Parliamo un po' della crisi dei marines inglesi in Iran.
Lenin's Tomb ieri ha pubblicato un ottimo post dal titolo "L'Iran e gli ostaggi: immagine e significato" che ora vi riassumo (un grazie enorme a Andrej "bracciodestro" Andreevič per il materiale e le traduzioni).
Certa gente, dice LT, non è mai contenta. Si scopre che il Foreign Office, che dovrebbe essere contento di vedere che i marines sono salvi e in buone condizioni, è infuriato perché l'Iran ha mostrato il video nel quale gli ostaggi mangiano e ammettono di essere colpevoli. Continua LT:
"Ogni resoconto che ho visto mette la parola 'confessione' tra virgolette, o la fa precedere da 'presunta' o da un suo sinonimo, il che pare perfettamente sensato. Cioè, la gente è in grado di separare l'immagine dal significato di cui l'ha rivestito il governo iraniano.
Però ci sono altre immagini con altri tipi di messaggio che vi si sovrappongono. Prendete questa mappa tratta dalle incredibili prove fotografiche. La versione del governo di ciò che è avvenuto è fornita ampiamente da questo articolo. Dicono che i marines erano per 3,1 chilometri all'interno delle acque irachene e che gli iraniani hanno cambiato versione dopo che gli è stato detto che il punto in cui sostenevano di aver compiuto l'arresto era all'interno delle acque irachene. Quindi, ci sono un'immagine e una storia. Meno scetticismo, questa volta. The Independent chiama i marines ostaggi. Altrettanto fa il Telegraph. Idem la Press Association. E i media statunitensi di destra? Basta andare a dare un'occhiata.
Un ostaggio è una persona presa per ottenere qualcosa in cambio della sua incolumità o liberazione. L'Iran non ha posto richieste, condizioni o termini, a quanto ne so. Ma, ovviamente, l'uso del termine indica l'ampia accettazione della versione del governo britannico: se gli arrestati sono 'ostaggi', chiaramente l'arresto non può essere in alcun modo legittimamente avvenuto in acque iraniane. (O forse, più insidiosamente, la storia della Colpa Iraniana è tale che, anche se fossero stati in territorio iraniano, l'Iran non ha diritto di controllo su quel territorio. La sua sovranità è sempre de facto in questione, qualcosa che può essere compromesso in ogni momento da un'invasione con bombardamenti aerei, o l'uso di squadre del terrore)".
L'autore poi cita Craig Murray, secondo il quale ci vuole molta ingenuità per accettare la mappa del Ministero della Difesa, giacché il confine marittimo tra Iraq e Iran mostrato dalle mappe del governo britannico non esiste. È stato tracciato dal governo britannico. Solo iraniani e iracheni possono accordarsi bilateralmente sui propri confini, cosa che non hanno mai fatto riguardo il Golfo ma solo riguardo la zona di Shatt, perché lì passa anche il confine di terra. Il confine pubblicato è falso e non ha validità legale.
Ancora Craig Murray ricorda l'affermazione fatta dal Capitano di Vascello Lambert prima che potessero fermarlo: "Non ci sono dubbi per me che fossero in acque territoriali irachene. Allo stesso modo gli iraniani possono dire che erano in acque territoriali iraniane. L'estensione e la definizione di acque territoriali in questa parte del modo sono molto complicate".
Conclusione di LT: "Visto come avvengono rapidamente le cose? Visto quanto la gente sia semplicemente impaziente e desiderosa di credere, e come sospenda in fretta la propria incredulità? Sappiamo che i marines sono 'ostaggi' perché è questo che gli iraniani fanno, perché questa mappa ce lo dice, e perché il governo ha detto così".
Confini confusi? Mappe arbitrarie? Falsi senza validità legale?
Ci sembrano cose da lasciar perdere? Eh, no.
Seguono a breve post con le traduzioni dal blog di Craig Murray.
venerdì, marzo 30, 2007
Diventa più intelligente con Google/3
Esistono limitazioni delle quali non sono al corrente? Idee?
Etichette:
metablog
giovedì, marzo 29, 2007
Falso Allarme per Jihad'Or
Due pericolosissime signore sui cinquant'anni in compagnia di due ragazzini sono state fermate ai controlli di sicurezza del Terminal 3 dell'Aeroporto di Manchester, martedì pomeriggio. Il losco quartetto stava cercando di imbarcarsi su un volo della British Airways per Heathrow con due flaconcini di liquido.
I due flaconcini sembravano in tutto e per tutto campioni di profumo e si trovavano nel bagaglio a mano delle signore, le quali avevano malvagiamente omesso di dichiararli. Non solo: in un primo momento è sembrato che il liquido risultasse positivo al test per le sostanze esplosive. "Risultato anomalo", allerta della polizia, donne fermate e interrogate, volo perso.
Ma di falso allarme si trattava, perché i test successivi hanno rivelato che nei campioncini di profumo c'era - oh! - del profumo.
Però evviva, la buona notizia è che i controlli casuali funzionano.
Ah, scusate. Dimenticavo di dire che le due signore erano - pare - siriane. Si sa: le europee si profumano, le siriane esplodono allegramente in volo.
Link
I due flaconcini sembravano in tutto e per tutto campioni di profumo e si trovavano nel bagaglio a mano delle signore, le quali avevano malvagiamente omesso di dichiararli. Non solo: in un primo momento è sembrato che il liquido risultasse positivo al test per le sostanze esplosive. "Risultato anomalo", allerta della polizia, donne fermate e interrogate, volo perso.
Ma di falso allarme si trattava, perché i test successivi hanno rivelato che nei campioncini di profumo c'era - oh! - del profumo.
Però evviva, la buona notizia è che i controlli casuali funzionano.
Ah, scusate. Dimenticavo di dire che le due signore erano - pare - siriane. Si sa: le europee si profumano, le siriane esplodono allegramente in volo.
Link
Etichette:
falsiallarmi,
stato d'insicurezza,
uk
martedì, marzo 27, 2007
Agli americani non far sapere/2
"Talibanistan": l'edizione di Time per l'Europa...
"Talibanistan": l'edizione di Time per l'Asia...
"Talibanistan": l'edizione di Time per il Sud Pacifico...
... e l'edizione di Time per gli Stati Uniti: "Why We Should Teach the Bible in Public School".
Link all'articolo sull'Afghanistan, qui.
via Huffington Post.
Ricordate?
"Talibanistan": l'edizione di Time per l'Asia...
"Talibanistan": l'edizione di Time per il Sud Pacifico...
... e l'edizione di Time per gli Stati Uniti: "Why We Should Teach the Bible in Public School".
Link all'articolo sull'Afghanistan, qui.
via Huffington Post.
Ricordate?
Perché usare il cervello quando puoi fidarti dell'istinto?
Ecco un altro di quei post che si scrivono da soli. La Metropolitan Police ha lanciato a Londra, Greater Manchester, West Yorkshire e West Midlands la campagna "Trust you instincts: it could disrupt terrorist planning and save lives" ("Dai retta all'istinto: potresti mandare all'aria i piani dei terroristi e salvare delle vite"). Insomma: "Terrorismo: se lo sospetti, riferiscilo".
In particolare ci sono due poster.
Il primo raffigura una macchina fotografica, un computer, un trolley, un furgone e un telefonino.
La macchina fotografica: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI INFORMAZIONI. L'osservazione e la sorveglianza contribuiscono all'organizzazione di attacchi. Hai visto qualcuno che fotografava postazioni di sicurezza?" Come si fa a distinguere un "pericoloso terrorista" da un "cretino con una digitale e un Flickr account pro"?
Il trolley: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI VIAGGIARE. Un incontro, un addestramento, una riunione per pianificare un attentato possono aver luogo ovunque. Conoscete qualcuno che viaggia ma è vago a proposito delle proprie destinazioni?" Magari non è vago. Magari si fa solo i cazzi suoi.
Il computer: "I TERRORISTI USANO COMPUTER. Conosci qualcuno che visita siti collegati con il terrorismo?" Com'è, un sito collegato con il terrorismo? Tipo quello della Casa Bianca?
Il furgone: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI MEZZI DI TRASPORTO. Se lavori in una concessionaria o in un autonoleggio di veicoli commerciali, ti sei insospettito di una vendita o un noleggio?" Per esempio? Persone con il turbante, nervose, che parlottano di abbandonare la macchina da qualche parte per poi prendere un treno, e ti salutano dicendo "ka-boom"?
Il cellulare: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI COMUNICARE. È tipico l'uso di cellulari rubati, anonimi, con schede prepagate. Hai visto qualcuno con un gran numero di cellulari? Ti ha insospettito?" Nel Regno Unito la maggioranza dei cellulari è anonima e funziona con schede prepagate. Ma quanto sarà, un gran numero?
Il secondo poster è, se possibile, più inquietante.
Lucchetto made in China, mascherine per occhi e bocca, passaporto, flacone con scritta "CORROSIVO" e carta di credito.
Lucchetto: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI MAGAZZINI. Ti insospettisce che qualcuno abbia affittato una proprietà commerciale?" Tutti, abbiamo bisogno di magazzini. Non si butta mai via nulla, nel terzo millennio. Soprattutto da quando è partita la raccolta differenziata.
Mascherine per occhi e bocca: "I TERRORISTI FANNO USO DI EQUIPAGGIAMENTO PROTETTIVO, perché maneggiare sostanze chimiche è pericoloso. Non è che hai visto in giro mascherine come queste?" Non è che avete sentito parlare di normativa antiinfortunistica?
Passaporto: "I TERRORISTI USANO IDENTITÀ MULTIPLE. Conosci qualcuno che possiede senza ovvi motivi documenti con nomi diversi?" ("Caro, guarda, ti è caduta la carta d'identità! Oh, non sapevo ti chiamassi Khalid Sheikh Mohammed. E perché qui c'è scritto 'coniugato'?").
Flacone: "I TERRORISTI USANO SOSTANZE CHIMICHE. Conosci qualcuno che compra grandi o insolite quantità di sostanze chimiche?" A questo non dovrebbe già pensarci la polizia? Devo denunciare la mia parrucchiera o chiudiamo un occhio, agente?
Carta di credito: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI FINANZIAMENTI. I terroristi generano contanti con assegni e carte di credito falsi. Hai assistito a transazioni sospette?" Tipo una signora che alla cassa del supermercato insisteva per pagare con la Benessere-Card della profumeria, avendola scambiata per il bancomat? (Sì, chiaro: mia madre).
O siamo tutti un casino sospetti, o sarebbe stato meglio entrare un po' più nel dettaglio invece di incoraggiare un clima di generica diffidenza investendo in una campagna di poster raffiguranti oggetti di consumo piuttosto diffusi.
Ma la Met ama le campagne a effetto, se ricordate i manifesti realizzati nel 2002 da un grafico dedito al consumo intensivo di peyote:
"Sicuri sotto occhi vigili". Sicuri, certo. Anche un po' nervosi, però. Propaganda bellica incontra George Orwell e Il Giorno dei Trifidi, vorrei ben vedere.
Ve lo ricordate uno dei poster di Brazil? "Non sospettare un amico. Denuncialo". Eccoci.
In particolare ci sono due poster.
Il primo raffigura una macchina fotografica, un computer, un trolley, un furgone e un telefonino.
La macchina fotografica: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI INFORMAZIONI. L'osservazione e la sorveglianza contribuiscono all'organizzazione di attacchi. Hai visto qualcuno che fotografava postazioni di sicurezza?" Come si fa a distinguere un "pericoloso terrorista" da un "cretino con una digitale e un Flickr account pro"?
Il trolley: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI VIAGGIARE. Un incontro, un addestramento, una riunione per pianificare un attentato possono aver luogo ovunque. Conoscete qualcuno che viaggia ma è vago a proposito delle proprie destinazioni?" Magari non è vago. Magari si fa solo i cazzi suoi.
Il computer: "I TERRORISTI USANO COMPUTER. Conosci qualcuno che visita siti collegati con il terrorismo?" Com'è, un sito collegato con il terrorismo? Tipo quello della Casa Bianca?
Il furgone: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI MEZZI DI TRASPORTO. Se lavori in una concessionaria o in un autonoleggio di veicoli commerciali, ti sei insospettito di una vendita o un noleggio?" Per esempio? Persone con il turbante, nervose, che parlottano di abbandonare la macchina da qualche parte per poi prendere un treno, e ti salutano dicendo "ka-boom"?
Il cellulare: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI COMUNICARE. È tipico l'uso di cellulari rubati, anonimi, con schede prepagate. Hai visto qualcuno con un gran numero di cellulari? Ti ha insospettito?" Nel Regno Unito la maggioranza dei cellulari è anonima e funziona con schede prepagate. Ma quanto sarà, un gran numero?
Il secondo poster è, se possibile, più inquietante.
Lucchetto made in China, mascherine per occhi e bocca, passaporto, flacone con scritta "CORROSIVO" e carta di credito.
Lucchetto: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI MAGAZZINI. Ti insospettisce che qualcuno abbia affittato una proprietà commerciale?" Tutti, abbiamo bisogno di magazzini. Non si butta mai via nulla, nel terzo millennio. Soprattutto da quando è partita la raccolta differenziata.
Mascherine per occhi e bocca: "I TERRORISTI FANNO USO DI EQUIPAGGIAMENTO PROTETTIVO, perché maneggiare sostanze chimiche è pericoloso. Non è che hai visto in giro mascherine come queste?" Non è che avete sentito parlare di normativa antiinfortunistica?
Passaporto: "I TERRORISTI USANO IDENTITÀ MULTIPLE. Conosci qualcuno che possiede senza ovvi motivi documenti con nomi diversi?" ("Caro, guarda, ti è caduta la carta d'identità! Oh, non sapevo ti chiamassi Khalid Sheikh Mohammed. E perché qui c'è scritto 'coniugato'?").
Flacone: "I TERRORISTI USANO SOSTANZE CHIMICHE. Conosci qualcuno che compra grandi o insolite quantità di sostanze chimiche?" A questo non dovrebbe già pensarci la polizia? Devo denunciare la mia parrucchiera o chiudiamo un occhio, agente?
Carta di credito: "I TERRORISTI HANNO BISOGNO DI FINANZIAMENTI. I terroristi generano contanti con assegni e carte di credito falsi. Hai assistito a transazioni sospette?" Tipo una signora che alla cassa del supermercato insisteva per pagare con la Benessere-Card della profumeria, avendola scambiata per il bancomat? (Sì, chiaro: mia madre).
O siamo tutti un casino sospetti, o sarebbe stato meglio entrare un po' più nel dettaglio invece di incoraggiare un clima di generica diffidenza investendo in una campagna di poster raffiguranti oggetti di consumo piuttosto diffusi.
Ma la Met ama le campagne a effetto, se ricordate i manifesti realizzati nel 2002 da un grafico dedito al consumo intensivo di peyote:
"Sicuri sotto occhi vigili". Sicuri, certo. Anche un po' nervosi, però. Propaganda bellica incontra George Orwell e Il Giorno dei Trifidi, vorrei ben vedere.
Ve lo ricordate uno dei poster di Brazil? "Non sospettare un amico. Denuncialo". Eccoci.
Etichette:
falsiallarmi,
stato d'insicurezza,
uk
sabato, marzo 24, 2007
Parrucche, occhiali, barbe finte e agenti della CIA
"Don't point that beard to me, it might go off".
Groucho Marx
La CIA vuole che un suo agente si presenti a testimoniare sotto false spoglie e con un finto nome per proteggerne l'identità e le future missioni all'estero. Il travestimento non comprometterebbe la credibilità dell'agente durante il processo, e consisterebbe in una parrucca ("wig"), occhiali ("eyeglasses") o "minor facial hair". Fingiamo di non aver letto "parrucca" e soffermiamoci un momento su questo "minor facial hair": saranno baffini, baffi alla Dalì, imperiali, ungheresi, stile libero? Si tratterà di pizzetti o favoriti? Le barbe piene o da cappuccino, con tanto di baffi acconciati, sembrerebbero escluse. (L'inglese ha una gamma interessante di termini per barbe, baffi, basette e favoriti: dai vintage ed eccentrici Hollywoodian, Mutton Chops, A la Souvarov, French Fork, Van Dyke, Hulihee, Napoleon III Imperial ai più moderni Jawline Beard, Five O'Clock Shadow e Zappa. Ma quale di questi potrà dirsi "minor"?).
Il processo è quello di Jose Padilla, accusato di appartenere a una cellula nordamericana di Al Qaeda. L'agente camuffato dovrebbe testimoniare sulle modalità di reclutamento di un campo d'addestramento: pare che Al Qaeda chiedesse di firmare un modulo di ammissione. Su uno di questi moduli, trovati dentro un raccoglitore in Afghanistan poco dopo l'invasione del 2001, ci sarebbero le impronte digitali di Padilla.
Padilla, ricorderete, era quello che voleva separare il plutonio centrifugando a mano.
Link(via Wonkette)
Se li amo, i post in cui non devo inventarmi nulla.
Groucho Marx
La CIA vuole che un suo agente si presenti a testimoniare sotto false spoglie e con un finto nome per proteggerne l'identità e le future missioni all'estero. Il travestimento non comprometterebbe la credibilità dell'agente durante il processo, e consisterebbe in una parrucca ("wig"), occhiali ("eyeglasses") o "minor facial hair". Fingiamo di non aver letto "parrucca" e soffermiamoci un momento su questo "minor facial hair": saranno baffini, baffi alla Dalì, imperiali, ungheresi, stile libero? Si tratterà di pizzetti o favoriti? Le barbe piene o da cappuccino, con tanto di baffi acconciati, sembrerebbero escluse. (L'inglese ha una gamma interessante di termini per barbe, baffi, basette e favoriti: dai vintage ed eccentrici Hollywoodian, Mutton Chops, A la Souvarov, French Fork, Van Dyke, Hulihee, Napoleon III Imperial ai più moderni Jawline Beard, Five O'Clock Shadow e Zappa. Ma quale di questi potrà dirsi "minor"?).
Il processo è quello di Jose Padilla, accusato di appartenere a una cellula nordamericana di Al Qaeda. L'agente camuffato dovrebbe testimoniare sulle modalità di reclutamento di un campo d'addestramento: pare che Al Qaeda chiedesse di firmare un modulo di ammissione. Su uno di questi moduli, trovati dentro un raccoglitore in Afghanistan poco dopo l'invasione del 2001, ci sarebbero le impronte digitali di Padilla.
Padilla, ricorderete, era quello che voleva separare il plutonio centrifugando a mano.
Link(via Wonkette)
Se li amo, i post in cui non devo inventarmi nulla.
venerdì, marzo 23, 2007
Si sta riprendendo
Mamma: Allora, vediamo.
Io: Eccola.
Papà: Fa' vedere. Pesante. Saranno quattro etti. Lina, prendi la bilancia.
Io: Ma dai, adesso.
Mamma: Tre etti...
Papà: Impossibile.
Mamma: ...e settantatré grammi.
Papà: Dicevo, io. Da' qua: ci facciamo un buco qui.
Mamma: Non può appoggiarla sulla scrivania?
Papà: Oppure qui.
Mamma: O sulla libreria.
Papà: O anche qui.
Io: Papà, non so se è il caso di bucarla.
Papà: Non puoi mica incollarla. Se cade finisce al piano di sotto.
Mamma: Se la buchi devi anche metterci una catenella.
Io: Basta, su.
Papà: Comunque l'importante è che ti sei divertita.
Io: Certo.
Papà: Hai comunicato che mi sto riprendendo bene, sì?
Io: Papà, tu forse non hai idea di cosa scrivo sul blog.
Mamma: No, non ce l'ha.
Papà: Mi fido.
Mamma: Lui entra solo nel sito della banca.
Io: L'importante è che poi ne esca.
Papà: So fare, so fare. Scrivo anche le mail.
Mamma: A chi?
Papà: Al mio giro di reumatiche.
Mamma: Scemo.
Papà: Vuoi una foto che mi hanno fatto a Carnevale?
Io: Pubblicabile?
Papà: Certo. Elio prima della cura. Chiaro che se sapevo cosa mi toccava...
Mamma: Cosa!
Papà: Beh, insomma...
Mamma: Ma cosa, Elio, cosa!
Papà: Non è che due giorni prima andavo a far il mona con la parrucca bionda.
Io: Eccola.
Papà: Fa' vedere. Pesante. Saranno quattro etti. Lina, prendi la bilancia.
Io: Ma dai, adesso.
Mamma: Tre etti...
Papà: Impossibile.
Mamma: ...e settantatré grammi.
Papà: Dicevo, io. Da' qua: ci facciamo un buco qui.
Mamma: Non può appoggiarla sulla scrivania?
Papà: Oppure qui.
Mamma: O sulla libreria.
Papà: O anche qui.
Io: Papà, non so se è il caso di bucarla.
Papà: Non puoi mica incollarla. Se cade finisce al piano di sotto.
Mamma: Se la buchi devi anche metterci una catenella.
Io: Basta, su.
Papà: Comunque l'importante è che ti sei divertita.
Io: Certo.
Papà: Hai comunicato che mi sto riprendendo bene, sì?
Io: Papà, tu forse non hai idea di cosa scrivo sul blog.
Mamma: No, non ce l'ha.
Papà: Mi fido.
Mamma: Lui entra solo nel sito della banca.
Io: L'importante è che poi ne esca.
Papà: So fare, so fare. Scrivo anche le mail.
Mamma: A chi?
Papà: Al mio giro di reumatiche.
Mamma: Scemo.
Papà: Vuoi una foto che mi hanno fatto a Carnevale?
Io: Pubblicabile?
Papà: Certo. Elio prima della cura. Chiaro che se sapevo cosa mi toccava...
Mamma: Cosa!
Papà: Beh, insomma...
Mamma: Ma cosa, Elio, cosa!
Papà: Non è che due giorni prima andavo a far il mona con la parrucca bionda.
Etichette:
famigliamir
Di premi, santi, poeti, alberi e foto mai scattate
Insomma, eccomi: un donnino di formato tascabile, sconosciuto alla maggioranza dei presenti e premiato per un blog. Sul manifesto stavo in mezzo ai nomi di persone di ben altro spessore e impegno; insomma, sembravo un fotomontaggio.
In più sono un animale timido, e avevo deciso solo all'ultimo di andarci sul serio e di approfittarne per rivedere Napoli.
Mia suocera, senza peraltro capire di che si trattasse, mi aveva comunicato:
1. "La Chiesa dell'Incoronata! Mia madre era devota alla Madonna dell'Incoronata!" (naturalmente sarebbe stato lo stesso se avessi nominato la Madonna della Sfogliatella o Santa Maria della Burrata).
2. "Pregherò Sant'Espedito, non si sa mai". Sant'Espedito è il santo personale di mia suocera, quello delle cause urgenti e disperate. Capirete che siamo in pieno paganesimo di ritorno.
Fratellobbuono aveva commentato: "Ma dai, ci sarà un bambino che ti accompagnerà a ritirare il premio? Bellissimo. Sarà più alto di te, come faranno a capire la differenza?"
La mia amica Damiana: "Guarda che se andiamo negli Stati Uniti la devi dichiarare, la Mezzaluna. C'è il rischio che non ti facciano entrare, io per sicurezza ti farei viaggiare in stiva" e "Quand'è che vinci il Big Ben d'Oro? A Londra ti ci accompagno, sai".
Poligraf: "Signora Miru, lo sa che per il volo Trieste-Napoli usano un Canadair? Di quelli che spengono gli incendi sul Carso, sicuro. Viaggi leggera, mi raccomando".
Lì alla Chiesa dell'Incoronata il clima era bello, erano tutti rilassati, c'era pure della buona musica. E io che dovevo fare? Ho parlato velocissimo (credo di aver nominato pure voi, e il fatto che nel tempo si è formata una specie di comunità affettiva, non gerarchica, poco virtuale, e che il blog è il prodotto di tutto questo), e poi ho letto una poesia di Jeremy Cronin.
Jeremy Cronin è un sudafricano bianco che ha partecipato alle lotte degli anni Settanta e Ottanta contro l'apartheid; ha composto le poesie della raccolta Inside/Dentro durante gli anni di carcere nella prigione municipale di Pretoria. Ho scelto una di queste, perché il 21 marzo era la giornata internazionale contro il razzismo, perché Jeremy Cronin merita di essere conosciuto, perché parla di lotta, di resistenza, della necessità di ricordare, della condivisione di codici comuni, di affetto per i compagni.
È, molto semplicemente, una poesia che descrive una foto mai scattata accanto a un albero che non c'è più.
Il contesto: in Sud Africa i prigionieri politici non avevano la possibilità di ricevere notizie dall'esterno, e imparavano presto a ipotizzare elaborate (e spesso fantasiose) versioni su quello che accadeva fuori, soprattutto osservando attentamente le espressioni e i comportamenti dei carcerieri.
Un giorno i guardiani sradicarono un albero di fico che stava al centro del cortile dell'aria. I prigionieri accolsero quell'atto brutale, gratuito e inutile come il segno che fuori era accaduto qualcosa di importante. Solo un anno dopo riuscirono a capire di che si trattava.
Da allora, il posto dove un giorno c'era stato quell'albero è diventato il punto in cui si celebravano anniversari importanti come il primo maggio, il Giorno di Soweto, il Giorno degli Eroi, e l'anniversario stesso dell'eliminazione dell'albero.
Foto di gruppo a Pretoria Local nell'occasione di un quarto anniversario (mai scattata)
Un albero divelto lascia
dietro a sé un buco per terra
Ma pochi mesi dopo
Dovevi essere tu a sapere
che lì era cresciuto qualcosa.
E una persona divelta?
Lascia un buco anche quella, penso, ma poi
qualche anno dopo...
Eccoci qui
seduti in cerchio,
Per lo più in braghette, alcuni scalzi,
Attorno al punto dove quattro anni prima
Quando le truppe sudafricane furono respinte davanti a Luanda
Il nostro fico venne abbattuto
per ripicca. - Quello è Raymond
Che mi fa segno, indicandomi
Dave K che guarda pensoso
Verso l'obiettivo. Denis siede su una lattina
Di petrolio capovolta. Quando l'istantanea fu scattata
Doveva aver fatto
17 anni della sua prima
Condanna all'ergastolo.
Dietro, David R sta dicendo
Qualcosa a John, che guarda Tony che
Scuote la mano di scatto
per cui in parte è mossa.
Eccoci, sette di noi
(ma perché quel sorriso?)
Sette di noi, seduti in cerchio,
Il posto vuoto al centro
indica quello che è successo
Ben fuori dalla cornice della foto.
Allora SORRIDI adesso, sta' fermo e
clic
Le do un nome: Luanda.
Perché certo un albero divelto
lascia dietro a sé un buco per terra.
Qualche anno dopo
Dovevi essere tu a sapere
che un tempo era qui. E una persona?
Eccoci
seduti nel nostro cerchio, sorridenti,
per lo più in braghette,
alcuni scalzi.
Jeremy Cronin, Inside/Dentro, pubblicato in Italia da Supernova nel 1991, a cura di Armando Pajalic.
Questo è più o meno quello che ho farfugliato nella luce calante del pomeriggio, con l'aiuto di Sant'Espedito. Sono una causa urgente e disperata, io.
In più sono un animale timido, e avevo deciso solo all'ultimo di andarci sul serio e di approfittarne per rivedere Napoli.
Mia suocera, senza peraltro capire di che si trattasse, mi aveva comunicato:
1. "La Chiesa dell'Incoronata! Mia madre era devota alla Madonna dell'Incoronata!" (naturalmente sarebbe stato lo stesso se avessi nominato la Madonna della Sfogliatella o Santa Maria della Burrata).
2. "Pregherò Sant'Espedito, non si sa mai". Sant'Espedito è il santo personale di mia suocera, quello delle cause urgenti e disperate. Capirete che siamo in pieno paganesimo di ritorno.
Fratellobbuono aveva commentato: "Ma dai, ci sarà un bambino che ti accompagnerà a ritirare il premio? Bellissimo. Sarà più alto di te, come faranno a capire la differenza?"
La mia amica Damiana: "Guarda che se andiamo negli Stati Uniti la devi dichiarare, la Mezzaluna. C'è il rischio che non ti facciano entrare, io per sicurezza ti farei viaggiare in stiva" e "Quand'è che vinci il Big Ben d'Oro? A Londra ti ci accompagno, sai".
Poligraf: "Signora Miru, lo sa che per il volo Trieste-Napoli usano un Canadair? Di quelli che spengono gli incendi sul Carso, sicuro. Viaggi leggera, mi raccomando".
Lì alla Chiesa dell'Incoronata il clima era bello, erano tutti rilassati, c'era pure della buona musica. E io che dovevo fare? Ho parlato velocissimo (credo di aver nominato pure voi, e il fatto che nel tempo si è formata una specie di comunità affettiva, non gerarchica, poco virtuale, e che il blog è il prodotto di tutto questo), e poi ho letto una poesia di Jeremy Cronin.
Jeremy Cronin è un sudafricano bianco che ha partecipato alle lotte degli anni Settanta e Ottanta contro l'apartheid; ha composto le poesie della raccolta Inside/Dentro durante gli anni di carcere nella prigione municipale di Pretoria. Ho scelto una di queste, perché il 21 marzo era la giornata internazionale contro il razzismo, perché Jeremy Cronin merita di essere conosciuto, perché parla di lotta, di resistenza, della necessità di ricordare, della condivisione di codici comuni, di affetto per i compagni.
È, molto semplicemente, una poesia che descrive una foto mai scattata accanto a un albero che non c'è più.
Il contesto: in Sud Africa i prigionieri politici non avevano la possibilità di ricevere notizie dall'esterno, e imparavano presto a ipotizzare elaborate (e spesso fantasiose) versioni su quello che accadeva fuori, soprattutto osservando attentamente le espressioni e i comportamenti dei carcerieri.
Un giorno i guardiani sradicarono un albero di fico che stava al centro del cortile dell'aria. I prigionieri accolsero quell'atto brutale, gratuito e inutile come il segno che fuori era accaduto qualcosa di importante. Solo un anno dopo riuscirono a capire di che si trattava.
Da allora, il posto dove un giorno c'era stato quell'albero è diventato il punto in cui si celebravano anniversari importanti come il primo maggio, il Giorno di Soweto, il Giorno degli Eroi, e l'anniversario stesso dell'eliminazione dell'albero.
Foto di gruppo a Pretoria Local nell'occasione di un quarto anniversario (mai scattata)
Un albero divelto lascia
dietro a sé un buco per terra
Ma pochi mesi dopo
Dovevi essere tu a sapere
che lì era cresciuto qualcosa.
E una persona divelta?
Lascia un buco anche quella, penso, ma poi
qualche anno dopo...
Eccoci qui
seduti in cerchio,
Per lo più in braghette, alcuni scalzi,
Attorno al punto dove quattro anni prima
Quando le truppe sudafricane furono respinte davanti a Luanda
Il nostro fico venne abbattuto
per ripicca. - Quello è Raymond
Che mi fa segno, indicandomi
Dave K che guarda pensoso
Verso l'obiettivo. Denis siede su una lattina
Di petrolio capovolta. Quando l'istantanea fu scattata
Doveva aver fatto
17 anni della sua prima
Condanna all'ergastolo.
Dietro, David R sta dicendo
Qualcosa a John, che guarda Tony che
Scuote la mano di scatto
per cui in parte è mossa.
Eccoci, sette di noi
(ma perché quel sorriso?)
Sette di noi, seduti in cerchio,
Il posto vuoto al centro
indica quello che è successo
Ben fuori dalla cornice della foto.
Allora SORRIDI adesso, sta' fermo e
clic
Le do un nome: Luanda.
Perché certo un albero divelto
lascia dietro a sé un buco per terra.
Qualche anno dopo
Dovevi essere tu a sapere
che un tempo era qui. E una persona?
Eccoci
seduti nel nostro cerchio, sorridenti,
per lo più in braghette,
alcuni scalzi.
Jeremy Cronin, Inside/Dentro, pubblicato in Italia da Supernova nel 1991, a cura di Armando Pajalic.
Questo è più o meno quello che ho farfugliato nella luce calante del pomeriggio, con l'aiuto di Sant'Espedito. Sono una causa urgente e disperata, io.
Etichette:
Jeremy Cronin,
poesia,
The Real Thing
mercoledì, marzo 21, 2007
Cabaret Bisanzio e il filobus numero 75
Ve la ricordate la favola di Rodari sul filobus numero 75, che una mattina invece di scendere verso Trastevere svolta per l'Aurelia e si mette a correre tra i prati fuori Roma come una lepre in vacanza?
A bordo ci sono quasi solo impiegati e seri funzionari che leggono il giornale: c'è chi deve andare al Tribunale, chi al Ministero, e tutti si mettono a protestare con il povero conducente, finché il filobus non esce di strada per fermarsi sulle soglie di un boschetto profumato. Così i passeggeri scendono a sgranchirsi le gambe o a fumarsi una sigaretta e improvvisamente riscoprono il buonumore: uno coglie un fiore per infilarlo all'occhiello, una signora mette insieme un mazzetto di ciclamini, un altro scopre una fragola acerba e ci mette sopra il proprio biglietto da visita per tornare a riprenderla quando sarà matura. Altri impiegati si mettono a giocare a calcio con un giornale appallottolato, mentre i tanvieri fanno picnic sull'erba.
Poi il filobus riparte per tornare al suo percorso abituale, lasciando loro solo il tempo di saltar su, un po' delusi e nuovamente preoccupati di far tardi al lavoro.
Poi guardano l'orologio e si accorgono che segna ancora le nove e dieci: "era stato tempo regalato, un piccolo extra, come quando si compra una scatola di sapone in polvere e dentro c'è un giocattolo".
"Si meravigliavano tutti. E sì che avevano il giornale sotto gli occhi, e in cima al giornale la data era scritta ben chiara: 21 marzo. Il primo giorno di primavera tutto è possibile".
Oggi parte Cabaret Bisanzio, pronto a scartare per i prati come il filobus numero 75, con la leggerezza di una lepre in vacanza.
Tutto è possibile, il primo giorno di primavera.
[Torno domani. I commenti sono vostri, non vi litigate ché gli halognomi hanno l'ordine di sparare a vista. Bacio].
Filed in: dobraroba cabaretbisanzio
A bordo ci sono quasi solo impiegati e seri funzionari che leggono il giornale: c'è chi deve andare al Tribunale, chi al Ministero, e tutti si mettono a protestare con il povero conducente, finché il filobus non esce di strada per fermarsi sulle soglie di un boschetto profumato. Così i passeggeri scendono a sgranchirsi le gambe o a fumarsi una sigaretta e improvvisamente riscoprono il buonumore: uno coglie un fiore per infilarlo all'occhiello, una signora mette insieme un mazzetto di ciclamini, un altro scopre una fragola acerba e ci mette sopra il proprio biglietto da visita per tornare a riprenderla quando sarà matura. Altri impiegati si mettono a giocare a calcio con un giornale appallottolato, mentre i tanvieri fanno picnic sull'erba.
Poi il filobus riparte per tornare al suo percorso abituale, lasciando loro solo il tempo di saltar su, un po' delusi e nuovamente preoccupati di far tardi al lavoro.
Poi guardano l'orologio e si accorgono che segna ancora le nove e dieci: "era stato tempo regalato, un piccolo extra, come quando si compra una scatola di sapone in polvere e dentro c'è un giocattolo".
"Si meravigliavano tutti. E sì che avevano il giornale sotto gli occhi, e in cima al giornale la data era scritta ben chiara: 21 marzo. Il primo giorno di primavera tutto è possibile".
Oggi parte Cabaret Bisanzio, pronto a scartare per i prati come il filobus numero 75, con la leggerezza di una lepre in vacanza.
Tutto è possibile, il primo giorno di primavera.
[Torno domani. I commenti sono vostri, non vi litigate ché gli halognomi hanno l'ordine di sparare a vista. Bacio].
Filed in: dobraroba cabaretbisanzio
Etichette:
Cabaret Bisanzio
martedì, marzo 20, 2007
Grandi Passi per l'Umanità: gli stivaletti a razzo
Secondo il New York Times gli scienziati russi, e prima di loro quelli sovietici, hanno spesso avuto problemi a far decollare le loro invenzioni nel mondo capitalistico: una compagnia di Saratov aveva progettato un aereo da trasporto senza coda chiamato "disco volante", che non si è mai alzato in volo; l'inventore del Tetris non poté brevettare la sua invenzione, perdendo così grandi somme di denaro; gli ingegneri russi crearono delle pompe sommergibili per pozzi petroliferi, ma poi non furono in grado di svilupparle per mancanza di investimenti e ora le compagnie russe sono costrette a comprare dall'Halliburton.
Ne parla questo articolo, segnalato da Sean's Russian Blog.
Ma l'ho presa larga, perché in realtà voglio raccontarvi degli stivaletti a benzina di Viktor Gordeev. Nei primi anni Settanta il loro inventore pensava che un bel giorno sarebbero diventati il sistema che avrebbe fatto muovere l'umanità. Non fu così. Gordeev e i suoi colleghi dell'Università di Ufa proposero gli stivali all'esercito sovietico, ma ottennero solo di farli classificare come segreto militare fino al 1994. E poi fu troppo tardi: scoprirono infatti che nel mercato capitalistico non c'era più spazio per gli stivaletti a benzina. Secondo il New York Times si tratterebbe appunto di un esempio lampante di incapacità di convertire il talento in prodotti utili e commerciali, invece di convogliarlo nel settore militare.
Va bene, sarà come dicono loro: però, intanto, contempliamo questa sgangherata, bizzarra e inutile meraviglia. Gli stivaletti (anche detti "stivali delle sette leghe" e "stivaletti a razzo russi") hanno il loro piccolo carburatore, un sistema d'accensione e dei serbatoi in grado di contenere una quantità di benzina tale da garantire un'autonomia di tre miglia.
Naturalmente sono pericolosissimi, più un sistema per uccidere l'umanità (o spezzarle le gambe) che per farla muovere. E pesano così tanto da rendere più stancante calzarli che coprire la stessa distanza correndo.
Come ha dichiarato al New York Times un ex studente che fece una dimostrazione degli stivaletti a Disney World nel 1998, "Dovrebbero essere in grado di funzionare come un Kalašnikov. Cioè risultare affidabili nelle mani di chiunque".
Ho guardato questo video su YouTube con tenerezza e apprensione per il paperinik ansimante e traballante de noantri: certo, esempio di cattiva gestione russa del talento, meno affidabili di un Kalašnikov, un grande passo dell'umanità dentro un vicolo cieco o in un fosso.
Ma che passo, che passo.
Ne parla questo articolo, segnalato da Sean's Russian Blog.
Ma l'ho presa larga, perché in realtà voglio raccontarvi degli stivaletti a benzina di Viktor Gordeev. Nei primi anni Settanta il loro inventore pensava che un bel giorno sarebbero diventati il sistema che avrebbe fatto muovere l'umanità. Non fu così. Gordeev e i suoi colleghi dell'Università di Ufa proposero gli stivali all'esercito sovietico, ma ottennero solo di farli classificare come segreto militare fino al 1994. E poi fu troppo tardi: scoprirono infatti che nel mercato capitalistico non c'era più spazio per gli stivaletti a benzina. Secondo il New York Times si tratterebbe appunto di un esempio lampante di incapacità di convertire il talento in prodotti utili e commerciali, invece di convogliarlo nel settore militare.
Va bene, sarà come dicono loro: però, intanto, contempliamo questa sgangherata, bizzarra e inutile meraviglia. Gli stivaletti (anche detti "stivali delle sette leghe" e "stivaletti a razzo russi") hanno il loro piccolo carburatore, un sistema d'accensione e dei serbatoi in grado di contenere una quantità di benzina tale da garantire un'autonomia di tre miglia.
Naturalmente sono pericolosissimi, più un sistema per uccidere l'umanità (o spezzarle le gambe) che per farla muovere. E pesano così tanto da rendere più stancante calzarli che coprire la stessa distanza correndo.
Come ha dichiarato al New York Times un ex studente che fece una dimostrazione degli stivaletti a Disney World nel 1998, "Dovrebbero essere in grado di funzionare come un Kalašnikov. Cioè risultare affidabili nelle mani di chiunque".
Ho guardato questo video su YouTube con tenerezza e apprensione per il paperinik ansimante e traballante de noantri: certo, esempio di cattiva gestione russa del talento, meno affidabili di un Kalašnikov, un grande passo dell'umanità dentro un vicolo cieco o in un fosso.
Ma che passo, che passo.
Etichette:
Vaghe stelle dell'URSS
Spam per una migliore Linea Politica
"Ammettiamo che sarebbe da post?"
"Ammettiamolo".
Vorrei conoscere il genio in incognito che ha spedito questa mail al nostro Ministro per la Linea Politica toni_i: quando si dice lo spam personalizzato.
"Subject: COLONNE A TROMBA PROCESSIONALI
Si sta avvicinando la Settimana Santa di Pasqua 2007 vi proponiamo dei sistemi audio PROFESSIONALI per i servizi liturgici del periodo.
Si tratta di prodotti non cinesi ma costruiti in Italia con una alta affidabilita' e resistenza dei materiali e la continua possibilita' di assistenza e riparazione anche a distanza di anni".
Grassetto mio.
(Però i sistemi audio professionali non cinesi potrebbero essere messi al servizio del compagno di manifestazione, quello che "urla slogan al megafono con voce identica identica a quella di Al Bano e che, a richiesta, canta El Pueblo Unido come fosse Felicità". No?)
"Ammettiamolo".
Vorrei conoscere il genio in incognito che ha spedito questa mail al nostro Ministro per la Linea Politica toni_i: quando si dice lo spam personalizzato.
"Subject: COLONNE A TROMBA PROCESSIONALI
Si sta avvicinando la Settimana Santa di Pasqua 2007 vi proponiamo dei sistemi audio PROFESSIONALI per i servizi liturgici del periodo.
Si tratta di prodotti non cinesi ma costruiti in Italia con una alta affidabilita' e resistenza dei materiali e la continua possibilita' di assistenza e riparazione anche a distanza di anni".
Grassetto mio.
(Però i sistemi audio professionali non cinesi potrebbero essere messi al servizio del compagno di manifestazione, quello che "urla slogan al megafono con voce identica identica a quella di Al Bano e che, a richiesta, canta El Pueblo Unido come fosse Felicità". No?)
Etichette:
spam,
The Real Thing
lunedì, marzo 19, 2007
Il numero
Dal racconto di Sahar, corrispondente del blog Inside Iraq:
"Ogni volta che mi dico che il mio prossimo blog sarà finalmente dedicato a ricordi piacevoli mi scontro con una storia difficile che va raccontata.
Un'amica mi ha chiamato per raccontarmi delle cattive notizie. Avevano rapito suo fratello e chiesto un riscatto di 100.000 dollari.
Per un iracheno una simile somma significa la rovina.
Sono stati coinvolti tutti i parenti, costretti a vendere tutto ciò che potevano per salvare il pover'uomo. Hanno detto ai rapitori che non riuscivano a mettere insieme più di 20.000 dollari. (È noto che non si può vendere la casa o la macchina, perché l'odore dei contanti attirerebbe altri criminali).
A sorpresa i rapitori hanno detto 'OK, mandate una donna con il denaro a...'. Dopo averla fatta girare a vuoto per un po', un ragazzo di sedici o diciassette anni le si è avvicinato, ha preso i soldi e ha detto 'Vi contatteremo noi'. E poi non ne hanno più saputo nulla.
Per due settimane le donne della famiglia hanno setacciato prima gli ospedali e poi gli obitori senza trovare traccia di Hani.
Poi hanno detto loro di parlare con l'impresario. 'Quale impresario?!', 'Quello che si occupa di seppellire i cadaveri non identificati che ci arrivano'. 'Cosa?!'
Così hanno chiesto in giro e sono state mandate da un tizio dall'aspetto ordinario che davanti alle loro domande non ha fatto una piega.
'Sì, io mi occupo di seppellire i corpi che non vengono reclamati. Negli obitori non c'è posto per tutti quei cadaveri. Prima dovete identificarlo, e poi io vi indico la sua tomba'.
'Come possiamo identificare nostro fratello!'
'Non preoccupatevi; sono ben organizzato!' Si incammina verso una bella macchina elegante, apre la portiera, prende un portatile di ultima generazione e lo appoggia sul cofano. 'Qua ho le foto di tutti i cadaveri che seppellisco. Ciascuno ha un numero che viene inciso sulla sua lapide a Nejef. Ecco, cercate pure'. E così, dice Iyman, sua sorella si è messa a scorrere centinaia di fotografie di persone ammazzate per le strade senza che le loro famiglie lo sapessero; ma non ha trovato la foto di suo fratello.
'Provate con Abu Haider, o un altro', è stato il consiglio dell'impresario. 'Sono precisi e coscienziosi quanto me'.
E così, 'Abbiamo trovato la sua foto! Abbiamo il suo numero!' ha detto piangendo la mia amica. 'Aveva la faccia piena di lividi e un buco in fronte. Sahar, è morto soffrendo. Aveva le mani legate sopra la testa'.
Sono andate in quel luogo sperduto che viene usato come cimitero, alla periferia di Nejef. Ma della tomba di Hani non c'era traccia. Hanno cercato il suo numero su tutte le tombe, una per una. Ma lui non c'era. Hanno cercato in tutti i cimiteri, non solo in questo, ma non hanno trovato il suo numero da nessuna parte".
Link
"Ogni volta che mi dico che il mio prossimo blog sarà finalmente dedicato a ricordi piacevoli mi scontro con una storia difficile che va raccontata.
Un'amica mi ha chiamato per raccontarmi delle cattive notizie. Avevano rapito suo fratello e chiesto un riscatto di 100.000 dollari.
Per un iracheno una simile somma significa la rovina.
Sono stati coinvolti tutti i parenti, costretti a vendere tutto ciò che potevano per salvare il pover'uomo. Hanno detto ai rapitori che non riuscivano a mettere insieme più di 20.000 dollari. (È noto che non si può vendere la casa o la macchina, perché l'odore dei contanti attirerebbe altri criminali).
A sorpresa i rapitori hanno detto 'OK, mandate una donna con il denaro a...'. Dopo averla fatta girare a vuoto per un po', un ragazzo di sedici o diciassette anni le si è avvicinato, ha preso i soldi e ha detto 'Vi contatteremo noi'. E poi non ne hanno più saputo nulla.
Per due settimane le donne della famiglia hanno setacciato prima gli ospedali e poi gli obitori senza trovare traccia di Hani.
Poi hanno detto loro di parlare con l'impresario. 'Quale impresario?!', 'Quello che si occupa di seppellire i cadaveri non identificati che ci arrivano'. 'Cosa?!'
Così hanno chiesto in giro e sono state mandate da un tizio dall'aspetto ordinario che davanti alle loro domande non ha fatto una piega.
'Sì, io mi occupo di seppellire i corpi che non vengono reclamati. Negli obitori non c'è posto per tutti quei cadaveri. Prima dovete identificarlo, e poi io vi indico la sua tomba'.
'Come possiamo identificare nostro fratello!'
'Non preoccupatevi; sono ben organizzato!' Si incammina verso una bella macchina elegante, apre la portiera, prende un portatile di ultima generazione e lo appoggia sul cofano. 'Qua ho le foto di tutti i cadaveri che seppellisco. Ciascuno ha un numero che viene inciso sulla sua lapide a Nejef. Ecco, cercate pure'. E così, dice Iyman, sua sorella si è messa a scorrere centinaia di fotografie di persone ammazzate per le strade senza che le loro famiglie lo sapessero; ma non ha trovato la foto di suo fratello.
'Provate con Abu Haider, o un altro', è stato il consiglio dell'impresario. 'Sono precisi e coscienziosi quanto me'.
E così, 'Abbiamo trovato la sua foto! Abbiamo il suo numero!' ha detto piangendo la mia amica. 'Aveva la faccia piena di lividi e un buco in fronte. Sahar, è morto soffrendo. Aveva le mani legate sopra la testa'.
Sono andate in quel luogo sperduto che viene usato come cimitero, alla periferia di Nejef. Ma della tomba di Hani non c'era traccia. Hanno cercato il suo numero su tutte le tombe, una per una. Ma lui non c'era. Hanno cercato in tutti i cimiteri, non solo in questo, ma non hanno trovato il suo numero da nessuna parte".
Link
Etichette:
iraq
venerdì, marzo 16, 2007
Dalla A alla Z, passando per la W di waterboarding
Dunque la notizia è che Khalid Sheikh Mohammed ha dichiarato a un tribunale militare di essere responsabile dei seguenti atti o azioni semplicemente pianificate (segue lista, con l'aiuto del New York Times):
1. Attentato del 1993 al World Trade Center.
2. Attacchi dell'11 settembre, dalla A alla Z.
3. Fallito attentato con scarpe imbottite d'esplosivo per abbattere due aerei americani.
4. Sparatoria in Kuwait, 2002, un marine morto.
5. Attentato di Bali, 2002, più di 180 morti.
6. Pianificazione di attacchi contro vari importanti grattacieli americani.
7. Pianificazione di attacchi contro navi militari e petroliere americane.
8. Pianificazione del bombardamento del Canale di Panama.
9. Pianificazione dell'assassinio di vari ex-presidenti americani, compreso Jimmy Carter.
10. Pianificazione di attacchi contro vari siti newyorkesi, compresi la Borsa e i ponti.
11. Pianificazione di attacchi contro vari siti londinesi, compresi l'Aeroporto di Heathrow e il Big Ben.
12. Pianificazione di attacchi contro edifici della città israeliana di Eilat, utilizzando aerei decollati dall'Arabia Saudita.
13. Pianificazione di attacchi contro ambasciate israeliane e americane nel mondo.
14. Invio di combattenti in Israele per sorvegliare bersagli strategici.
15. Bomba in un albergo di Mombasa, Kenya, frequentato da turisti israeliani.
16. Lancio di un missile terra-aria contro un aereo della El Al decollato da Mombasa.
17. Sorveglianza di impianti nucleari negli Stati Uniti.
18. Intenzione di colpire il quartier generale della NATO a Bruxelles.
19. Intenzione di far esplodere 12 aerei americani pieni di passeggeri.
20. Tentato assassinio del Presidente Clinton nelle Filippine, nel 1994 o 1995.
21. Condivisione della responsabilità nel tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II nelle Filippine.
22. Pianificazione dell'assassinio del Presidente pakistano Pervez Musharraf.
23. Tentata distruzione di una compagnia petrolifera americana a Sumatra, di proprietà dell'ex segretario di stato Kissinger.
24. Decapitazione di Daniel Pearl.
E la lista continua, per un totale di più di 30 presunte malefatte o male pensate.
Grazie a Think Progress vado a ripescare un vecchio articolo sulle tecniche di interrogatorio della CIA a Guantanamo, in particolare quel waterboarding al quale Khalid Sheikh Mohammed fu ripetutamente sottoposto, e leggo che "il prigioniero di al Quaeda più tenace, Khalid Sheik Mohammed, si conquistò l'ammirazione degli addetti agli interrogatori quando fu in grado di resistere due minuti-due minuti e mezzo sott'acqua prima di supplicare che lo lasciassero confessare".
Ah, già, e poi pare che la CIA nel 2003 gli avesse rapito i figli di 7 e 9 anni per costringerlo a parlare.
Nella dichiarazione ufficiale rivista dal Pentagono Khalid Sheikh Mohammed ha affermato: "So che gli americani ci torturano dagli anni Settanta. So che parlano di diritti umani. E so che va contro la costituzione americana, contro le leggi americane". E poi: "Mi hanno detto: ogni legge ha le sue eccezioni, per tua sfortuna tu sei parte di quelle eccezioni".
Considerazioni:
1. Bene, avete il braccio destro tuttofare, il capro espiatorio definitivo; e se adesso prendete Bin Laden (o un sosia del defunto, non importa), cosa gli resta da confessare? Eh? Un furto di bagigi?
2. Record di due minuti e passa in apnea e neanche un riferimento agli ufi, nella confessione. Strano.
3. Tre anni e mezzo di cura dell'acqua, comunque, trasformerebbero in un braccio destro di alcàida anche mia suocera (lei per puro protagonismo avrebbe aggiunto "c'ero anch'io a Dallas, quel giorno là"; e guardate che come anni ci siamo).
4. Ammazzare Carter. Su.
Il .pdf con il verbale è qui.
1. Attentato del 1993 al World Trade Center.
2. Attacchi dell'11 settembre, dalla A alla Z.
3. Fallito attentato con scarpe imbottite d'esplosivo per abbattere due aerei americani.
4. Sparatoria in Kuwait, 2002, un marine morto.
5. Attentato di Bali, 2002, più di 180 morti.
6. Pianificazione di attacchi contro vari importanti grattacieli americani.
7. Pianificazione di attacchi contro navi militari e petroliere americane.
8. Pianificazione del bombardamento del Canale di Panama.
9. Pianificazione dell'assassinio di vari ex-presidenti americani, compreso Jimmy Carter.
10. Pianificazione di attacchi contro vari siti newyorkesi, compresi la Borsa e i ponti.
11. Pianificazione di attacchi contro vari siti londinesi, compresi l'Aeroporto di Heathrow e il Big Ben.
12. Pianificazione di attacchi contro edifici della città israeliana di Eilat, utilizzando aerei decollati dall'Arabia Saudita.
13. Pianificazione di attacchi contro ambasciate israeliane e americane nel mondo.
14. Invio di combattenti in Israele per sorvegliare bersagli strategici.
15. Bomba in un albergo di Mombasa, Kenya, frequentato da turisti israeliani.
16. Lancio di un missile terra-aria contro un aereo della El Al decollato da Mombasa.
17. Sorveglianza di impianti nucleari negli Stati Uniti.
18. Intenzione di colpire il quartier generale della NATO a Bruxelles.
19. Intenzione di far esplodere 12 aerei americani pieni di passeggeri.
20. Tentato assassinio del Presidente Clinton nelle Filippine, nel 1994 o 1995.
21. Condivisione della responsabilità nel tentato omicidio di Papa Giovanni Paolo II nelle Filippine.
22. Pianificazione dell'assassinio del Presidente pakistano Pervez Musharraf.
23. Tentata distruzione di una compagnia petrolifera americana a Sumatra, di proprietà dell'ex segretario di stato Kissinger.
24. Decapitazione di Daniel Pearl.
E la lista continua, per un totale di più di 30 presunte malefatte o male pensate.
Grazie a Think Progress vado a ripescare un vecchio articolo sulle tecniche di interrogatorio della CIA a Guantanamo, in particolare quel waterboarding al quale Khalid Sheikh Mohammed fu ripetutamente sottoposto, e leggo che "il prigioniero di al Quaeda più tenace, Khalid Sheik Mohammed, si conquistò l'ammirazione degli addetti agli interrogatori quando fu in grado di resistere due minuti-due minuti e mezzo sott'acqua prima di supplicare che lo lasciassero confessare".
Ah, già, e poi pare che la CIA nel 2003 gli avesse rapito i figli di 7 e 9 anni per costringerlo a parlare.
Nella dichiarazione ufficiale rivista dal Pentagono Khalid Sheikh Mohammed ha affermato: "So che gli americani ci torturano dagli anni Settanta. So che parlano di diritti umani. E so che va contro la costituzione americana, contro le leggi americane". E poi: "Mi hanno detto: ogni legge ha le sue eccezioni, per tua sfortuna tu sei parte di quelle eccezioni".
Considerazioni:
1. Bene, avete il braccio destro tuttofare, il capro espiatorio definitivo; e se adesso prendete Bin Laden (o un sosia del defunto, non importa), cosa gli resta da confessare? Eh? Un furto di bagigi?
2. Record di due minuti e passa in apnea e neanche un riferimento agli ufi, nella confessione. Strano.
3. Tre anni e mezzo di cura dell'acqua, comunque, trasformerebbero in un braccio destro di alcàida anche mia suocera (lei per puro protagonismo avrebbe aggiunto "c'ero anch'io a Dallas, quel giorno là"; e guardate che come anni ci siamo).
4. Ammazzare Carter. Su.
Il .pdf con il verbale è qui.
Etichette:
alcaida,
braccidestri
mercoledì, marzo 14, 2007
VVP e gli androidi
[Contesto: domenica si sono svolte in Russia le elezioni regionali per rinnovare le assemblee legislative di 14 soggetti della Federazione Russa. Affluenza molto bassa (a Kurgan si sono presentati a votare in due, il candidato e il suo amico: il candidato è stato eletto), risultati ottimi per il partito di Putin Russia Unita, e onesti per il nuovo partito Russia Giusta creato da Sergej Mironov (presidente del Consiglio della Federazione), che ha superato ovunque lo sbarramento e a Stavropol ha vinto. Russia Unita ha dichiarato di essere pronta ad appoggiare l'elezione di Mironov a senatore. Va detto che Russia Giusta - soprannominata Partito del Potere n. 2 - è considerata un clone di Russia Unita, utile a quest'ultima per contrastare l'influenza dei Comunisti.
Ieri, poi, Aleksandr Vešnjakov è stato escluso con decreto presidenziale dalla Commissione Elettorale Centrale, anche se aveva espresso il desiderio di ricoprire quella carica per altri quattro anni. Aveva un po' criticato la nuova legge elettorale (che ha abolito il quorum minimo di partecipazione, ha alzato al 7% la soglia di ingresso in parlamento per i partiti e reso più complessa la loro registrazione), questo sì. Questo proprio sì].
"Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin sedeva nel suo studio all'interno del Cremlino a inventarsi degli auguri per il trentaseiesimo compleanno del babbeo che scriveva su Internet quelle storielle villane sul suo conto.
All'improvviso le imponenti porte dello studio si aprirono per lasciar entrare il vice capo dell'Amministrazione Vladislav Jurevič Surkov. Vladislav Jurevič aveva un'espressione malinconica dipinta sul volto.
- Salve, - lo salutò Vladimir Vladimirovič™. - Su, non fare quella faccia triste! Pensa! Mironov si è rimesso in riga. Adesso lo fate senatore, no?
- Ma no, non è per Mironov... - disse mestamente Vladislav Jurevič. - Mi si è rotto Vešnjakov.
- Cos'è 'sta storia? Come, rotto? - Vladimir Vladimirovič™ non capiva.
- Ma sì, sono quelle pilette atomiche, - Vladislav Jurevič allargò le braccia, - Dicevano che sarebbe andato avanti cent'anni. E invece, otto anni e si è rotto. E adesso a chi presenteremo tutti i ricorsi?
- Falli ricadere su Zubarov [il ministro della sanità e dello sviluppo sociale, n.d.T.], - rispose Vladimir Vladimirovič™, - Tanto, quello, peggio di così. Invece... questo significa che non abbiamo più un presidente della Commissione Centrale Elettorale. Che ci tocca fare?
- Eh, io non ne ho più, di androidi liberi, - sospirò Vladislav Jurevič.
- Non ho capito... - e qui Vladimir Vladimirovič™ spalancò i presidenziali occhi. - Con questo vuoi dirmi che dovremo nominare un umano?
- Non lo so mica, - rispose Vladislav Jurevič. - E perché non un umano?
- Certo che anche tu... - Vladimir Vladimirovič™, - Hai letto Omon Ra*?
Vladislav Jurevič emise un altro profondo sospiro".
*Il romanzo di Pelevin si incentra su una missione suicida sulla luna, concepita per non far capire agli occidentali che l'URSS non ha i soldi per inviare mezzi automatizzati: dentro il modulo lunare apparentemente automatizzato in realtà c'è un omino che suda, soffre, sogna e sa che non esiste la tecnologia che gli permetterà di rientrare sulla Terra.
da: vladimir.vladimirovich.ru
Ieri, poi, Aleksandr Vešnjakov è stato escluso con decreto presidenziale dalla Commissione Elettorale Centrale, anche se aveva espresso il desiderio di ricoprire quella carica per altri quattro anni. Aveva un po' criticato la nuova legge elettorale (che ha abolito il quorum minimo di partecipazione, ha alzato al 7% la soglia di ingresso in parlamento per i partiti e reso più complessa la loro registrazione), questo sì. Questo proprio sì].
"Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin sedeva nel suo studio all'interno del Cremlino a inventarsi degli auguri per il trentaseiesimo compleanno del babbeo che scriveva su Internet quelle storielle villane sul suo conto.
All'improvviso le imponenti porte dello studio si aprirono per lasciar entrare il vice capo dell'Amministrazione Vladislav Jurevič Surkov. Vladislav Jurevič aveva un'espressione malinconica dipinta sul volto.
- Salve, - lo salutò Vladimir Vladimirovič™. - Su, non fare quella faccia triste! Pensa! Mironov si è rimesso in riga. Adesso lo fate senatore, no?
- Ma no, non è per Mironov... - disse mestamente Vladislav Jurevič. - Mi si è rotto Vešnjakov.
- Cos'è 'sta storia? Come, rotto? - Vladimir Vladimirovič™ non capiva.
- Ma sì, sono quelle pilette atomiche, - Vladislav Jurevič allargò le braccia, - Dicevano che sarebbe andato avanti cent'anni. E invece, otto anni e si è rotto. E adesso a chi presenteremo tutti i ricorsi?
- Falli ricadere su Zubarov [il ministro della sanità e dello sviluppo sociale, n.d.T.], - rispose Vladimir Vladimirovič™, - Tanto, quello, peggio di così. Invece... questo significa che non abbiamo più un presidente della Commissione Centrale Elettorale. Che ci tocca fare?
- Eh, io non ne ho più, di androidi liberi, - sospirò Vladislav Jurevič.
- Non ho capito... - e qui Vladimir Vladimirovič™ spalancò i presidenziali occhi. - Con questo vuoi dirmi che dovremo nominare un umano?
- Non lo so mica, - rispose Vladislav Jurevič. - E perché non un umano?
- Certo che anche tu... - Vladimir Vladimirovič™, - Hai letto Omon Ra*?
Vladislav Jurevič emise un altro profondo sospiro".
*Il romanzo di Pelevin si incentra su una missione suicida sulla luna, concepita per non far capire agli occidentali che l'URSS non ha i soldi per inviare mezzi automatizzati: dentro il modulo lunare apparentemente automatizzato in realtà c'è un omino che suda, soffre, sogna e sa che non esiste la tecnologia che gli permetterà di rientrare sulla Terra.
da: vladimir.vladimirovich.ru
martedì, marzo 13, 2007
Will the real Marija please stand up?
Nel finesettimana il britannico Sunday Times è uscito con un pezzo in cui si affermava che la giornalista russa "Marija Ivanovna" nei prossimi giorni fuggirà negli Stati Uniti, dove le è stato garantito asilo politico.
Di Marija Ivanovna si dice che è una giornalista pluripremiata, che è un'esperta di Caucaso e che è abituata a essere perseguitata, tormentata, perfino picchiata. Ma gli eventi presero una piega davvero sinistra lo scorso ottobre, scrive il Times, quando degli estranei le entrarono in casa mentre era via. Lei fece cambiare le serrature, si bevve un caffè e andò a dormire. La mattina dopo si svegliò in preda a dolori atroci, gonfiori, bocca escoriata, pelle che le si staccava di dosso. Finì in terapia intensiva. Per tornarci un mese dopo, sempre secondo il Times, quando si sentì nuovamente male dopo aver bevuto una tazza di tè.
L'articolo prosegue con un classico doppio carpiato con avvitamento e ciao con la manina del Times, e cioè:
"La lunga mano dei Servizi di Sicurezza Federali russi (FSB), da quando il Parlamento ha dato loro licenza di uccidere all'estero, si estende ormai oltre i confini della Russia.
Difficile dire quale paese sia sicuro dopo la morte a Londra per avvelenamento da Polonio 210 dell'ex agente del KGB Aleksandr Litvinenko. In America Paul Joyal, esperto di spionaggio russo e critico del presidente Vladimir Putin, è in gravi condizioni dopo essere stato vittima di una sparatoria vicino a casa sua a Washington. Potrebbe anche essersi trattato di una rapina, ma nessuno lo sa con certezza".
(Ritorneremo sul caso Joyal, per il momento volevo segnalarvi questo grande momento di giornalismo)
E poi via mettendo insieme Politkovskaja, Litvinenko, il giornalista del Kommersant Safronov: Putin ammazza la gente, sapevatelo? E se non sta attento, dice il Times, corre il rischio di essere arrestato quando si trova all'estero.
Ma torniamo alla misteriosa Marija Ivanovna, chiaramente un nome finto. Domenica la notizia si è diffusa in Russia, soprattutto in rete, dando origine a una serie di ipotesi (a proposito, c'è un'interessante e utilissima comunità di livejournal chiamata "paparazzi", luogo di discussione e di scambio di informazioni tra giornalisti): secondo alcuni l'Ivanovna sarebbe la Julia Latinina di Echo Moskvy e Novaja Gazeta, secondo altri Marina Litvinovič, corrispondente del giornale Čečenskoe Obščestvo, per altri ancora potrebbe trattarsi della vedova di Basaev, Elina Ersenoeva.
La versione più accreditata era che dietro lo pseudonimo si celasse Fatima Tlisova, corrispondente dell'Associated Press e redattore capo dell'agenzia di informazione Regnum. Commentando l'articolo del Sunday Times su un blog, Marina Litvinovič ha ricordato che lo scorso anno Fatima Tlisova fu avvelenata, e la notizia fu commentata dalla stampa internazionale (in particolare, ne scrisse lo spagnolo La Vanguardia) ma sfuggì all'attenzione di quella russa. Dell'avvelenamento della Tlisova parlava anche il Kommersant di lunedì. Il sito internet Stringer è andato oltre, scrivendo che "la giornalista Fatima Tlisova ha chiesto asilo politico in occidente, perché stufa delle minacce e preoccupata per la propria vita". Niente fonte, però.
Che dice la Tlisova? Nega: "Non ho parlato con i giornalisti del Sunday Times. Certo, intendo recarmi prossimamente in un'università americana con un permesso di studio concessomi dall'agenzia Regnum. Però ho intenzione di continuare a lavorare sul Caucaso. Non so cosa né chi stia dietro l'articolo del Sunday Times né dietro questa insistenza sul mio nome". Anche il suo direttore responsabile, Konstantin Kazenin, ritiene che non si tratti di lei.
Un bel round-up di notizie, qui (in russo). Qui l'articolo del Sunday Times.
Oggi il Marijometro, soprattutto per un articolo di Izvestija, è fermo su Elina Ersenoeva, la vedova di Basaev.
[Tanto per chiarire le cose. Attenzione a questi nomi:
Artëm Borovik, Igor Domnikov, Sergej Novikov, Iskandar Chatloni, Sergej Ivanov, Adam Tepsurgajev, Eduard Markevič, Natalja Skryl, Valeryj Ivanov, Dmitrij Švets, Jurij Šcekočichin, Aleksej Sidorov, Paul Klebnikov, Pavel Makeev, Magomedzagid Varisov, Aleksandr Piterskij, Evgenij Gerasimenko, Vjačeslav Plotnikov, Anna Politkovskaja, Ivan Safronov.
Sono i venti giornalisti uccisi o morti in circostanze poco chiare da quando Putin è presidente, e ci aggiungo anche Antonio Russo.
Non sottolineerò che è altamente improbabile che Putin ne abbia commissionato l'uccisione o abbia qualcosa a che fare con la loro morte; la sua già grave responsabilità consiste nel governare un paese in cui questi omicidi sembrano restare impuniti. Detto questo, credo che la stampa britannica degli ultimi mesi - con articoli come quello che ho citato, che nel caso migliore sono sciatta propaganda antirussa e nel peggiore mettono in pericolo una persona rendendola riconoscibile ed esponendola - stia dando il peggio di sé sull'argomento: lunga mano dell'FSB, caccia a Putin, licenza d'uccidere ovunque, nomi messi insieme a caso e le solite tazze di tè assassine].
Di Marija Ivanovna si dice che è una giornalista pluripremiata, che è un'esperta di Caucaso e che è abituata a essere perseguitata, tormentata, perfino picchiata. Ma gli eventi presero una piega davvero sinistra lo scorso ottobre, scrive il Times, quando degli estranei le entrarono in casa mentre era via. Lei fece cambiare le serrature, si bevve un caffè e andò a dormire. La mattina dopo si svegliò in preda a dolori atroci, gonfiori, bocca escoriata, pelle che le si staccava di dosso. Finì in terapia intensiva. Per tornarci un mese dopo, sempre secondo il Times, quando si sentì nuovamente male dopo aver bevuto una tazza di tè.
L'articolo prosegue con un classico doppio carpiato con avvitamento e ciao con la manina del Times, e cioè:
"La lunga mano dei Servizi di Sicurezza Federali russi (FSB), da quando il Parlamento ha dato loro licenza di uccidere all'estero, si estende ormai oltre i confini della Russia.
Difficile dire quale paese sia sicuro dopo la morte a Londra per avvelenamento da Polonio 210 dell'ex agente del KGB Aleksandr Litvinenko. In America Paul Joyal, esperto di spionaggio russo e critico del presidente Vladimir Putin, è in gravi condizioni dopo essere stato vittima di una sparatoria vicino a casa sua a Washington. Potrebbe anche essersi trattato di una rapina, ma nessuno lo sa con certezza".
(Ritorneremo sul caso Joyal, per il momento volevo segnalarvi questo grande momento di giornalismo)
E poi via mettendo insieme Politkovskaja, Litvinenko, il giornalista del Kommersant Safronov: Putin ammazza la gente, sapevatelo? E se non sta attento, dice il Times, corre il rischio di essere arrestato quando si trova all'estero.
Ma torniamo alla misteriosa Marija Ivanovna, chiaramente un nome finto. Domenica la notizia si è diffusa in Russia, soprattutto in rete, dando origine a una serie di ipotesi (a proposito, c'è un'interessante e utilissima comunità di livejournal chiamata "paparazzi", luogo di discussione e di scambio di informazioni tra giornalisti): secondo alcuni l'Ivanovna sarebbe la Julia Latinina di Echo Moskvy e Novaja Gazeta, secondo altri Marina Litvinovič, corrispondente del giornale Čečenskoe Obščestvo, per altri ancora potrebbe trattarsi della vedova di Basaev, Elina Ersenoeva.
La versione più accreditata era che dietro lo pseudonimo si celasse Fatima Tlisova, corrispondente dell'Associated Press e redattore capo dell'agenzia di informazione Regnum. Commentando l'articolo del Sunday Times su un blog, Marina Litvinovič ha ricordato che lo scorso anno Fatima Tlisova fu avvelenata, e la notizia fu commentata dalla stampa internazionale (in particolare, ne scrisse lo spagnolo La Vanguardia) ma sfuggì all'attenzione di quella russa. Dell'avvelenamento della Tlisova parlava anche il Kommersant di lunedì. Il sito internet Stringer è andato oltre, scrivendo che "la giornalista Fatima Tlisova ha chiesto asilo politico in occidente, perché stufa delle minacce e preoccupata per la propria vita". Niente fonte, però.
Che dice la Tlisova? Nega: "Non ho parlato con i giornalisti del Sunday Times. Certo, intendo recarmi prossimamente in un'università americana con un permesso di studio concessomi dall'agenzia Regnum. Però ho intenzione di continuare a lavorare sul Caucaso. Non so cosa né chi stia dietro l'articolo del Sunday Times né dietro questa insistenza sul mio nome". Anche il suo direttore responsabile, Konstantin Kazenin, ritiene che non si tratti di lei.
Un bel round-up di notizie, qui (in russo). Qui l'articolo del Sunday Times.
Oggi il Marijometro, soprattutto per un articolo di Izvestija, è fermo su Elina Ersenoeva, la vedova di Basaev.
[Tanto per chiarire le cose. Attenzione a questi nomi:
Artëm Borovik, Igor Domnikov, Sergej Novikov, Iskandar Chatloni, Sergej Ivanov, Adam Tepsurgajev, Eduard Markevič, Natalja Skryl, Valeryj Ivanov, Dmitrij Švets, Jurij Šcekočichin, Aleksej Sidorov, Paul Klebnikov, Pavel Makeev, Magomedzagid Varisov, Aleksandr Piterskij, Evgenij Gerasimenko, Vjačeslav Plotnikov, Anna Politkovskaja, Ivan Safronov.
Sono i venti giornalisti uccisi o morti in circostanze poco chiare da quando Putin è presidente, e ci aggiungo anche Antonio Russo.
Non sottolineerò che è altamente improbabile che Putin ne abbia commissionato l'uccisione o abbia qualcosa a che fare con la loro morte; la sua già grave responsabilità consiste nel governare un paese in cui questi omicidi sembrano restare impuniti. Detto questo, credo che la stampa britannica degli ultimi mesi - con articoli come quello che ho citato, che nel caso migliore sono sciatta propaganda antirussa e nel peggiore mettono in pericolo una persona rendendola riconoscibile ed esponendola - stia dando il peggio di sé sull'argomento: lunga mano dell'FSB, caccia a Putin, licenza d'uccidere ovunque, nomi messi insieme a caso e le solite tazze di tè assassine].
Etichette:
Russia
lunedì, marzo 12, 2007
Bracci Destri: l'Altro Emiro e il Macellaio
"We captured a figure who was a senior al-Qaeda member and we suspected that he was Abu Omar al-Baghdadi, but after initial investigations it was proven it was not Abu Omar al-Baghdadi. But he was a senior al-Qaeda leader".
Nome: sconosciuto.
Detto: l'Emiro.
Cosa: catturato con sette altre persone.
Dove: a nordovest di Karmah, 80 km a ovest di Baghdad.
Pensavano che fosse: Abu Omar al-Baghdadi, il vero emiro dello Stato Islamico iracheno.
Invece era: un altro emiro, poi definito anche "media emir"; forse (notizia di agenzia italiana) Mohammed Younis al Haiyali, se questo nome ci dicesse qualcosa.
Del resto al-Baghdadi: non si sa chi sia.
Nome: sconosciuto.
Detto: il Macellaio.
Specializzazione: rapimenti, decapitazioni, operazioni suicide.
Cosa: preso.
Dove: a Mosul.
Un link a caso.
Benzinai, macellai, organizzatori di eventi, prestatori di servizi: così si fa. Gli si smantella il commercio e il terziario, ad alcàida.
Nome: sconosciuto.
Detto: l'Emiro.
Cosa: catturato con sette altre persone.
Dove: a nordovest di Karmah, 80 km a ovest di Baghdad.
Pensavano che fosse: Abu Omar al-Baghdadi, il vero emiro dello Stato Islamico iracheno.
Invece era: un altro emiro, poi definito anche "media emir"; forse (notizia di agenzia italiana) Mohammed Younis al Haiyali, se questo nome ci dicesse qualcosa.
Del resto al-Baghdadi: non si sa chi sia.
Nome: sconosciuto.
Detto: il Macellaio.
Specializzazione: rapimenti, decapitazioni, operazioni suicide.
Cosa: preso.
Dove: a Mosul.
Un link a caso.
Benzinai, macellai, organizzatori di eventi, prestatori di servizi: così si fa. Gli si smantella il commercio e il terziario, ad alcàida.
Etichette:
alcaida,
braccidestri
domenica, marzo 11, 2007
VVP e il Libro Nero
[Per la comprensione di questo VVP vi sarà utile il post precedente. Ve l'avevo detto, che serviva, n.d.T.]
"Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin sedeva nel suo studio all'interno del Cremlino accanto a un tavolino rotondo. Al suo fianco si trovava il vice capo dell'Amministrazione Vladislav Jurevič Surkov. Sul tavolino davanti ai due uomini c'era una grande scatola di legno con aquile dorate a due teste incise sui lucchetti di platino.
Vladimir Vladimirovič™ tese le presidenziali mani verso la scatola, fece scattare i lucchetti e sollevò con cura il coperchio. Vladislav Jurevič trasse un profondo sospiro.
Nella scatola, adagiato su un cuscino di velluto rosso, c'era un piccolo libro antico con la copertina di legno.
Sul margine superiore della copertina era intagliato un grosso gufo.
- Si narra, - sussurrò Vladislav Jurevič, - Che l'ultima settimana del secondo mese dell'anno che precede le elezioni il Libro Nero sia in grado si svelare il nome dell'erede del trono degli zar per volere divino.
- Non è tanto per me, ma... - borbottò Vladimir Vladimirovič™, - Se poi ci sta scritto il nome di uno sconosciuto? Di un estraneo?
- D'accordo, - rispose Vladislav Jurevič, - E cosa si fa se c'è scritto il tuo nome? Non lo so proprio...
- Cosa si fa, cosa si fa, - brontolò Vladimir Vladimirovič™, - Si cambia la costituzione, cosa si fa...
E Vladimir Vladimirovič™ aprì con cura l'antico volume.
Il libro cominciò a ronzare ed emise un anello di fumo. Le pagine presero a sfogliarsi da sole con un fruscio inquietante.
Vladimir Vladimirovič™ e Vladislav Jurevič spalancarono gli occhi per lo stupore.
Il libro si sfogliò, poi tornò indietro di qualche pagina, e infine sotto gli occhi dei due uomini allibiti si aprì su due pagine attigue: sulla prima c'era scritta una parola, e sulla seconda un'altra parola.
- Alksnis e Tarlit, - lesse Vladimir Vladimirovič™, e guardò perplesso Vladislav Jurevič, - Chi?!
- Alksnis e Tarlit... - pronunciò pensosamente Vladisilav Jurevič, lo sguardo perso nelle profondità dello studio presidenziale, - Beh, allora, Alksnis e Tarlit siano... Ma adesso chi cazzarola appoggiamo, dei due?
Vladislav Jurevič si voltò, si strinse nelle spalle e uscì in fretta dallo studio di Vladimir Vladimirovič™".
Fonte: vladimir.vladimirovich.ru
"Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin sedeva nel suo studio all'interno del Cremlino accanto a un tavolino rotondo. Al suo fianco si trovava il vice capo dell'Amministrazione Vladislav Jurevič Surkov. Sul tavolino davanti ai due uomini c'era una grande scatola di legno con aquile dorate a due teste incise sui lucchetti di platino.
Vladimir Vladimirovič™ tese le presidenziali mani verso la scatola, fece scattare i lucchetti e sollevò con cura il coperchio. Vladislav Jurevič trasse un profondo sospiro.
Nella scatola, adagiato su un cuscino di velluto rosso, c'era un piccolo libro antico con la copertina di legno.
Sul margine superiore della copertina era intagliato un grosso gufo.
- Si narra, - sussurrò Vladislav Jurevič, - Che l'ultima settimana del secondo mese dell'anno che precede le elezioni il Libro Nero sia in grado si svelare il nome dell'erede del trono degli zar per volere divino.
- Non è tanto per me, ma... - borbottò Vladimir Vladimirovič™, - Se poi ci sta scritto il nome di uno sconosciuto? Di un estraneo?
- D'accordo, - rispose Vladislav Jurevič, - E cosa si fa se c'è scritto il tuo nome? Non lo so proprio...
- Cosa si fa, cosa si fa, - brontolò Vladimir Vladimirovič™, - Si cambia la costituzione, cosa si fa...
E Vladimir Vladimirovič™ aprì con cura l'antico volume.
Il libro cominciò a ronzare ed emise un anello di fumo. Le pagine presero a sfogliarsi da sole con un fruscio inquietante.
Vladimir Vladimirovič™ e Vladislav Jurevič spalancarono gli occhi per lo stupore.
Il libro si sfogliò, poi tornò indietro di qualche pagina, e infine sotto gli occhi dei due uomini allibiti si aprì su due pagine attigue: sulla prima c'era scritta una parola, e sulla seconda un'altra parola.
- Alksnis e Tarlit, - lesse Vladimir Vladimirovič™, e guardò perplesso Vladislav Jurevič, - Chi?!
- Alksnis e Tarlit... - pronunciò pensosamente Vladisilav Jurevič, lo sguardo perso nelle profondità dello studio presidenziale, - Beh, allora, Alksnis e Tarlit siano... Ma adesso chi cazzarola appoggiamo, dei due?
Vladislav Jurevič si voltò, si strinse nelle spalle e uscì in fretta dallo studio di Vladimir Vladimirovič™".
Fonte: vladimir.vladimirovich.ru
venerdì, marzo 09, 2007
La blogonovela russa: Alksnis e Tarlit
Ora vi racconto qualcosa dell'appassionante blogonovela russa degli ultimi tempi.
Viktor Alksnis, anche noto come il "Colonnello nero" (allusione al termine sovietico usato per il Regime dei Colonnelli in Grecia), recentemente aveva deciso di diventare pure lui un žežeista, cioè di farsi il blog su LiveJournal.
Ma chi è, Alksnis?
Viktor Imantovič Alksnis è un nazionalista russo di origine lettone nonché ex colonnello dell'aviazione sovietica: nel 1990 si oppose tenacemente alla disgregazione dell'Unione Sovietica, contribuì a fondare la fazione Sojuz (cioè Unione) e andava in giro a dire che c'era un complotto della CIA per smembrare l'URSS. Inoltre proponeva la liquidazione di Gorbačëv, lo scioglimento del parlamento, l'instaurazione della legge marziale e il potere ai militari. Toh. La Sojuz si sciolse quando Žirinovskij, altro membro fondatore, decise di candidarsi alla presidenza (con il motto "vodka a ogni angolo, ventiquattr'ore al giorno"). In ogni caso pare che Alksnis abbia avuto una parte nel golpe del 1991.
Adesso il Colonnello nero fa parte dell'ala nazionalista di Rodina (Patria), è un membro della Duma e afferma tra le altre cose che la ricostruzione dell'URSS partirà dalla Transnistria. Rodina fa parte dello schieramento Russia Giusta (Spravedlivaja Rossija), che si contrappone al filopresidenziale Russia Unita (Edinaja Rossija).
Insomma, il 3 febbraio scorso Alksnis ha aperto il suo blog (il nuovo indirizzo è questo, perché il vecchio blog è stato preso di mira dagli hacker) con l'intento di "mostrare la vita di un membro dell'opposizione". Non si sa se fosse consapevole di cosa sia la blogosfera russa, spesso agitata da polemiche e scontri politici violentissimi (e molto divertenti, via): la runet è l'istituzionalizzazione del flame, e io ne ho ricavato l'impressione che lì siano tutti troll decimo dan. Quello che voi conoscete come geniale creatore di Vladimir Vladimirovič, per esempio, è uno dei personaggi più discussi della rete: giornalista, politico, ex-cantante in un gruppo rock, è ora sceso in campo nello schieramento filopresidenziale ed è riuscito a farsi chiudere uno dei blog (Mr. Parker), c'è chi dice a causa di dichiarazioni provocatorie sulla pedofilia (si era fatto prendere la mano: "perché no, la pedofilia; ma a questo punto anche la zoofilia; a questo punto anche il cannibalismo, sempre carne è"), ma c'è chi propende per un'abile mossa pubblicitaria.
Insomma, questa è la rete russofona. Lo sapeva, il Colonnello nero? Non è chiaro. Ovviamente è stato subito preso di mira, in particolare da Tarlit e cioè Timofej Sevjakov, notissimo blogger, storico e membro del Fondo per una Politica Efficiente. E così succede l'inevitabile: Tarlit dà dell'idiota ad Alksnis e usa (pare) espressioni come "feccia lettone".
Alksnis cosa fa? Lo denuncia, ovviamente: per calunnia, diffamazione e insulto a pubblico ufficiale. Soprattutto quest'ultima motivazione può avere implicazioni serie e conseguenze negative per la libertà delle discussioni politiche nella blogosfera russa. Cosa significa, che d'ora in poi si dovrà riservare un trattamento di favore ai politici che aprono un blog (pur sapendo a cosa andranno incontro)? Ma poi, riuscirà Alksnis a portare in tribunale Tarlit? I due si sono anche incontrati in un confronto televisivo, ma non si sono piaciuti. Gli esperti pensano che i post di Tarlith non offrano basi sufficienti. Però il Colonnello nero potrebbe cercare di rivalersi sulla SUP, cioè la società che gestisce il LiveJournal locale, o sulla società madre Six Apart. Ah, e naturalmente adesso denuncerà anche gli hackers che hanno attaccato il suo blog (in base agli Articoli 272, 274 e 282). Nel frattempo sono nati altri finti Alksnis-blog, così il colonnello per autenticarsi ha ben pensato di usare come juserpik (userpic) una sua foto in divisa militare.
Viktor Alksnis, anche noto come il "Colonnello nero" (allusione al termine sovietico usato per il Regime dei Colonnelli in Grecia), recentemente aveva deciso di diventare pure lui un žežeista, cioè di farsi il blog su LiveJournal.
Ma chi è, Alksnis?
Viktor Imantovič Alksnis è un nazionalista russo di origine lettone nonché ex colonnello dell'aviazione sovietica: nel 1990 si oppose tenacemente alla disgregazione dell'Unione Sovietica, contribuì a fondare la fazione Sojuz (cioè Unione) e andava in giro a dire che c'era un complotto della CIA per smembrare l'URSS. Inoltre proponeva la liquidazione di Gorbačëv, lo scioglimento del parlamento, l'instaurazione della legge marziale e il potere ai militari. Toh. La Sojuz si sciolse quando Žirinovskij, altro membro fondatore, decise di candidarsi alla presidenza (con il motto "vodka a ogni angolo, ventiquattr'ore al giorno"). In ogni caso pare che Alksnis abbia avuto una parte nel golpe del 1991.
Adesso il Colonnello nero fa parte dell'ala nazionalista di Rodina (Patria), è un membro della Duma e afferma tra le altre cose che la ricostruzione dell'URSS partirà dalla Transnistria. Rodina fa parte dello schieramento Russia Giusta (Spravedlivaja Rossija), che si contrappone al filopresidenziale Russia Unita (Edinaja Rossija).
Insomma, il 3 febbraio scorso Alksnis ha aperto il suo blog (il nuovo indirizzo è questo, perché il vecchio blog è stato preso di mira dagli hacker) con l'intento di "mostrare la vita di un membro dell'opposizione". Non si sa se fosse consapevole di cosa sia la blogosfera russa, spesso agitata da polemiche e scontri politici violentissimi (e molto divertenti, via): la runet è l'istituzionalizzazione del flame, e io ne ho ricavato l'impressione che lì siano tutti troll decimo dan. Quello che voi conoscete come geniale creatore di Vladimir Vladimirovič, per esempio, è uno dei personaggi più discussi della rete: giornalista, politico, ex-cantante in un gruppo rock, è ora sceso in campo nello schieramento filopresidenziale ed è riuscito a farsi chiudere uno dei blog (Mr. Parker), c'è chi dice a causa di dichiarazioni provocatorie sulla pedofilia (si era fatto prendere la mano: "perché no, la pedofilia; ma a questo punto anche la zoofilia; a questo punto anche il cannibalismo, sempre carne è"), ma c'è chi propende per un'abile mossa pubblicitaria.
Insomma, questa è la rete russofona. Lo sapeva, il Colonnello nero? Non è chiaro. Ovviamente è stato subito preso di mira, in particolare da Tarlit e cioè Timofej Sevjakov, notissimo blogger, storico e membro del Fondo per una Politica Efficiente. E così succede l'inevitabile: Tarlit dà dell'idiota ad Alksnis e usa (pare) espressioni come "feccia lettone".
Alksnis cosa fa? Lo denuncia, ovviamente: per calunnia, diffamazione e insulto a pubblico ufficiale. Soprattutto quest'ultima motivazione può avere implicazioni serie e conseguenze negative per la libertà delle discussioni politiche nella blogosfera russa. Cosa significa, che d'ora in poi si dovrà riservare un trattamento di favore ai politici che aprono un blog (pur sapendo a cosa andranno incontro)? Ma poi, riuscirà Alksnis a portare in tribunale Tarlit? I due si sono anche incontrati in un confronto televisivo, ma non si sono piaciuti. Gli esperti pensano che i post di Tarlith non offrano basi sufficienti. Però il Colonnello nero potrebbe cercare di rivalersi sulla SUP, cioè la società che gestisce il LiveJournal locale, o sulla società madre Six Apart. Ah, e naturalmente adesso denuncerà anche gli hackers che hanno attaccato il suo blog (in base agli Articoli 272, 274 e 282). Nel frattempo sono nati altri finti Alksnis-blog, così il colonnello per autenticarsi ha ben pensato di usare come juserpik (userpic) una sua foto in divisa militare.
Etichette:
Russia
Photoshop sovietico
Ecco Ežov che sorride all'obiettivo, e poi non c'è più; un innocente passante che indicava la strada al compagno Stalin, cancellato; Ežov e Bojarskij eliminati da una foto di gruppo, perché già fucilati; adunate trasformate in folle oceaniche; gli adulti attorno a Lenin e alla Krupskaja cancellati, per lasciar spazio solo ai bambini e a un sinistro sfondo grigio; bandiere riscritte; volti sostituiti.
Retùš' sovietico: enjoy.
Retùš' sovietico: enjoy.
Etichette:
Vaghe stelle dell'URSS
mercoledì, marzo 07, 2007
Le parole degli amici
"Gentile sig.ra Mirumir
Siamo lieti di informarla che i 2.000 grandi elettori appartenenti alle diverse associazioni e comunità musulmane in Italia l'hanno eletta Blogger donna dell'Anno, per l'ironia struggente e stringente nel descrivere i fatti internazionali e per la capacità di coinvolgere il lettore facendolo sentire parte di un mondo particolare dove le 'cose' sono possibili.
Saremo molto onorati di consegnarle il premio 'Mezzaluna d'Oro' il 21 di marzo 2007, nella suggestiva cornice della Chiesa dell'Incoronata di Napoli, in via Medina. L'evento inizierà alle ore 16.00 e si protrarrà fino alle ore 18.30.
Abbiamo scelto questa data in quanto si tratta della Giornata Mondiale contro il Razzismo. Infatti il 21 marzo del 1960 la polizia sudafricana aprì il fuoco su pacifici dimostranti neri che protestavano contro l'apartheid, e le Nazioni Unite hanno inteso istituire la giornata contro il razzismo proprio nel giorno in cui ricorre l’anniversario di quella strage".
1. Lo sappiamo, che non me lo merito;
2. Appena ho ricevuto la mail mi è partito in automatico il rito di sepoltura sotto il piumone, dal quale sono stata estratta a forza da Poligraf ("Signora Miru, su, ci manca solo la Mezza Lunatica di Piombo");
3. Insomma, cataclismi e scioperi permettendo io ci vado; tanto secondo me lo sanno, che sono timida. Per forza.
4. Citando alla lontana Martin Luther King, quello che poi si ricorda non sono le parole dei nemici ma il silenzio degli amici; e io colgo l'occasione qui, al punto quattro di questo post confuso, per rigraziarvi di non esservene mai stati zitti.
5. Nei commenti, spumante e bagigi per tutti. Qualcuno ogni tanto si ricordi di tenere la manina al Capo.
Siamo lieti di informarla che i 2.000 grandi elettori appartenenti alle diverse associazioni e comunità musulmane in Italia l'hanno eletta Blogger donna dell'Anno, per l'ironia struggente e stringente nel descrivere i fatti internazionali e per la capacità di coinvolgere il lettore facendolo sentire parte di un mondo particolare dove le 'cose' sono possibili.
Saremo molto onorati di consegnarle il premio 'Mezzaluna d'Oro' il 21 di marzo 2007, nella suggestiva cornice della Chiesa dell'Incoronata di Napoli, in via Medina. L'evento inizierà alle ore 16.00 e si protrarrà fino alle ore 18.30.
Abbiamo scelto questa data in quanto si tratta della Giornata Mondiale contro il Razzismo. Infatti il 21 marzo del 1960 la polizia sudafricana aprì il fuoco su pacifici dimostranti neri che protestavano contro l'apartheid, e le Nazioni Unite hanno inteso istituire la giornata contro il razzismo proprio nel giorno in cui ricorre l’anniversario di quella strage".
1. Lo sappiamo, che non me lo merito;
2. Appena ho ricevuto la mail mi è partito in automatico il rito di sepoltura sotto il piumone, dal quale sono stata estratta a forza da Poligraf ("Signora Miru, su, ci manca solo la Mezza Lunatica di Piombo");
3. Insomma, cataclismi e scioperi permettendo io ci vado; tanto secondo me lo sanno, che sono timida. Per forza.
4. Citando alla lontana Martin Luther King, quello che poi si ricorda non sono le parole dei nemici ma il silenzio degli amici; e io colgo l'occasione qui, al punto quattro di questo post confuso, per rigraziarvi di non esservene mai stati zitti.
5. Nei commenti, spumante e bagigi per tutti. Qualcuno ogni tanto si ricordi di tenere la manina al Capo.
Etichette:
The Real Thing
Iscriviti a:
Post (Atom)