Bersani ha sempre l'aria di quello che sta per farti un bellissimo regalo.
Poi ti incarta le posate.
mercoledì, novembre 28, 2012
sabato, novembre 24, 2012
E poi d'un tratto a notte fonda
di Sergej Kruglov
E poi d'un tratto a notte fonda ti svegli e piangi: fruscio dell'anima, oscurità d'autunno, senso d'inutilità. Qualcuno – indigeno, persistente, mai esorcizzato – sta là, accanto alla palizzata, e gratta sul vetro... È la Rus': vuole entrare, porta una verbosa novella? Tace, non ha voce: scendono gocce d'acqua dai suoi capelli, odora di lontananza e di fango autunnale.
Chi è là? Silenzio: il nostro vampiro russo, ortodosso, non è come i vostri. Non è questione di nobiltà, non c'entra il sangue. Il nostro vampiro odora di terra e di coscienza morale; è grezzo, divino.
Sciò, sciò, bisogna dormire... O forze della luce, com'è ancora lontano il mattino, quanto è umido e inesorabile il mondo là fuori. O patria, patria, dove sei tu, patria, e quanto ancora devo aspettare qui, al buio.
Originale: "Так вот вдруг среди ночи очнешься...", Снятие Змия со креста, 2003.
Traduzione: Manuela Vittorelli
[Grazie a Sten per l'immagine.]
E poi d'un tratto a notte fonda ti svegli e piangi: fruscio dell'anima, oscurità d'autunno, senso d'inutilità. Qualcuno – indigeno, persistente, mai esorcizzato – sta là, accanto alla palizzata, e gratta sul vetro... È la Rus': vuole entrare, porta una verbosa novella? Tace, non ha voce: scendono gocce d'acqua dai suoi capelli, odora di lontananza e di fango autunnale.
Sciò, sciò, bisogna dormire... O forze della luce, com'è ancora lontano il mattino, quanto è umido e inesorabile il mondo là fuori. O patria, patria, dove sei tu, patria, e quanto ancora devo aspettare qui, al buio.
[Grazie a Sten per l'immagine.]
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lunedì, novembre 19, 2012
Ritorno
"Se n'è andato. È partito per una vita ignota e fondamentalmente estranea, sotto un cielo immenso, nel verde di immensi giardini. In un mondo dove autostrade di vetro si lanciano forse come frecce oltre l'orizzonte, dove edifici flessuosi gettano sulle piazze un ricamo d'ombre. Dove saettano macchine senza persone a bordo e con persone a bordo vestite d'abiti stravaganti: gente quieta, intelligente, cordiale, sempre molto indaffarata e molto contenta d'esserlo. Se n'è andato, e continuerà a vagare per un pianeta simile e dissimile alla Terra che abbiamo lasciato tanto tempo fa, che abbiamo lasciato così di recente."
Arkadij e Boris Strugackij, Polden'. Dvadcat' vtoroj vek: Vozvraščenije (1962).
Arkadij e Boris Strugackij, Polden'. Dvadcat' vtoroj vek: Vozvraščenije (1962).
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giovedì, novembre 15, 2012
Notte
di Sergej Kruglov
Brividi di bella scrittura, ispirata imitazione dei modelli! O lieve, promettente, spietatamente attento fiore d'autunno inodore, bagliore di vetro in un caleidoscopio, stile delle libere associazioni! E voi, mele al forno lasciate a raffreddare, massime metafisiche. Ma in questa città sull'oceano, quanto ti svegli all'alba in una corrente d'aria fredda, puoi solo raccontare storie: così, se il vento spegne la candela, il mattino dopo puoi ricominciare da una frase lasciata a metà.
Brividi di bella scrittura, ispirata imitazione dei modelli! O lieve, promettente, spietatamente attento fiore d'autunno inodore, bagliore di vetro in un caleidoscopio, stile delle libere associazioni! E voi, mele al forno lasciate a raffreddare, massime metafisiche. Ma in questa città sull'oceano, quanto ti svegli all'alba in una corrente d'aria fredda, puoi solo raccontare storie: così, se il vento spegne la candela, il mattino dopo puoi ricominciare da una frase lasciata a metà.
È stata una serata densa, pungente; ma
adesso sono le due di notte, è quasi mattina; sulla città si
stendono la garza e il soffice sale del coprifuoco, le vie sono
tranquille. Arcieri nubiani, ombre di lontane steppe silenziose si
curvano sui muri, occhi felini d'ottone osservano i passi
nell'oscurità – tu, vittima antelucana che turbi la pace! – una
pallottola, come una vedova, geme, si allontana nell'abisso dei vicoli,
un grido e poi ancora il silenzio. Il morto punta gli occhi sulla
luna oceanica che si erge traballante sopra la città, gli occhi
ricordano vagamente uno sguardo; il comandante della pattuglia fa
scattare l'accendino, si china – così quell'ufficiale dimostra
ventidue anni, è uno del posto, pallido e tremante come una ninfa
delle fognature; il fioco scintillio degli stivali, gli anni dorati
della vita studentesca, la lontana Uppsala, l'umanesimo, le
discussioni, Platone, Fichte, – l'adolescenza e la giovinezza,
nemici! L'ufficiale si raddrizza e con un gesto ordina il dietrofront
alla pattuglia – il serpente di fidanzamento al dito, l'elastico
gemito del cinturone, il gemito dell'innocenza nei letti caldi e
merlettati dell'oceano, patria, sposa, selciato notturno.
Mezz'ora prima che questo accadesse ero
stato svegliato da uno spiffero gelido nella mia stanza, al mio
piano; l'amico che si era fermato a dormire si mosse nel sonno, la
coperta scivolò sul pavimento; l'anima, tiepida, giovane, goffa, lo
avvolgeva, come ripetendo l'acquerello delle fragili membra, il
ventre, il triangolo dell'abbronzatura dove c'era lo scollo
della camicia; lo svegliai: "È ora". In silenzio, come
tutti gli animali notturni, uscì – e sbrigativo e silenzioso fu il
congedo sulla soglia – la porta d'ingresso sbatté; e lì, dove i
volantini fremevano sui muri con le ali di sofismi predatori, dove la
luna lasciava cadere giù nei vicoli perpendicolari raggi invisibili,
là nel buio lo accolse anche la pallottola felina della pattuglia.
Lo spiffero che scorrazzava nella stanza trovò infine una via
d'uscita e si tuffò fuori, nell'oceano, nel cielo basso, e le tende
si gettarono al suo inseguimento lanciando un disperato allarme.
Ascoltammo la musica, preparammo il tè
in bicchieri di vetro; quasi alla cieca, a luce spenta, dialogammo
sulle carte, gli assi logori e il castello di carte, carcasse di
simboli, – tutto quel che è rimasto di lui sul tavolo, tra le
tazze e i petali di primula; beata mancanza di costrizioni! L'arte di
costruire con sovrano distacco un castello di carte quando
tutt'attorno scintillano i pugnali del poker, si intrecciano come
serpi i neri cappi della divinazione! L'arte di esser fuori
dell'arte: questo lo fu sempre, il mio amico che se ne andò senza
aspettare il mattino. Io mi addormentai e sognai che con un rasoio
tagliavo a grosse fette pergamene pesanti
e oleose di Couperin, e intanto rigiravo distrattamente tra le
dita scatole musicali di Rameau piene di spilli, e all'improvviso mi
svegliai urlando e piangendo lacrime disperate. Le scatole caddero
sul pavimento accanto al letto, andando in mille pezzi. Rimasi a
lungo a guardarle, a osservare con il capo chino il collo piegato
dell'uccellino meccanico.
Anima, anima che ti sei ritrovata d'un
tratto liberata sui Troni di Luce, anima dolce e sciocca! A chi
potrai insegnare i tuoi aforismi febbrili? A chi serviranno le tue
libere associazioni, quel mucchio di illusioni avvizzite che avevi
preso a noleggio chissà quando? Non piangere, non sperare. Racconta
la tua storia, anima in fuga; solo racconta la tua storia.
Originale: "Озноб изящного писательства...", Снятие Змия со креста, 2003.
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martedì, novembre 13, 2012
Silenzio
di Sergej Kruglov
Spaventoso e caro,
Come spaventoso è tutto ciò che è caro,
Telaio per i fruscii.
E tu, che giaci in bozzoli
Di carne, cervello, solitudine,
Biancheria intima,
Coperta chiomata,
Camera da letto,
Casa (Casa!) di sbuffi, ombre, camini, finestre –
Cos'hai tenuto in serbo per il silenzio? Un fruscio.
Originale: "Тишина... всегда и везде, всю ночь...", Снятие Змия со креста, 2003.
Traduzione: Manuela Vittorelli
Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come cronista nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. Vive in Siberia. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj. Ha un blog: http://kruglov-s-g.livejournal.com/ (rus).
[Grazie a Sten per l'immagine.]
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venerdì, novembre 02, 2012
I beati anni di Mondale
"L'hai fatto il compito per casa?"
mi chiese la Macùz mentre ancora ci dimenavamo per toglierci dalle
spalle le cartelle.
"Sì", risposi saltellando.
"E chi è il tuo personaggio
vivente preferito?"
"Dimmi prima tu."
Beato chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscere una Macùz Cristina negli anni dell'infanzia.
La Macùz poteva sembrare scontrosa: ma
la bocca incline al broncio, la fronte sempre un po' aggrottata e un presagio
di peluria sopra il labbro superiore suggerivano una tendenza al
rigore più che all'ostilità e promettevano una grazia olivastra e selvatica. Grazie ai miei genitori,
amici dei suoi, sapevo che aveva un fratello molto più grande,
cestista promettente, per il quale stravedeva e che la viziava alla
follia. Stentavo a immaginare una versione domestica e affabile della
Macùz intenta a costruire i giardini pensili di Babilonia attingendo
a una fonte inesauribile di mattoncini Lego mentre il cestista savio
le diceva "Questo mettilo qui" o semplicemente "Qui".
Stentavo persino a immaginarla in pigiama. Perché la Macùz vestiva
sobriamente, tono su tono, nello stile che mia nonna definiva "Nilde
Iotti". Era però informatissima sulle ultime tendenze della
moda secondo Burda, che sfogliava golosamente seguendo poi con l'indice i tracciati dei cartamodelli.
La Macùz squadrava il mio
cappotto nuovo e poi mormorava con approvazione: "Hai il maxi".
Per poi aggiungere, soddisfatta: "Fantasia avio. Il massimo".
Mi aspettava davanti all'ingresso della scuola il giorno del mio
compleanno ed esclamava, inarcando le sopracciglia e sgranando gli
occhi: "Ti hanno regalato il Taimex!". Era una fortuna avere accanto una Macùz
Cristina: perché io lo avevo sempre pronunciato "Tìmex",
e i miei lo chiamavano orologio.
"Dimmi prima tu" esitai.
La Macùz piegò all'insù gli angoli
della bocca in un sorriso saggio.
"Mondale" disse. "Fritz
Mondale."
E annuì in silenzio.
La fissai a bocca aperta. Quella
bambina aveva accesso a un tipo di informazioni a me precluso. Quella
bambina guardava i dibattiti. Magari guardava persino i programmi
dell'accesso.
"E tu?"
E io?
A me piacevano i rapinatori di banche,
i Fedayyìn, Alain Delon, Dino Zoff, il comandante Carlos, Bjorn Borg,
Nadia Comaneci, l'inventore del maxicappotto. Ma soprattutto i
rapinatori di banche e Dino Zoff.
E infatti dissi:
"Mondale. Mondale anch'io."
Ne ottenni un impagabile sguardo di complicità: avremmo fatto strada.
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