mercoledì, gennaio 09, 2019

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E questo era (modestamente) il post:




“Com’è il mare? Come spiegare?
Il mare è il mare.
Non c’è niente di più bello, va visto di persona.
E quando c’è la tempesta?
Anche la tempesta è bella.
Tutto è bello, in mare.”

Serëža (1960)

Regia: Georgij Nikolaevič Danelija, Igor’ Vasil’evič Talankin
Direttore della fotografia: Anatolij Dmitrievič Nitočkin

martedì, gennaio 08, 2019

Tre o quattro

Un giorno senza il wi-fi e mi ero già convinta che i Re Magi fossero quattro: Gaspare, Melchiorre, Baldassarre e quello che arrivava in ritardo. Per quello che arrivava in ritardo ricordavo perfino un'infilata di contrattempi pittoreschi.
Poi è tornato il wi-fi e sono andata su Google a cercare "Re Magi quattro", e «Famiglia Cristiana» dice che in effetti non si sa. Lo dice in maniera molto amichevole, con un linguaggio chiaro anche per i più piccoli, infatti la rubrica è intitolata "I figli ci chiedono". E questo è quanto.

La fantasia sui Re Magi era stata scatenata dalla puntuale comparsa della Galette des Rois, il trappolone con cui il giorno della Befana i panettieri francesi ti impacchettano la Tradizione: il prezzo della tradizione può arrivare a 30-40 euro per un disco volante di pasta sfoglia farcita frangipane e tungsteno, l'equivalente di tre-quattro Re Magi che deambulano nel delicatissimo stomaco umano con gli scarponi chiodati. Nell'impasto (che per comodità chiameremo immonda sbriciolatura) è nascosta una fève, oggettino kitsch costruito in materiale economico da una batteria di macchinari azionati da bambini asiatici.
Chi trova la fève è il re della serata e vince un viaggio dal dentista. Di solito si fa in modo che a trovarla siano i più piccoli, un po' perché loro si accontentano di poco, un po' perché se ci lasciano un dente è meno grave e magari rimediano pure una banconota di piccolo taglio.
Ogni anno Monoprix comunica di aver nascosto nelle sue féve una decina di diamanti.

Il maestro delle medie Stanti, insegnante di educazione tecnica dei maschi e per supplenza anche delle femmine, dei propri opachi e corsari trascorsi sudafricani amava raccontare le ispezioni corporali all'uscita dalle miniere, dilungandosi sui metodi per nascondere e contrabbandare i diamanti. In un innominabile passato l'elica di un aereo gli aveva mangiato la mano destra, al maestro Stanti, ma lui non se l'era presa e continuava a caricare gli alunni su un vecchio Cessna per il battesimo del volo: Gorizia dall'alto, castello, confine, piccolo vuoto d'aria, scendere fare attenzione congratulazioni Vittorelli siamo già al terzo battesimo avanti un altro. Un giorno ci aveva imbarcati tutti su un DC9 per portarci a Roma, andata e ritorno in giornata. Atterraggio a Ciampino, foto ricordo, pranzo al sacco, serata libera al Luna Park mentre lui andava a trovare un'amica sua carissima, rientro a Ronchi dei Legionari ore ventidue zero zero, genitori commossi in sala arrivi: tornavamo stanchi ma incolumi dalla prima guerra dell'EUR.

In ogni caso i diamanti di Monoprix nessuno li ha veramente visti mai. E questo è quanto.

lunedì, gennaio 07, 2019

Senza meta a notte fonda

Stavo cambiando la fodera del piumone con il metodo "facile", "meno di un minuto", "in poche semplici mosse", quando mi è venuta in mente senza motivo apparente quella poesia di Byron, non ce ne andremo più in giro senza meta a notte fonda, anche se il cuore ancora ama e la notte è ancora luminosa; perché la spada consuma il fodero, l'anima consuma il petto, e così anche se la notte è fatta per amare noi non ce ne andremo più in giro senza meta nel chiaro di luna. Un Byron malinconico ma sazio, sazio ma malinconico, una bella poesia.

A questo punto il cambio del copripiumone durava da più di un minuto e le mosse erano diventate molte e scomposte. Così mi sono seduta sul letto, ho aperto Google e ho scoperto che Leonard Cohen ci aveva fatto una canzone, con la poesia di Byron. Ascoltiamola, mi sono detta. Ho ascoltato questa canzone di Leonard Cohen. Poi YouTube è passato al pezzo successivo, "In My Secret Life", anche questo mitragliato da un plotone di coriste afflitte, ma non male. Non male, dai, ho confermato al piumone mezzo nudo.

Sono diventata il tipo di donna cori e sassofoni che si mette ad ascoltare Leonard Cohen post-litteram, quasi per stanchezza? Come quella certa zia che passati i settant'anni aveva preso a girare il mondo per andare a tutti i suoi concerti?

No, questo non lo credo.
Tutto è cominciato con Byron.
Ma Byron a pensarci bene è arrivato con il copripiumone, con la fodera un po' logora come il petto consumato dall'anima, come il fodero della spada.
Fodero e fodera, fodero e fodera. Il cervello umano è un organo delicatissimo e purtroppo abbastanza stupido.

Buon anno.

1. Il font è un po' più grande perché nel frattempo saremo diventati tutti un po' presbiti.
2. Se non ho risposto a commenti o mail in questi anni non è per qualche improrogabile impegno, non è perché sono pazza e solare; è perché il cervello è un organo delicatissimo e purtroppo abbastanza carogna.

martedì, ottobre 30, 2018

Nome Spazzapan

Tutte le mattine sul presto il Spazzapan si arrampica sul muro del manicomio per prendere a sassate le donne in bicicletta che vanno a lavorare in Cotonificio.
Un giorno il Spazzapan chiede un colloquio.
- Dotòr, ho sbagliato, non dovevo tirar sassi.
- Bravo, Spazzapan, non bisogna tirare sassi. A quelle povere che vanno a lavorare la mattina presto.
- Dotòr, la gà ragiòn, basta sassi.
- Molto bene Spazzapan.
- Un permesso, dotòr? Che son mezzo guarì?
- Va bene, vedrò cosa posso fare.
- Nome Spazzapan, la se ricordi dotòr.
La sera il dottore alla fine del turno esce dal manicomio, monta in bici e dopo due pedalate si prende una sassata nella schiena.
- Porco boia! Chi xè stà!
- Dotòr, la se ricordi il permesso: nome Spazzapan!

Quel giorno a Gorizia avevamo finito le rane e gli scorpioni. Per fortuna avevamo il Spazzapan.

domenica, settembre 30, 2018

Outfit

Maglietta a righe sottili bianche e nere, gilet di velluto nero liscio che si vorrebbe decadente, jeans skinny neri, scarpe vintage Lario 1898 leggermente a punta.
Come mi vedo io: ma sì (col tono della zia di Thomas Bernhard).
Come mi vedono gli altri: un miserabile mimo.

Adesso scendo a offrire rose immaginarie ai passanti accompagnando il gesto a vuoto con sghembi sorrisi poetici.
Poi dice che finiscono accoltellate.

sabato, settembre 15, 2018

La whirlpooliana dell'undicesimo

Tutti dicono che se il frigo è troppo freddo bisogna abbassare il termostato. Lo dice anche il libretto di istruzioni, dice che a 1 il frigo lavora poco e raffredda poco, a 7 lavora come un matto e raffredda tanto. Il termostato stava sul 2. Il frigo era troppo freddo.
Noi abbassiamo a 1. Il frigo è ancora troppo freddo, lo dice anche il termometro infilato in un bicchiere d'acqua per cinque-otto ore come consigliano su internet.
Allora chiamiamo il servizio guasti di Darty.

Il tecnico di Darty dice: ce l'ho proprio presente il suo frigo che ha comprato qui da noi tanti anni fa, ho qui il suo dossier. Davanti agli occhi, ce l'ho. Qual'è il suo numero di telefono? Sì è lui è il suo frigo. Sembrava quasi che in tutti questi anni avesse solo pensato a lui, al quel frigo, chissà come sta, chissà se lo riempiono troppo, chissà se lo lasciano solo d'estate. Guardi, dice, per strano che le sembri, dice.
Può essere, dice, che il termostato in realtà indichi la temperatura del frigo. Contrariamente a quello che dicono il libretto di istruzioni, la letteratura scientifica, l'esperienza personale e vuvuvu.bricoleurdudimanche.com.
Provi a metterlo sul 5, dice.
Provi, dice.
Cosa potrà mai succedere.

La glaciazione di tutto il caseggiato, potrà succedere, con estinzione di grandi mammiferi tipo il micetto dei vicini, variazione seppur minima della rotazione terrestre e comparsa di una coltre di stelle alpine sul Bd. Richard-Lenoir, solo il radiocarbonio un giorno svelerà questa storia, la Whirlpooliana di quelli del secondo piano che appena tornati dalle vacanze hanno messo il termostato sul 5 nel frigo ventilato. Perché gliel'aveva detto uno di Darty.

Mettiamo sul 5.
La temperatura svetta a 2°.
Fine delle certezze sui frigoriferi.

Ho deciso che per il resto della mia vita studierò i termostati dei frigoriferi, fino a diventare la più grande esperta mondiale dei termostati di frigoriferi, paper caricati su Academia.edu, blog dedicato su Medium, TED talks, AMA di Reddit, ospitate dalla Gruber insieme a Scurati che parla della sua opera colossale, Chris Hemsworth che mi mette i like su Instagram.

E poi, un giorno, telefonata della mamma, ti passo papà, papà dirà ti devo chiedere una cosa, una cosa sul termostato del frigorifero papà?, no, dirà lui, se vuoi meno freddo metti 1 e se vuoi più freddo metti 7, no, mi son dimenticato come si mette il timer per registrare sulla chiavetta dalla Tv.


sabato, maggio 19, 2018

La donna che scambiò sua suocera per un cappello

La mia ex suocera divide confidenzialmente (cioè all'insaputa della sposa, per la quale ha sempre comunque parole sentitamente affettuose, compensando i chili di troppo con il "bel visetto", l'eccessiva magrezza con il "bel personale" e i nasi da aquilotto con un vago e sempre in voga "incarnato trasparente") i matrimoni in:

1. è da cappello.
2. non è da cappello.

Io ne imitavo la cantata milanese rallegrando il tavolo "dei giovani" già durante il primo giro di sorbetti.

Naturalmente:

1. la felicità di occupare un posto sotto un cappello;
2. di riempirne il vuoto o piuttosto di svuotarne il pieno;
3. di creare tramonti sul Nilo sistemandosi controluce con uno spritz Aperol in una mano e un canapè nell'altra;
4. di accogliere faune tropicali e microclimi, posticini per api operose o subdole zanzare, nebbie padane, arcobaleni e temporali;
5. di aggirarsi tra altri animali piumati e fioriti, timidi o appariscenti, e riconoscersi con sprezzatura in quella abissale e gloriosa noia che è il matrimonio da cappello.

sono tutte cose che non evocano scene di lotta di classe come pensavo io, né snobismi come pensavo sempre io (che a quel punto ero un genio).
Ma altro.

Su questo ha sempre avuto ragione lei.

domenica, aprile 22, 2018

Lo svuarbilut

Gorizia, La Casa Mia, garage. Animale lunghezza 12 cm, sconosciuto, morto acciaccato.
Scatto bella foto.
Mostro bella foto ai miei.

Ottimismo materno:
Nido di vipere trasloco scappare tanica benzina incendiare spargere sale avvertire amministratore avvertire vicino piano di sopra quello che ha tutte le chiavi di emergenza e sa cambiare le lampadine chiamare Digos.

Parere paterno (senza occhiale):
No no. Niente.

Parere paterno (con occhiale rosa Big Babol di madre):
No no. Niente.

Parere paterno (con occhiale proprio):
Sì. È uno svuarbilut. Noi da ragazzini lo infilavamo dentro la camicia e ce lo portavamo a casa. Perché? Perché è simpatico, dolce, di buon temperamento.

Parere paterno (riposti gli occhiali):
È una lumaca. Tu non hai idea delle lumache che esistono.

- Vi mando la foto, posso?
- No.
- No.

sabato, gennaio 06, 2018

Là dov'era più morbida

Il maestro di musica diceva che lui l'Olivieri l'aveva conosciuta da giovane ed era bellissima, la ragazza più bella di Gorizia. Adesso però la Olivieri aveva un viso smunto tappezzato da una peluria chiara e folta e faceva spavento.
Antonia, sempre aggiornata sui progressi della chirurgia grazie alla lettura di pubblicazioni scientifiche come «Cronaca Vera» e «Stop», diceva che probabilmente quel viso era la conseguenza di un brutto incidente di macchina o di ustioni gravi, e che alla Olivieri avevano trapiantato la pelle prelevandola là dove era più morbida, il sedere, metodo già collaudato con la somma diva Sylvie Vartan.

Da dove venisse quella pelle non si sapeva, fatto sta che la Olivieri suscitava paura, sgomento e ribrezzo. Per non incrociare i suoi occhi, enormi e tossici, lo sfortunato chiamato alla lavagna si vedeva costretto a concentrarsi sulla peluria, un paesaggio nel quale controluce e in giornate particolarmente umide potevano formarsi arcobaleni.

Alla Olivieri io piacevo.
«Vittorelli, il mio arbiter elegan-»
«-tiarum» ero obbligata a scandire, perché lei ci faceva anche i rudimenti di latino, latino alle medie in una scuola che aveva fama di essere la migliore e nella quale per banali questioni di residenza confluivano soprattutto figli di operai, gente di Straccis, del Torrione, di via Cordaioli, insomma del Bronx.
«Vittorelli, che colori. Sei la nostra Madame... »
«Henriot.» Perché ci faceva anche un po' di storia dell'arte, l'arte che piaceva a lei.

Valerio Colella era figlio di operai pure lui, e a casa sua linguisticamente parlando vigeva il doppio corso monetario: ci si scambiava cioè mozziconi di frasi in dialetto e in un italiano molto elementare. In più il Colella era un ragazzo introverso, a scuola stentava, e soprattutto arrossiva forte e senza motivo sopra lo scollo di maglioni che sua madre gli sceglieva sobri come un monoscopio a colori.
Poi un giorno, in un compito in classe sul Leopardi, dopo una sfilza di pensieri convenzionali il Colella partì temerario per la tangente, forse per spiegare certe sue afasie esistenziali: "Mi sento come la Simca di mio papà, che bisogna sburtarla per farla partire".
La Olivieri lesse la frase a voce alta. Poi la rilesse. Nel mondo della Olivieri non esisteva il verbo sburtare. E del resto non esisteva neanche quella classe di poveracci, né l'odore di Big Babol, di sudore e di panni asciugati male. Il suo mondo erano i fiori freschi da Voigtländer, il caffè al Verdi o al Garibaldi, i tè danzanti della Ginnastica, le uscite sul fiume con gli amici della vecchia banda, una banda in cui le ragazze si chiamavano Argia e i ragazzi facevano alpinismo e si tiravano un colpo di rivoltella passati da poco i vent'anni. Quel mondo esisteva solo nei suoi occhi spaventosi, e nella peluria che alla minima corrente d'aria ondeggiava e si illuminava come lino delle fate. Nel mondo della Olivieri non si sburtava.

Fu così che la Olivieri quella mattina si scagliò sul Colella urlando.
Alla fine di lui rimase soltanto un mucchietto di pelle ossa e cartilagini, un ciuffo di capelli, un maglione lacero, un paio di Clarks contraffatte, due tubolari bianchi ingialliti sulla pianta, qualche cartina di caramella Golia, una pozzanghera di lacrime, un astuccio contenente una penna biro, un compasso, una matita 2B, una scolorina e una gomma profumata.
Questo vidi io, Madame Henriot, arbiter elegantiarum, sesto banco a sinistra nella disposizione a ferro di cavallo.
All'uscita della scuola il Colella trovò come sempre ad attenderlo suo padre con la vecchia Simca.
Come sempre toccò sburtarla per farla partire.