Sono andata a salutare i miei.
Sono quasi certa che non mi aspettassero.
I precedenti.
giovedì, gennaio 21, 2010
mercoledì, gennaio 20, 2010
Heartquakes
– Mi manchi.
– Anche tu mi manchi.
– Sì, però tu almeno hai i terremoti.
– Anche tu mi manchi.
– Sì, però tu almeno hai i terremoti.
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Sua Cinicità,
The Real Thing
martedì, gennaio 19, 2010
WRSA in codice, SYDHT
Elettori pdl quando devono ancora sopportare politici Bocchino e simili de nuncia modo scorreto di fare polica Casini e prima si accordano.Fuori vegognosi!
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Spingitori di cavalieri,
WRSASYDHT
lunedì, gennaio 18, 2010
La bambina J., il T-Rex e il frustino
– Facciamo un gioco che mi ha insegnato Barbara.
– Ok.
– Io ti dico cinque cose e tu inventi una storia in cui devono esserci tutte e cinque quelle cose.
– Va bene.
– Tutte e cinque, non hai il diritto di lasciarne fuori una.
– Vai.
– Una bambina di nome Jenny.
– Sì.
– Un dinosauro Tyrannosaurus Rex.
– Eh.
– Cinque sculacciate.
– Cinque.
– Milleuna frustate.
– ...
– E uno schiaffo sulla gola con una cravache, come si dice?
– Frustino?
– Frustino!
– ...
– Tutte e cinque. Non hai il diritto...
– Va bene, va bene. C'è una bambina di nome Jenny che attraversa una foresta con il suo inseparabile frustino. A un tratto si imbatte in un Tyrannosaurus Rex. Grrrrrrooul, ho fame, le dice il Tyrannosaurus Rex, sarò costretto a mangiarti! Allora la bambina di nome Jenny gli dà uno schiaffo sulla gola con il suo frustino, e poi tenta di scappare. Ma il Tyrannosaurus la rincorre e le dice: d'accordo, ti concedo di frustarmi e io mi accontenterò di quel panino con la coppa e il bleu che mi sembra di vedere nel tuo cestino della merenda. Quante frustate? domanda diffidente la bambina Jenny. Milleuna? propone timidamente il Tyrannosaurus. D'accordo. La bambina dà milleuna frustrate al T-Rex, che felice si accontenta di un semplice panino con la coppa e il bleu. Entrambi contenti, i due si salutano. Sai dove trovarmi, dice il T-Rex. Ripasserò di qui, dice la bambina di nome Jenny.
La bambina di nome Jenny si rimette sul cammino di casa. "Sono in enorme ritardo" pensa con un sorriso soddisfatto, "anche oggi mi sono meritata le mie cinque sculacciate".
– Bella!
– Piaciuta?
– Moltissimo.
– Stellina, hai mica sottomano il numero di Barbara?
– Ok.
– Io ti dico cinque cose e tu inventi una storia in cui devono esserci tutte e cinque quelle cose.
– Va bene.
– Tutte e cinque, non hai il diritto di lasciarne fuori una.
– Vai.
– Una bambina di nome Jenny.
– Sì.
– Un dinosauro Tyrannosaurus Rex.
– Eh.
– Cinque sculacciate.
– Cinque.
– Milleuna frustate.
– ...
– E uno schiaffo sulla gola con una cravache, come si dice?
– Frustino?
– Frustino!
– ...
– Tutte e cinque. Non hai il diritto...
– Va bene, va bene. C'è una bambina di nome Jenny che attraversa una foresta con il suo inseparabile frustino. A un tratto si imbatte in un Tyrannosaurus Rex. Grrrrrrooul, ho fame, le dice il Tyrannosaurus Rex, sarò costretto a mangiarti! Allora la bambina di nome Jenny gli dà uno schiaffo sulla gola con il suo frustino, e poi tenta di scappare. Ma il Tyrannosaurus la rincorre e le dice: d'accordo, ti concedo di frustarmi e io mi accontenterò di quel panino con la coppa e il bleu che mi sembra di vedere nel tuo cestino della merenda. Quante frustate? domanda diffidente la bambina Jenny. Milleuna? propone timidamente il Tyrannosaurus. D'accordo. La bambina dà milleuna frustrate al T-Rex, che felice si accontenta di un semplice panino con la coppa e il bleu. Entrambi contenti, i due si salutano. Sai dove trovarmi, dice il T-Rex. Ripasserò di qui, dice la bambina di nome Jenny.
La bambina di nome Jenny si rimette sul cammino di casa. "Sono in enorme ritardo" pensa con un sorriso soddisfatto, "anche oggi mi sono meritata le mie cinque sculacciate".
– Bella!
– Piaciuta?
– Moltissimo.
– Stellina, hai mica sottomano il numero di Barbara?
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Balzecole (WRSASYDHT)
SILVIO ALMENO ABOLISCI QUEL ROGNOSO "BOLLO AUTO" CHE AVEVI PROMESSO DI TOGLIERE SUBITO COME CILIEGIA SULLA TORTA UNA DELLE BALZECOLE ITALIANA ASSIEME AL CANONE RAI .
Ho provato più volte a scrivere dal suo sito della MV Brambilla, ma non mai ricevuto riscontro, se non la copia, automatica, di quanto scritto da me nell’ e-mail. Si
Silvio... Sei la mia "Rock Star" prefrita
Ho provato più volte a scrivere dal suo sito della MV Brambilla, ma non mai ricevuto riscontro, se non la copia, automatica, di quanto scritto da me nell’ e-mail. Si
Silvio... Sei la mia "Rock Star" prefrita
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sabato, gennaio 16, 2010
Pigmeo readacted
Letto Pigmeo di Chuck Palahniuk, storia di piccolo addestratissimo agente orientale in missione negli Stati Uniti per avviare Operazione Caos.
Palahniuk è uno che ce la mette tutta per farti capire che ha una capsula di cianuro nel molare. Dice guarda qui, guarda adesso cosa faccio. Guarda qui: pericoloso esplosivo. Guarda qui: veleno. Sangue. Violenza. Sodomia. Sok-pow, blam-wham. Tallio.
Ma così è, con Palahniuk: se nel primo atto appare una capsula di cianuro in un molare, puoi star sicuro che nel quinto entrerà in scena un dentista.
A scopo cronaca: certo che è una commedia romantica.
Chuck Palahniuk, Pigmeo, Mondadori 2009.
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ahinobii
Voodoo alla goriziana
Da giovedì sera sono nuovamente qui (deittico ma poi si capisce, ciao a tutti auguri vi voglio bene e scusate se ho risposto a una mail su tre).
Ieri è successo un terremoto.
Alle 15.20 il sismografo sul Monte Sabotino (dietro casa, quello con la scritta "Naš Tito" perché noi modestamente siamo gente che guardano al futuro) ha registrato questo.
Naturalmente nessuno si è accorto di niente, a me l'ha detto il Manuel che già mi immaginava a tossire tra le macerie avvinghiata al gattominchia.
Al Sua Cinicitàscrivo subito via Gtalk "Ohi, sembra che ci sia stata una scossa fortissima".
E lui mi fa "Ad Haiti?"
Secondo me Gorizia non esiste.
Ieri è successo un terremoto.
Alle 15.20 il sismografo sul Monte Sabotino (dietro casa, quello con la scritta "Naš Tito" perché noi modestamente siamo gente che guardano al futuro) ha registrato questo.
Naturalmente nessuno si è accorto di niente, a me l'ha detto il Manuel che già mi immaginava a tossire tra le macerie avvinghiata al gattominchia.
Al Sua Cinicitàscrivo subito via Gtalk "Ohi, sembra che ci sia stata una scossa fortissima".
E lui mi fa "Ad Haiti?"
Secondo me Gorizia non esiste.
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città di G.,
Sua Cinicità,
The Real Thing
venerdì, gennaio 15, 2010
Essi (WRSASYDHT)
Fini, ha dovuto per forza ricordare di esistere. Ma lo fa facendosi dimenticare, come Casini che vive di asfissie. Sono dannosi soprattutto per essi.
VOLEVO ESPORRE IL PROBLEMA DELLA CATEGORIA ASSICURATORI, CHE GIORNO DOPO GIORNO, TROVIAMO DIFFICOLTA' NEL ESPLETARE LA PROPRIA MANSIONE.
Giornalisti televisivi contro Berlusconi unitivi,GAD e SANTORO ,ormai sono loro i politici per modo dire "tutti sono bravi quando stanno fuori" dice il mister.
INTERNET UNO STRUMENTO STRAORDIONARIO sfruttiamolo per il nstro futuro.
VOLEVO ESPORRE IL PROBLEMA DELLA CATEGORIA ASSICURATORI, CHE GIORNO DOPO GIORNO, TROVIAMO DIFFICOLTA' NEL ESPLETARE LA PROPRIA MANSIONE.
Giornalisti televisivi contro Berlusconi unitivi,GAD e SANTORO ,ormai sono loro i politici per modo dire "tutti sono bravi quando stanno fuori" dice il mister.
INTERNET UNO STRUMENTO STRAORDIONARIO sfruttiamolo per il nstro futuro.
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Spazio Azzurro,
Spingitori di cavalieri,
WRSASYDHT
lunedì, gennaio 11, 2010
Il diritto e il rovescio: WRSA a tappeto, SYDHT
O
urge agire,o diventeremo razzisti sfegatati.controlli a tappeto giorno e notte,in cse,strade negozi,e chi non e' in regola via dall'italia
Capito tutto
capisco le rivolte nelle periferie parigine,anche li bruciano auto.ma sono teppisti francesi.da noi lo fanno gli stranieri e per di piu' clandestini.comprendete cio'
Ns crocifisso
MANDARE SUBITO A CASA CLANDESTINI ACCOMPAGNATI ALLE FRONTIERE.RIAPPROPRIAMOCI DEL NOSTRO TERRITORIO DELLE NS TRADIZIONI DEL NS CROCIFISSO. BASTA IMMIGRATI.
Diritti
CLANDESTINI,MIGRANTI,STRANIERI: ABBIANO IL CORAGGIO DI CREARSI NEI LORO PAESI D'ORIGINE... I DIRITTI ITALIANI ! ...E QUESTO... NON E' RAZZISMO...!
Passa parola
RIVOLTA A ROSARNO. PAESE IN BALIA DI UNA FOLLA DI EXTRACOMUNITARI CLANDESTINI. ASPETTIAMO CHE, CON IL PASSA PAROLA, COMINCINO A FARE CASINO ANCHE NEL RESTO D'ITALIA?
Invece
nel corriere veneto un romeno adulto sfrutta un ragazzo minorenne di giorno x vagabondaggio di notte x rubare polizia da solo multa di 5000 e invece che indagare sul i
Sgrinfie
trovano un adulto di origine romena rom con un minorenne a vagabondare nelle città del nordest e invece che togliere al clandestino il minorenne dalle sgrinfie la poli
Minorenni piccoli piccoli
quando si verificano dei furti nelle case di cittadini vi usando i minorenni x entrare da minuscole finestre bisognerebbe indagare più a fondo fra campi nomadi del luo
Finestrelle
IN QUESTI GG DI FESTE CI SONO STATI MOLTI FURTI NEL VENETO E I DERUBATI HANNO VERIFICATO CHE I LADRI USANO RAGAZZI MINORENNI X ENTRARE DA FINESTRELLE X ENTRARE E FARE
Presto
Presto saremmo come gli indiani in America,una minoranza calpestata da marrocchini affricani rom,rumeni albanesi,ecc, Fuori prima che sia tardi
Ambulantano
La città Napoli è diventata invivibile, vuocumprà cinesi fanno ambulantato indisturbati, sciorinano mercanzie a terra e hanno tolto lavoro ai nostri che era corretti
Portarli
costruire una tendopoli,ospitare li i milioni di irregolari,e poco alla volta portarli in un campo onu,in libia.o temo saranno cacciati ugualmente,ma dalla gente.
Lei
FORZA BERLUSCONI SEI IL MIGLIORE ITALIA HA BISIOGNIO DI LEI.
urge agire,o diventeremo razzisti sfegatati.controlli a tappeto giorno e notte,in cse,strade negozi,e chi non e' in regola via dall'italia
Capito tutto
capisco le rivolte nelle periferie parigine,anche li bruciano auto.ma sono teppisti francesi.da noi lo fanno gli stranieri e per di piu' clandestini.comprendete cio'
Ns crocifisso
MANDARE SUBITO A CASA CLANDESTINI ACCOMPAGNATI ALLE FRONTIERE.RIAPPROPRIAMOCI DEL NOSTRO TERRITORIO DELLE NS TRADIZIONI DEL NS CROCIFISSO. BASTA IMMIGRATI.
Diritti
CLANDESTINI,MIGRANTI,STRANIERI: ABBIANO IL CORAGGIO DI CREARSI NEI LORO PAESI D'ORIGINE... I DIRITTI ITALIANI ! ...E QUESTO... NON E' RAZZISMO...!
Passa parola
RIVOLTA A ROSARNO. PAESE IN BALIA DI UNA FOLLA DI EXTRACOMUNITARI CLANDESTINI. ASPETTIAMO CHE, CON IL PASSA PAROLA, COMINCINO A FARE CASINO ANCHE NEL RESTO D'ITALIA?
Invece
nel corriere veneto un romeno adulto sfrutta un ragazzo minorenne di giorno x vagabondaggio di notte x rubare polizia da solo multa di 5000 e invece che indagare sul i
Sgrinfie
trovano un adulto di origine romena rom con un minorenne a vagabondare nelle città del nordest e invece che togliere al clandestino il minorenne dalle sgrinfie la poli
Minorenni piccoli piccoli
quando si verificano dei furti nelle case di cittadini vi usando i minorenni x entrare da minuscole finestre bisognerebbe indagare più a fondo fra campi nomadi del luo
Finestrelle
IN QUESTI GG DI FESTE CI SONO STATI MOLTI FURTI NEL VENETO E I DERUBATI HANNO VERIFICATO CHE I LADRI USANO RAGAZZI MINORENNI X ENTRARE DA FINESTRELLE X ENTRARE E FARE
Presto
Presto saremmo come gli indiani in America,una minoranza calpestata da marrocchini affricani rom,rumeni albanesi,ecc, Fuori prima che sia tardi
Ambulantano
La città Napoli è diventata invivibile, vuocumprà cinesi fanno ambulantato indisturbati, sciorinano mercanzie a terra e hanno tolto lavoro ai nostri che era corretti
Portarli
costruire una tendopoli,ospitare li i milioni di irregolari,e poco alla volta portarli in un campo onu,in libia.o temo saranno cacciati ugualmente,ma dalla gente.
Lei
FORZA BERLUSCONI SEI IL MIGLIORE ITALIA HA BISIOGNIO DI LEI.
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venerdì, gennaio 08, 2010
Bolaño in Messico
Nel suo Manifesto infrarealista Bolaño scriveva:
Bolaño aveva ragione, letteralmente, a proposito delle feste (ma fortunatamente la profezia giacobina non si realizzò). Il mondo letterario era piccolo e coeso, e noi passavamo davvero da una festa all'altra, se si contano tutti i reading, le conferenze, le inaugurazioni e gli incontri nei caffè. Ci vedevamo sempre. Ricorderò cinque di queste feste, svoltesi tra il 1973 e il 1976.
Carmen Boullosa, "Bolaño in Mexico", The Nation, 23 aprile 2007.
Il clima letterario di Città del Messico alla metà anni Settanta, le feste, la guerra tra pooeti octaviani ed efrainiti e le incursioni degli Infrarealisti nei ricordi della scrittrice Carmen Boullosa, amica di Roberto Bolaño. La traduzione integrale è qui.
I borghesi e i piccoli borghesi passano da una festa all'altra. Ce n'è una ogni fine settimana. Il proletariato non ha feste. Solo funerali con ritmo. Le cose cambieranno. Gli sfruttati faranno una gran festa. Memoria e ghigliottine.
Carmen Boullosa, "Bolaño in Mexico", The Nation, 23 aprile 2007.
Il clima letterario di Città del Messico alla metà anni Settanta, le feste, la guerra tra pooeti octaviani ed efrainiti e le incursioni degli Infrarealisti nei ricordi della scrittrice Carmen Boullosa, amica di Roberto Bolaño. La traduzione integrale è qui.
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E tuttavia
"Non capisco lei come fa ad aver paura di una creatura così simpaticina."
Piccolo Umano Femmina durante la visione di King Kong (1933).
Piccolo Umano Femmina durante la visione di King Kong (1933).
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giovedì, gennaio 07, 2010
Centuriette oh! oh! (WRSASYDHT)
"SUA CAMERETTA" E LE METASTATICHE-POLITICHINE... LE STANNO IN CAGNESCO PER QUELLE "SUE" QUOTIDIANE-VERACI-PAROLETTE DA "PIU' DI UNA DOZZINA..." E....
"SUA CAMERETTA" E LE METASTATICHE-POLITICHINE... ..E LA GABELLA PER UN ANTI-PDL-PARTITO-IDEE PERCHE' METTE BIRBE-IDEE E BIRBONI-POLITICI ALLA BERLINA...! OH!OH!.
"SUA CAMERETTA" E LE METASTATICHE-POLITICHINE... ..E LA GABELLA PER UN ANTI-PDL-PARTITO-IDEE PERCHE' METTE BIRBE-IDEE E BIRBONI-POLITICI ALLA BERLINA...! OH!OH!.
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WRSA anche nel 2010, SYDHT
Radici umane
Tanti auguri a tutti gli italiani che con onesta' e dignita',amano la propria patria,la propria famiglia e le proprie radici umane...e ovunque essi siano mondo umano
Francobollo
Trovo Osceno e Vergonoso, che una Persona perchè non ha al momento i Denari per il FRANCOBOLLO, debba MORIRE...Al Ministro di Competenza, Provvedere a Rimediare Falla
Rideva
caro Silvio Vittorio Feltri ha ragione in pieno fini è il vero traditore non dimenticare che rideva co quel magistrato alle tue spalle come uno sciacoallo.é un sicofan
Ciao
Mi sa che, per la prima volta, non vi seguirò e voterò la Bonino, 'sta Spolverini a me ... boh?, non sono convinto, che la proposta Fini? ciao.
Palombella azzurra
Lotterò perchè le tue idee pur diverse dalle mie possano andare avanti senza intralcio,perchè è bello e costruttivo essere diversi e insieme arrivare a vedere il nuovo
Provate
provate a pensare a una centrale nucleare in mano ai terroristi.
Stessi
il terrorismo ha tempi molto lunghi. i terroristi dell' 11 settembre erano gli stessi piloti degli aerei.
Scopp
PDL Feltri su il Giornale 7.1 da meditare,Xché non affatto scemo,e tenta far ragionare non pancia ma testa, non ascoltare scopp ma analizzare senso di parole e concett
Chi e cosa
CHI E COSA E': IN UN MARIMONIO,PUBBLICO O PRIVATO CHE SIA, CHI NON VUOLE IL DIVORZIO E DICE CHE E' UNO CHE NON TRADISCE, FINCHE' NON TROVA UN MATRIMONIO MIGLIORE?
Tanti auguri a tutti gli italiani che con onesta' e dignita',amano la propria patria,la propria famiglia e le proprie radici umane...e ovunque essi siano mondo umano
Francobollo
Trovo Osceno e Vergonoso, che una Persona perchè non ha al momento i Denari per il FRANCOBOLLO, debba MORIRE...Al Ministro di Competenza, Provvedere a Rimediare Falla
Rideva
caro Silvio Vittorio Feltri ha ragione in pieno fini è il vero traditore non dimenticare che rideva co quel magistrato alle tue spalle come uno sciacoallo.é un sicofan
Ciao
Mi sa che, per la prima volta, non vi seguirò e voterò la Bonino, 'sta Spolverini a me ... boh?, non sono convinto, che la proposta Fini? ciao.
Palombella azzurra
Lotterò perchè le tue idee pur diverse dalle mie possano andare avanti senza intralcio,perchè è bello e costruttivo essere diversi e insieme arrivare a vedere il nuovo
Provate
provate a pensare a una centrale nucleare in mano ai terroristi.
Stessi
il terrorismo ha tempi molto lunghi. i terroristi dell' 11 settembre erano gli stessi piloti degli aerei.
Scopp
PDL Feltri su il Giornale 7.1 da meditare,Xché non affatto scemo,e tenta far ragionare non pancia ma testa, non ascoltare scopp ma analizzare senso di parole e concett
Chi e cosa
CHI E COSA E': IN UN MARIMONIO,PUBBLICO O PRIVATO CHE SIA, CHI NON VUOLE IL DIVORZIO E DICE CHE E' UNO CHE NON TRADISCE, FINCHE' NON TROVA UN MATRIMONIO MIGLIORE?
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mercoledì, gennaio 06, 2010
"Come sto? Guarda, in due settimane sono stato malato letteralmente un giorno su due. Dunque, quattordici diviso due, significa che ho avuto sette gastriti."
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martedì, gennaio 05, 2010
Long live the new flesh
– Gage*!
– Ma non ho fatto niente!
– Vuoi morire o soffrire?
– Voglio essere felice.
– Allora soffrire.
*pegno. Quando le mie orecchie sentono "gaaaazh" il mio cervello pensa "i a problèm". Sto lentamente elaborando una visione del mondo da bambina di seconda elementare. In breve, sto diventando pessimista. N.d.A.
– Ma non ho fatto niente!
– Vuoi morire o soffrire?
– Voglio essere felice.
– Allora soffrire.
*pegno. Quando le mie orecchie sentono "gaaaazh" il mio cervello pensa "i a problèm". Sto lentamente elaborando una visione del mondo da bambina di seconda elementare. In breve, sto diventando pessimista. N.d.A.
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sabato, gennaio 02, 2010
Stella distante. L'ultima intervista di Roberto Bolaño
[Come promesso. Buon anno, m.]
L'ultima intervista di Roberto Bolaño
Stella distante
di Mónica Maristain
Sabato 19 luglio 2003
Martedì scorso è morto a cinquant'anni lo scrittore e poeta cileno Roberto Bolaño. Per molti era il migliore scrittore latinoamericano dei nostri tempi. Autore di culto per buona parte della sua vita, a partire dal Premio Rómulo Gallegos al romanzo I detective selvaggi nel 1998 la sua opera si è trasformata in oggetto di devozione per più di una generazione. Negli ultimi tempi, oltre agli elogi entusiastici ricevuti da giornali come “Libération” e “Le Monde” e da personalità come Susan Sontag, alcuni hanno perfino fantasticato di vederlo premiato con il Nobel. Nella settimana della sua morte, la giornalista Mónica Maristain ha pubblicato per l'edizione messicana di “Playboy” questa lunga intervista nella quale Bolaño parla di tutto: della letteratura, degli anni passati in povertà, della sua fiducia nei lettori, della grammatica dei disperati, del paradiso immaginario e dell'inferno tanto temuto.
Nel confuso panorama della letteratura in lingua spagnola, dove ogni giorno che passa appaiono nuovi scrittori più preoccupati di vincere borse di studio e incarichi nei Consolati che di contribuire in qualche modo alla creazione artistica, spicca la figura di un uomo magro, zaino blu in spalla, occhiali dalla montatura enorme, eterna sigaretta tra le dita, sottile ironia a bruciapelo sempre pronta in caso di necessità. Roberto Bolaño, nato in Cile nel 1953, è quanto di meglio sia accaduto al mestiere di scrivere da molto tempo. Da quando il suo monumentale I detective selvaggi, forse il grande romanzo messicano contemporaneo, è diventato famoso e ha ricevuto i premi Herralde (1998) e Rómulo Gallegos (1999), la sua influenza e la sua figura sono andati crescendo: tutto quello che dice con il suo umorismo tagliente e la sua raffinata intelligenza, tutto quello che scrive con la sua abile penna, di grande audacia poetica e profonda complessità creativa, è degno dell'attenzione di coloro che lo ammirano e, naturalmente, di quelli che lo detestano. L'autore appare come personaggio nel romanzo Soldati di Salamina di Javier Cercas e viene omaggiato nell'ultimo romanzo di Jorge Volpi, El fin de la locura. Come tutti gli uomini di genio fa discutere, genera acerrime antipatie malgrado il suo carattere affettuoso, la voce tra l'acuto e l'aspro con cui risponde – con cortesia da bravo cileno – che non scriverà un racconto per la rivista perché il suo prossimo romanzo, che tratterà degli omicidi di donne a Ciudad Juárez, pur essendo arrivato già a 900 pagine non è ancora finito. Roberto Bolaño vive a Blanes, in Spagna, ed è molto malato. Spera che un trapianto di fegato gli permetterà di vivere con l'intensità celebrata da chi ha avuto la fortuna di conoscerlo in privato. I suoi amici dicono che a volte si dimentica di andare alle visite mediche per continuare a scrivere. A 50 anni, quest'uomo che ha girato l'America Latina in sacco a pelo ed è sfuggito alle fauci del regime di Pinochet perché uno dei suoi carcerieri era stato suo compagno di scuola, che ha vissuto in Messico (e forse un giorno un tratto della calle Bucareli prenderà il suo nome), che conobbe i militanti del Farabundo Martí che sarebbero poi diventati gli assassini del poeta Roque Dalton a El Salvador, che fece il guardiano in un campeggio catalano, il venditore di bigiotteria in Europa e fu ladro di buoni libri perché leggere non è solo un problema di atteggiamento, quest'uomo, possiamo dirlo, ha cambiato il corso della letteratura latinoamericana. E l'ha fatto senza avvertire né chiedere il permesso, come avrebbe fatto Juan García Madero, l'antieroe adolescente dei gloriosi Detective selvaggi: “sono al primo semestre di giurisprudenza. Io non volevo studiare giurisprudenza, bensì lettere, però mio zio insisteva e alla fine ho dovuto cedere. Sono orfano. Diventerò avvocato. Fu questo che dissi a mio zio e a mia zia e poi mi chiusi in camera e piansi tutta la notte”. Il resto si trova nelle restanti 608 pagine di un romanzo la cui importanza è stata paragonata dai critici a Il gioco del mondo di Julio Cortázar e persino a Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez. Di fronte a una simile iperbole, lui direbbe: non esiste. Meglio allora passare a quello che conta in questo momento: l'intervista.
L'essere nato dislessico ha avuto una qualche importanza nella sua vita?
Nessuno. Problemi quando giocavo a calcio, sono mancino. Problemi quando mi masturbavo, sono mancino. Problemi quando scrivevo, sono destro. Come vedi, nessun problema importante.
Enrique Vila-Matas è ancora suo amico dopo la lite con gli organizzatori del Premio Rómulo Gallegos?
La mia lite con la giuria e gli organizzatori era dovuta principalmente al fatto che pretendevano che avallassi, da Blanes e alla cieca, una selezione alla quale non avevo partecipato. I loro metodi, che una pseudo-poetessa chavista mi comunicò al telefono, sembravano troppo simili alle argomentazioni dissuasive della Casa de las Américas di Cuba. Per esempio, mi sembrava che fosse un errore enorme eliminare subito Daniel Sada o Jorge Volpi. Dissero che quello che volevo era viaggiare con mia moglie e i miei figli, cosa completamente falsa. Dalla mia indignazione per questa menzogna ebbe origine la lettera in cui li chiamavo neostalinisti e altre cose, temo. Di fatto, fui informato che fin dall'inizio volevano premiare un altro autore, che non era Vila- Matas, il cui romanzo mi pare buono e che era certamente uno dei miei candidati.
Perché nel suo studio non c'è l'aria condizionata?
Perché il mio motto non è “Et in Arcadia ego”, ma “Et in Esparta ego”.
Non pensa che se si fosse ubriacato con Isabel Allende e Ángeles Mastretta valuterebbe diversamente i loro libri?
Non lo penso. Primo, perché queste signore evitano di bere con uno come me. Secondo, perché io non bevo più. Terzo, perché neanche nelle peggiori sbronze ho mai perso una sia pur minima lucidità, un senso della prosodia e del ritmo, un certo rifiuto davanti al plagio, alla mediocrità o al silenzio.
Qual è la differenza tra una scribacchina e una scrittrice? Una scrittrice è Silvina Ocampo.
Una scribacchina è Marcela Serrano. Gli anni luce che le separano.
Cosa le ha fatto credere di essere migliore come poeta che come narratore?
Il mio grado di rossore quando, per puro caso, apro un mio libro di poesia o uno di prosa. Quello di poesia mi fa arrossire di meno.
Lei è cileno, spagnolo o messicano?
Sono latinoamericano.
Cos'è per lei la patria?
Mi spiace darti una risposta molto pacchiana. La mia unica patria sono i miei due figli, Lautaro e Alexandra. E forse, ma secondariamente, certi istanti, certe vie, certi visi o scene o libri che stanno dentro di me e che un giorno dimenticherò, che è la cosa migliore che si possa fare con la patria.
Cos'è la letteratura cilena?
Probabilmente gli incubi del più risentito e grigio e forse più codardo dei poeti cileni: Carlos Pezoa Véliz, morto all'inizio del XX secolo, autore di due sole poesie memorabili, ma – questo sì – veramente memorabili, e che continua a sognarci e a patire. È possibile che Pezoa Véliz non sia mai morto, magari sta agonizzando e il suo ultimo minuto è abbastanza lungo, no?, da contenerci tutti. O almeno da contenere tutti noi cileni.
Perché vuole sempre fare il bastian contrario?
Non faccio mai il bastian contrario.
Ha più amici che nemici?
Ho abbastanza amici e nemici, tutti gratuiti.
Chi sono i suoi amici più cari?
Il mio migliore amico era il poeta Mario Santiago, morto nel 1998. Attualmente tre dei miei migliori amici sono Ignacio Echevarría e Rodrigo Fresán e A. G. Porta.
Antonio Skármeta l'ha mai invitata al suo programma?
Una volta mi ha telefonato una sua segretaria, forse la sua amante. Le ho detto che ero troppo occupato.
Javier Cercas ha spartito con lei i premi vinti da Soldati di Salamina?
No, naturalmente.
Enrique Lihn, Jorge Teillier o Nicanor Parra?
Nicanor Parra su tutti, compresi Pablo Neruda e Vicente Huidobro e Gabriela Mistral.
Eugenio Montale, T. S. Eliot o Xavier Villaurrutia?
Montale. Se al posto di Eliot ci fosse stato James Joyce, allora Joyce. Se al posto di Eliot ci fosse stato Ezra Pound, senza dubbio Pound.
John Lennon, Lady Di o Elvis Presley?
The Pogues. O i Suicide. O Bob Dylan. Però, dai, non facciamo i pignoli: Elvis forever. Elvis con un cappello da sceriffo che guida una Mustang e si impasticca, e con la sua voce d'oro.
Chi legge di più, lei o Rodrigo Fresán?
Dipende. L'Ovest è per Rodrigo. L'Est è per me. Poi contiamo i libri delle nostre rispettive aree e sembrerebbe che li abbiamo letti tutti.
Qual è secondo lei la poesia migliore di Pablo Neruda?
Quasi tutte quelle di Residenza sulla terra.
Cosa avrebbe detto a Gabriela Mistral se l'avesse conosciuta?
Mamma, perdonami, sono stato cattivo, però l'amore di una donna mi ha fatto diventare buono.
E a Salvador Allende?
Poco o niente. Chi ha il potere (anche se per poco tempo) non sa niente di letteratura, si interessa solo al potere. E io posso essere il pagliaccio dei miei lettori, se ne ho veramente voglia, ma mai dei potenti. Suona un po' melodrammatico. Suona come la dichiarazione di una puttana onorata. Però in fin dei conti è così.
E a Vicente Huidobro?
Huidobro mi annoia un po'. Troppo trallallì trallallà, troppo paracadutista che scende cantando come un tirolese. Sono meglio i paracadutisti che scendono avvolti nelle fiamme, o ancor più quelli a cui non si apre il paracadute.
Octavio Paz continua a essere il nemico?
Per me certamente no. Non so cosa penseranno i poeti che all'epoca, quando vivevo in Messico, scrivevano come suoi cloni. È da molto che non so niente della poesia messicana. Rileggo José Juan Tablada e Ramón López Velarde, all'occasione posso perfino recitare Suor Juana, ma non so niente di ciò che scrivono quelli che, come me, si avvicinano a cinquant'anni.
Adesso non assegnerebbe questo ruolo a Carlos Fuentes?
È da molto che non leggo niente di Carlos Fuentes.
Come la fa sentire il fatto che Arturo Pérez Reverte sia attualmente lo scrittore più letto in spagnolo?
Pérez Reverte o Isabel Allende. È lo stesso. Feuillet era l'autore francese più letto della sua epoca.
E il fatto che Arturo Pérez Reverte sia stato ammesso alla Real Academia?
La Real Academia è un covo di privilegiati. Non c'è Juan Marsé, non c'è Juan Goytisolo, non c'è Eduardo Mendoza né Javier Marías, non c'è Olvido García Valdez, non ricordo se ci sia Alvaro Pombo (se sì, probabilmente è per un equivoco), ma c'è Pérez Reverte. Be', anche Coelho è entrato nell'Accademia brasiliana.
Si pente di aver criticato il menù servitole da Diamela Eltit?
Non ho mai criticato il suo menù. Semmai ho criticato il suo umorismo, un umorismo vegetariano, o meglio dietetico.
Le dispiace che Diamela la consideri una cattiva persona dopo quella sfortunata cena?
No, povera Diamela, non mi dispiace. Sono altre le cose che mi danno dispiacere.
Ha versato qualche lacrima per le molte critiche dei suoi nemici?
Moltissime, ogni volta che leggo qualcuno parlar male di me mi metto a piangere, mi rotolo sul pavimento, mi graffio, smetto di scrivere per un periodo di tempo indefinito, mi cala l'appetito, fumo di meno, faccio sport, esco a camminare in riva al mare, che tra parentesi sta a meno di trenta metri da casa mia, e chiedo ai gabbiani, i cui antenati si mangiarono i pesci che si mangiarono Ulisse, perché io, perché io, che non ho mai fatto del male a nessuno?
Qual è per lei il parere più importante sulle sue opere?
I miei libri li leggono Carolina (mia moglie) e poi (Jorge) Herralde (editore di Anagrama) e poi cerco di dimenticarli per sempre.
Cos'ha comprato con i soldi del Premio Rómulo Gallegos?
Non molto. Una valigia, da quel che ricordo.
Al tempo in cui viveva di concorsi letterari c'è stato qualche premio che non è riuscito a incassare?
Nessuno. Gli enti locali spagnoli, sotto questo aspetto, sono di una correttezza al di sopra di ogni sospetto.
Era un bravo cameriere o era meglio come venditore di bigiotteria?
Il lavoro che ho svolto meglio è stato quello di guardiano di notte in un campeggio vicino a Barcellona. Mentre stavo lì non c'è stato nessun furto. Ho evitato delle risse che avrebbero potuto finire molto male. Ho evitato un linciaggio (anche se dopo avrei volentieri linciato o strangolato io stesso il tipo in questione).
Ha mai provato la fame feroce, il freddo che penetra nelle ossa, il caldo che lascia senza fiato?
Come dice Vittorio Gassman in un film: modestamente, sì.
Ha mai rubato un libro che poi non le è piaciuto?
Mai. Il bello del rubare libri (e non casseforti) è che si può esaminarne il contenuto con calma prima di commettere il crimine.
Ha mai camminato in mezzo al deserto?
Sì, e per giunta in un'occasione particolare, a braccetto con mia nonna. La vecchia signora era instancabile e pensai che non se saremmo usciti vivi.
Le è mai capitato di vedere pesci colorati sott'acqua?
Certo. Ad Acapulco, senza andare più indietro nel tempo, nel 1974 o nel 1975.
Si è mai bruciato la pelle con una sigaretta?
Mai volontariamente.
Ha mai inciso il nome della persona amata sul tronco di un albero?
Ho commesso eccessi anche peggiori, ma stendiamo un velo di pietoso silenzio.
Ha mai visto la donna più bella del mondo?
Sì, quando lavoravo in un negozio, sarà stato nell''84. Il negozio era vuoto, quando entrò una donna indù. Sembrava una principessa, e forse lo era. Mi comprò alcuni pendenti di bigiotteria. Io, naturalmente, ero sul punto di svenire. Aveva la pelle ramata, i capelli lunghi, rossi, e per il resto era perfetta. La bellezza atemporale. Quando dovetti incassare provai molta vergogna. Mi sorrise come per farmi intendere che lo capiva, e che non mi preoccupassi. Poi scomparve, e non mi è più capitato di vedere una donna come lei. A volte ho l'impressione che fosse proprio la dea Kali, protettrice dei ladri e degli orefici, solo che Kali era anche la divinità degli assassini, e questa indù non solo era la donna più bella della Terra ma sembrava anche una brava persona, molto dolce e assennata.
Preferisce i cani o i gatti?
Le cagne, ma adesso non possiedo animali.
Cosa ricorda della sua infanzia?
Tutto. Non ho una cattiva memoria.
Collezionava figurine?
Sì. Di calcio e di attori e attrici di Hollywood.
Aveva un monopattino?
I miei genitori commisero l'errore di regalarmi un paio di pattini quando vivevamo a Valparaíso, che è una città costruita sulle colline. Il risultato fu disastroso. Ogni volta che mi mettevo i pattini era come se volessi suicidarmi.
Qual è la sua squadra di calcio preferita?
Adesso nessuna. Quelle che sono finite in serie B e poi in serie C e in D, fino a scomparire. Le squadre fantasma.
A quali personaggi della storia universale avrebbe voluto somigliare?
A Sherlock Holmes. Al capitano Nemo. A Julien Sorel, nostro padre, al principe Miškin, nostro zio, ad Alice, nostra professoressa, a Houdini che era un misto di Alice, di Sorel e di Miškin.
Si innamorava delle vicine più grandi di lei?
Naturalmente.
Le compagne di scuola le prestavano attenzione?
Non credo. O almeno io ero convinto di no.
Cosa deve alle donne della sua vita?
Moltissimo. Il senso della sfida e della scommessa. E altre cose che taccio per decoro.
Loro le devono qualcosa?
Niente.
Ha sofferto molto per amore?
La prima volta molto, poi ho imparato a prendere le cose con maggiore ironia.
E per odio?
Benché possa suonare pretenzioso, non ho mai odiato nessuno. O almeno sono certo di essere incapace di un odio costante nel tempo. E se l'odio non ha costanza non è odio, no?
Come ha conquistato sua moglie?
Cucinandole del riso. Allora ero molto povero e la mia dieta era principalmente a base di riso, e dunque avevo imparato a cucinarlo in molti modi.
Com'è stato diventare padre per la prima volta?
Era notte, poco prima delle 24, ero solo, e dato che nell'ospedale non si poteva fumare mi feci una sigaretta dopo essermi praticamente arrampicato sul soffitto a cassettoni del quarto piano. Fortuna che dalla strada non mi vide nessuno. Solo la luna, avrebbe detto Amado Nervo. Quando rientrai un'infermiera mi disse che mio figlio era nato. Era molto grande, quasi del tutto calvo e con gli occhi aperti, come a chiedersi chi fosse quel demonio che lo teneva in braccio.
Lautaro farà lo scrittore?
Io spero solo che sia felice. Dunque è meglio che faccia qualcos'altro. Pilota di aerei, per esempio, o chirurgo plastico, o editore.
Cosa vede in lui di suo?
Per fortuna somiglia molto di più a sua madre che a me.
La preoccupano le vendite dei suoi libri?
Il minimo indispensabile.
Le capita mai di pensare ai suoi lettori?
Quasi mai.
Tra tutte le cose che le hanno detto i suoi lettori a proposito dei suoi libri, quali l'hanno commossa?
Mi commuovono i lettori e basta, quelli che hanno ancora il coraggio di leggere il Dizionario filosofico di Voltaire, che è una delle opere più piacevoli e moderne che conosco. Mi commuovono i giovani di ferro che leggono Cortázar e Parra, così come li ho letti io e come intendo continuare a leggerli. Mi commuovono i giovani che dormono con un libro sotto la testa. Un libro è il miglior cuscino che esista.
Cosa l'ha fatta arrabbiare?
A questo punto arrabbiarsi è una perdita di tempo. E purtroppo alla mia età il tempo conta.
Ha mai avuto paura dei suoi fan?
Ho avuto paura dei fan di Leopoldo María Panero, che, d'altra parte, mi sembra uno dei tre migliori poeti spagnoli viventi. A Pamplona, durante un ciclo organizzato da Jesús Ferrero, Panero doveva chiudere la rassegna e, man mano che si avvicinava il giorno della sua lettura, la città o il quartiere in cui si trovava il nostro albergo si riempì di freak che sembravano scappati da un manicomio e che, d'altro canto, sono il miglior pubblico cui possa aspirare un poeta. Il problema era che alcuni sembravano non solo dei pazzi ma anche degli assassini, e Ferrero ed io avevamo paura che qualcuno da un momento all'altro si alzasse e dicesse: ho ammazzato Leopoldo María Panero, per poi scaricare quattro pallottole nella testa del poeta e, già che c'era, riservarne una a Ferrero e una a me.
Cosa prova quando critici come Darío Osses la considerano lo scrittore americano con più avvenire?
Deve essere uno scherzo. Io sono lo scrittore latinoamericano con meno avvenire. È invece vero che sono tra quelli che hanno più passato, che dopo tutto è quello che conta.
La incuriosisce il libro critico che sta preparando la sua connazionale Patricia Espinoza?
No. Espinoza mi sembra una critica molto brava, indipendentemente da come mi tratterà nel suo libro, suppongo non molto bene, però il lavoro di Espinoza è necessario in Cile. Di fatto, la necessità di una – chiamiamola così – nuova critica comincia a farsi urgente in tutta l'America Latina.
E il libro dell'argentina Celina Mazoni?
Conosco Celina personalmente e le voglio molto bene. Le ho dedicato uno dei racconti di Puttane assassine.
Che cosa la annoia?
Il discorso vuoto della sinistra. Il discorso vuoto della destra lo do per scontato.
Che cosa la diverte?
Veder giocare mia figlia Alexandra. Far colazione in un bar in riva al mare e mangiare un cornetto leggendo il giornale. La letteratura di Borges. La letteratura di Bioy. La letteratura di Bustos Domecq. Fare l'amore.
Scrive a mano?
La poesia sì. Il resto con un vecchio computer del 1993.
Se chiude gli occhi, tra tutti i paesaggi dell'America Latina che ha conosciuto qual è il primo che le torna in mente?
Le labbra di Lisa nel 1974. Il camion di mio padre guasto in una strada nel deserto. Il padiglione dei tubercolosi di un ospedale di Cauquenes e mia madre che dice a mia sorella e a me di trattenere il respiro. Un'escursione al Popocatépetl con Lisa, Mara e Vera e qualcun altro che non ricordo, ma ricordo le labbra di Lisa, il suo sorriso straordinario.
Com'è il paradiso?
Come Venezia, spero, un posto pieno di italiane e di italiani. Un luogo da usare e consumare e che sa che niente dura, neanche il paradiso, e che questo in fondo non conta.
E l'inferno?
Come Ciudad Juárez, che è la nostra maledizione e il nostro specchio, lo specchio inquieto delle nostre frustrazioni e della nostra infame interpretazione della libertà e dei nostri desideri.
Quando ha saputo di essere gravemente malato?
Nel '92.
Cosa ha cambiato del suo carattere la malattia?
Niente. Ho saputo che non ero immortale, e a 38 anni era ora che lo sapessi.
Cosa vorrebbe fare prima di morire?
Niente di speciale. Be', preferirei non morire, chiaro. Però prima o poi la distinta signora arriva, il problema è che a volte non è una signora né tanto meno è distinta, ma piuttosto, come dice Nicanor Parra in una poesia, è una puttana insaziabile che fa tremare anche i più intrepidi.
Chi le piacerebbe incontrare nell'aldilà?
Non credo nell'aldilà. Se esistesse, che sorpresa. Mi iscriverei subito ai corsi di Pascal.
Ha mai pensato di suicidarsi?
Naturalmente. In qualche occasione sono sopravvissuto proprio perché sapevo come suicidarmi se le cose fossero peggiorate.
Le è capitato di pensare che stava impazzendo?
Naturalmente, ma mi ha sempre salvato il senso dell'umorismo. Mi raccontavo storie che mi facevano ridere come un pazzo. O mi ricordavo situazioni che mi facevano rotolare dalle risate.
La pazzia, la morte e l'amore: quale di queste tre cose ha avuto di più nella sua vita?
Spero con tutto il cuore di aver avuto più amore.
Cosa la fa ridere sonoramente?
Le mie e le altrui disgrazie.
Cosa la fa piangere?
Lo stesso: le mie e le altrui disgrazie.
Le piace la musica?
Molto.
Vede la sua opera come tendono a vederla i suoi lettori e critici, prima di tutto I detective selvaggi e poi tutto il resto?
L'unico romanzo di cui non mi vergogno è Anversa, forse perché continua a essere incomprensibile. Le critiche negative che ha ricevuto sono medaglie guadagnate in combattimento, non in scaramucce a salve. Il resto della mia “opera”, be', non è male, sono romanzi divertenti, il tempo ci dirà se sono qualcosa di più. Per ora mi fanno guadagnare, vengono tradotti, mi servono per farmi degli amici molto generosi e simpatici, mi permettono di vivere, e anche abbastanza bene, di letteratura, e dunque lamentarsi sarebbe gratuito e ingrato. Ma la verità è che non do molta importanza ai miei libri. Sono molto più interessato ai libri degli altri.
Non taglierebbe alcune pagine dei Detective selvaggi?
No. Per tagliarle dovrei rileggerlo e la mia religione me lo proibisce.
Non la spaventa che qualcuno voglia fare la versione cinematografica del romanzo?
Ah, Mónica, mi spaventano altre cose. Diciamo: cose più terrificanti, infinitamente più terrificanti.
“Silva, detto l'Occhio” [1] è un omaggio a Julio Cortázar?
Assolutamente no.
Quando finì di scrivere “Silva, detto l'Occhio” non ha sentito di aver creato un racconto all'altezza, di “Casa occupata”, [2] per esempio?
Quando finii di scrivere “Silva, detto l'Occhio” smisi di piangere o qualcosa di simile. Quanto al paragone con un racconto di Cortázar, non avrei potuto chiedere di meglio, anche se “Casa occupata” non è uno dei miei preferiti.
Quali sono i cinque libri che hanno segnato la sua vita?
I miei cinque libri sono in realtà cinquemila. Nomino questi solo come punta di diamante o perversa ambasciata: Don Chisciotte di Cervantes. Moby Dick di Melville. Le Opere complete di Borges. Il gioco del mondo di Cortázar. Una banda di idioti di Kennedy Toole. Ma dovrei citare anche: Nadja di Breton. Le Lettere di Jacques Vaché. Tutto l'Ubu di Jarry. La vita istruzioni per l'uso di Perec. Il castello e Il processo di Kafka. Gli aforismi di Lichtenberg. Il Tractatus di Wittgenstein. L'invenzione di Morel di Bioy Casares. Il Satyricon di Petronio. La Storia di Roma di Tito Livio. I Pensieri di Pascal.
Va d'accordo con il suo editore?
Abbastanza. Herralde è una persona intelligente e spesso affascinante. Forse mi converrebbe di più che non fosse tanto affascinante. Il fatto è che lo conosco da otto anni, e almeno da parte mia l'amore cresce sempre di più, come dice un bolero. Anche se forse mi converrebbe non amarlo tanto.
Cosa dice di quelli che considerano I detective selvaggi il grande romanzo messicano contemporaneo?
Che lo dicono per pietà, che mi vedono decaduto o mentre svengo nei luoghi pubblici e non gli viene in mente niente di meglio di una pietosa menzogna, che del resto è la cosa più indicata in questi casi e non è nemmeno un peccato veniale.
È vero che fu Juan Villoro a convincerla a non intitolare Tormenta de mierda (“Tormenta di merda”) il suo romanzo Notturno cileno?
Villoro e Herralde.
Da chi altri accetta consigli sulla sua opera?
Non accetto i consigli di nessuno, nemmeno del mio medico. Do consigli a destra e a sinistra, ma non ne ascolto nessuno.
Com'è Blanes?
Un bel paese. O una piccola città di trentamila abitanti, abbastanza bella. Fu fondata duemila anni fa dai romani, e poi passò di qui gente di tutte le provenienze. Non è una spiaggia di ricchi, ma di proletari. Operai del Nord o dell'Est. Alcuni si fermano per sempre. La baia è bellissima.
Le manca qualcosa della sua vita in Messico?
La mia giovinezza e le camminate interminabili con Mario Santiago.
Quale scrittore messicano ammira profondamente?
Molti. Della mia generazione ammiro Sada, il cui progetto di scrittura mi pare il più audace, Villoro, Carmen Boullosa; tra i più giovani mi interessa molto quello che fanno Alvaro Enrigue e Mauricio Montiel, o Volpi e Ignacio Padilla. Continuo a leggere Sergio Pitol, che scrive sempre meglio. E Carlos Monsiváis, che, da quanto mi ha raccontato Villoro, ha soprannominato Taibo 2 o 3 (o 4) “Pol Pit”, il che mi sembra una bella trovata poetica. Pol Pit, è perfetto, no? Monsiváis continua a usare le sue unghie affilate. Mi piace molto quello che fa Sergio González Rodríguez.
Esiste un rimedio per il mondo?
Il mondo è vivo e niente di ciò che è vivo ha rimedio, e questa è la nostra sorte.
Ripone speranze? in che cosa, in chi?
Mia cara Maristain, lei mi trascina nuovamente nei pascoli della pacchianeria, che sono i miei pascoli natali. Io spero nei ragazzini. Nei ragazzini e nei guerrieri. Nei ragazzini che scopano come ragazzini e nei guerrieri che combattono come eroi. Perché? Mi rimetto alla lapide di Borges, come direbbe l'inclito Gervasio Montenegro, dell'Academia (come Pérez Reverte, pensi un po'), e non parliamone più.
Quali sentimenti le suscita la parola postumo?
Sembra il nome di un gladiatore romano. Un gladiatore invincibile. O almeno questo ama credere il povero Postumo per farsi coraggio.
Cosa pensa di quelli che pensano che vincerà il Premio Nobel?
Sono sicuro, cara Maristain, che non lo vincerò, come sono sicuro che lo vincerà invece qualche barbone della mia generazione e che non mi nominerà neanche di sfuggita nel suo discorso di Stoccolma.
Quando è stato più felice?
Sono stato felice quasi tutti i giorni della mia vita, almeno per un istante, anche nelle circostanze più avverse.
Cose le sarebbe piaciuto essere, se non fosse stato scrittore?
Mi sarebbe piaciuto essere un detective della omicidi, molto più che uno scrittore. Di questo sono assolutamente certo. Un piedipiatti della omicidi, qualcuno che può tornare solo, nottetempo, sulla scena del crimine, e non avere paura dei fantasmi. Allora sì che forse sarei impazzito, però questo, essendo un poliziotto, si risolve con un colpo in bocca.
Confessa di aver vissuto?
Be', continuo a vivere, continuo a leggere, continuo a scrivere e a guardare film, e come disse Arturo Prat ai suicidi della Esmeralda, finché vivrò questa bandiera non si ammainerà.
[1] Nella raccolta di racconti Puttane assassine, Sellerio editore, Palermo 2009.
[2] Nella raccolta di Julio Cortázar Bestiario, Einaudi, Torino 1965.
Originale: Estrella distante
Articolo originale pubblicato il 19 luglio 2003
Traduzione: Manuela Vittorelli
L'ultima intervista di Roberto Bolaño
Stella distante
di Mónica Maristain
Sabato 19 luglio 2003
Martedì scorso è morto a cinquant'anni lo scrittore e poeta cileno Roberto Bolaño. Per molti era il migliore scrittore latinoamericano dei nostri tempi. Autore di culto per buona parte della sua vita, a partire dal Premio Rómulo Gallegos al romanzo I detective selvaggi nel 1998 la sua opera si è trasformata in oggetto di devozione per più di una generazione. Negli ultimi tempi, oltre agli elogi entusiastici ricevuti da giornali come “Libération” e “Le Monde” e da personalità come Susan Sontag, alcuni hanno perfino fantasticato di vederlo premiato con il Nobel. Nella settimana della sua morte, la giornalista Mónica Maristain ha pubblicato per l'edizione messicana di “Playboy” questa lunga intervista nella quale Bolaño parla di tutto: della letteratura, degli anni passati in povertà, della sua fiducia nei lettori, della grammatica dei disperati, del paradiso immaginario e dell'inferno tanto temuto.
Nel confuso panorama della letteratura in lingua spagnola, dove ogni giorno che passa appaiono nuovi scrittori più preoccupati di vincere borse di studio e incarichi nei Consolati che di contribuire in qualche modo alla creazione artistica, spicca la figura di un uomo magro, zaino blu in spalla, occhiali dalla montatura enorme, eterna sigaretta tra le dita, sottile ironia a bruciapelo sempre pronta in caso di necessità. Roberto Bolaño, nato in Cile nel 1953, è quanto di meglio sia accaduto al mestiere di scrivere da molto tempo. Da quando il suo monumentale I detective selvaggi, forse il grande romanzo messicano contemporaneo, è diventato famoso e ha ricevuto i premi Herralde (1998) e Rómulo Gallegos (1999), la sua influenza e la sua figura sono andati crescendo: tutto quello che dice con il suo umorismo tagliente e la sua raffinata intelligenza, tutto quello che scrive con la sua abile penna, di grande audacia poetica e profonda complessità creativa, è degno dell'attenzione di coloro che lo ammirano e, naturalmente, di quelli che lo detestano. L'autore appare come personaggio nel romanzo Soldati di Salamina di Javier Cercas e viene omaggiato nell'ultimo romanzo di Jorge Volpi, El fin de la locura. Come tutti gli uomini di genio fa discutere, genera acerrime antipatie malgrado il suo carattere affettuoso, la voce tra l'acuto e l'aspro con cui risponde – con cortesia da bravo cileno – che non scriverà un racconto per la rivista perché il suo prossimo romanzo, che tratterà degli omicidi di donne a Ciudad Juárez, pur essendo arrivato già a 900 pagine non è ancora finito. Roberto Bolaño vive a Blanes, in Spagna, ed è molto malato. Spera che un trapianto di fegato gli permetterà di vivere con l'intensità celebrata da chi ha avuto la fortuna di conoscerlo in privato. I suoi amici dicono che a volte si dimentica di andare alle visite mediche per continuare a scrivere. A 50 anni, quest'uomo che ha girato l'America Latina in sacco a pelo ed è sfuggito alle fauci del regime di Pinochet perché uno dei suoi carcerieri era stato suo compagno di scuola, che ha vissuto in Messico (e forse un giorno un tratto della calle Bucareli prenderà il suo nome), che conobbe i militanti del Farabundo Martí che sarebbero poi diventati gli assassini del poeta Roque Dalton a El Salvador, che fece il guardiano in un campeggio catalano, il venditore di bigiotteria in Europa e fu ladro di buoni libri perché leggere non è solo un problema di atteggiamento, quest'uomo, possiamo dirlo, ha cambiato il corso della letteratura latinoamericana. E l'ha fatto senza avvertire né chiedere il permesso, come avrebbe fatto Juan García Madero, l'antieroe adolescente dei gloriosi Detective selvaggi: “sono al primo semestre di giurisprudenza. Io non volevo studiare giurisprudenza, bensì lettere, però mio zio insisteva e alla fine ho dovuto cedere. Sono orfano. Diventerò avvocato. Fu questo che dissi a mio zio e a mia zia e poi mi chiusi in camera e piansi tutta la notte”. Il resto si trova nelle restanti 608 pagine di un romanzo la cui importanza è stata paragonata dai critici a Il gioco del mondo di Julio Cortázar e persino a Cent'anni di solitudine di Gabriel García Márquez. Di fronte a una simile iperbole, lui direbbe: non esiste. Meglio allora passare a quello che conta in questo momento: l'intervista.
L'essere nato dislessico ha avuto una qualche importanza nella sua vita?
Nessuno. Problemi quando giocavo a calcio, sono mancino. Problemi quando mi masturbavo, sono mancino. Problemi quando scrivevo, sono destro. Come vedi, nessun problema importante.
Enrique Vila-Matas è ancora suo amico dopo la lite con gli organizzatori del Premio Rómulo Gallegos?
La mia lite con la giuria e gli organizzatori era dovuta principalmente al fatto che pretendevano che avallassi, da Blanes e alla cieca, una selezione alla quale non avevo partecipato. I loro metodi, che una pseudo-poetessa chavista mi comunicò al telefono, sembravano troppo simili alle argomentazioni dissuasive della Casa de las Américas di Cuba. Per esempio, mi sembrava che fosse un errore enorme eliminare subito Daniel Sada o Jorge Volpi. Dissero che quello che volevo era viaggiare con mia moglie e i miei figli, cosa completamente falsa. Dalla mia indignazione per questa menzogna ebbe origine la lettera in cui li chiamavo neostalinisti e altre cose, temo. Di fatto, fui informato che fin dall'inizio volevano premiare un altro autore, che non era Vila- Matas, il cui romanzo mi pare buono e che era certamente uno dei miei candidati.
Perché nel suo studio non c'è l'aria condizionata?
Perché il mio motto non è “Et in Arcadia ego”, ma “Et in Esparta ego”.
Non pensa che se si fosse ubriacato con Isabel Allende e Ángeles Mastretta valuterebbe diversamente i loro libri?
Non lo penso. Primo, perché queste signore evitano di bere con uno come me. Secondo, perché io non bevo più. Terzo, perché neanche nelle peggiori sbronze ho mai perso una sia pur minima lucidità, un senso della prosodia e del ritmo, un certo rifiuto davanti al plagio, alla mediocrità o al silenzio.
Qual è la differenza tra una scribacchina e una scrittrice? Una scrittrice è Silvina Ocampo.
Una scribacchina è Marcela Serrano. Gli anni luce che le separano.
Cosa le ha fatto credere di essere migliore come poeta che come narratore?
Il mio grado di rossore quando, per puro caso, apro un mio libro di poesia o uno di prosa. Quello di poesia mi fa arrossire di meno.
Lei è cileno, spagnolo o messicano?
Sono latinoamericano.
Cos'è per lei la patria?
Mi spiace darti una risposta molto pacchiana. La mia unica patria sono i miei due figli, Lautaro e Alexandra. E forse, ma secondariamente, certi istanti, certe vie, certi visi o scene o libri che stanno dentro di me e che un giorno dimenticherò, che è la cosa migliore che si possa fare con la patria.
Cos'è la letteratura cilena?
Probabilmente gli incubi del più risentito e grigio e forse più codardo dei poeti cileni: Carlos Pezoa Véliz, morto all'inizio del XX secolo, autore di due sole poesie memorabili, ma – questo sì – veramente memorabili, e che continua a sognarci e a patire. È possibile che Pezoa Véliz non sia mai morto, magari sta agonizzando e il suo ultimo minuto è abbastanza lungo, no?, da contenerci tutti. O almeno da contenere tutti noi cileni.
Perché vuole sempre fare il bastian contrario?
Non faccio mai il bastian contrario.
Ha più amici che nemici?
Ho abbastanza amici e nemici, tutti gratuiti.
Chi sono i suoi amici più cari?
Il mio migliore amico era il poeta Mario Santiago, morto nel 1998. Attualmente tre dei miei migliori amici sono Ignacio Echevarría e Rodrigo Fresán e A. G. Porta.
Antonio Skármeta l'ha mai invitata al suo programma?
Una volta mi ha telefonato una sua segretaria, forse la sua amante. Le ho detto che ero troppo occupato.
Javier Cercas ha spartito con lei i premi vinti da Soldati di Salamina?
No, naturalmente.
Enrique Lihn, Jorge Teillier o Nicanor Parra?
Nicanor Parra su tutti, compresi Pablo Neruda e Vicente Huidobro e Gabriela Mistral.
Eugenio Montale, T. S. Eliot o Xavier Villaurrutia?
Montale. Se al posto di Eliot ci fosse stato James Joyce, allora Joyce. Se al posto di Eliot ci fosse stato Ezra Pound, senza dubbio Pound.
John Lennon, Lady Di o Elvis Presley?
The Pogues. O i Suicide. O Bob Dylan. Però, dai, non facciamo i pignoli: Elvis forever. Elvis con un cappello da sceriffo che guida una Mustang e si impasticca, e con la sua voce d'oro.
Chi legge di più, lei o Rodrigo Fresán?
Dipende. L'Ovest è per Rodrigo. L'Est è per me. Poi contiamo i libri delle nostre rispettive aree e sembrerebbe che li abbiamo letti tutti.
Qual è secondo lei la poesia migliore di Pablo Neruda?
Quasi tutte quelle di Residenza sulla terra.
Cosa avrebbe detto a Gabriela Mistral se l'avesse conosciuta?
Mamma, perdonami, sono stato cattivo, però l'amore di una donna mi ha fatto diventare buono.
E a Salvador Allende?
Poco o niente. Chi ha il potere (anche se per poco tempo) non sa niente di letteratura, si interessa solo al potere. E io posso essere il pagliaccio dei miei lettori, se ne ho veramente voglia, ma mai dei potenti. Suona un po' melodrammatico. Suona come la dichiarazione di una puttana onorata. Però in fin dei conti è così.
E a Vicente Huidobro?
Huidobro mi annoia un po'. Troppo trallallì trallallà, troppo paracadutista che scende cantando come un tirolese. Sono meglio i paracadutisti che scendono avvolti nelle fiamme, o ancor più quelli a cui non si apre il paracadute.
Octavio Paz continua a essere il nemico?
Per me certamente no. Non so cosa penseranno i poeti che all'epoca, quando vivevo in Messico, scrivevano come suoi cloni. È da molto che non so niente della poesia messicana. Rileggo José Juan Tablada e Ramón López Velarde, all'occasione posso perfino recitare Suor Juana, ma non so niente di ciò che scrivono quelli che, come me, si avvicinano a cinquant'anni.
Adesso non assegnerebbe questo ruolo a Carlos Fuentes?
È da molto che non leggo niente di Carlos Fuentes.
Come la fa sentire il fatto che Arturo Pérez Reverte sia attualmente lo scrittore più letto in spagnolo?
Pérez Reverte o Isabel Allende. È lo stesso. Feuillet era l'autore francese più letto della sua epoca.
E il fatto che Arturo Pérez Reverte sia stato ammesso alla Real Academia?
La Real Academia è un covo di privilegiati. Non c'è Juan Marsé, non c'è Juan Goytisolo, non c'è Eduardo Mendoza né Javier Marías, non c'è Olvido García Valdez, non ricordo se ci sia Alvaro Pombo (se sì, probabilmente è per un equivoco), ma c'è Pérez Reverte. Be', anche Coelho è entrato nell'Accademia brasiliana.
Si pente di aver criticato il menù servitole da Diamela Eltit?
Non ho mai criticato il suo menù. Semmai ho criticato il suo umorismo, un umorismo vegetariano, o meglio dietetico.
Le dispiace che Diamela la consideri una cattiva persona dopo quella sfortunata cena?
No, povera Diamela, non mi dispiace. Sono altre le cose che mi danno dispiacere.
Ha versato qualche lacrima per le molte critiche dei suoi nemici?
Moltissime, ogni volta che leggo qualcuno parlar male di me mi metto a piangere, mi rotolo sul pavimento, mi graffio, smetto di scrivere per un periodo di tempo indefinito, mi cala l'appetito, fumo di meno, faccio sport, esco a camminare in riva al mare, che tra parentesi sta a meno di trenta metri da casa mia, e chiedo ai gabbiani, i cui antenati si mangiarono i pesci che si mangiarono Ulisse, perché io, perché io, che non ho mai fatto del male a nessuno?
Qual è per lei il parere più importante sulle sue opere?
I miei libri li leggono Carolina (mia moglie) e poi (Jorge) Herralde (editore di Anagrama) e poi cerco di dimenticarli per sempre.
Cos'ha comprato con i soldi del Premio Rómulo Gallegos?
Non molto. Una valigia, da quel che ricordo.
Al tempo in cui viveva di concorsi letterari c'è stato qualche premio che non è riuscito a incassare?
Nessuno. Gli enti locali spagnoli, sotto questo aspetto, sono di una correttezza al di sopra di ogni sospetto.
Era un bravo cameriere o era meglio come venditore di bigiotteria?
Il lavoro che ho svolto meglio è stato quello di guardiano di notte in un campeggio vicino a Barcellona. Mentre stavo lì non c'è stato nessun furto. Ho evitato delle risse che avrebbero potuto finire molto male. Ho evitato un linciaggio (anche se dopo avrei volentieri linciato o strangolato io stesso il tipo in questione).
Ha mai provato la fame feroce, il freddo che penetra nelle ossa, il caldo che lascia senza fiato?
Come dice Vittorio Gassman in un film: modestamente, sì.
Ha mai rubato un libro che poi non le è piaciuto?
Mai. Il bello del rubare libri (e non casseforti) è che si può esaminarne il contenuto con calma prima di commettere il crimine.
Ha mai camminato in mezzo al deserto?
Sì, e per giunta in un'occasione particolare, a braccetto con mia nonna. La vecchia signora era instancabile e pensai che non se saremmo usciti vivi.
Le è mai capitato di vedere pesci colorati sott'acqua?
Certo. Ad Acapulco, senza andare più indietro nel tempo, nel 1974 o nel 1975.
Si è mai bruciato la pelle con una sigaretta?
Mai volontariamente.
Ha mai inciso il nome della persona amata sul tronco di un albero?
Ho commesso eccessi anche peggiori, ma stendiamo un velo di pietoso silenzio.
Ha mai visto la donna più bella del mondo?
Sì, quando lavoravo in un negozio, sarà stato nell''84. Il negozio era vuoto, quando entrò una donna indù. Sembrava una principessa, e forse lo era. Mi comprò alcuni pendenti di bigiotteria. Io, naturalmente, ero sul punto di svenire. Aveva la pelle ramata, i capelli lunghi, rossi, e per il resto era perfetta. La bellezza atemporale. Quando dovetti incassare provai molta vergogna. Mi sorrise come per farmi intendere che lo capiva, e che non mi preoccupassi. Poi scomparve, e non mi è più capitato di vedere una donna come lei. A volte ho l'impressione che fosse proprio la dea Kali, protettrice dei ladri e degli orefici, solo che Kali era anche la divinità degli assassini, e questa indù non solo era la donna più bella della Terra ma sembrava anche una brava persona, molto dolce e assennata.
Preferisce i cani o i gatti?
Le cagne, ma adesso non possiedo animali.
Cosa ricorda della sua infanzia?
Tutto. Non ho una cattiva memoria.
Collezionava figurine?
Sì. Di calcio e di attori e attrici di Hollywood.
Aveva un monopattino?
I miei genitori commisero l'errore di regalarmi un paio di pattini quando vivevamo a Valparaíso, che è una città costruita sulle colline. Il risultato fu disastroso. Ogni volta che mi mettevo i pattini era come se volessi suicidarmi.
Qual è la sua squadra di calcio preferita?
Adesso nessuna. Quelle che sono finite in serie B e poi in serie C e in D, fino a scomparire. Le squadre fantasma.
A quali personaggi della storia universale avrebbe voluto somigliare?
A Sherlock Holmes. Al capitano Nemo. A Julien Sorel, nostro padre, al principe Miškin, nostro zio, ad Alice, nostra professoressa, a Houdini che era un misto di Alice, di Sorel e di Miškin.
Si innamorava delle vicine più grandi di lei?
Naturalmente.
Le compagne di scuola le prestavano attenzione?
Non credo. O almeno io ero convinto di no.
Cosa deve alle donne della sua vita?
Moltissimo. Il senso della sfida e della scommessa. E altre cose che taccio per decoro.
Loro le devono qualcosa?
Niente.
Ha sofferto molto per amore?
La prima volta molto, poi ho imparato a prendere le cose con maggiore ironia.
E per odio?
Benché possa suonare pretenzioso, non ho mai odiato nessuno. O almeno sono certo di essere incapace di un odio costante nel tempo. E se l'odio non ha costanza non è odio, no?
Come ha conquistato sua moglie?
Cucinandole del riso. Allora ero molto povero e la mia dieta era principalmente a base di riso, e dunque avevo imparato a cucinarlo in molti modi.
Com'è stato diventare padre per la prima volta?
Era notte, poco prima delle 24, ero solo, e dato che nell'ospedale non si poteva fumare mi feci una sigaretta dopo essermi praticamente arrampicato sul soffitto a cassettoni del quarto piano. Fortuna che dalla strada non mi vide nessuno. Solo la luna, avrebbe detto Amado Nervo. Quando rientrai un'infermiera mi disse che mio figlio era nato. Era molto grande, quasi del tutto calvo e con gli occhi aperti, come a chiedersi chi fosse quel demonio che lo teneva in braccio.
Lautaro farà lo scrittore?
Io spero solo che sia felice. Dunque è meglio che faccia qualcos'altro. Pilota di aerei, per esempio, o chirurgo plastico, o editore.
Cosa vede in lui di suo?
Per fortuna somiglia molto di più a sua madre che a me.
La preoccupano le vendite dei suoi libri?
Il minimo indispensabile.
Le capita mai di pensare ai suoi lettori?
Quasi mai.
Tra tutte le cose che le hanno detto i suoi lettori a proposito dei suoi libri, quali l'hanno commossa?
Mi commuovono i lettori e basta, quelli che hanno ancora il coraggio di leggere il Dizionario filosofico di Voltaire, che è una delle opere più piacevoli e moderne che conosco. Mi commuovono i giovani di ferro che leggono Cortázar e Parra, così come li ho letti io e come intendo continuare a leggerli. Mi commuovono i giovani che dormono con un libro sotto la testa. Un libro è il miglior cuscino che esista.
Cosa l'ha fatta arrabbiare?
A questo punto arrabbiarsi è una perdita di tempo. E purtroppo alla mia età il tempo conta.
Ha mai avuto paura dei suoi fan?
Ho avuto paura dei fan di Leopoldo María Panero, che, d'altra parte, mi sembra uno dei tre migliori poeti spagnoli viventi. A Pamplona, durante un ciclo organizzato da Jesús Ferrero, Panero doveva chiudere la rassegna e, man mano che si avvicinava il giorno della sua lettura, la città o il quartiere in cui si trovava il nostro albergo si riempì di freak che sembravano scappati da un manicomio e che, d'altro canto, sono il miglior pubblico cui possa aspirare un poeta. Il problema era che alcuni sembravano non solo dei pazzi ma anche degli assassini, e Ferrero ed io avevamo paura che qualcuno da un momento all'altro si alzasse e dicesse: ho ammazzato Leopoldo María Panero, per poi scaricare quattro pallottole nella testa del poeta e, già che c'era, riservarne una a Ferrero e una a me.
Cosa prova quando critici come Darío Osses la considerano lo scrittore americano con più avvenire?
Deve essere uno scherzo. Io sono lo scrittore latinoamericano con meno avvenire. È invece vero che sono tra quelli che hanno più passato, che dopo tutto è quello che conta.
La incuriosisce il libro critico che sta preparando la sua connazionale Patricia Espinoza?
No. Espinoza mi sembra una critica molto brava, indipendentemente da come mi tratterà nel suo libro, suppongo non molto bene, però il lavoro di Espinoza è necessario in Cile. Di fatto, la necessità di una – chiamiamola così – nuova critica comincia a farsi urgente in tutta l'America Latina.
E il libro dell'argentina Celina Mazoni?
Conosco Celina personalmente e le voglio molto bene. Le ho dedicato uno dei racconti di Puttane assassine.
Che cosa la annoia?
Il discorso vuoto della sinistra. Il discorso vuoto della destra lo do per scontato.
Che cosa la diverte?
Veder giocare mia figlia Alexandra. Far colazione in un bar in riva al mare e mangiare un cornetto leggendo il giornale. La letteratura di Borges. La letteratura di Bioy. La letteratura di Bustos Domecq. Fare l'amore.
Scrive a mano?
La poesia sì. Il resto con un vecchio computer del 1993.
Se chiude gli occhi, tra tutti i paesaggi dell'America Latina che ha conosciuto qual è il primo che le torna in mente?
Le labbra di Lisa nel 1974. Il camion di mio padre guasto in una strada nel deserto. Il padiglione dei tubercolosi di un ospedale di Cauquenes e mia madre che dice a mia sorella e a me di trattenere il respiro. Un'escursione al Popocatépetl con Lisa, Mara e Vera e qualcun altro che non ricordo, ma ricordo le labbra di Lisa, il suo sorriso straordinario.
Com'è il paradiso?
Come Venezia, spero, un posto pieno di italiane e di italiani. Un luogo da usare e consumare e che sa che niente dura, neanche il paradiso, e che questo in fondo non conta.
E l'inferno?
Come Ciudad Juárez, che è la nostra maledizione e il nostro specchio, lo specchio inquieto delle nostre frustrazioni e della nostra infame interpretazione della libertà e dei nostri desideri.
Quando ha saputo di essere gravemente malato?
Nel '92.
Cosa ha cambiato del suo carattere la malattia?
Niente. Ho saputo che non ero immortale, e a 38 anni era ora che lo sapessi.
Cosa vorrebbe fare prima di morire?
Niente di speciale. Be', preferirei non morire, chiaro. Però prima o poi la distinta signora arriva, il problema è che a volte non è una signora né tanto meno è distinta, ma piuttosto, come dice Nicanor Parra in una poesia, è una puttana insaziabile che fa tremare anche i più intrepidi.
Chi le piacerebbe incontrare nell'aldilà?
Non credo nell'aldilà. Se esistesse, che sorpresa. Mi iscriverei subito ai corsi di Pascal.
Ha mai pensato di suicidarsi?
Naturalmente. In qualche occasione sono sopravvissuto proprio perché sapevo come suicidarmi se le cose fossero peggiorate.
Le è capitato di pensare che stava impazzendo?
Naturalmente, ma mi ha sempre salvato il senso dell'umorismo. Mi raccontavo storie che mi facevano ridere come un pazzo. O mi ricordavo situazioni che mi facevano rotolare dalle risate.
La pazzia, la morte e l'amore: quale di queste tre cose ha avuto di più nella sua vita?
Spero con tutto il cuore di aver avuto più amore.
Cosa la fa ridere sonoramente?
Le mie e le altrui disgrazie.
Cosa la fa piangere?
Lo stesso: le mie e le altrui disgrazie.
Le piace la musica?
Molto.
Vede la sua opera come tendono a vederla i suoi lettori e critici, prima di tutto I detective selvaggi e poi tutto il resto?
L'unico romanzo di cui non mi vergogno è Anversa, forse perché continua a essere incomprensibile. Le critiche negative che ha ricevuto sono medaglie guadagnate in combattimento, non in scaramucce a salve. Il resto della mia “opera”, be', non è male, sono romanzi divertenti, il tempo ci dirà se sono qualcosa di più. Per ora mi fanno guadagnare, vengono tradotti, mi servono per farmi degli amici molto generosi e simpatici, mi permettono di vivere, e anche abbastanza bene, di letteratura, e dunque lamentarsi sarebbe gratuito e ingrato. Ma la verità è che non do molta importanza ai miei libri. Sono molto più interessato ai libri degli altri.
Non taglierebbe alcune pagine dei Detective selvaggi?
No. Per tagliarle dovrei rileggerlo e la mia religione me lo proibisce.
Non la spaventa che qualcuno voglia fare la versione cinematografica del romanzo?
Ah, Mónica, mi spaventano altre cose. Diciamo: cose più terrificanti, infinitamente più terrificanti.
“Silva, detto l'Occhio” [1] è un omaggio a Julio Cortázar?
Assolutamente no.
Quando finì di scrivere “Silva, detto l'Occhio” non ha sentito di aver creato un racconto all'altezza, di “Casa occupata”, [2] per esempio?
Quando finii di scrivere “Silva, detto l'Occhio” smisi di piangere o qualcosa di simile. Quanto al paragone con un racconto di Cortázar, non avrei potuto chiedere di meglio, anche se “Casa occupata” non è uno dei miei preferiti.
Quali sono i cinque libri che hanno segnato la sua vita?
I miei cinque libri sono in realtà cinquemila. Nomino questi solo come punta di diamante o perversa ambasciata: Don Chisciotte di Cervantes. Moby Dick di Melville. Le Opere complete di Borges. Il gioco del mondo di Cortázar. Una banda di idioti di Kennedy Toole. Ma dovrei citare anche: Nadja di Breton. Le Lettere di Jacques Vaché. Tutto l'Ubu di Jarry. La vita istruzioni per l'uso di Perec. Il castello e Il processo di Kafka. Gli aforismi di Lichtenberg. Il Tractatus di Wittgenstein. L'invenzione di Morel di Bioy Casares. Il Satyricon di Petronio. La Storia di Roma di Tito Livio. I Pensieri di Pascal.
Va d'accordo con il suo editore?
Abbastanza. Herralde è una persona intelligente e spesso affascinante. Forse mi converrebbe di più che non fosse tanto affascinante. Il fatto è che lo conosco da otto anni, e almeno da parte mia l'amore cresce sempre di più, come dice un bolero. Anche se forse mi converrebbe non amarlo tanto.
Cosa dice di quelli che considerano I detective selvaggi il grande romanzo messicano contemporaneo?
Che lo dicono per pietà, che mi vedono decaduto o mentre svengo nei luoghi pubblici e non gli viene in mente niente di meglio di una pietosa menzogna, che del resto è la cosa più indicata in questi casi e non è nemmeno un peccato veniale.
È vero che fu Juan Villoro a convincerla a non intitolare Tormenta de mierda (“Tormenta di merda”) il suo romanzo Notturno cileno?
Villoro e Herralde.
Da chi altri accetta consigli sulla sua opera?
Non accetto i consigli di nessuno, nemmeno del mio medico. Do consigli a destra e a sinistra, ma non ne ascolto nessuno.
Com'è Blanes?
Un bel paese. O una piccola città di trentamila abitanti, abbastanza bella. Fu fondata duemila anni fa dai romani, e poi passò di qui gente di tutte le provenienze. Non è una spiaggia di ricchi, ma di proletari. Operai del Nord o dell'Est. Alcuni si fermano per sempre. La baia è bellissima.
Le manca qualcosa della sua vita in Messico?
La mia giovinezza e le camminate interminabili con Mario Santiago.
Quale scrittore messicano ammira profondamente?
Molti. Della mia generazione ammiro Sada, il cui progetto di scrittura mi pare il più audace, Villoro, Carmen Boullosa; tra i più giovani mi interessa molto quello che fanno Alvaro Enrigue e Mauricio Montiel, o Volpi e Ignacio Padilla. Continuo a leggere Sergio Pitol, che scrive sempre meglio. E Carlos Monsiváis, che, da quanto mi ha raccontato Villoro, ha soprannominato Taibo 2 o 3 (o 4) “Pol Pit”, il che mi sembra una bella trovata poetica. Pol Pit, è perfetto, no? Monsiváis continua a usare le sue unghie affilate. Mi piace molto quello che fa Sergio González Rodríguez.
Esiste un rimedio per il mondo?
Il mondo è vivo e niente di ciò che è vivo ha rimedio, e questa è la nostra sorte.
Ripone speranze? in che cosa, in chi?
Mia cara Maristain, lei mi trascina nuovamente nei pascoli della pacchianeria, che sono i miei pascoli natali. Io spero nei ragazzini. Nei ragazzini e nei guerrieri. Nei ragazzini che scopano come ragazzini e nei guerrieri che combattono come eroi. Perché? Mi rimetto alla lapide di Borges, come direbbe l'inclito Gervasio Montenegro, dell'Academia (come Pérez Reverte, pensi un po'), e non parliamone più.
Quali sentimenti le suscita la parola postumo?
Sembra il nome di un gladiatore romano. Un gladiatore invincibile. O almeno questo ama credere il povero Postumo per farsi coraggio.
Cosa pensa di quelli che pensano che vincerà il Premio Nobel?
Sono sicuro, cara Maristain, che non lo vincerò, come sono sicuro che lo vincerà invece qualche barbone della mia generazione e che non mi nominerà neanche di sfuggita nel suo discorso di Stoccolma.
Quando è stato più felice?
Sono stato felice quasi tutti i giorni della mia vita, almeno per un istante, anche nelle circostanze più avverse.
Cose le sarebbe piaciuto essere, se non fosse stato scrittore?
Mi sarebbe piaciuto essere un detective della omicidi, molto più che uno scrittore. Di questo sono assolutamente certo. Un piedipiatti della omicidi, qualcuno che può tornare solo, nottetempo, sulla scena del crimine, e non avere paura dei fantasmi. Allora sì che forse sarei impazzito, però questo, essendo un poliziotto, si risolve con un colpo in bocca.
Confessa di aver vissuto?
Be', continuo a vivere, continuo a leggere, continuo a scrivere e a guardare film, e come disse Arturo Prat ai suicidi della Esmeralda, finché vivrò questa bandiera non si ammainerà.
[1] Nella raccolta di racconti Puttane assassine, Sellerio editore, Palermo 2009.
[2] Nella raccolta di Julio Cortázar Bestiario, Einaudi, Torino 1965.
Originale: Estrella distante
Articolo originale pubblicato il 19 luglio 2003
Traduzione: Manuela Vittorelli
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giovedì, dicembre 31, 2009
Hello goodbye
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The Real Thing
martedì, dicembre 29, 2009
Nell'amor si comincia così
Il titolo va preso alla lettera. Per Kluge si tratta proprio di fare la genealogia dei sentimenti del XIX e XX secolo. Operazione condotta in maniera musil-brechtiana, a furia di collage, aforismi e atti unici, trattando i sentimenti come oggetti e l'Opera come la fabbrica che storicamente ha prodotto questi oggetti su vasta scala. Perché i sentimenti, a ben vedere, al cinema sono oggetti recalcitranti in quanto durevoli, mentre il cinema continua a essere incostante e sempre più mutevole. Intelligente, Kluge studia i sentimenti come un fisico poeta. Sperimenta la loro durata e ne attende l'esplosione. Ma l'esplosione dei sentimenti è sempre un enigma. Lo si vede chiaramente nella cronaca nera, nei libretti d'opera o nelle estasi silenziose del cinema muto. È lì che Kluge si mostra al contempo scienziato, filosofo e – ragionevolmente – poeta. Il suo film somiglia al divertissement di un professore euforico di fronte a una classe pietrificata ma tutto sommato felice. […] La forza dei sentimenti ci riporta a una certa Germania: quella di Lichtenberg e di Musil, la Germania ironica, tagliente, disincantata. Come si sarà capito, il film è irraccontabile. Ma perché è fatto di una miriade di storie. È impossibile riassumerlo, perché non cessa di riassumersi strada facendo. Ma è sontuoso, serio e buffo.
Serge Daney, La Maison cinéma et le monde – 2. Les Années Libé (1981-1985), P.O.L., Paris 2002.
Cinepanettone tedesco a reti unificate per l'Italia dell'Amore: grazie allo zombi La Forza dei Sentimenti di Alexander Kluge (raro, bellissimo) sta qui, in versione integrale:
Serge Daney, La Maison cinéma et le monde – 2. Les Années Libé (1981-1985), P.O.L., Paris 2002.
Cinepanettone tedesco a reti unificate per l'Italia dell'Amore: grazie allo zombi La Forza dei Sentimenti di Alexander Kluge (raro, bellissimo) sta qui, in versione integrale:
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domenica, dicembre 27, 2009
Questa poesia
Questa poesia è stata scritta dall'autore di notte.
È la ventitremilioninovecentocinquantatremilacentoottantaseiesima poesia dopo Auschwitz (calcolo approssimativo).
Esprime sentimenti come la nostalgia per la madrepatria, l'amore per le persone amate e l'amicizia tra amici.
Tutto questo è espresso con le parole.
Originale: "Это стихотворение…"
Poeta e filologo, Michail Gronas (Taškent, 1970) si è laureato all'Università di Stato moscovita. Attualmente vive negli Stati Uniti, dove insegna al Trinity College di Hartford. Ha tradotto versi e testi scientifici dal tedesco (Celan, Trakl) e dal francese (Pierre Bourdieu). Nel 2002 ha vinto il Premio Andrej Belyj.
Traduzione: Manuela Vittorelli.
[Grazie a Sten per il pettirosso.]
È la ventitremilioninovecentocinquantatremilacentoottantaseiesima poesia dopo Auschwitz (calcolo approssimativo).
Esprime sentimenti come la nostalgia per la madrepatria, l'amore per le persone amate e l'amicizia tra amici.
Tutto questo è espresso con le parole.
Originale: "Это стихотворение…"
Poeta e filologo, Michail Gronas (Taškent, 1970) si è laureato all'Università di Stato moscovita. Attualmente vive negli Stati Uniti, dove insegna al Trinity College di Hartford. Ha tradotto versi e testi scientifici dal tedesco (Celan, Trakl) e dal francese (Pierre Bourdieu). Nel 2002 ha vinto il Premio Andrej Belyj.
Traduzione: Manuela Vittorelli.
[Grazie a Sten per il pettirosso.]
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