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martedì, dicembre 29, 2009

Nell'amor si comincia così

Il titolo va preso alla lettera. Per Kluge si tratta proprio di fare la genealogia dei sentimenti del XIX e XX secolo. Operazione condotta in maniera musil-brechtiana, a furia di collage, aforismi e atti unici, trattando i sentimenti come oggetti e l'Opera come la fabbrica che storicamente ha prodotto questi oggetti su vasta scala. Perché i sentimenti, a ben vedere, al cinema sono oggetti recalcitranti in quanto durevoli, mentre il cinema continua a essere incostante e sempre più mutevole. Intelligente, Kluge studia i sentimenti come un fisico poeta. Sperimenta la loro durata e ne attende l'esplosione. Ma l'esplosione dei sentimenti è sempre un enigma. Lo si vede chiaramente nella cronaca nera, nei libretti d'opera o nelle estasi silenziose del cinema muto. È lì che Kluge si mostra al contempo scienziato, filosofo e – ragionevolmente – poeta. Il suo film somiglia al divertissement di un professore euforico di fronte a una classe pietrificata ma tutto sommato felice. […] La forza dei sentimenti ci riporta a una certa Germania: quella di Lichtenberg e di Musil, la Germania ironica, tagliente, disincantata. Come si sarà capito, il film è irraccontabile. Ma perché è fatto di una miriade di storie. È impossibile riassumerlo, perché non cessa di riassumersi strada facendo. Ma è sontuoso, serio e buffo.
Serge Daney, La Maison cinéma et le monde – 2. Les Années Libé (1981-1985), P.O.L., Paris 2002.

Cinepanettone tedesco a reti unificate per l'Italia dell'Amore: grazie allo zombi La Forza dei Sentimenti di Alexander Kluge (raro, bellissimo) sta qui, in versione integrale:

domenica, dicembre 27, 2009

Questa poesia

Questa poesia è stata scritta dall'autore di notte.
È la ventitremilioninovecentocinquantatremilacentoottantaseiesima poesia dopo Auschwitz (calcolo approssimativo).
Esprime sentimenti come la nostalgia per la madrepatria, l'amore per le persone amate e l'amicizia tra amici.
Tutto questo è espresso con le parole.

Originale: "Это стихотворение…"


Poeta e filologo, Michail Gronas (Taškent, 1970) si è laureato all'Università di Stato moscovita. Attualmente vive negli Stati Uniti, dove insegna al Trinity College di Hartford. Ha tradotto versi e testi scientifici dal tedesco (Celan, Trakl) e dal francese (Pierre Bourdieu). Nel 2002 ha vinto il Premio Andrej Belyj.

Traduzione: Manuela Vittorelli.

[Grazie a Sten per il pettirosso.]

giovedì, dicembre 17, 2009

Solo tra i fantasmi: 2666 di Roberto Bolaño/traduzione


Poco prima di morire per insufficienza epatica nel luglio del 2003, Roberto Bolaño disse che avrebbe preferito il mestiere del detective a quello dello scrittore. Aveva 50 anni, ed era già ampiamente considerato il più importante romanziere latinoamericano dopo Gabriel García Márquez. Ma nell'intervista pubblicata dall'edizione messicana di “Playboy” Bolaño fu esplicito. “Mi sarebbe piaciuto essere un investigatore della omicidi, molto più che uno scrittore” disse alla rivista. “Di questo sono assolutamente sicuro. Una serie di omicidi. Qualcuno che possa tornare, nottetempo, sulla scena del delitto, e non avere paura dei fantasmi.”

I polizieschi e le uscite provocatorie erano due passioni di Bolaño – una volta definì James Ellroy uno dei migliori scrittori viventi in lingua inglese – ma il suo interesse per le storie di piedipiatti non si limitava esclusivamente alla trama e allo stile. I racconti polizieschi sono essenzialmente indagini sui moventi e i meccanismi della violenza, e Bolaño – che era andato a vivere in Messico nel 1968, l'anno del massacro di Tlatelolco, ed era finito in carcere durante il golpe militare del 1973 nel suo paese, il Cile – era ossessionato anche da questo. Il grande tema della sua opera è il rapporto tra arte e infamia, mestiere e crimine, scrittore e Stato totalitario.

Marcela Valdes, “Alone Among the Ghosts: Roberto Bolano's '2666'”, The Nation, 8 dicembre 2008.

L'avete poi letto, Bolaño?
La traduzione dell'articolo di Valdes in ogni caso è qui in formato .pdf oppure su mirumir 2.0.

Sten non vuole essere ringraziato né citato. Dice che non è responsabile della revisione e dei riscontri sui testi, e tanto meno dei preziosi chiarimenti su Auxilio Lacouture o su quello che succede da pagina 299 a pagina 360 di 2666. Va bene. Grazie, zombi.

sabato, dicembre 12, 2009

Un giorno Iosif Brodskij

Un giorno Iosif Brodskij

di Sergej Kruglov

Un giorno Iosif Brodskij,
impronta culturale di un'epoca, sua coscienza stanca
ma anche noto letterato,
mi disse dal suo ritratto in bianco e nero
qualcosa come: «Finché la lingua
russa è morta, si può evitare
la poesia». Ricordo che allora ero d'accordo; però
con il trascorrere degli anni, nel susseguirsi impercettibilmente,
irreparabilmente uguale delle diverse immagini di fondo stagionali
su questa nostra stessa pagina fitta di monologhi e di marginalia,
mi sono convinto che l'arte di evitare la poesia
è abbastanza complicata, e accessibile solo a esperti
d'alto livello. In Russia, dio ti ringrazio, non ce ne sono
e dubito
che ne spunterà qualcuno: il tempo passa, l'età vaneggia con sospetto
di un lirismo delicato,
sulla foto di Brodskij, come una macchia di colore, appare
il bubbone della malattia del secolo: la giovinezza; e la lingua russa
non muore, la poesia
continua a riempire il mondo fino all'orlo, tanto che quello
è illividito fino a scoppiare
e ormai esplode.

E ben gli sta! non mi dispiace. Questo sentire,
naturalmente, entra in contrasto con le nuove religioni,
con i comandamenti di tristi premi nobel morti –
però, senza timori per la vita dell'anima immortale,
io resto quasi calmo: che il mondo affoghi pure
nella poesia, nelle convulsioni che precedono la morte
pronunciando con voce roca di densa saliva slava
preziosi ma già incoerenti anglicismi ebraici.

Originale: "Однажды Иосиф Бродский"(inedito)


Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come reporter nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus)
Traduzioni: Manuela Vittorelli.

[Grazie a Sten per il ritratto.]

sabato, dicembre 05, 2009

Goethe

Goethedi Sergej Kruglov

Grido con foga: “Avrei voluto tanto
restare a lungo giovane,
un lattante! E che il mio corpo
non si squagliasse, come una brocca gelida
piena di mercurio ardente.
L'anima corrode la mia carne: mi piacerebbe essere
un consigliere segreto – diciamo – settantaduenne,
forte e vivace, pronto a bruciar d'amore, –
come Goethe!”
Tu scoppi a ridere: “Purtroppo, amico mio,
sei un poeta. Che ci vuoi fare,
è la poesia che brucia.
Chi non scrive poesie vive tranquillo
e attivo, come una macina
che non ha mai visto il grano.
Che sarà mai quel Goethe!
Fosse stato scrittore
mica avrebbe vissuto così a lungo.
La sua salvezza fu
non scrivere neanche una riga,
non è così?” – e alzi lo sguardo.
L'orrore
mi paralizza. La stanza si logora
e si guasta, come una mente superstiziosa.
L'aria diviene opaca. Avvampano da sole le candele,
simili alle dita di un eretico.
Un bicchiere di vino oscilla incerto
e vola giù dal tavolo. Per tutto il tempo della sua caduta
tu mi guardi (un sorriso maligno
come albugine notturna che preme contro i vetri),
e non dici una parola.

Originale: ГЕТЕ, Снятие Змия со креста, 2oo3


Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come reporter nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj.


Traduzione di Manuela Vittorelli.



[Grazie a Sten per il bicchiere.]

sabato, novembre 28, 2009

Armageddon

Armageddon

di Sergej Kruglov

E si fronteggiano così,
immobili e in silenzio,
senza combattere.

Non lo faranno forse mai, tutte le forze
spese già
per prepararsi alla battaglia.
Sono rimasti solo il bene e il male in quanto tali.
Ecco, guarda, li vedi ancora,
e tutto anche da qui appare fermo. Il vento
muove i vessilli sacri
(il che è abbastanza strano:
da dove spunta questo vento
nello spazio assoluto, privo d'aria?)

Originale: "АРМАГЕДДОН", Снятие Змия со креста, 2003.




Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come reporter nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj.


Traduzione: Manuela Vittorelli.


[Grazie a Sten per il mo' me lo segno.]

sabato, novembre 07, 2009

Poscritto

Poscritto
di Seamus Heaney

E trovare il tempo a volte di andare in auto a Ovest,
Nel Clare, lungo la Flaggy Shore,
A settembre oppure ottobre, quando il vento
E la luce si contrastano
Così che da una parte l'oceano è pazzo
Di schiuma e di bagliori, mentre all'interno tra le pietre
La superficie di un lago grigio ardesia è illuminata
Dal lampo terreno di uno stormo di cigni
Le piume arruffate e mosse, bianco su bianco
Le teste adulte e testarde
Chine o affioranti o indaffarate sott'acqua.
Inutile pensare di parcheggiare e di afferrarlo
Meglio. Non sei né qui né là,
Nel premere e passare di cose estranee e note
Mentre soffici e forti raffiche prendono l'auto di traverso
E colgono il cuore alla sprovvista, e lo spalancano.

Seamus Heaney, "Postscript", The Spirit Level, 1996.

Traduzione: Manuela Vittorelli




[Grazie a Sten per il bel sorriso su quel faccino.]

lunedì, novembre 02, 2009

Be cheesing you

 Quel che è stato creato, qui, è una comunità internazionale. Lo schema perfetto dell’ordine mondiale. Quando i due blocchi che si fronteggiano si renderanno conto di guardarsi in uno specchio, capiranno che questo è il modello del futuro. Tutta la Terra come il Villaggio… È quel che spero! E lei? Vorrei essere il primo uomo sulla Luna.
Il n° 2 (Leo McKern) spiega al n° 6 (Patrick McGoohan) che dal Villaggio non si evade nella serie televisiva creata da Patrick McGoohan The Prisoner (1967, 2° episodio: “The Chimes of Big Ben”).


– Sai che non mi piace tanto che praticamente tutta l'Europa voti a destra?
– Boh, destra sociale, populista...
– Vuoi dirmi che stiamo assistendo a una spazioazzurrizzazione?
– Sì.
– Allora voglio trasferirmi sulla Luna, tipo il prigioniero.
– Posso venire anch'io?
– Tu, io, figlia. E altre tre persone.
– Tre?
– Sì, e sai perché.
– No, non lo so.
– Sì che lo sai.
– No che non lo so!
– Perché solo ieri ho speso 23,95 euro per una raclettiera da sei.

sabato, ottobre 17, 2009

Aporia

Aporia
di Jurij Arabov

Hai fatto un po' di soldi
Hai fatto molti soldi
Sono comunque pochi.

Hai avuto qualche donna
Hai avuto molte donne
Sono comunque poche.

Sapevi qualche preghiera
a memoria - briciole, per lo più.
Sono comunque tante.

Jurij Arabov, "Апория", Попытка плача, 2005.

Jurij Nikolaevič Arabov è nato nel 1954 a Mosca. Nel 1980 si è laureato alla VGIK, l'Università pansovietica del cinema S. A. Gerasimov. Debutta nel cinema con il film di Aleksandr Sokurov La voce solitaria di un uomo (Odinokij golos čeloveka), girato nel 1978 ma uscito nelle sale solo nel 1987.
Strettissimo collaboratore di Sokurov, viene premiato a Cannes per la sceneggiatura di Moloch (1999).
Scrive poesie
dal 1972. Tra gli organizzatori del club informale "Poesia" di Mosca, si colloca nella corrente del metametaforismo*.
Riceve il premio Pasternak nel 2005.
Dal 1992 è titolare della cattedra di sceneggiatura alla VGIK.

*Il termine metametafora è stato coniato dal poeta Konstantin Kedrov (n. 1942) e pubblicato per la prima volta nella rivista Literaturnaja Učëba
, N° 1 1984. Appare poi nell'opera di Kedrov Poetičeskij Kosmos (1989), nel capitolo "Noi metametaforisti".
La principale particolarità del metametaforismo è la doppia inversione interno-esterno (vyvoračivanie, cioè rovesciamento, o insideout): "L'uomo è il rovescio del cielo - Il cielo è il rovescio dell'uomo", scrive Kedrov in "Komp'juter ljubvi" (1983), poesia da lui considerata il manifesto della metametafora.
La prima metametafora di Kedrov risale al 1960: i versi furono letti ad Aleksej Kru
čënych, il quale a sua volta li mostrò a David Burljuk. L'approvazione dei due maestri futuristi convinsero Kedrov a continuare a comporre versi, benché in clandestinità, sviluppando l'idea del metametaforismo. Fu così che produsse il primo anagramma-palindromo della poesia russa ("Dopotopnoe Evangelie", 1976).
"Si può definire metametafora la prospettiva rovesciata della parola, con la differenza che nella prospettiva rovesciata l'infinito abbraccia l'uomo, mentre nella metametafora l'uomo abbraccia l'universo", ha scritto Kedrov.


Ma magamagari mi invinvento tutto, metametafora compresa.

(Grazie a Sten per il cappello.)


Traduzione Manuela Vittorelli

sabato, ottobre 03, 2009

Guarda, amico caro, guarda qui

Guarda, amico caro, guarda qui
di Vitalij Kal'pidi

Guarda, amico caro, guarda qui:
la vita è una carezza, cioè: non lotta,
ma un premere di bimbi, ed erba, e gatti,
e di ragazze attorno al collo, o contro il braccio...
Guarisci, amico caro, mentre guarisco,
come l'insetto angelo dei moscerini estivi.

Vitalij Kal'pidi, Смотри, дружок, скорей смотри сюда..., Ресницы, 1997



Nato nel 1957 a Čeljabinsk, Kalpidi è stato espulso dall'università a diciassette anni per "immaturità ideologica" e ha poi lavorato come scaricatore e caldaista. Dopo aver vissuto a Perm' (per circa quindici anni) e poi a Sverdlovsk, nel 1990 ha fatto ritorno a Čeljabinsk. Autore di otto libri di poesie, ha pubblicato sulle riviste Junost', Snamja, Ural', Literaturnaja Učëba, Rodnik e Labirint-Ekscentr. Ha curato due antologie di poesia moderna degli Urali. La sua raccolta di poesie Resnicy (Ciglia, 1997) ha ricevuto il Premio dell'Accademia della letteratura russa contemporanea. È stato insignito del premio Boris Pasternak e del Gran Premio "Moskva-Transit".



Traduzione: Manuela Vittorelli

(Grazie a Sten per la garza.)

venerdì, agosto 21, 2009

Ufi

– I dischi volanti sono lassù, e il cimitero è laggiù: io resterò chiusa qui. D’altronde, sarò a letto dopo mezz’ora, con accanto il tuo cuscino.
– Il mio cuscino?
– Be’, devo pur aver qualcosa per tenermi compagnia. A volte, la notte, quando mi sento sola, lo tocco, e così non mi sento più così sola.
– Mattacchiona. Ti amo, cara. Ci vediamo giovedì.
La candida Paula Trent (Mona McKinnon) comunica all’intrepido marito Jeff (Gregory Walcott) che dal momento che i dischi volanti sono lassù, e il cimitero laggiù, lei resterà chiusa qui in Plan 9 from Outer Space (Edward D. Wood Jr., 1959).

A Kolodiščach, in Bielorussia, gli ufi non possono rapire le ragazzine dalle 21.00 alle 6.00.

venerdì, luglio 03, 2009

Giraffe sul Lago Ciad

La Giraffa

di Nikolaj Stepanovič Gumilëv (1886-1921)

Oggi trovo il tuo sguardo singolarmente triste
E le tue mani più sottili, quando ti afferri le ginocchia.
Ascolta: lontano lontano, sul Lago Ciad,
Un'elegante giraffa se ne sta.
Ha forme armoniose e lunghe zampe
E magici arabeschi sulla pelle;
Non c'è chi osi paragonarsi a lei, solo la luna,
Che si frammenta e scorre sulla superficie dei grandi laghi.
Spicca come le vele colorate delle navi,
E la sua corsa è lieve come un gioioso volo.
So le meraviglie di questa terra
Quando al tramonto si nasconde nelle marmoree grotte.
So le storie felici di paesi segreti
sulla fanciulla scura e il giovane capo innamorato,
Ma troppo a lungo hai respirato nebbie pesanti -
A nulla crederai, solo alla pioggia.
E come parlarti allora di giardini tropicali,
di eleganti palme, della fragranza di erbe straordinarie...
Piangi? Ascolta... Lontano, sul Lago Ciad,
Un'elegante giraffa se ne sta.

"Жираф", Nikolaj Stepanovič Gumilëv, Parigi, settembre 1907.

Traduzione di Manuela Vittorelli.

Sten:



(Grazie a Sten per la corda.)

lunedì, giugno 22, 2009

Moon & Sand

Noi siamo oggi come sabbia sparsa su un vassoio; bisogna schiacciare la libertà individuale e stringerci gli uni agli altri in un blocco di compatto, al pari di una roccia indurita dal cemento.
Sun Yat-sen, fondatore del Kuomintang e precursore del comunismo cinese.

lunedì, giugno 15, 2009

Ministero del Turismo: campagne pubblicitarie


SIAMO ANCORA QUI


SE NE SONO ANDATI



NOTA. Sì, lo so che è la terza volta che la mostriamo, questa scena. Ma sono due minuti di ripasso che levati: un piano sequenza di perfetta semplicità, almeno in apparenza. Panoramica di 90°, poi mdp inchiodata a guardare il lungomare della versiliana, con profondità di campo infinita e punto di fuga prospettico centrale, a perdita d'occhio (anche nel senso del "Boom", con lo stesso attore). Eyes Wide Shut con ottusa ostinazione, nella luce "tra cane e lupo" del crepuscolo. (Non so chi fosse Leonida Barboni, ma di certo non è mio suocero.) Intenso sviluppo economico e sociale promesso a tutti da un Paese sul punto di diventare Terra di Nessuno, mostruoso circolo vizioso la cui circonferenza non è da nessuna parte e il centro in una località che si chiama Ronchi Poveromo (manco a farlo apposta). Pasolini e Antonioni forse in segreto se la sognavano, una scena così. (Il secondo credo che lo dichiarò apertamente.) Come sfondo sonoro, una gran bella canzone in oscena versione "melodia d'ascensore", aspettando di sentirla risuonare nelle grandi Stande di Milanodue a uso e consumo di zombi leghisti. La mdp copre uno spazio infinito, come dicevo, ma in realtà non si allontana mai dal perno (l'uscita del locale). In attesa di buttarlo in faccia a qualcuno, all'epoca un treppiede serviva ancora a quello: far credere allo spettatore che Piove sia musica di commento, mentre è ancora, è sempre e solo musica di scena. (E infatti Modugno era cliente abitudinario dell'"Oliviero" di Comparini, topos cinematografico per eccellenza.) Il carrello non è sempre necessario, a volte anche una piccolissima panoramica può essere una questione morale.

In mezzo all'inquadratura, gesticola il più grande attore di tutti i tempi. Si vede solo lui, anche quando ormai è un puntino che corre in lontananza: non come nei finali di Charlot, dove lui si allontana con fiduciosa sprezzatura. No, lui qui sta scappando: è lui, il punto di fuga.
Un minuto e quaranta di cinema puro.
Notare che per quasi tutto il tempo dà le spalle allo spettatore. Un interprete fuori classe si riconosce dal fatto che recita anche di spalle (in Toro scatenato è così per quasi tutta la scena, quando lui chiede a Joe Pesci "Iufacmaiuaif?"). Dice: "Ahio. Me so' fatto male. A 'a mano". Il resto è danza, grazia terminale di uno sbronzo elegantissimo, metronomo naturale, a bello e apposta: cravatta a pois annodata alla brutt'e peggio, camicia bianca sgualcita e mezza fuori dai calzoni neri (sbraco millimetrato), giacchetta agitata in una tauromachia che Hemingway, Leiris e Manolete non siete nessuno, e mocassini pronti a inciampare in un ultimo inaudito tip o tap di claquettes (lui iniziò imitando Fred Astaire, infatti).
Quello stendersi in mezzo all'autostrada, tra un Anno Karenino di Frosinone e il vago ricordo di griffithiane donzelle in distress legate alle rotaie del cinema delle origini, per poi rialzarsi subito dopo, in un sussulto pupazzesco. Non tanto perché la vita, sebbene difficile, meriti di essere vissuta, ma quando mai: no, solo perché c'è ancora (sempre) una spider (o una Seicento, o un bus di turisti) su cui scatarrare. Il suicidio può aspettare: intanto ammazziamo gli altri.
Sospetto l'improvvisazione del genio, nell'evidenza di quell'Hitler sputacchiato ai tedeschi.
Magari ce lo meritassimo ancora, Alberto Sordi.

[continua su G.O.D.]

mercoledì, giugno 03, 2009

456 occhi

Due fotografi del giornale passarono una settimana nella casa di Don Orione a fotografare, uno per uno, i mutilatini e venne lanciata la prima sottoscrizione. Il giornale usciva con strani titoli, che dicevano, per esempio, così: “Occorre mezzo milione — per comprare 456 occhi” oppure: “In tre — una mano sola” e nella fotografia, sotto, tre bambini in circolo, un’unica mano, che pareva grandissima, afferrava l’occhio del lettore, se lo inchiodava addosso. Arrivarono alcuni milioni; a forza di cinquecento, mille, duemila, cinquemila lire, le offerte del pubblico anonimo, della gente della strada. I nomi di alcuni mutilatini diventarono popolari: Bruno Pellegrina, per esempio, piccolo contadino di Campoformido, fotografato nell’atto di portarsi una mela alla bocca, coi due moncherini inguainati in una fodera di cuoio: aveva bisogno delle pinze che gli sostituissero le mani, alla maniera di Harold Russel, il macellaio di Boston, protagonista de I più begli anni della nostra vita, il film che in quei giorni riempiva le platee dei cinema; Vittorio Moré, pastorello di Valmasino, ridotto con una sola mano, una sola gamba e un unico occhio, che tuttavia s’arrangiava a rilegare libri; e la fotografia lo aveva fissato così, col volto intento, chino sulla costola d’un volume, a sorvegliare, con l’unico occhio, il lavoro dell’unica mano.

Roberto De Monticelli, Cercava milioni per comperare mani, “Epoca”, VII, 284, 11 marzo 1956.


venerdì, maggio 29, 2009

Avremmo potuto vivere senza pensieri

La mosca
di Mark Šatunovskij

il torso della mosca tutto lanoso
avvolge il suo sistema nervoso.
coi muscoli a matassa attorno al ventre
appesa al muro sta, le zampe penzoloni.

porta con sé pensieri semplici
e forse grandi sentimenti
come consumata da domande
sul senso di una vita dura e scialba.

risiede sotto la sua pelle
della dissenteria un germe.
tra sé dibatte a lungo, assorto,
questioni di igiene alimentare.

così tu e io coabitiamo
con questa mite mosca e il saggio germe
però noi fin da piccoli sappiamo
di esser più di loro intelligenti.

eppure tu che sei magnifica,
quasi trascendentale e splendida,
guardi la mosca con aria nervosa
benché non sia affatto pericolosa.

poi afferri il giornale di ieri
pieno di casi in decomposizione
e ammazzi questa mosca
con tutti i suoi presagi e i suoi pensieri.

all'improvviso un treno irruppe nella stanza
metallico frastuono sullo scambio
avremmo potuto vivere senza pensieri,
del tutto inutilmente, e lievi.

"муха", из жизни растений.

Mark Šatunovskij è nato a Baku (allora URSS, oggi Azerbagian) nel 1954. Ha scritto tre libri di poesia, Oščuščenie žizni (La sensazione della vita), Mysly Travy (I pensieri dell'erba) e Iz žizni rastenij (Dalla vita delle piante). Vive a Mosca. [Ha ottenuto una borsa di studio dell'USIA, United States Information Agency, il che probabilmente significa che è un agente di quegli altri. Ma oggi non siamo qui para boxear.]


Traduzione: Manuela Vittorelli

Cortocircuiti acchiappamosche:



***

Le mie due figlie si assomigliano solo perché sono corrotte tutt’e due. Vivian è viziata, esigente, svelta e senza riguardi. Carmen è la bambina che si diverte ancora a staccare le ali alle mosche. Direi che hanno tutti i vizi più ovvi, e inoltre qualcuno che si sono inventate loro.
L’anziano generale Sternwood (Charles Waldron) a Philip Marlowe (Humphrey Bogart) nel Grande sonno (Howard Hawks, 1946).
***


***

— Dio ne è testimone, ho visto quella cosa… È incredibile! Non dimenticherò mai quell’urlo, per tutta la vita!…
— Ti sei macchiato di omicidio proprio come Hélène. Tu hai ucciso una mosca dalla testa umana, e lei ha ucciso un uomo con la testa di una mosca. Se lei è colpevole, allora lo sei anche tu!
— Lo so… Ma chi ci crederà? Ci prenderanno per pazzi!
E invece no: perché l’ispettore Charras (Herbert Marshall) e lo scienziato François Delambre (Vincent Price) non sono in manicomio, ma nell’Esperimento del dottor K (The Fly, 1958) di Kurt Neumann.
***



***

Porco saraceno! Cane spartano! Prendi questo! E questo! Mucca romana! Serpente russo! Mosca spagnola!
Non ho proprio idea di quel che racconti veramente l’agente segreto interpretato da Tatsuya Miyashi mentre prende a calci un suo connazionale nel film di spionaggio giapponese Kokusai himitsu keisatsu: Kagi no kagi (Senkichi Taniguchi, 1965). Purtroppo dispongo solo della versione in lingua inglese, rititolata What’s Up, Tiger Lily? e doppiata da Woody Allen, dove il personaggio si chiama Phil Moskowitz.