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sabato, novembre 28, 2009

Armageddon

Armageddon

di Sergej Kruglov

E si fronteggiano così,
immobili e in silenzio,
senza combattere.

Non lo faranno forse mai, tutte le forze
spese già
per prepararsi alla battaglia.
Sono rimasti solo il bene e il male in quanto tali.
Ecco, guarda, li vedi ancora,
e tutto anche da qui appare fermo. Il vento
muove i vessilli sacri
(il che è abbastanza strano:
da dove spunta questo vento
nello spazio assoluto, privo d'aria?)

Originale: "АРМАГЕДДОН", Снятие Змия со креста, 2003.




Sergej Gennad'evič Kruglov, nato nel 1966 a Minusinsk, nella regione di Krasnojarsk, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come reporter nel giornale locale Vlast' Trudu. Scrive poesie dal 1993. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. È sposato e ha tre figli. Nel 2008 ha ricevuto il premio Andrej Belyj.


Traduzione: Manuela Vittorelli.


[Grazie a Sten per il mo' me lo segno.]

sabato, aprile 04, 2009

Bruno Schulz

[Dunque sembra che il sabato sia a rischio poesia in traduzione fai-da-te. Sergej Kruglov lo conoscete già; alla fine ho aggiunto qualche informazione su Schulz che aiuta a capire meglio alcuni riferimenti e dunque (credo) anche alcune scelte di questa poesia piena di carne e di sangue che parla di Dio, dell'arte e della parola.
In un'intervista Kruglov ha detto: "La poesia schiude sempre qualcosa di nuovo al mondo, semplicemente grazie alla sua natura. Le persone hanno bisogno di sangue. Per vivere servono l'aria, il sangue, la carne. Ecco quello che interessa alle persone. Questo mi fa venire in mente le parole della Bibbia quando dice che verrà il tempo in cui l'oro rotolerà per le strade e la gente cercherà il pane. Cose vitali, concrete. Realismo" (intervista che tradurrò per intero quando mi direte che - com'è, come non è - non potete più fare a meno di lui)].

Bruno Schulz

di Sergej Kruglov

Il sole dietro i vetri è una rossa lilith,
Ridendo ha divorato i nomi di tre angeli.
Ma io sono un bambino, non mi spaventa,
Padre! la disegnerò,
Esorcismo: matita, carta.
Su un ramo metallico fuori della finestra si strugge malinconico, implora carne
l'uccello stinfalide della primavera
del 1942.

Sai, padre, se Dio, Bog, è davvero
un rabbino di Drohobycz, allora siamo spacciati!
Ma se è semplicemente B-g,
Con il vuoto carnoso sanguinante della «о» (come se letteralmente
Avessero strappato, aggrappandovisi con le dita ricurve,
Sette pagine illustrate proprio a metà
Del libro denso, piccante, palpitante
Come umida rosa) – allora
va bene, forse torneremo a vivere ancora.

Originale: Бруно Шульц
Bruno Schulz, scrittore e artista polacco nato nel 1892 da una famiglia di commercianti ebrei, trascorre praticamente tutta la sua vita nel villaggio natale di Drohobycz (prima Impero Austro-Ungarico, poi Polonia, poi Unione Sovietica, poi Ucraina Occidentale), allontanandosene solo per compiere gli studi di architettura. Insegnante di disegno al liceo per necessità, scrive racconti che inizialmente vengono pubblicati insieme alle sue illustrazioni. In seguito all'invasione tedesca dell'Unione Sovietica è costretto a vivere nel ghetto di Drohobycz, dove gode inizialmente della protezione di un ufficiale della Gestapo, Felix Landau, che ne ammira il talento. Proprio per Landau dipinge un murale che va per lo più distrutto insieme alla maggior parte delle sue opere e a un romanzo incompiuto, Il Messia. Viene ucciso da un altro ufficiale tedesco, rivale di Landau, nel novembre del 1942. Il suo corpo non è stato mai ritrovato.

Ha goduto di grande fama postuma, nonostante le poche opere superstiti.
La riscoperta del dipinto murale nel 2001, il modo in cui Yad Vashem si è appropriato di vari frammenti, la controversia che ne è seguita e la discussione sullo sfruttamento della complessa figura di Schulz (ebreo che pensava e scriveva in polacco e parlava bene il tedesco, intriso di cultura ebraica eppure lontano dalla lingua yiddish, ben poco cosmopolita, solitario, quasi un eremita, autore di opere grafiche molto sensuali che il suo ambiente avrebbe ritenuto scandalose) è una storia interessante e istruttiva, ma decisamente un'altra storia.

sabato, marzo 21, 2009

Visione naturale della poesia secondo gli slavi

[Visto che di Kruglov è stato tradotto molto poco (e non in italiano), vi tocca leggervi la mia traduzione: ma se riesce a non intralciare troppo l'originale non sarà un post buttato via. Il titolo richiama quello della fondamentale opera di Aleksandr Nikolaevič Afanas'ev - il grande studioso della fiaba russa - Visione poetica della natura secondo gli slavi, 1865-9].

Visione naturale della poesia secondo gli slavi
di Sergej Kruglov

La creazione poetica è nera tenebra.
Vicolo cieco, punto morto, gola, buco.
Casa abbandonata, villaggio fantasma, folto del bosco in notte senza stelle, pozzo isolato, sacco sulla testa (e colpo); armadio e naftalina (e strega, babau, mano nera, che invisibile scruta dal buio).
Le sono soggetti i solitari soltanto, i bambini malati, i bambini spaventati, menomati, i bambini ciechi,
i bambini con le gambe paralizzate, con vizi cardiaci congeniti,
i bambini che bagnano il letto nel sonno,
i bambini nella cui camera il lume si è spento all'improvviso,
i bambini cresciuti senza madre,
i bambini che l'infanzia, il sole, la luce, l'aria, le foglie, l'acqua, il badminton, le corse, le risate
hanno condannato alle tenebre.

Non vedi nulla davanti a te, né alle tue spalle. Ma qualcuno ti costringe a entrare nel buio. Ad andare verso un ipotetico avanti.
Trovare un'analogia
al tormento, alla pena di questa spinta
il bambino potrà soltanto se cresce, sopravvive, o magari – e questo è più raro – mette al mondo dei figli e in seguito alleva nipoti, e allora, settantenne,
seduto su una sedia in giardino nel sole di un giorno di luglio, mentre il nipotino o la nipotina giocano, ridono, danno la caccia agli insetti, sudati corrono a bere, ti sgusciano dalle mani e tornano a correre, sole e luce – l'ago nero punge a un tratto quella bolla luminosa,
e tutta l'essenza del vecchio bambino-poeta si contrae nella disperazione:
“Signore, il mio povero piccolo! Fai che non cada nel pozzo, afferralo, non lasciarlo andare!
Posagli una mano sulla fronte, restagli accanto, cantagli la notte una canzone che non gli faccia paura, dimora con lui nel suo cuore!...”
e sembra essere giunto il momento delle lacrime diluite e abbondanti di vecchio. Ma non ci sono lacrime, lo sguardo si fa di pietra, cieco. Vede e non vede:
i fantasmi di voci estranee, non familiari, non quelle, aliene – ma devi andare avanti, afferrare i fantasmi;
tasti l'irregolarità dei muri: cos'è?
sono crepe? porte? nicchie? lettere in bassorilievo?
Vuoti, dove si squaglia un dolcissimo orrore?
Niente; e il bambino, controvoglia, cedendo a un impulso misterioso, muove la mano tesa dall'alto al basso, allunga le estremità delle dita a tastare, afferrare, stringere;
e affila lo sguardo, accecato dal buio, per spingersi nell'oscurità e arrivare laggiù, alla curva del corridoio e oltre, fino a vedere la strada invisibile.
Con tutte le forze si allunga nel buio.
Questo è scrivere: vincere le tenebre facendosi tenebre.
E non c'è niente di bianco – farfalla, cavallo spettrale, semitono, luna, vento fosforescente – nel nero fiume dannato della poesia, che scorre verso una luce sconosciuta e inesistente.

Originale: "Природные воззрения славян на поэзию"
Sergej Kruglov, nato nel 1966, ha studiato giornalismo a Krasnojarsk e ha poi lavorato come reporter nel giornale locale di Minusinsk. Nel 1999 è stato ordinato sacerdote della Chiesa ortodossa russa. È sposato e ha tre figli. Ha pubblicato tre libri di poesie. È una delle voci più significative della nuova generazione di poeti russi.