mercoledì, agosto 16, 2006
Come maltrattare Google e vivere felici/19
Saperlo.
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domenica, agosto 13, 2006
Tacchino nelle parti
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mercoledì, agosto 09, 2006
Feliaway, altro che Feliway
Quello stronzo d'un gatto non arriva a vederla, la signora Miru in scarpine ortopediche e maniche a sbuffo.
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domenica, agosto 06, 2006
Riposizionamento strategico, mh?
Il dottor al-Zawahiri ha annunciato un merger con certi amichetti sua, quelli del gruppo militante egiziano Al-Jamaa Islamiya, che pure recentemente avevano deciso di metter su un sito internet per spiegare la propria rinuncia alla violenza (notizia del 20 giugno 2006, qui) e per mettere in chiaro che gli attuali leader adesso pensano che l'assassinio di Sadat nel 1981 non sia poi stato quella grande idea. Apprendo inoltre che tra i fondatori della prima versione di Al-Jamaa Islamiya c'era lo stesso Zawahiri; alcuni membri del gruppo confluirono poi nell'Egyptian Islamic Jihad, che era comandata sempre da Zawahiri e che intorno al 1998 si fuse con Al Qaeda.
Insomma, li credi tranquilli e invece stanno solo studiando il rebranding.
Però.
La cosa un po' strana è che lo scorso aprile il governo egiziano ha scarcerato 900 membri (2000 sono ancora in prigione) di Al-Jamaa Islamiya, compreso il leader Nageh Ibrahim, visto che ormai avevano ripudiato i metodi violenti. Alcuni membri hanno anche scritto dei libri, in carcere: uno di questi, pubblicato con i soldi del Ministero degli interni egiziano, si intitola La strategia degli attentati di Al Qaeda: errori e rischi, e stigmatizza il ricorso alla violenza, gli attentati e l'uccisione di innocenti. Riassumiamo: 900 scarcerati perché hanno rinunciato alla lotta armata, 2000 ancora dietro alle sbarre che si dilettano con il tombolo e il mezzo punto. E adesso chiedetevi se questo non è un altro post da fondotinta.
(C'è chi dice che il dottor Zawahiri sia uno psichiatra, chi un pediatra, chi genericamente un chirurgo. Secondo l'ipotesi più accreditata è specializzato in chirurgia oculistica. Ma allora qualcuno mi spieghi perché il Mullah Omar sta in quelle condizioni lì).
Update:
Lia ne parla, però seriamente, qui.
[Disclaimer: nessuno sciita è stato maltrattato ortograficamente nella stesura di questo post].
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Make-up:
Fondotinta Lissage Optique, sulle guance Divinora Radiant Blush, kajal ayurvedico Mullah Beauty, mascara estremo Never Give Up, rossetto Kiss Me Again, Ayman. L'allover questa volta è il "Platinum Illuminator": vi vedranno fino in Pakistan, ve lo assicuro.
Insomma, li credi tranquilli e invece stanno solo studiando il rebranding.
Però.
La cosa un po' strana è che lo scorso aprile il governo egiziano ha scarcerato 900 membri (2000 sono ancora in prigione) di Al-Jamaa Islamiya, compreso il leader Nageh Ibrahim, visto che ormai avevano ripudiato i metodi violenti. Alcuni membri hanno anche scritto dei libri, in carcere: uno di questi, pubblicato con i soldi del Ministero degli interni egiziano, si intitola La strategia degli attentati di Al Qaeda: errori e rischi, e stigmatizza il ricorso alla violenza, gli attentati e l'uccisione di innocenti. Riassumiamo: 900 scarcerati perché hanno rinunciato alla lotta armata, 2000 ancora dietro alle sbarre che si dilettano con il tombolo e il mezzo punto. E adesso chiedetevi se questo non è un altro post da fondotinta.
(C'è chi dice che il dottor Zawahiri sia uno psichiatra, chi un pediatra, chi genericamente un chirurgo. Secondo l'ipotesi più accreditata è specializzato in chirurgia oculistica. Ma allora qualcuno mi spieghi perché il Mullah Omar sta in quelle condizioni lì).
Update:
Lia ne parla, però seriamente, qui.
[Disclaimer: nessuno sciita è stato maltrattato ortograficamente nella stesura di questo post].
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Fondotinta Lissage Optique, sulle guance Divinora Radiant Blush, kajal ayurvedico Mullah Beauty, mascara estremo Never Give Up, rossetto Kiss Me Again, Ayman. L'allover questa volta è il "Platinum Illuminator": vi vedranno fino in Pakistan, ve lo assicuro.
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venerdì, agosto 04, 2006
Cosmoagonia di un giardino
"Poli, guarda! Forse comincia a piovere, stasera non innaffiamo le piantine", commenta osservando il cielo gonfio e plumbeo attraverso il vetro. "Sarà un sollievo per loro, questo fresco", aggiunge mentre raffiche di vento si frangono rabbiose contro la portafinestra.
Sollevo il muso, perplesso. La signora Miru è il braccio violento ma ottimista della Volontà, animata da uno spirito pari al furore evangelico di un prete in Cina. Piantine? Quali piantine? Sul terrazzo sfila un mesto e lugubre corteo funebre. I verdi smaglianti soccombono al giallo opaco, i rossi si smarriscono nel bruno, gli arancioni si suicidano, i rosa si spengono. Là dove turgidi si avvolgevano i tralci, prepotenti esplodevano i fiori, carnose palpitavano le foglie ora si estendono l'arida steppa, la selvaggia brughiera, la depressa torbiera, lo sterile deserto, la desolata tundra. Ricordo ancora i vasi traboccanti di lavanda, il loro profumo greve e intenso. Nemmeno il napalm poteva ridurli così, arsi moncherini levati in segno di resa. Stenta l'ulivo, segno dei tempi. Le fragranti e sensuali scie rivelano, da qualche parte, la presenza di un gelsomino. Gli indomiti oziorrinchi resistono ancora ma le provviste di cibo ormai scarseggiano. Tutte le speranze sono riposte nel girasole, ancora in convalescenza, tratto in salvo dal corridoio umanitario che lo ha condotto dalla signora Madre.
Il signor Padre ha avviato invece una massiccia produzione artigianale di trecce in filo di rame nei cui confronti, assicurano la moglie e la pubblicazione scientifica "Focus", la zanzara tigre nutre un sacro terrore. L'arma letale giace riversa nei sottovasi mentre nugoli di zanzare (come è noto, non sanno leggere) imperversano sul terrazzo.
Non c'è rosa senza spine? Errore. Dove non giungono le intemperie, l'incompetenza, l'incuria e la sfiga arriva inesorabile la paranoia. Non posso dimostrarlo perché ho solo prove indiziarie ma nottetempo (qui tutto succede di notte: gli ozini mangiano, le zanzare tigre si avventano, la signora Miru interviene) qualcuno ha estirpato tutte le spine delle sventurate rosacee. Lei nega, ma la coda di paglia la spinge a precisare che "le spine sono pericolose perché passano il tetano". "La nonna Vittoria raccontava sempre come il bisnonno fosse morto tra atroci dolori all'ospedale dopo essere stato ferito da un'infida spina di rosa", rivela. "La prima e ultima volta che metteva piede in un ospedale", ribadisce oscuramente. Ci preoccupiamo tanto di aids e terrorismo quando invece il vero nemico è molto più vicino e reale: le spore assassine sono tra noi.
La signora Miru mi chiama dalla cucina, sta scaldando il mio pasto: gli avanzi di una torta salata che sbocconcellava da una decina di giorni, molecola su molecola, alla faccia del Food Spammer. Quella donna è disarmante. Ama i piatti quadrati e vi compone il cibo come in un quadro di Kazimir Malevič. Il problema è che le dimensioni sono tali da non consentire la rotazione nel forno a microonde. Una persona normale userebbe un piatto differente, ma lei no. Lei adora solo i piatti quadrati e quindi, a brevi intervalli, interrompe la cottura, apre lo sportello, ruota di 90° la torta, richiude e riavvia il forno. "Vuoi anche una percocca?", mi propone. Taccio. O forse preferisci una saturnia?", incalza. Se mi fingo svenuto, forse la smette. "Dai, vuoi una pesca-albicocca o una pesca pelosetta e un po' schiacciata?", insiste minacciosa. Perché non compra banali banane o mere mele? Novella Seed Saver, mi offre percocche e saturnie. Proprio lei, potenziale massima causa di estinzione dell'intero mondo vegetale.
Ora la signora Miru si aggira per casa trascinando i piedi, la schiena e le spalle curve, una mano posata sull'impercettibile rigonfiamento del ventre, neanche fosse al settimo mese di gravidanza. "Ho mangiato troppo, lo sapevo!", si lamenta con un filo di voce. Già, stavolta le ho contate: una decina scarsa di ruote rituali, qualche scaglia di pecorino e alcuni frammenti di zucchina. Le ha fissate con aria sofferente per almeno un quarto d'ora nella speranza che si smaterializzassero, prima di infilzarne una e masticarla lentamente come se stesse affrontando un copertone.
Mentre con un misurino graduato degno di un chimico dosa l'acqua per un caffè con cremina, ne approfitto per sgattaiolare, pardon, svignarmela nello studio. Mi connetto ad internet ed inserisco la chiave di ricerca cane e news: mi piace leggere una pagina a caso sull'argomento e spesso "Google News" segnala notizie interessanti.
Ecco.
Barney ha sventrato Mabel.
Il dobermann, a guardia della mostra di peluche presso le Wookey Hole Caves (Galles) ha sbudellato l'orsacchiotto appartenuto a Elvis Presley, dopo averlo decapitato con un morso. Mabel, non Elvis Presley, rapito dal KGB e deportato a Vorkuta, dove allietava le serate dei minatori. Non contento, il cane ha aggredito anche altre bestiole di pezza, accanendosi sui poveri corpi dilaniati. I danni ammontano a circa 90 mila euro. Si avvicina intanto la signora Miru, che incuriosita ha posato la tazzina di caffè sulla scrivania e legge con me. La guardia giurata Greg West non riesce davvero a spiegarsi il gesto del suo cane, con oltre 6 anni di onorevole servizio. Io sì. Fu un esattore tedesco a selezionare il dobermann, come arma di difesa dai ladri e avviso di mora. L'orsacchiotto barbaramente assassinato era nato in Germania, nel 1909. Traete le vostre conclusioni.
Il padrone di Barney azzarda altre ipotesi: forse le vittime emanavano un odore fastidioso, forse un raptus di gelosia. La signora Miru si volta verso di me e mi guarda. Io mi volto verso l'ignaro signor G. e lo guardo. Scopro le zanne in un tentativo poco rassicurante di sorriso e lo stupido gatto si innervosisce all'istante. L'unico peluche presente nella casa, saggiamente, si eclissa. Eh. Fastidioso lo è di sicuro, il suo odore. Geloso io? Chi può mai dirlo.
Sollevo il muso, perplesso. La signora Miru è il braccio violento ma ottimista della Volontà, animata da uno spirito pari al furore evangelico di un prete in Cina. Piantine? Quali piantine? Sul terrazzo sfila un mesto e lugubre corteo funebre. I verdi smaglianti soccombono al giallo opaco, i rossi si smarriscono nel bruno, gli arancioni si suicidano, i rosa si spengono. Là dove turgidi si avvolgevano i tralci, prepotenti esplodevano i fiori, carnose palpitavano le foglie ora si estendono l'arida steppa, la selvaggia brughiera, la depressa torbiera, lo sterile deserto, la desolata tundra. Ricordo ancora i vasi traboccanti di lavanda, il loro profumo greve e intenso. Nemmeno il napalm poteva ridurli così, arsi moncherini levati in segno di resa. Stenta l'ulivo, segno dei tempi. Le fragranti e sensuali scie rivelano, da qualche parte, la presenza di un gelsomino. Gli indomiti oziorrinchi resistono ancora ma le provviste di cibo ormai scarseggiano. Tutte le speranze sono riposte nel girasole, ancora in convalescenza, tratto in salvo dal corridoio umanitario che lo ha condotto dalla signora Madre.
Il signor Padre ha avviato invece una massiccia produzione artigianale di trecce in filo di rame nei cui confronti, assicurano la moglie e la pubblicazione scientifica "Focus", la zanzara tigre nutre un sacro terrore. L'arma letale giace riversa nei sottovasi mentre nugoli di zanzare (come è noto, non sanno leggere) imperversano sul terrazzo.
Non c'è rosa senza spine? Errore. Dove non giungono le intemperie, l'incompetenza, l'incuria e la sfiga arriva inesorabile la paranoia. Non posso dimostrarlo perché ho solo prove indiziarie ma nottetempo (qui tutto succede di notte: gli ozini mangiano, le zanzare tigre si avventano, la signora Miru interviene) qualcuno ha estirpato tutte le spine delle sventurate rosacee. Lei nega, ma la coda di paglia la spinge a precisare che "le spine sono pericolose perché passano il tetano". "La nonna Vittoria raccontava sempre come il bisnonno fosse morto tra atroci dolori all'ospedale dopo essere stato ferito da un'infida spina di rosa", rivela. "La prima e ultima volta che metteva piede in un ospedale", ribadisce oscuramente. Ci preoccupiamo tanto di aids e terrorismo quando invece il vero nemico è molto più vicino e reale: le spore assassine sono tra noi.
La signora Miru mi chiama dalla cucina, sta scaldando il mio pasto: gli avanzi di una torta salata che sbocconcellava da una decina di giorni, molecola su molecola, alla faccia del Food Spammer. Quella donna è disarmante. Ama i piatti quadrati e vi compone il cibo come in un quadro di Kazimir Malevič. Il problema è che le dimensioni sono tali da non consentire la rotazione nel forno a microonde. Una persona normale userebbe un piatto differente, ma lei no. Lei adora solo i piatti quadrati e quindi, a brevi intervalli, interrompe la cottura, apre lo sportello, ruota di 90° la torta, richiude e riavvia il forno. "Vuoi anche una percocca?", mi propone. Taccio. O forse preferisci una saturnia?", incalza. Se mi fingo svenuto, forse la smette. "Dai, vuoi una pesca-albicocca o una pesca pelosetta e un po' schiacciata?", insiste minacciosa. Perché non compra banali banane o mere mele? Novella Seed Saver, mi offre percocche e saturnie. Proprio lei, potenziale massima causa di estinzione dell'intero mondo vegetale.
Ora la signora Miru si aggira per casa trascinando i piedi, la schiena e le spalle curve, una mano posata sull'impercettibile rigonfiamento del ventre, neanche fosse al settimo mese di gravidanza. "Ho mangiato troppo, lo sapevo!", si lamenta con un filo di voce. Già, stavolta le ho contate: una decina scarsa di ruote rituali, qualche scaglia di pecorino e alcuni frammenti di zucchina. Le ha fissate con aria sofferente per almeno un quarto d'ora nella speranza che si smaterializzassero, prima di infilzarne una e masticarla lentamente come se stesse affrontando un copertone.
Mentre con un misurino graduato degno di un chimico dosa l'acqua per un caffè con cremina, ne approfitto per sgattaiolare, pardon, svignarmela nello studio. Mi connetto ad internet ed inserisco la chiave di ricerca cane e news: mi piace leggere una pagina a caso sull'argomento e spesso "Google News" segnala notizie interessanti.
Ecco.
Barney ha sventrato Mabel.
Il dobermann, a guardia della mostra di peluche presso le Wookey Hole Caves (Galles) ha sbudellato l'orsacchiotto appartenuto a Elvis Presley, dopo averlo decapitato con un morso. Mabel, non Elvis Presley, rapito dal KGB e deportato a Vorkuta, dove allietava le serate dei minatori. Non contento, il cane ha aggredito anche altre bestiole di pezza, accanendosi sui poveri corpi dilaniati. I danni ammontano a circa 90 mila euro. Si avvicina intanto la signora Miru, che incuriosita ha posato la tazzina di caffè sulla scrivania e legge con me. La guardia giurata Greg West non riesce davvero a spiegarsi il gesto del suo cane, con oltre 6 anni di onorevole servizio. Io sì. Fu un esattore tedesco a selezionare il dobermann, come arma di difesa dai ladri e avviso di mora. L'orsacchiotto barbaramente assassinato era nato in Germania, nel 1909. Traete le vostre conclusioni.
Il padrone di Barney azzarda altre ipotesi: forse le vittime emanavano un odore fastidioso, forse un raptus di gelosia. La signora Miru si volta verso di me e mi guarda. Io mi volto verso l'ignaro signor G. e lo guardo. Scopro le zanne in un tentativo poco rassicurante di sorriso e lo stupido gatto si innervosisce all'istante. L'unico peluche presente nella casa, saggiamente, si eclissa. Eh. Fastidioso lo è di sicuro, il suo odore. Geloso io? Chi può mai dirlo.
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Il figlio del satanasso
Cosa succede nelle soap quando il bello ma malvagio di turno parte per un lungo viaggio e viene dato per morto o dichiarato disperso (di solito naufraga nel mezzo dell'oceano, precipita sull'Himalaya con il suo jet privato, finisce coinvolto in uno scontro a fuoco tra guerriglieri e truppe governative in un paese africano di fantasia)? Dopo un po' fa la sua comparsa un giovane misterioso e affascinante dalle turpi inclinazioni: il figlio del satanasso.
Questo è un grande post da fondotinta.
Il New York Post (eh) è uscito ieri con questo articolo in cui riprende una notizia pubblicata dal tedesco Die Welt: un figlio di Osama bin Laden sarebbe andato dall'Iran al Libano con la missione di organizzare attacchi terroristici contro Israele. Sì.
Saad bin Laden, 27 anni, figlio dello sceicco del terrore, è stato liberato dalla Guardia Rivoluzionaria Iraniana venerdì scorso con il compito di organizzare cellule terroristiche islamiche e di prepararle a lottare al fianco degli Hezbollah. "Sembra che Teheran conti sul reclutamento di profughi libanesi in Siria per combattere contro Israele, con l'aiuto di bin Laden".
Ora. Mettiamo da parte il fatto che con un'unica notizia di questo genere si incasinano comodamente Hezbollah e Iran (chiaramente quest'ultimo non vede l'ora di farsi invadere, e così rilascia il figlio di bin Laden e lo manda ad accoppare gli israeliani, però già che c'è lo fa sapere a un giornale tedesco). Mettiamo anche da parte il fatto che il brand Al Qaeda è costituito da estremisti sunniti e che in Iraq si è messo a massacrare con impegno e dedizione gli sciiti. E che gli Hezbollah sono sciiti.
Quello che colpisce qui è la costruzione del personaggio:
L'investitura
Nell'ottobre del 2003, Osama stesso nomina Saad erede del suo regno del terrore. In un'audiocassetta che incita all'abbattimento di Israele, dice: "Quando quel giorno verrà, nostro figlio Saad guiderà trionfalmente la nostra grande causa".
Piccoli Laden crescono
Saad è cresciuto a fianco del padre in Afghanistan e probabilmente ha combattuto con lui contro i sovietici non appena è stato abbastanza grande da imbracciare un Ak-47 (cioè probabilmente mai, quando i sovietici si sono ritirati aveva dieci anni). Viene fatto entrare in Iran dall'Afghanistan nel 2002.
Tale e quale papà
Secondo un profilo della CIA Saad, che è stato tra i membri fondatori di al Qaeda pur essendo praticamente un ragazzino, somiglierebbe al padre come una goccia d'acqua, "fisicamente e mentalmente". Inoltre la sua "prontezza a uccidere è stata un prerequisito perché fosse addestrato al comando".
Di 23 che lui ce n'haL'apprendista capo del terrorismo mondiale è nato in Arabia Saudita nel 1979 ed è uno degli 11 figli di bin Laden e della sua prima moglie, Najwa Ghanem, siriana. Osama ha avuto almeno 23 figli dalle sue mogli. Saad e la madre vanno dapprima in Afghanistan negli anni Ottanta per stare accanto a papà e nel 1989 fanno ritorno in Arabia Saudita. Lì però a un certo punto non sono graditi, e vanno in Sudan. Poi Saad torna in Afghanistan con suo padre nel 1996, a 17 anni. I due combattono le truppe britanniche fianco a fianco, poi finiscono in Pakistan. A quando pare Osama spedisce poi Saad in Iran perché era non riesce più a dirigere le operazioni dalle montagne afghane. Come dargli torto. Solo che Saad viene imprigionato dal regime iraniano.
Il resto della storia, cioè il passaggio dagli arresti domiciliari in Iran all'organizzazione di cellule terroristiche sul confine libanese per dare una mano a Hezbollah, è ancora un po' macchinoso, c'è da lavorarci su. Però il personaggio c'è tutto.
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Make-up:
Fondotinta Sensual Clone Perfect Complexion Creator No. 30 Cognac, Surrealist Mascara #01 Surreal Black con applicatore brevettato Ultra Glide, eyeliner Cia Eyes Deep Black, blush Color Statement for Cheeks #04 Whisper Ginger, per le labbra Leb Kiss #306 Gold Topaz. Per finire con il solito allover, suggerisco la Guerrilla Crazy Loose Powder color cervo che fugge.
Questo è un grande post da fondotinta.
Il New York Post (eh) è uscito ieri con questo articolo in cui riprende una notizia pubblicata dal tedesco Die Welt: un figlio di Osama bin Laden sarebbe andato dall'Iran al Libano con la missione di organizzare attacchi terroristici contro Israele. Sì.
Saad bin Laden, 27 anni, figlio dello sceicco del terrore, è stato liberato dalla Guardia Rivoluzionaria Iraniana venerdì scorso con il compito di organizzare cellule terroristiche islamiche e di prepararle a lottare al fianco degli Hezbollah. "Sembra che Teheran conti sul reclutamento di profughi libanesi in Siria per combattere contro Israele, con l'aiuto di bin Laden".
Ora. Mettiamo da parte il fatto che con un'unica notizia di questo genere si incasinano comodamente Hezbollah e Iran (chiaramente quest'ultimo non vede l'ora di farsi invadere, e così rilascia il figlio di bin Laden e lo manda ad accoppare gli israeliani, però già che c'è lo fa sapere a un giornale tedesco). Mettiamo anche da parte il fatto che il brand Al Qaeda è costituito da estremisti sunniti e che in Iraq si è messo a massacrare con impegno e dedizione gli sciiti. E che gli Hezbollah sono sciiti.
Quello che colpisce qui è la costruzione del personaggio:
L'investitura
Nell'ottobre del 2003, Osama stesso nomina Saad erede del suo regno del terrore. In un'audiocassetta che incita all'abbattimento di Israele, dice: "Quando quel giorno verrà, nostro figlio Saad guiderà trionfalmente la nostra grande causa".
Piccoli Laden crescono
Saad è cresciuto a fianco del padre in Afghanistan e probabilmente ha combattuto con lui contro i sovietici non appena è stato abbastanza grande da imbracciare un Ak-47 (cioè probabilmente mai, quando i sovietici si sono ritirati aveva dieci anni). Viene fatto entrare in Iran dall'Afghanistan nel 2002.
Tale e quale papà
Secondo un profilo della CIA Saad, che è stato tra i membri fondatori di al Qaeda pur essendo praticamente un ragazzino, somiglierebbe al padre come una goccia d'acqua, "fisicamente e mentalmente". Inoltre la sua "prontezza a uccidere è stata un prerequisito perché fosse addestrato al comando".
Di 23 che lui ce n'haL'apprendista capo del terrorismo mondiale è nato in Arabia Saudita nel 1979 ed è uno degli 11 figli di bin Laden e della sua prima moglie, Najwa Ghanem, siriana. Osama ha avuto almeno 23 figli dalle sue mogli. Saad e la madre vanno dapprima in Afghanistan negli anni Ottanta per stare accanto a papà e nel 1989 fanno ritorno in Arabia Saudita. Lì però a un certo punto non sono graditi, e vanno in Sudan. Poi Saad torna in Afghanistan con suo padre nel 1996, a 17 anni. I due combattono le truppe britanniche fianco a fianco, poi finiscono in Pakistan. A quando pare Osama spedisce poi Saad in Iran perché era non riesce più a dirigere le operazioni dalle montagne afghane. Come dargli torto. Solo che Saad viene imprigionato dal regime iraniano.
Il resto della storia, cioè il passaggio dagli arresti domiciliari in Iran all'organizzazione di cellule terroristiche sul confine libanese per dare una mano a Hezbollah, è ancora un po' macchinoso, c'è da lavorarci su. Però il personaggio c'è tutto.
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giovedì, agosto 03, 2006
Israele contro Israele
Siamo in molti a nutrire dubbi sulla strategia militare israeliana, ma almeno il Wall Street Journal Online sembra avere le idee chiare, quando titola "Israel plans to move deeper into Israel".
via Regret the Error.
via Regret the Error.
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martedì, agosto 01, 2006
Come maltrattare Google e vivere felici/18
A questo proposito ho consultato il mio Food Spammer.
– Senti: cosa succede se non mangio carbiodrati? Carboidrati, scusa.
– Ad esempio perdi ogni competenza ortografica.
– Rispondi.
– Che cosa c'è, sotto? Non mangi carboidrati da quanto!
– Piantala e vai con lo scenario apocalittico.
– Si perde una fonte importante di glicogeno.
– Ah, il glicogeno! E il glicogeno c'entra con i muscoli. Si disfano i muscoletti.
– Brava, ogni tanto qualcosa la impari.
– E basta, tutto lì.
– Tutto lì, un cazzo.
– Cioè, se uno non mangia carbodrati si ritrova senza muscoli. Non riesco a scriverlo, carboidrati, oggi.
– Non è così semplice. Il corpo andrà a cercare altrove fonti di energia, dentro se stesso, con gravi danni. Te l'ho detto, quello è il primo sintomo.
– Ah, ok, e qui torna la vecchia storia fegato-milza. Va bene. Parte il fegato. Parte la milza. E si muore. Non subito.
– In lenta agonia.
– Lentissima. Tipo me a gennaio? Un fascio di nervi e di muscoli molli.
– Esatto. Un pesce gatto fuori dall'acqua.
– Ok, grazie.
– I braccini flaccidi li hai ancora.
– Grazie, basta così.
– E il cervello...
– Grazie!
Come maltrattare Google e vivere felici/17
Mi rendo conto che qui siamo un po' carenti nei fondamentali.
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sabato, luglio 29, 2006
Bollino giallo
Dal sito di Repubblica:
"A dare un po' di sollievo agli automobilisti in coda per dodici chilometri alla barriera di Villabona è arrivato il kit antistress della Regione Veneto, con una bottiglia di acqua minerale, una salvietta detergente, una bandana parasole, una maglietta, un frisbee e un depliant che spiega 'come si stia operando per realizzare il Passante, ponendo fine a uno dei maggiori nodi di ingorgo d'Europa'".
Un frisbee. Parliamone.
"A dare un po' di sollievo agli automobilisti in coda per dodici chilometri alla barriera di Villabona è arrivato il kit antistress della Regione Veneto, con una bottiglia di acqua minerale, una salvietta detergente, una bandana parasole, una maglietta, un frisbee e un depliant che spiega 'come si stia operando per realizzare il Passante, ponendo fine a uno dei maggiori nodi di ingorgo d'Europa'".
Un frisbee. Parliamone.
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giovedì, luglio 27, 2006
Strangers when we meet
– Scudetto all'Inter, ti pareva.
– Io te lo devo dire.
– Cosa?
– Sono un po' interista.
– Eh?
– Ma sì, lo so, non mi interesso molto al calcio...
– L'hanno intuito in tanti: quando Grosso si è avvicinato al dischetto, tu hai cominciato ad accenderti la pipa.
– Però se devo tifare tifo Inter.
– La pipa. E prima di una partita chiedi "quanto dura?" come se fosse un film.
– Fin da bambino, ecco.
– Sei interista da cinque minuti e hai già vinto uno scudetto. È il culo del principiante.
– Adesso lo sai. Peccato, il prossimo anno le nostre squadre giocano in due serie diverse.
– Peccato, noi da stasera dormiamo in due letti diversi.
– Io te lo devo dire.
– Cosa?
– Sono un po' interista.
– Eh?
– Ma sì, lo so, non mi interesso molto al calcio...
– L'hanno intuito in tanti: quando Grosso si è avvicinato al dischetto, tu hai cominciato ad accenderti la pipa.
– Però se devo tifare tifo Inter.
– La pipa. E prima di una partita chiedi "quanto dura?" come se fosse un film.
– Fin da bambino, ecco.
– Sei interista da cinque minuti e hai già vinto uno scudetto. È il culo del principiante.
– Adesso lo sai. Peccato, il prossimo anno le nostre squadre giocano in due serie diverse.
– Peccato, noi da stasera dormiamo in due letti diversi.
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mercoledì, luglio 26, 2006
Come maltrattare Google e vivere felici/16
Per una volta siete capitate/i sul blog giusto. Orgogliosamente al primo posto su Google, mica i soliti bagigi.
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martedì, luglio 25, 2006
Apprezzamento
Nel finesettimana il presidente del parlamento iracheno, Mahmoud al-Mashhadani, aveva descritto l'occupazione degli Stati Uniti come "un lavoro di macelleria compiuto sotto la bandiera della democrazia e dei diritti umani".
Domenica il capo di gabinetto Josh Bolten ha detto di aver incontrato in privato al-Mashhadani e di ritenere che "apprezzi il sacrificio di tanti americani".
Lo apprezza così tanto che in una conferenza stampa ha poi detto: "Personalmente credo che chiunque uccida un soldato americano difendendo il proprio paese meriti che sia eretta una statua in suo onore in quel paese". E poi: "L'America non è venuta qui per il nostro bene. È venuta con obiettivi puramente sionisti".
-----
In effetti.
Democracy Arsenal riassume alcuni dati dell'Indice di Sicurezza Nazionale dell'Iraq, del Democratic Policy Committee:
Numero di iracheni che avevano accesso all'acqua potabile prima dell'invasione: 13 milioni.
Numero di iracheni che hanno accesso all'acqua potabile, secondo il rapporto SIGIR dell'aprile 2006: 8 milioni.
Numero delle cliniche che saranno effettivamente completate secondo il programma da 243 milioni di dollari del Genio Militare, che ne prevedeva 142: 20.
Numero dei progetti idrici e fognari che saranno completati, dei 136 previsti: 49.
Numero dei medici iracheni prima dell'invasione: 34.000.
Numero dei medici iracheni che sono stati uccisi o hanno lasciato il paese dall'inizio dell'invasione: 14.000.
Indice della mortalità infantile in Iraq: (la media del Medio Oriente è 37, dell'Africa sub-sahariana 105): 102.
Domenica il capo di gabinetto Josh Bolten ha detto di aver incontrato in privato al-Mashhadani e di ritenere che "apprezzi il sacrificio di tanti americani".
Lo apprezza così tanto che in una conferenza stampa ha poi detto: "Personalmente credo che chiunque uccida un soldato americano difendendo il proprio paese meriti che sia eretta una statua in suo onore in quel paese". E poi: "L'America non è venuta qui per il nostro bene. È venuta con obiettivi puramente sionisti".
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In effetti.
Democracy Arsenal riassume alcuni dati dell'Indice di Sicurezza Nazionale dell'Iraq, del Democratic Policy Committee:
Numero di iracheni che avevano accesso all'acqua potabile prima dell'invasione: 13 milioni.
Numero di iracheni che hanno accesso all'acqua potabile, secondo il rapporto SIGIR dell'aprile 2006: 8 milioni.
Numero delle cliniche che saranno effettivamente completate secondo il programma da 243 milioni di dollari del Genio Militare, che ne prevedeva 142: 20.
Numero dei progetti idrici e fognari che saranno completati, dei 136 previsti: 49.
Numero dei medici iracheni prima dell'invasione: 34.000.
Numero dei medici iracheni che sono stati uccisi o hanno lasciato il paese dall'inizio dell'invasione: 14.000.
Indice della mortalità infantile in Iraq: (la media del Medio Oriente è 37, dell'Africa sub-sahariana 105): 102.
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Come maltrattare Google e vivere felici/15
Richiestissimi, sembra che siano in grado di correre sulle acque.
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California rest in peace
Tutta la California sta dalla parte di Israele, pare. (Sapevo che prima o poi si sarebbe staccata, ma per andare alla deriva nel Pacifico. Misteri della tettonica).
Io sto con l'oziorrinco
La prima reazione davanti alle foglie sbranate della rosa è stata: tolleranza zero.
Ho tagliato un rametto, l'ho fotografato, l'ho messo in un sacchetto di plastica trasparente e sono andata dal vivaista:
– Mi è successa questa cosa qua. Non sono riuscita a individuare il proprietario delle mandibole. Se è un bruco, è un bruco invisibile.
Lui sorride indulgente.
– Deve trattarsi di un oziorrinco. Di giorno si nasconde nel terriccio, la notte esce a mangiare.
– Ah, però.
– Ci vogliono le armi chimiche.
E mi vende un insetticida.
Io sulle prime sono contenta.
Poi faccio una ricerca su Google, e lo vedo. L'oziorrinco. Che è un brutto coleottero, e le larve sono brutte come tutte le larve, però almeno non è un mostro come il grillotalpa (evocatomi da mia madre, l'ottimista di famiglia, per la quale quasiasi insetto non identificato è un infido grillotalpa; indovinate da chi ho ereditato il mio mortifero pollice verso).
E ha tanta fame, l'oziorrinco. Sta nascosto tutto il giorno e con questo caldo, a stomaco vuoto.
Il risultato è che sono passati sette giorni, la boccetta del potente insetticida è ancora chiusa, e sto seriamente pensando alla lotta biologica ad armi pari. Una di queste notti io e mandibola potremmo negoziare e arrivare a una soluzione. Sempre che nel frattempo gli afidi non mi aprano un secondo fronte sul caprifoglio.
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venerdì, luglio 21, 2006
Nicchie
Libreria, città di G.
Vi prego di notare (ho pixelato il nome dell'autore per decenza):
1. lo spessore del volume;
2. la fine scelta del font in copertina;
3. il titolo, che segnala subito l'astuto prodotto di nicchia: non Hitler e i curculionidi, Nazismo, pop e psichedelia o Il piccolo Adolf e il pas de deux, ma Hitler e il suo rapporto con il nazismo. Roba che scotta, pura dietrologia. Devo controllare, ma credo che non ci avesse ancora pensato nessuno.
Inspiegabilmente, si trovava nella sezione "storia locale".
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How soon is naoo?
Muro, città di G.
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giovedì, luglio 20, 2006
L'estate del sub
Erano le due del pomeriggio di un caldissimo sabato di luglio. Tornavamo dal mare.
– Antonia in avvicinamento su vialetto, osservò mio padre con tono piatto.
Mia madre sospirò.
In effetti Antonia, uscita precipitosamente di casa, ci veniva ora incontro ciabattando sulla ghiaia e agitando un mestolo di legno sporco di sugo.
– Nonna!
– A Trieste un motoscafo ha messo sotto un sub!
Poco importava che tornassimo da Sistiana e che nessuno in famiglia facesse il sub o manovrasse motoscafi. Eravamo abituati a queste emissioni quotidiane: Antonia ascoltava alla radio il Gazzettino Giuliano e si impadroniva con entusiasmo degli scarni fatti di nera accaduti nel raggio di almeno cinquanta chilometri. Poi non si limitava a riferirli, ma li imbottiva di particolari lugubri e fantasiosi nello stile di Cronaca Vera e Stop: due pubblicazioni vietatissime a casa nostra, dove pure circolavano di nascosto consentendomi di prendere le misure a un mondo smodatamente bizzarro e crudele che non avrei mai conosciuto.
– Un motoscafo ha messo sotto un sub!, ripeté Antonia agitando il mestolo.
Accogliemmo la notizia assorte, mentre mio padre si toglieva una macchia di sugo dalla maglietta. Un sub investito da un motoscafo come un ciclista da un camion sulla statale?
– Sedici anni, nuotava con la maschera e il tubo, e il motoscafo non l’ha visto.
Seguì, nonostante le proteste di mia madre, la descrizione di un’elica feroce, di giovani membra dilaniate, della macchia di sangue che si allargava sulla superficie del mare: tutti dettagli che il sobrio, cantilenante e burocratico Gazzettino Giuliano aveva di certo omesso. Nessun testimone, del resto. A parte il pilota del motoscafo, fuggito. E i pesci, indifferenti.
Antonia mi seguì fino in camera per assistere alla mia lotta con il costume da bagno ancora umido, e si bloccò sulla soglia per la rivelazione finale:
– E la cosa peggiore. La cosa peggiore è. Che non l’hanno trovato.
Rimasi a guardarla a bocca aperta, le braccia abbandonate lungo il corpo, le spalline del costume attorcigliate sul torace.
Avevo appena imparato a nuotare e a fare le capriole sott’acqua. Avrebbe potuto essere l’estate delle capriole. In quel momento divenne l’estate del sub.
Il sub non si trovava. Del motoscafo ancora nessuna traccia, i soccorsi erano arrivati in ritardo, quel giorno il mare era agitato. E noi intanto bisbigliavamo ipotesi.
– A quest’ora dove sarà.
– Bisognerebbe sapere qualcosa di correnti.
– E di maree.
– Magari la testa è da una parte…
– E un braccio…
– O una gamba.
– Da un’altra.
– Nonna, e il sangue?
– Il sangue, dappertutto.
E dato che un corpo dopo qualche giorno in mare non è un bello spettacolo, diceva Antonia, e pezzi di corpo dovevano esserlo ancora meno, finì che il sub cominciai a sognarmelo la notte. Arrivava mentre nuotavo felice sott’acqua con gli occhi spalancati. A volte era una faccia con la maschera e il tubo, altre era una mano staccata dal resto del corpo, che mi afferrava il braccio impedendomi di riemergere, altre ancora una presenza invisibile. Oppure ero io, il sub: e la macchia scura che si allargava sopra la mia testa era l’ombra del motoscafo, o il mio stesso sangue.
Da quel giorno Antonia sedette silenziosa sulla riva mentre perfezionavo cautamente le mie capriole. Io riemergevo e cercavo con gli occhi il suo costume intero a fiori bianchi e neri e la sua pelle bianchissima; ci guardavamo da lontano e lei mimava con le braccia un gesto che solo io potevo capire. Forse intuiva che per tenermi lontana dai pericoli non serviva evocare crampi, congestioni, brutali testate contro i pedalò, ma erano sufficienti il ricordo e la vaga minaccia di un sedicenne che fluttuava a pezzi chissà dove nell’Alto Adriatico. Forse intuiva tutto questo, o forse accadeva anche a lei che il sub le si parasse davanti in sogno, chiedendo pace o vendetta.
Quell’estate io riemergevo strizzando gli occhi e lei era là, costume a fiori, pelle bianchissima e il gesto a me sola comprensibile: le braccia tese davanti al corpo, il lento movimento alternato delle mani su e giù. Su e giù, Maria Vergine. Le pinne del sub.
In settembre mi iscrissero ai corsi di nuoto della piscina comunale.
Amavo nuotare: mi riconoscevo nella grazia paffuta delle foche viste in un documentario alla tv, mi piaceva scivolare sott’acqua con gli occhi fissi sul fondo geometrico della piscina e le orecchie piene di rumori e di voci distanti.
Poi riemergevo sbuffando e cercavo Antonia con lo sguardo. La vedevo – seduta sulle gradinate, il mio accappatoio sulle ginocchia, la borsa e l’ombrello accanto ai piedi – concentrata nella lettura di Oggi o Gente. Tranquilla, alle prese con i dolori di regine tristi e cantanti affranti.
– Maria Vergine che labbri blu, te me par un cadavere.
– E il sub, nonna, eh?
– Mai più visto.
– E le ossa?
– Conchiglie.
– Gli occhi?
– Perline.
– E il sangue?
– Metti su l’accappatoio, svelta.
Il sub non fu mai trovato. Sbiadì, si disfece, come nei miei sogni acquatici dove ormai si allontanava lasciandomi risalire veloce in superficie: conchiglie le sue ossa, i suoi occhi perle. Non faceva paura. Quasi più paura. Quasi.
– Nonna, il sangue?
Ma avevo già capito, e mi mordevo le labbra fredde.
– Il sangue, dappertutto.
Il sub era diventato il mare.
– Antonia in avvicinamento su vialetto, osservò mio padre con tono piatto.
Mia madre sospirò.
In effetti Antonia, uscita precipitosamente di casa, ci veniva ora incontro ciabattando sulla ghiaia e agitando un mestolo di legno sporco di sugo.
– Nonna!
– A Trieste un motoscafo ha messo sotto un sub!
Poco importava che tornassimo da Sistiana e che nessuno in famiglia facesse il sub o manovrasse motoscafi. Eravamo abituati a queste emissioni quotidiane: Antonia ascoltava alla radio il Gazzettino Giuliano e si impadroniva con entusiasmo degli scarni fatti di nera accaduti nel raggio di almeno cinquanta chilometri. Poi non si limitava a riferirli, ma li imbottiva di particolari lugubri e fantasiosi nello stile di Cronaca Vera e Stop: due pubblicazioni vietatissime a casa nostra, dove pure circolavano di nascosto consentendomi di prendere le misure a un mondo smodatamente bizzarro e crudele che non avrei mai conosciuto.
– Un motoscafo ha messo sotto un sub!, ripeté Antonia agitando il mestolo.
Accogliemmo la notizia assorte, mentre mio padre si toglieva una macchia di sugo dalla maglietta. Un sub investito da un motoscafo come un ciclista da un camion sulla statale?
– Sedici anni, nuotava con la maschera e il tubo, e il motoscafo non l’ha visto.
Seguì, nonostante le proteste di mia madre, la descrizione di un’elica feroce, di giovani membra dilaniate, della macchia di sangue che si allargava sulla superficie del mare: tutti dettagli che il sobrio, cantilenante e burocratico Gazzettino Giuliano aveva di certo omesso. Nessun testimone, del resto. A parte il pilota del motoscafo, fuggito. E i pesci, indifferenti.
Antonia mi seguì fino in camera per assistere alla mia lotta con il costume da bagno ancora umido, e si bloccò sulla soglia per la rivelazione finale:
– E la cosa peggiore. La cosa peggiore è. Che non l’hanno trovato.
Rimasi a guardarla a bocca aperta, le braccia abbandonate lungo il corpo, le spalline del costume attorcigliate sul torace.
Avevo appena imparato a nuotare e a fare le capriole sott’acqua. Avrebbe potuto essere l’estate delle capriole. In quel momento divenne l’estate del sub.
Il sub non si trovava. Del motoscafo ancora nessuna traccia, i soccorsi erano arrivati in ritardo, quel giorno il mare era agitato. E noi intanto bisbigliavamo ipotesi.
– A quest’ora dove sarà.
– Bisognerebbe sapere qualcosa di correnti.
– E di maree.
– Magari la testa è da una parte…
– E un braccio…
– O una gamba.
– Da un’altra.
– Nonna, e il sangue?
– Il sangue, dappertutto.
E dato che un corpo dopo qualche giorno in mare non è un bello spettacolo, diceva Antonia, e pezzi di corpo dovevano esserlo ancora meno, finì che il sub cominciai a sognarmelo la notte. Arrivava mentre nuotavo felice sott’acqua con gli occhi spalancati. A volte era una faccia con la maschera e il tubo, altre era una mano staccata dal resto del corpo, che mi afferrava il braccio impedendomi di riemergere, altre ancora una presenza invisibile. Oppure ero io, il sub: e la macchia scura che si allargava sopra la mia testa era l’ombra del motoscafo, o il mio stesso sangue.
Da quel giorno Antonia sedette silenziosa sulla riva mentre perfezionavo cautamente le mie capriole. Io riemergevo e cercavo con gli occhi il suo costume intero a fiori bianchi e neri e la sua pelle bianchissima; ci guardavamo da lontano e lei mimava con le braccia un gesto che solo io potevo capire. Forse intuiva che per tenermi lontana dai pericoli non serviva evocare crampi, congestioni, brutali testate contro i pedalò, ma erano sufficienti il ricordo e la vaga minaccia di un sedicenne che fluttuava a pezzi chissà dove nell’Alto Adriatico. Forse intuiva tutto questo, o forse accadeva anche a lei che il sub le si parasse davanti in sogno, chiedendo pace o vendetta.
Quell’estate io riemergevo strizzando gli occhi e lei era là, costume a fiori, pelle bianchissima e il gesto a me sola comprensibile: le braccia tese davanti al corpo, il lento movimento alternato delle mani su e giù. Su e giù, Maria Vergine. Le pinne del sub.
In settembre mi iscrissero ai corsi di nuoto della piscina comunale.
Amavo nuotare: mi riconoscevo nella grazia paffuta delle foche viste in un documentario alla tv, mi piaceva scivolare sott’acqua con gli occhi fissi sul fondo geometrico della piscina e le orecchie piene di rumori e di voci distanti.
Poi riemergevo sbuffando e cercavo Antonia con lo sguardo. La vedevo – seduta sulle gradinate, il mio accappatoio sulle ginocchia, la borsa e l’ombrello accanto ai piedi – concentrata nella lettura di Oggi o Gente. Tranquilla, alle prese con i dolori di regine tristi e cantanti affranti.
– Maria Vergine che labbri blu, te me par un cadavere.
– E il sub, nonna, eh?
– Mai più visto.
– E le ossa?
– Conchiglie.
– Gli occhi?
– Perline.
– E il sangue?
– Metti su l’accappatoio, svelta.
Il sub non fu mai trovato. Sbiadì, si disfece, come nei miei sogni acquatici dove ormai si allontanava lasciandomi risalire veloce in superficie: conchiglie le sue ossa, i suoi occhi perle. Non faceva paura. Quasi più paura. Quasi.
– Nonna, il sangue?
Ma avevo già capito, e mi mordevo le labbra fredde.
– Il sangue, dappertutto.
Il sub era diventato il mare.
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mercoledì, luglio 19, 2006
Il chihuahua di Pavlov
Parliamo dei turisti israeliani, una giovane coppia con bambina piccola.
Mattino, spiaggia, silenzio. Sto leggendo un libro. Arrivano, si sistemano, portano la bambina a fare il bagno, la asciugano, le cambiano pannolino e costume. Tutto normale.
Poi tirano fuori il cibo. E impazziscono.
– Tarattatatà, canta lei.
– Chihuahua, fa lui.
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
E vanno avanti a urlare così per un bel po', raggiungendo l'apice con un "Chihuahua!" trionfale, che lascia a bocca aperta sia me sia la bambina: letteralmente, perché lo stupore dell'infanta è tale che gli sciagurati riescono a scaraventarle in bocca un cucchiaio pieno di poltiglia che immagino essere un immondo manzo-banana o mela-nasello.
Poi ricominciano:
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
Il cannoneggiamento va avanti per una decina di minuti, e si verifica con esasperante puntualità a ogni pasto. La creatura a diciott'anni saliverà ancora come il cane di Pavlov, quando le capiterà di ascoltare quella canzonetta.
Mattino, spiaggia, silenzio. Sto leggendo un libro. Arrivano, si sistemano, portano la bambina a fare il bagno, la asciugano, le cambiano pannolino e costume. Tutto normale.
Poi tirano fuori il cibo. E impazziscono.
– Tarattatatà, canta lei.
– Chihuahua, fa lui.
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
E vanno avanti a urlare così per un bel po', raggiungendo l'apice con un "Chihuahua!" trionfale, che lascia a bocca aperta sia me sia la bambina: letteralmente, perché lo stupore dell'infanta è tale che gli sciagurati riescono a scaraventarle in bocca un cucchiaio pieno di poltiglia che immagino essere un immondo manzo-banana o mela-nasello.
Poi ricominciano:
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
Il cannoneggiamento va avanti per una decina di minuti, e si verifica con esasperante puntualità a ogni pasto. La creatura a diciott'anni saliverà ancora come il cane di Pavlov, quando le capiterà di ascoltare quella canzonetta.
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