata di sguardo. Che pastelli usi, fantasticava di chiedergli. A quanto lo fanno il Classico Maimeri da 60 al Centro Colori? I cieli del Vittorelli sono cieli verosimili, fotografici, percorsi da sbuffi euforici di nuvole bianche, grigie o rosate a seconda della stagione e delle perturbazioni, bernaccate dell'anima, campiture d'azzurro in cui si intuisce il profumo di una grigliata mista nel giorno che si spegne. Vieni Elio che c'è Barnaby. Aspetta che catturo l'ultima luce, Lina.

L'ultima luce si irradia proprio sopra la testa della vecchia che adesso mi sta osservando con gli occhi a fessura e un mezzo sorriso.
"Lei è la nipote."
"Sì."
"Anch'io ho una nipote, qui."
"Lei vive a Gorizia?"
"Non ancora" dice. "Ma presto. Aspetto giusto il Pepi."
"La accompagna a veder case?"
"Oh signorina, signorina" fa un sorriso segreto, malizioso. "Mi accompagna a veder tombe."

lunedì, giugno 11, 2012

Un posto all'ombra/2. Himmlische Müdigkeit


Lo trovo che sta benedicendo con l'antiparassitario l'orto, le rose, lo steccato, il cane dormiente, i panni stesi ad asciugare.
"Sarebbe bello stare tutti insieme", e fa un ampio gesto con il braccio, nebulizzando anche la mia auto. "Bisogna pensare al futuro. Il nonno, la nonna, io, tuo papà, la Laura. I sempre cari nonni bis."

Posa lo spruzzatore accanto all'ingresso, si leva la tuta. Sotto la tuta ha un pigiama azzurro di maglina che lo fa sembrare un incrocio tra una comparsa in un film di fantascienza sovietico e un lungodegente.

Lo seguo dentro casa, fin sulla soglia della camera da letto.
"Una cosa bella, sai, una cosa di gusto. Potrei riciclare il marmo del nonno."
Si toglie il pigiama, resta in mutande e maglietta.
"Che a lui non gli serve più, lui viene con me. Con noi."
Piega il pigiama, lo infila sotto il cuscino.

"Zio, in che senso pensare al futuro?"
"Così stiamo tutti insieme." Tira su col naso, ispirato, la faccia chiazzata di poltiglia bordolese. "Himmlische Müdigkeit io sento in me."

Si infila i pantaloni, poi dalla tasca pesca il portafoglio.
Per un attimo penso che voglia mostrarmi ancora una volta le foto dei bisnonni.
Invece mi chiede ottanta euro per riciclaggio marmo.
Ma tu sei completamente scemo, penso.
Gliene do cinquanta.

domenica, giugno 10, 2012

Un posto all'ombra/1. Wie eine viole in Casarsa


"Quando hanno aperto la cassa del nonno io c'ero. Era uguale, perfetto, solo gli era cresciuta una gran barba bianca. Ma il tutto è durato pochi secondi, perché al contatto con l'aria è diventato un mucchio di polvere. Un mucchio di polvere."

Difficile dire se l'abbia visto davvero o se si sia inventato tutto.

Durante il suo ultimo anno di vita mio nonno si accarezzava spesso le guance e il mento con il rovescio delle dita. Chiedeva che lo radessero.
Durante quell'ultimo anno di vita mio zio era andato a trovarlo tutti i pomeriggi. E lui tutti i pomeriggi aveva finto di dormire, perché in quella stanza c'era posto per un solo bambino adorato, e quel bambino adorato adesso era lui.

"Guarda qua" dice.
Poi apre il portafoglio e per un momento penso che voglia darmi dei soldi, o chiedermeli. Invece nel portafoglio ci sono due vecchie foto.
"Guarda che belli", dice. "Il nonno bis, la nonna bis."
"Belli" dico io.
"Guarda i capelli della nonna bis."
"Sì."
"E non ti piacerebbe averli sempre vicino?"
"In che senso" dico.
"Pensalo come un investimento" risponde lui.
Ripone le foto, chiude il portafoglio e se lo infila nella tasca dei jeans.
"Lasciala in pace che dobbiamo fare il settequaranta" dice mia zia. "Povera putèla."

Ma lui è già sulla porta.
"Adesso vado a farmi un bicchiere così stasera la meno, ostia" dice a bassa voce, ridendo.
"Tutto bene, zio?"
"Wie eine viole in Casarsa" dice.
Poi si dà una leggera pacca sulla tasca dei jeans, quella dove tiene i soldi e i bisnonni.
"Wie eine viole in Casarsa."
E se ne va.

giovedì, aprile 26, 2012

L'angelo


"E per la bambina un piatto di capelli d'angelo. In brodo", disse dolcemente mia madre dopo aver ordinato gnocchi al ragù, lubianske e cevapcici per otto persone.

Oggi lei nega che sia mai successo, nega e ride.

Ma io quel giorno fui spedita con mia nonna a lavarmi le mani, e trotterellando davanti alle cucine lo vidi: era grande e paffuto, una testona di capelli biondi che gli si appiccicavano in piccole ciocche bagnate sulla fronte e sulla nuca.
Buongiorno, disse Antonia a mezza voce.
Buongiorno, disse l'angelo passandosi una mano tra i capelli. Con l'altra teneva un piatto fondo.

sabato, febbraio 11, 2012

L'invenzione dei mestieri


In seconda elementare c'era la maestra Wanda: boccoli ramati, denti spalmati di rossetto fucsia e un feroce ombretto perlato che a metà mattina le si ammucchiava nelle pieghe delle palpebre come neve ai bordi delle strade. La maestra Wanda aveva alcune convinzioni incrollabili: riteneva per esempio che i bambini dovessero stare a contatto con la realtà, il sociale, i mestieri, il flusso multiforme della vita.

Accadde così che una mattina d'inverno la maestra Wanda decise di assegnarci il seguente compito per casa, primo di una lunga serie: "Intervista a un commerciante".

Intervista a un commerciante? Dove lo trovo un commerciante, nonna? In un commercio, rispose lei, evasiva. E cosa gli chiedo? Un etto di crudo dolce tagliato fin fin.
Mio padre quel pomeriggio mi trovò in cucina, imbronciata, a maneggiare svogliatamente i pennarelli.
E allora? E allora devo fare un'intervista a un commerciante. Chi lo dice? La maestra Wanda. Ti porto dal Scarel, dice lui, che è mio amico di pesca. Ma io mi vergogno. Gli chiedi mezzo chilo di rosbif tagliato fin fin, buttò lì Antonia. E i fegatini per il risotto che mi me piase tanto.
Restammo assorti per un po': mio padre a segnare il ritmo di un valzer lento battendo i palmi delle mani sulle ginocchia, io a pitturare i vortici dell'esistenza con i pennarelli viola e blu e Antonia a chiedersi se non servisse anche un po' di carne per lo spezzatino.

Va bene, disse mio padre dando la tamburellata definitiva. Sono un commerciante.
Un commerciante, papà? Sì, un commerciante, o meglio un panettiere. Urca. Prendi il notes che cominciamo. Cominciammo. Buongiorno, signor panettiere, la disturbo? Buongiorno, non mi disturba per niente guardi. Come va il lavoro? Bene, perché la gente ha sempre bisogno di pane. Lei ha sempre fatto il panettiere? Sì, perché mio padre aveva un forno. Cosa le piace del suo lavoro? Il profumo del pane la mattina e parlare con le persone. E cosa non le piace tanto? Alzarmi prestissimo. Chiedigli se ti dà anche cinque rosette, gridò Antonia dalla cucina. E un krafen.

La prima intervista ebbe successo. Il compito successivo fu "Intervista a un agricoltore". Lì papà usò la sua infelice esperienza di orticoltore dilettante – sempre a una bustina di sementi dal successo – per scolpire il ritratto di un coltivatore sapiente e illuminato, ugualmente sensibile alla rotazione delle colture e alla manutenzione dei mezzi agricoli. Posso anche essere allevatore, si vantò, ma ce lo teniamo per la prossima volta. Papi, metti che la prossima volta devi fare la parrucchiera. Che problema c'è, disse lui.

Fu così che quell'inverno con mio padre vivemmo più e più vite operose, popolando una città di piccole dimensioni che si svegliava prima dell'alba e la sera puntava la sveglia contenta.

Poi ci fu l'intervista a tema libero. Lui allora raccontò il suo, di lavoro, e si fece anche le domande.

Fu quel pomeriggio, mentre parlava da solo tamburellando l'un-due-tre di un valzer brillante, che capii: nel flusso multiforme della vita mio papà era un uomo moderatamente felice.

martedì, dicembre 13, 2011

Rosso

– E poi sabato c'era anche la Biba.
– Come sta?
– Bene, a parte un incidente con la bici. Si è scontrata con un camioncino rosso in zona Mainizza.
– Rosso.
– Dice che le sembrava lentissimo e lontano, e invece.
– E invece.
– Dieci giorni di coma a Cattinara.
– Di?
– Coma. E 160 euro di multa. Che non è giusto, secondo me.
– Ma se era colpa sua.
– Sì era colpa sua e c'era un testimone. Meno male che il testimone almeno aveva fatto un corso di pronto soccorso.
– Meno male.
– Comunque tutto bene, dice che è completamente integra e che anche la bici si è rovinata pochissimo.
– Completamente integra.
– Un graffietto sulla mano.
– Ma un grosso colpo alla testa.
– Sì. Le ho detto "Biba quanto tempo che non ti vedo, pensavo che eri impegnata col babysitting".
– Il babysitting.
– E lei tutta allegra "son stata in coma"!
– E tu?
– E io: "ti vedo molto riposata".
– Così.
– Così.

domenica, dicembre 11, 2011

La cascata di note

– Ieri pomeriggio, una noia.
– Perché?
– Concertino di chitarra classica. Povera ragazza, ottavo anno al Conservatorio.
– Male?
– Ti dico solo che una seduta in prima fila si è messa a fare le parole crociate.
– E papà?
– Papà leggeva il foglietto del programma. Cosa stai leggendo da un'ora, dico io, ti sei incantesimato? Sto cercando di capire quando finisce, fa lui, mi consola.
– E così.
– Poveretta, ottavo livello. Insegna dalle Orsoline. Di quelle ragazze che non saprai mai se hanno 15 anni oppure 30.
– O 40.
– Qualcosa poteva anche andare.
– O 60.
– Ma non c'è mai stata la cascata di note.
– No.
– La cascata di note che ti aspetti in questi casi.
– Sbagliando.
– Se capisci quel che voglio dire.
– ...
– Sbagliando, certo.

martedì, dicembre 06, 2011

Drag me to the carrozziere

"Oggi stavo attraversando sulle strisce quando è arrivata una tipa su un SUV. Che non solo non ha rallentato, ma poi si è bloccata proprio sulle zebre perché la macchina davanti a lei ha frenato. E allora le ho dato una bella manata sulla carrozzeria, dietro. Sbam. E la tipa si è spaventata, ha pensato di aver messo sotto qualcuno.
Per la prima volta mi sono sentita come una di quelle vecchie nei film dell'orrore. Che io non li guardo, però immagino, immagino tutto.
È stato bellissimo.
Quanto ridere."

Lina, oggi pomeriggio.

giovedì, dicembre 01, 2011

Il voucher

– Ciao ciao!
– Ciao mamma, ciao papà.
– Ti abbiamo portato.
– Due fette di torta. Fatta papà.
– Senza grassi. Un po' volendo, un po' mi son dimenticato l'olio e il  burro.
– Aspetta, però.
– Dobbiamo spiegarti una cosa importante.
– Sì.
– Dentro c'è un voucher.
– Probabilmente, non è sicuro.
– Un?
– Un voucher. Spiega, Elio.
– Io ho un metodo per tagliare orizzontalmente una torta.
– Per farcirla, no?
– Per andar dritto mi aiuto con degli stuzzicadenti.
– Gli fanno da punti di riferimento.
– Così zic, zic, la taglio perfettamente ed è fatta.
– Stavolta, però.
– Stavolta non sono riuscito a recuperare uno stuzzicadenti.
– Ha viaggiato.
– Si è mosso.
– Dunque può essere che nelle tue fette, in qualsiasi punto, ci sia lo stuzzica
– ... denti.
– In tal caso, hai vinto un voucher.
– Dei soldi.
– Un voucher a chi lo trova.
– Capito?
– Capito. Ma se lo stuzzicadenti lo trovate voi come ci regoliamo?
– Chi lo trova vince.
– Devo darvi dei soldi?
– No no, paga papà.
– Allora ci sto.
– Mangia piano.
– Mastica bene.
– Può essere ovunque.
– Viaggia.
– Si muove.

sabato, novembre 12, 2011

Stasera

9 febbraio 2011.

Stasera Elio e Lina tengono i tre televisori accesi.
"Elio, sbassa il volume", dice lei. 
Però è contenta.