venerdì, gennaio 06, 2006

Tre chicchi di riso e quattro formiche

Lettera di un operatore di Al Jazeera detenuto a Guantánamo al suo avvocato britannico Clive Stafford-Smith

Punito per tre chicchi di riso e quattro formicheDi Sami Muhydin al Hajj, 6 novembre 2005
Caro Clive,

Permettimi di confessarti una cosa. Non posso fare a meno di continuare a chiedermi: “Perché mi puniscono?” Questa domanda mi ossessiona, non riesco a togliermela dalla testa.
La mia storia di punizioni è cominciata alla prigione di Bagram. Avevamo il permesso di andare al bagno solo due volte al giorno: la prima subito dopo l’alba e la seconda prima del tramonto, e ciascuno doveva attendere il proprio turno.
Ricordo una volta in cui ne avevo veramente l’urgenza, e sussurrai all’orecchio della persona che era davanti a me di lasciarmi passare avanti. Allora il soldato di guardia mi urlò rabbiosamente: “Non parlare,” e mi ordinò di uscire. Mi legò le mani con del filo di ferro e mi lasciò là fuori tutto il giorno a tremare di freddo, tanto che dovetti orinarmi addosso provocando l’ilarità dei soldati e delle puttane.

Poi, a Kandahar :
In piena estate, mentre stiamo sotto un sole bruciante e su un suolo bollente, un soldato grida: “Tu, fermati, e anche il secondo, il terzo e il quarto! Perché parlate? Mettetevi in ginocchio, le mani sulla testa”. Noi obbediamo e ci lascia lì, sotto quel sole torrido, le ginocchia sulle pietre roventi, finché uno di noi non sviene e gli altri vanno a soccorrerlo.

Una settimana dopo il nostro arrivo a Guantánamo un mattino presto i soldati arrivarono e ordinarono ai detenuti di mettere le braccia attraverso l’apertura usata abitualmente per far passare il cibo: dissero che volevano farci l’iniezione antitetanica.
Quando venne il mio turno li informai che prima di partire da Doha mi ero fatto vaccinare contro il tetano, la febbre gialla, il colera e le altre malattie e che secondo il medico questi vaccini erano validi cinque anni. Dunque non dovevo rifarli.
L’ufficiale mi urlò di non mettermi a discutere: “Metti fuori il braccio per il vaccino, o te lo tiriamo fuori a forza,” disse. Io mi rifiutai di farlo. Per il momento mi lasciarono in pace, ma ritornarono dopo aver finito con gli altri. Io continuai a non accettare di rifarmi vaccinare. Allora mi requisirono tutto, dal materasso allo spazzolino da denti, e mi costrinsero a coricarmi sulla rete di ferro per tre giorni e tre notti.

La domanda che torna a tormentarmi è sempre la stessa: “Perché mi puniscono? La medicine sono obbligatorie? Siamo diventati un branco di pecore ammassate? Dobbiamo accettare tutto senza discutere, senza fare la minima obiezione e senza sapere nulla di quello che ci accade?”

Ma mi è successo di peggio. Una sera mi coricai molto presto. Ero esausto dopo essere stato interrogato per ore. Feci l’errore di coprirmi la testa e le mani. Ero profondamente addormentato quando udii le grida e gli ordini di un soldato: “Tira fuori la testa e le mani da sotto la coperta”. Mi svegliai di soprassalto e mi affrettati a obbedire. In effetti ci avevano proibito di dormire con la testa o le mani sotto la coperta.
Mi ero appena riaddormentato quando il soldato venne a picchiare violentemente sulla porta della mia cella e gridò: “Perché hai messo il dentifricio al posto dello spazzolino?” Mi accusò di disobbedire deliberatamente alle leggi e ai regolamenti militari e mi ordinò di raccogliere le mie cose. Fui punito per un’intera settimana.

E mi si ripresenta l’eterna domanda: “Perché mi puniscono? È una ragione sufficiente per punirmi, requisire tutte le mie cose e farmi dormire per una settimana sulla rete di ferro, senza materasso né coperte?”

Un’altra volta stavo consumando la mia colazione, che consisteva in un barattolo di cibo freddo. Quando ebbi finito di mangiare, un soldato venne a raccogliere i resti del pasto e i sacchetti di plastica. Si fermò sulla porta della mia cella e cominciò a contare i pezzi di plastica e a metterli insieme. All’improvviso si mise a gridare: “Dov’è il pezzo che manca?” Io cominciai a frugare tra le mie cose, invano. Allora andò a riferire la cosa ai suoi superiori e ritornò con questa sentenza: meritavo una punizione che servisse da esempio per gli altri detenuti.
E così mi requisirono le mie cose per tre giorni, durante i quali mi scervellai per trovare una risposta a questa bruciante domanda: “Perché mi puniscono, cosa mai avrei potuto fare con quel pezzetto di plastica introvabile?”

Un’altra volta la provvidenza fece sì che finissi nello stesso blocco di detenzione con Jamel dell’Uganda, Mohamed del Ciad e il britannico Jamel Blama. Ci univa non solo la prigionia, ma anche il colore della pelle e l’odioso colore della tuta arancione dei detenuti. La nostra pelle nera era una ragione sufficiente perché i guardiani bianchi si accanissero contro di noi e ci punissero senza motivo. Spesso ci svegliavano nel mezzo della notte con il pretesto di perquisire la gabbia.

Una notte mi svegliarono per un’altra perquisizione. Non trovarono niente di sospetto... a parte tre chicchi di riso per terra che avevano attirato delle formiche. Mi inflissero una punizione di sette giorni. Ancora una volta ne approfittai per chiedermi ossessivamente: “Perché mi puniscono?” Non riuscivo a capire come tre chicchi di riso e quattro formiche potessero costituire un motivo sufficiente.

Un’altra notte due soldati si fermarono davanti alla porta della mia gabbia. Avevano con sé delle catene e delle manette. Quando bussarono violentemente alla porta mi svegliai in preda al terrore. Mi ammanettarono e mi condussero al blocco Romeo, dove mi misero in una gabbia dopo avermi spogliato di tutto lasciandomi con la sola biancheria intima addosso. Nient’altro, nemmeno il sapone o lo spazzolino da denti.

Chiesi inutilmente una spiegazione per quella punizione, ma le mie domande restarono senza risposta fino all’indomani, quando su mia insistenza un responsabile venne a dirmi ero stato condannato a passare due settimane nella gabbia perché un soldato aveva trovato un chiodo sul bordo esterno dell’apertura d’aerazione della mia cella! Allora dissi al responsabile: “Come mi sarei procurato quel chiodo e come avrei fatto a metterlo sul bordo esterno dell’apertura, e perché?” Ma si voltò e se ne andò, ignorando le mie domande.

E così passai là 14 giorni seduto, evitando per pudore di dire le preghiere perché ero seminudo, e dormii per 14 fredde notti invernali sulla rete di ferro, senza coperte né materasso.

I tormenti e le provocazioni dei soldati si moltiplicarono e si diversificarono.
Una volta venimmo a sapere che un soldato aveva calpestato il Sacro Corano, sporcandolo con le impronte delle sue scarpe. I detenuti si ribellarono e decisero di restituire le copie del Sacro libro all’amministrazione americana per evitare che fossero profanate sotto i nostri occhi, tanto più che il generale si era già impegnato a far sì che questo genere di provocazione non si ripetesse. Ma la promessa non fu mantenuta.

I detenuti allora decisero di non lasciare le loro celle, nemmeno per andare a fare la passeggiata e la doccia di cui avevano tanto bisogno, finché tutte le copie del Sacro Corano non fossero state raccolte.

Com’era loro abitudine, i responsabili vennero subito a urlare ordini e minacce. Fecero uscire le valorose forze anti-sommossa, che aprirono le gabbie e si misero a picchiare i detenuti, li incatenarono e li ammanettarono. Tagliarono loro i capelli, la barba e i baffi e li gettarono in gabbie singole.

Arrivò anche il mio turno. Mi spruzzarono del gas negli occhi, poi cinque soldati si misero a picchiarmi, mi portarono fuori e mi gettarono a terra. Uno di loro mi afferrò la testa e cominciò a sbatterla contro il pavimento di cemento. Un altro mi colpì sull’arcata sopracciliare, causandomi un taglio da cui presto cominciò a uscire molto sangue. Tutto questo accadde mentre ero steso a terra, ammanettato e incatenato. Mi tagliarono capelli, baffi e barba e mi buttarono in una gabbia singola, ricoperto di sangue.

Dopo un’ora un soldato venne a chiedermi, attraverso l’apertura della porta, se mi servivano le cure di un medico. Rifiutai l’offerta e mi raccomandai a Dio, mostrandogli l’ingiustizia dei miei carcerieri. A un certo punto mi accorsi che stavo svenendo a causa della perdita di sangue, e allora chiesi di essere medicato. Mi diedero tre punti di sutura all’arcata sopracciliare, mi fasciarono la testa e mi diedero dei sonniferi, dicendo che erano degli antibiotici. Il tutto, attraverso un’apertura di pochi centimetri.
Mi addormentai, oppresso dall’ingiustizia terribile di quegli uomini.

La mattina del giorno dopo avevo appena aperto gli occhi quando mi trovai di nuovo ossessionato dalla stessa domanda: “Perché mi puniscono? La difesa della mia fede e della mia religione è forse un crimine punibile con il carcere? La nostra richiesta di ritirare le copie del Corano perché non siano profanate sotto ai nostri occhi è un crimine? Perché mi trovo qui? Il fatto che io sia partito per l’Afghanistan per trascorrervi quattro settimane con una telecamera per conto di Al Jazeera dopo la guerra d’aggressione contro un popolo disarmato è anch’esso un crimine per il quale devo essere punito con più di quattro anni di carcere? E per il quale devo essere accusato di terrorismo?”
Tante domande si affollavano nella mia mente, tormentandomi lo spirito e andando ad infrangersi contro tutti gli slogan ingannevoli di cui si gloriano i promotori della libertà, i difensori della democrazia e i protettori della pace in terra.

Originale: http://www.aljazeera.netTradotto dall’arabo in francese da Ahmed Manaï, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com), dal francese in spagnolo da Juan Vivanco a http://www.rebelion.org, dallo spagnolo in inglese da Ernesto Paramo, membro di Tlaxcala, dal francese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala. Questa traduzione è in copyleft.
Versione francese: http://quibla.net/guantanamo2006/guantanamo1.htm
Versione spagnola: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=25069
Versione inglese: http://peacepalestine.blogspot.com


mercoledì, gennaio 04, 2006

La Barbie e il sondaggio transgender

La Concerned Women for America, un'associazione femminile ultraconservatrice, ha accusato la Barbie di far parte del movimento transgender. Il sito barbie.com ("Activities and Games for Girls online!") ospita un sondaggio in cui i bambini (dai 4 ai 70+ anni, ma su quest'ultimo aspetto sorvoliamo) sono invitati a rispondere a un'innocente domanda:

in gennaio, cosa ti piace fare?

1. giocare nella neve!
2. pattinare o sciare!
3. starmene al calduccio con una bella cioccolata bollente!
4. indossare fighissimi vestiti invernali!

(nota: una rassicurante maggioranza, benché non assoluta, sceglie di giocare nella neve)

Cosa c'è che non va in questo sondaggio, a parte l'uso euforico dei punti esclamativi?
La sezione incriminata è quella in cui bisogna indicare il proprio sesso, scegliendo tra "bambina", "bambino" e "non lo so." Ora, le CWFA hanno l'apertura mentale e la flessibilità morale del Cardinale Ruini quando è incazzato con l'universo, tanto che nel loro sito alcuni dei temi scottanti sono "Quello che il vostro insegnante non vi ha detto sull'astinenza", "A chi importa del matrimonio omosessuale? A Dio!" e una difesa appassionata della preghiera prima dei pasti all'Accademia Navale, affiancati a validi programmi di azione e preghiera e fruttuose sinergie con le "Women for Alito". Naturale che la terza opzione della Barbie abbia mandato fuori di testa le Donne Preoccupate: il sito della Mattel è influenzato dalle problematiche transgender, mira a creare confusione sessuale, incoraggia la bisessualità!
E così il "non lo so" è stato tempestivamente sostituito con un "non mi va di dirlo": più oscuro e inquietante, perché pensare che bambini/e di 5 anni desiderino tenere segreta la propria identità di genere fa impressione.

Adesso il mio senso del surreale sarebbe perfettamente soddisfatto se un'associazione di Donne Preoccupate per i Paesi Caldi accusasse la Mattel di discriminazione climatica e la costringesse ad aggiungere l'opzione windsurf agli ozi di gennaio.

E comunque: se c'è un elemento di confusione sessuale nel'ambiente della Barbie, è chiaramente la deprecata, molto chiacchierata e vistosissima assenza del pisellino di Ken.

martedì, gennaio 03, 2006

Smoking gun

Chiave di ricerca del giorno:
"Saddam usò le playstation"



E dai, che a cercarla bene una smoking gun si trova sempre.

lunedì, gennaio 02, 2006

Possessione telefonica parte seconda

Dopo un'ora e mezza passata a chiamare la tin, comincio a pensare che i numeri di pratica siano i migliori amici delle ragazze. Almeno di quelle con problemi di portante.

L'adsl è mia e me la gestisco io
- Buongiorno, come posso aiutarla?
- Buongiorno, adesso le spiego. Ho traslocato, e in Telecom devono aver sbagliato la riconfigurazione del DSLAM, perché ora ho la portante fissa sui 799 chilobìt per secondo, come se...
- Di chi è l'adsl?
- Emmmmìa!
- Ma no: di quale gestore?

Solo il 2 gennaio e già così.

domenica, gennaio 01, 2006

Colora il tuo 2006



Buon 2006.

Mi fanno tenerezza quelli che mandano gli sms di buon anno verso le nove di sera: per togliersi il pensiero, per essere i primi, per fare i previdenti? Oppure gli parte così, come il tappo dello spumante solitario cinque minuti prima di mezzanotte? Me li vedo, i precoci, mentre aspettano gli amici e si portano avanti con il lavoro durante il discorso di Ciampi.
Poi c'è la categoria dei precoci e originali.
Ore nove, bip bip:
"L'anno nuovo sarà come 1 libro con 365 pagine vuote. Fai di ogni giorno il tuo CAPOLAVORO usa tutti i colori della vita e mentre colori sorridi! Buon 2006".
1 libro, 365 pagine vuote: un bel bidone, a prima vista. Ma no, perché sono io a doverlo riempire, rendendo ogni giorno un CAPOLAVORO (tutto maiuscolo, un diktat più che un suggerimento), e usando tutti i colori della vita (sarebbe troppo facile e convenzionale usare la scala Pantone). Il tutto, senza mai smettere di sorridere come una cretina.
"Vieni al cine?"
"No scusa, non ho tempo, ho venti giorni arretrati da colorare."
"Cazzo hai da ridere, allora?"
"Eh."
Buon 2006?
Stavi per ammazzarmi, pazza.

sabato, dicembre 31, 2005

Ultimi visagismi dell'anno

Non fatemi fare brutte figure, con tutto quello che vi ho insegnato in questi mesi: fondotinta mousse Matte Soufflé, Eyeliner Unforgettable Black, rossetto repulp Pink Sunset, ombretto Prisme Again n. 41, Body Powder in quantità. Ma soprattutto ricordatevi la Poudre Coromandel, che scalda l'incarnato e può tornare utile anche come antigelo per il motore.
Un buon fine anno a tutte/i.

Holidays on ice

- Ciao, dove passate l'ultimo dell'anno?
- Andiamo a cena da quelli che abitano al 21.
- Ah. Mi passi papà?
- È già di sotto che sparge il sale tra casa nostra* e il 21.

*al 23, NdA.

mercoledì, dicembre 28, 2005

Un caso di possessione telefonica

C'è quest'horror asiatico che ricordo solo per sommi capi: ci sono due sorelle, una bambina posseduta, un marito fedifrago, una casa e il solito telefono. Alla fine una delle due sorelle, esasperata dai fenomeni paranormali e da una caduta dalle scale della bimba ormai irrimediabilmente indemoniata, fa una scelta drammatica, definitiva e in sintonia con il genere: si mette a strappare il filo del telefono. Naturalmente va a finire che con il filo si stacca anche un pezzo di muro. Ci sarà un condensatore, un centralino, un apparecchietto di teleallarme, un salvavita Beghelli? No! Nel muro c'è il corpo mummificato di una studentessa con tanto di camicetta, gonnellino scozzese e calzettoni. Chiaro che standosene lì murata possedeva la linea telefonica, e quindi gli abitanti della casa. (Adoro questi horror asiatici in cui la maledizione è teletrasmessa, videoregistrata, telefonata: lo trovo pratico, perché perder tempo in spiegazioni esoteriche quando possiamo dire che la bambina è posseduta telefonicamente da una morta che sta letteralmente sepolta insieme al doppino?)

La mia linea telefonica è posseduta. Prima succedeva che la connessione adsl cadesse quando si alzava il ricevitore, anche se i filtri erano a posto e i telefoni stavano tutti in parallelo.
In questi casi ho imparato che bisogna fare come negli horror asiatici: prendere coraggio e vedere cosa succede nella presa principale. In cuor mio speravo di trovare murata la suocera dell'inquilino precedente, impacchettata come le mummie del British Museum. Perché si sa che tra Natale e Capodanno è più facile trovare un esorcista che un tecnico competente.
Invece ho trovato la NTUL, che non è una maledizione in rumeno (magari) ma la Nuova Terminazione Unificata di Linea, una scatoletta che la SIP installava negli anni Novanta per rilevare e risolvere a distanza i guasti telefonici. Il progetto naturalmente fu abbandonato, lasciando in eredità queste scatole pieni di cavetti che escono dalla tua povera presa posseduta ed entrano nel corpo orribilmente decomposto della centrale Telecom.
Altro che suocera.

E via, si fa un altro bel respiro profondo, si sganciano i morsetti e si isola la scatola abbandonandola al suo destino autoreferenziale, a sognare interventi che non arriveranno mai.

Così la connessione non cade più. Solo che la linea è ancora disturbata, l'adsl viaggia a 799 kbps, l'803380 mi omaggia della voce di Annie Lennox ("I saved the world today" non è un po' azzardata per dei tizi che non riescono neanche a salvarti la connessione?) invece di passarmi un operatore, poi mi passa un operatore che mi spiega come funziona l'adsl, e io gli rispondo che lo immagino, ma che sto a duecento metri dalla casa di prima, l'impianto è a posto e soprattutto 799 kbps sono pochi quando si paga almeno per l'illusione di 4 mega, insisto per dargli i dati dell'attenuazione e dei rumori di fondo, e insomma lui alla fine si rassegna a fare la segnalazione come si deve e mi chiede il numero di cellulare. Non ho mai faticato tanto per dare a un uomo il mio numero di telefono (con alcune vistose eccezioni), e chissà se ne è valsa la pena. Alla fine non ho ben capito cosa succederà nelle prossime 48 ore, ma penso niente.

Adesso nevica, io osservo la presa principale e la NTUL defunta e ripenso al tecnico della Telecom (uno dei tanti con cui ho chiacchierato oggi, in un'apoteosi di numeri verdi) che mi ha detto dispiaciuto: "Sa, noi e quelli dell'adsl siamo solo cugini, per così dire." Di quei cugini che non si parlano, naturalmente.

Quando rispondo al telefono mi fanno tutti graziosamente notare che sembro una voce dall'oltretomba. Un po' Merle Oberon in Cime Tempestose quando grida disperatamente "Heathcliff!" nella tormenta, mi sembra di capire. Un regista asiatico ci girerebbe un film di serie B in cui lo spettro della donna dai lunghi capelli presidia i doppini in attesa di ossessionare prede vulnerabili, meglio se operatori o operatrici di call center tin.it, cugini malvagi e manager Telecom, mentre in sottofondo va in loop la versione stonata e al contrario di "yadot dlrow eht devas I."
Una bella maledizione adesso la sussurrerei tanto volentieri, ma comodamente a telefono, possibilmente ore pasti.

lunedì, dicembre 26, 2005

Il segreto della felicità dei gatti

Io capisco benissimo il signor G.
Ti prelevano da casa tua per portarti da un'altra parte. Vacanza, pensi. Poi tornano a prenderti, e già assapori le comodità ritrovate delle ciotole del cibo perfettamente allineate al posto giusto e della cassettina tua-tua con la lettiera della gradita consistenza. I dubbi ti assalgono alla prima svolta sbagliata ("Ehi, gente, le mie vibrisse dicono da quella parte"); nell'ascensore - "Ehi, noi non abbiamo un ascensore" - ti consoli pensando che neanche il veterinario ha un ascensore, del resto tu ti senti benissimo e non è giorno di vaccinazione.
Poi ti ritrovi in un'altra casa, dove le tue cose sono disposte in un ordine diverso, ci sono alcuni mobili che riconosci e altri che per te costituiscono un sudoku olfattivo di livello diabolico.
Infine, scopri che lì ci è vissuto un altro gatto. E per quanto la tua donna di fiducia sia una maniaca della candeggina e del lisoformio, accidenti, ti accorgi che ti attendono mesi di duro lavoro: superfici nuove da strofinare con il muso, angolini da marcare con discrezione, stipiti da graffiare.

Al posto suo impazzirei.

Aggiungiamoci poi il gatto rosso, una specie di furbetto del condominio che gironzola per le scale impunito: non si sa di chi sia né in cosa consista la sua carta degli obiettivi, però trovo sospetto che mi aspetti sullo zerbino di casa e che venerdì abbia tentato di invitarsi a cena. Ha la faccia di uno che non accetta un no come risposta. Bisogna quindi evitare che il rosso si presenti alla porta di casa con un cartone di Friskies e si piazzi sul divano.

Ma soprattutto bisogna far felice il signor G.
Così sabato sono uscita e ho comprato il Feliway ("il segreto della felicità dei gatti"), un diffusore di feromoni con effetto tranquillizzante e antistress. Nota per i lettori: sulla confezione sta scritto che "i componenti attivi di Feliway non sono estratti dagli animali". Per dire, non hanno spremuto nessun micio per produrli. Posso confermare che in questo post l'unico a essere stato maltrattato è il mio portafoglio.
Ho inserito il Feliway nella presa e sono andata a prendere il signor G. per immergerlo in questo ambiente estraneo inondato di palpabile benessere felino.

Il signor G., nell'ordine e nell'arco di un paio d'ore:
1. si è molto agitato;
2. ha molto miagolato;
3. si è steso sul pavimento a sbadigliare, a riprender fiato e a raccogliere le idee;
4. ha annusato tutto;
5. ha bevuto da tutti i rubinetti, verificando che l'acqua fosse perfettamente potabile;
5. si è calmato;
6. si è addormentato.

L'efficacia del Feliway non è al momento dimostrata, tranne che per un paio di fenomeni:
1. io ho un irrefrenabile impulso a strofinare la faccia contro gli spigoli;
2. il rosso mi sembra più ammiccante e rilassato del solito;
3. i gatti del vicinato adesso mi fanno ciao con la zampina.

Dimenticavo: buone feste a tutti.

martedì, dicembre 20, 2005

Atti di ordinaria follia

[Prima o poi doveva succedere. Ho appena telefonato a mia madre con un futile pretesto e mi sono fatta passare il signor G.]

sabato, dicembre 17, 2005

Come caricare un AK-47 e vivere felici

Raw Story ha messo a disposizione in file excel e pdf le richieste (più di 10.000, e i file sono di conseguenza molto corposi) presentate al Pentagono in base al Freedom of Information Act, dal 2000 a oggi.
Non sorprende che le domande a proposito di UFO, Roswell, Area 51 e relazioni diplomatiche con gli extraterrestri vadano per la maggiore.

Due sono però i miei preferiti in assoluto:
1. quello che in aggiunta ai soliti chiarimenti su Roswell e l'Area 51 chiede anche una fotografia di Donald Rumsfeld.
2. il signor (o signora) Ellington che dichiara la propria disponibilità a pagare 2 dollari per imparare a caricare un Kalashnikov AK-47.

Non posso fare a meno di pensare che si tratti sempre di Mr o Mrs Ellington.
Me lo/la immagino mentre, caricato finalmente l'AK-47 con la modica spesa di dollari due, usa la foto di Rumsfeld come bersaglio in attesa fiduciosa dei rinforzi da Marte.

giovedì, dicembre 15, 2005

La regressione da trasloco

Sto infine per traslocare.
È normale che abbia questo strano desiderio di nascondermi nella cassapanca con il signor G. e un chilo di fondotinta per tutte le evenienze?
Che poi facevamo che io ero nella cassapanca e voi mi portavate qualcosa da mangiare e le notizie del giorno, e così non si faceva nessun trasloco. Che i nuovi inquilini imparavano ad amarmi e forse a rispettarmi, io continuavo a usare la loro connessione internet ma a mangiare pochissimo, il pomeriggio facevo partire il videoregistratore così non serviva mettere il timer, la mattina sgusciavo dalla cassapanca e andavo a comprare le brioche e i krapfen con la marmellata, e facevo anche il pane per tutti, per le feste e per i battesimi, portavo a scuola i bambini e gli facevo i compiti di nascosto. Che andavo alle riunioni di condominio e a pagare l'ici. Che il signor G. pattinava per casa come un matto lucidando il pavimento. Che mettevo alla porta con cortesia e fermezza i testimoni di Geova e i rappresentanti del Folletto Hoover.

E invece no. Devo prendere questi 4300 libri e inscatolarli, chiedendomi cosa me ne faccio della storia del baccalà, come si giustifica un manuale di danza del ventre, e perché possiedo una vecchia edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray che ha come titolo Doriano Gray dipinto. Prendere il ritratto 50x70 del maresciallo Tito e incartarlo.
Prendere quella madonna placcata oro zecchino su base di legno regalata da chissà chi e trovare il coraggio di abbandonarla sul raccordo Gorizia-Villesse, insieme al gruppo di pietra portoghese raffigurante nonno che fuma la pipa e legge il giornale, fanciullo triste e cane mesto (o nonno mesto, cane che legge il giornale e fanciullo che fuma), regalo lo so io di chi (parlo di te, Umberto N.). Scalpellare la targhetta "attention chat bizarre" e salutare la piastrella "Deu vos guard", che invoca la benevolenza di un dio straniero e fa pendant con il gruppo di pietra (Umberto, sempre tu: conoscerai la mia vendetta).

Nel cassetto dell'angoliera ho scoperto un pennino vecchissimo marca "Impero", ossidato. Sotto l'angoliera, invece, una pallina rosa e nera del signor G., una cartina argentata e una moneta da un euro. In quel momento il felino e io ci siamo guardati e abbiamo allungato zampa e mano contemporaneamente sul malloppo, grati alla divinità che nasconde le cose e poi te le fa ritrovare impolverate.
Dietro ai libri di ricette, in cucina, ho trovato un topolino di peluche della gatta, nascosto dalla divinità specializzata in pugni allo stomaco e colpi bassi.

Il mio medico mi ha appena comunicato con soddisfazione pettegola che tra i miei nuovi vicini di casa ci sono alcuni suoi colleghi. Mi destabilizza, questa concentrazione: immagino già l'agonia dei viaggi in ascensore con l'ematologa che scruta la mia faccia pallida e mi propone un controllo delle piastrine. O il fisiatra che mentre esco di casa mi grida dietro "su con quella schiena, e che cazzo". Al dentista non voglio nemmeno pensarci.

Il signor G. domani andrà dai miei con il suo beauty case e la prossima settimana - dopo essere stato pettinato, vezzeggiato, baciato e interrogato senza sosta e dunque fino allo sfinimento da mia madre - sarà depositato in una casa sconosciuta già abitata in precedenza da un gatto obeso e provvista di un divano nuovo di mia scelta e gusto. Marcherà il suo territorio diligentemente e poi stravaccandosi felice sul plaid si guarderà attorno con fare scettico pensando: "sta' a vedere che con tutti questi medici c'è pure un Mengele di veterinario, con la sfiga che gira ultimamente."

Voglio arrivare lì e attaccare il quadro degli anni Sessanta con le due facce della luna, il poster incorniciato di The Great Bear e il ritratto di Peter Sellers di Bill Brandt. Bruciare le erbette dell'amica di Alessandra ("guarda che non si fumano, ma allora lo vedi che sei scema!") e accendere le sue candele magiche perché non si sa mai e magari non farlo porta pegola. Poi mettere via i libri e sperare che il tecnico della Telecom tanto gentile che mi ha detto che mi telefona sul cellulare martedì pomeriggio e mercoledì mi mette la linea non sia un mitomane o uno scappato dal manicomio o un troll padano (un fan, invece, escluderei).

La sera tardi voglio farmi una cioccolata calda, sedermi sul divano e aspettare, chiedendomi per la centesima volta come ho fatto a prestare tutta la serie di Douglas Adams. E poi finalmente sentire un urlo angosciato e le parole "chi ha appeso il ritratto di Tito nell'armadio guardaroba?".
A quel punto, lo sapete voi e lo so anch'io, mi scapperà il primo sorriso della giornata.

Non ci posso credere

Per mettere fine agli abusi (leggete pure torture), gli Stati Uniti ispezioneranno le carceri gestite dagli iracheni.
New York Times, mica The Onion.

mercoledì, dicembre 14, 2005

La realtà e la manipolazione dei media

Quello che segue è tratto da un'intervista di Joshua Holland di Alternet a Larry Beinhart, scrittore e saggista interessato all'influenza della politica sui mezzi di informazione di massa. L'ho trovata interessante per come smonta i meccanismi che governano i media statunitensi, facendo riferimento ad alcuni casi specifici.
Beinhart è autore del libro Fog Facts: Searching for Truth in the Land of Spin. E proprio di fog facts (che ho tradotto liberamente come "fatti fumosi", a prendersi qualche altra libertà mi verrebbe da scrivere "nebbia dell'informazione") parla questa intervista.

Cosa sono i "fatti fumosi"?
Sono cose che sono state pubblicate e rese note, ma scomparse poi sullo sfondo in una specie di nebbia. E ci sono molti fatti che dovrebbero scomparire così, le curiosità, le stupidaggini, e tutte quelle cose che non abbiamo bisogno di sapere. Ma ora sto parlando di cose importanti, cose che, se portate in primo piano, sono in grado di cambiare la nostra visione della realtà.

Come diventa “fumoso”, un fatto?
Con alcune eccezioni, le notizie non sono da subito e automaticamente grandi notizie. Le eccezioni sono la morte di un papa, il campionato del mondo, gli tsunami, i vulcani, le guerre, o almeno quelle che ci coinvolgono. Ma la maggioranza delle notizie diventa tale - comprese le guerre - grazie ai comunicati stampa. L'esempio che uso sempre, visto che ci troviamo in una piccola cittadina, è il calendario della serie minore. Se il calendario della serie minore è sul giornale, è solo perché l'allenatore o sua moglie glielo spediscono.
La maggior parte delle notizie nasce come comunicato stampa, conferenza stampa o dichiarazione. E se vuole restare tra le notizie, deve avere nuovi comunicati stampa e nuove storie da raccontare. Ci deve lavorare su qualcuno, che deve investire tempo ed energie per farci su una storia più grossa. E se non lo fa nessuno, può anche non diventare affatto una storia, può restare una notizia isolata. Ha presente, pagina 12 del New York Times, pagina 26.

E in parte ciò che accade è che coloro che lavorano nei media - specialmente nell'ambiente della carta stampata - pensano che se hanno riferito una notizia hanno fatto il loro lavoro. Il loro lavoro non consiste nel determinare quale sarà l'effetto sulla popolazione, come assorbiremo quella notizia, quanto ci colpirà - non è quello, il loro lavoro. Non fanno che prendere un fatto e metterlo in pagina. E hanno finito. Se poi la notizia si ripresenta, con un nuovo comunicato stampa o una nuova svolta, la seguono.

Un ottimo esempio è il denaro di Oil-for-Food. Tutti in America sanno che c'è una specie di scandalo su quello che le Nazioni Unite hanno fatto del denaro di Oil-for-Food. Non sanno esattamente cos'è, ma sanno che è uno scandalo, che Kofi Annan ha fatto qualcosa di sporco. Ora, per quel che si sa, la corruzione e il malaffare hanno riguardato al massimo centinaia di migliaia di dollari, escluso il denaro su cui Saddam Hussein fu in grado di mettere le mani, cosa che fu generalmente approvata e permessa da tutti. Comunque, i torti delle Nazioni Unite si possono definire minori.

Dopo la conquista statunitense dell'Iraq il denaro di Oil-for-Food fu trasferito a una nuova entità, la CPA, l'Autorità provvisoria della coalizione diretta da Paul Bremer. E circa 9 miliardi di dollari di quel petrolio andarono nelle casse della CPA, oltre a circa 10 miliardi di altri fondi. Questo denaro veniva essenzialmente custodito per conto del governo iracheno. Adesso ne sono scomparsi circa 19 miliardi.

Se ricordo bene, dei 20 miliardi ne è rimasto solo mezzo. E la cosa è emersa solo in tre notizie. La ragione è che non esiste un gruppo di potere che influenzi i media americani al quale interessi qualcosa dei soldi iracheni. C'è invece un ampio gruppo di potere che odia l'ONU. E odia l'ONU perché la semplice idea di porre delle restrizioni all'autorità sovrana degli Stati Uniti è una cosa che lo irrita infinitamente. Così questo gruppo di potere non vedeva l'ora di trovare il modo per infangare l'ONU, e dunque lavorarono su quella storia, la spinsero, e di conseguenza ne abbiamo sentito parlare moltissimo.
E così una notizia è rimasta nebulosa e confusa, l'altra è diventata un fatto ben noto.

Un altro esempio si ha quando sono gli stessi mezzi di informazione a decidere di creare un fatto fumoso, perché non vogliono che qualcosa si sappia. Il caso più noto è stato il nuovo conteggio dei voti dopo le elezioni del 2000 in Florida, che fu pagato dai media stessi. Ci furono così tante controversie su quel voto che New York Times, Washington Post, Tribune Company - cioè Chicago Tribune - Los Angeles Times, CNN, Wall Street Journal and St. Petersburg Times si misero insieme e dissero che avremmo ricalcolato quei voti per scoprire chi aveva vinto davvero. Lo fecero e ci spesero un milione di dollari. E il vero vincitore avrebbe fatto notizia.

Era questa la cosa eccitante. Se scoprivano che aveva vinto Al Gore, sarebbe stata una notizia ben più grossa che se avesse vinto Bush. Quella è notizia vecchia, chi se ne frega? E quando contarono tutti i voti da cui si potesse capire con certezza la scelta di voto, vinse Al Gore.

Così i titoli avrebbero dovuto essere "Al Gore ha ricevuto più voti" o "Al Gore avrebbe dovuto diventare presidente" o "Eletto l'uomo sbagliato" o "La Corte Suprema blocca la verifica in tempo per salvare Bush." Non è così? Ma i titoli non furono quelli. I titoli furono "Bush ha vinto comunque" "I nuovi conteggi dimostrano che Bush ha vinto", "I nuovi conteggi dimostrano che l'azione della Corte Suprema era inutile."

E il New York Times fu il peggiore di tutti. A meno che non si leggesse la storia con attenzione ragionieristica, era letteralmente impossibile decifrare che Al Gore aveva ricevuto più voti. La verità è che io non ci riuscii. Lessi la storia e pensai, "oh, merda, che delusione." Due anni dopo lessi una storia dell'altro Gore, Vidal, e lui ne parlò. Allora andai a rileggermi il Times. E pensai: "Oh, mio Dio. Al Gore ha preso più voti di George Bush. Incredibile."

E poi lessi tutti gli altri giornali e dissi: "Questo è uno dei più sorprendenti eventi mediatici che io abbia mai visto." Voglio scoprire come tutti e sette hanno preso la stessa decisione di affossare la storia. Non di negarla, ma di affossarla così da poter dire con la coscienza pulita: "abbiamo riferito la verità." E l'hanno fatto. Ma l'hanno manipolata così pesantemente che perfino i più impegnati, le persone di sinistra e i blogger se la sono persa.

[Questa è solo una parte. L'intervista, in cui si parla di 11 settembre, di manipolazione dell'opinione pubblica utilizzando i metodi delle pubbliche relazioni e del futuro del giornalismo oggettivo, è per intero sul miro 2.0.]

lunedì, dicembre 12, 2005

Il presepe e la performativa fase mistica

"Papa denuncia materialismo affacciandosi a balcone di edificio di marmo con cupola dorata, attorniato da icone religiose incastonate di gioielli mentre indossa gigantesca croce d'oro."
titolo di Fark, via J-Walk Blog.

C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."

Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.

Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.

Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.

domenica, dicembre 11, 2005

Il numero 3 del quartierino

Leggendo questo pezzo della CNN in cui si dice che i quattro volontari del Christian Peacemaker Team rapiti il 26 novembre stavano raccogliendo informazioni sulle torture in Iraq, mi sono imbattuta nella notizia della cattura a Ramadi di Amir Khalaf Fanus, detto "il macellaio". E ho scoperto che nel suo piccolo anche il macellaio è un numero 3: il numero 3 sulla lista dei ricercati stilata dalla 2nd Brigade Combat Team che pattuglia l'area occidentale di Baghdad. Insomma un numero 3 di riserva, praticamente un caposcala.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.

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Make-up:
Fondotinta 3-in-1 Inevitable Beauty, Eyeliner e Mascara Catch me if you can n. 1, l'irrinunciabile rossetto rosso estremo Butcher Red.

venerdì, dicembre 09, 2005

Comunicazione di servizio

Mi sono accorta che il blog ha appena compiuto tre anni e mi sono detta: perché lasciare quando posso raddoppiare?
Così d'ora in poi i pezzi lunghi e le traduzioni verranno dapprima pubblicate sia qui, sia su http://mirumir.altervista.org, e in seguito probabilmente finiranno solo lì.
Fatevi coraggio, resta sempre in piedi l'ipotesi di registrarvi delle cassette da ascoltare nel sonno.

giovedì, dicembre 08, 2005

Categorie merceologiche



La chiave di ricerca del giorno è: "water nei negozi di sanitaria". Attenzione, neanche sanitari, ma sanitaria: cioè quel genere di posto dall'aria triste e illuminato al neon dove si comprano le panciere, gli apparecchi per aerosol, certi sandali per infermieri e gli orrendi plantari anatomici che usa mia suocera e che sospetto siano fatti di pelle umana neanche tanto trattata.

(E questa volta non dite che è colpa mia e che me li merito, eccetera eccetera)

lunedì, dicembre 05, 2005

La regina di picche

"one of [Saddam's] closest aides", "a figure on the US playing card deck of most-wanted Iraqis", "lieutenant", "key role", "Queen of Spades"...
Oh, no, ditemi che non dobbiamo rimetterci a contare anche i vice di Saddam.

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Make-up:
Fondotinta Flexilift Teint n. 3, ombretto Queen of Shades nei toni del grigio e del malva, e per lunghe ciglia stregamaschi il mascara Oh my Lieutenant! n. 1.

domenica, dicembre 04, 2005

Il numero 3 numero 4

Ieri un missile della CIA lanciato da un Predator ha ucciso in Pakistan il numero 3 di Bin Laden, Hamza Rabia. Questo dovrebbe essere almeno il quarto numero 3 di al-Qaeda. Era succeduto al numero 3 che lo precedeva, Abu Faraj al Libbi, a sua volta subentrato a Khalid Sheikh Mohammed, prima del quale c'era Abu Zubaida.
Insomma, il concetto sarebbe che appena il posto numero 3 si libera, il numero 4 sale in classifica.
Riepilogando, siamo a 35 vice di al-Zarqawi e a quattro numeri 3 di Bin Laden.

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Make-up:
Per un trucco delicato ma impeccabile, fondotinta Aera Teint n. 458, Ombretto Color Intrigue n. 107 o Darling Pink n. 803, rossetto Couleur&Brillance Divinora n. 208, smalto Predator Rose n. 538.

venerdì, dicembre 02, 2005

Dove ho sbagliato?

Gli ultimi referrals: "franz ferdinand ferro da stiro", "foto o filmati come annodare la cravatta", "portachiavi all'uncinetto" (questa potrebbe essere mia suocera a corto di idee per i regali), "french kiss lingue" (adesso gli faccio un disegnino), "dove vengono salvate le conversazioni telefoniche" (eh, cari miei), "previsioni da giocare al lotto 1-12-2005", "soffitti sfondati" (no, qui solo esplosivi nei controsoffitti), il sempreverde "zar della steppa" e una grande richiesta di "fonduta bourguignonne". Uno solo che si è applicato e ha cercato "fosforobianco" - tutto attaccato, come nei tag di delicious. E uno "sciti torturano sunniti", che però potrebbe anche essere un sadico.
Chi mi dice qual è il nesso tra i Franz Ferdinand e un ferro da stiro vince una playlist dei quattro di Glasgow o un anticalcare, a scelta.

giovedì, dicembre 01, 2005

Un incontro costruttivo

Auditorium di Ramadi. Gli arabi sunniti dicono di esser lì per un unico motivo, e cioè sentir parlare di ritiro statunitense. I militari americani invece sono lì per incoraggiare i capi tribali a entrare nell'esercito iracheno.
"Incredibile", commenta il capitano Nash, comandante dei marines a Ramadi, riferendosi ai capi sunniti che affollano la sala. "Sono venuti, e non avevo mai assistito a una cosa del genere." Un giornalista iracheno gli ha risposto: "Ai tempi di Saddam avrebbero sacrificato una pecora per visite come questa. Oggi penso che potrebbero macellare voi."
Frasi notevoli pronunciate dai leader sunniti:
"Vogliamo il ritiro."
"Crediamo che questa sia un'occupazione illegittima, e che la resistenza sia legittima."
"Rendiamo onore al popolo americano perché dopo aver visto la televisione via satellite sappiamo che è pronto ad andarsene."
"La gente di Fallujah ama Cindy Sheehan."
Frasi notevoli pronunciate dagli ufficiali statunitensi e iracheni:
"Siamo coinvolti nel problema del ritiro."
"La cosa migliore che possiate fare è convincere i vostri figli a entrare nell'esercito e nella polizia." Eccetera.
Tradurre è un po' tradire, e il fatto che gli interpreti degli Stati Uniti siano stati accuratamente scelti tra arabi non iracheni accentua il problema e favorisce le incomprensioni: mentre in sala si alzano le grida di insoddisfazione e qualcuno comincia a puntare loro il dito contro, gli americani sono ancora convinti che si tratti "di un incontro molto utile".
Dice il brigadier generale Williams della seconda divisione dei marines:
"Siamo qui per risolvere i problemi. Sono problemi complessi. Non esistono soluzioni facili, ma esistono delle soluzioni."
Traduzione dell'interprete, un libanese ormai stanco dopo cinque ore di estenuanti colloqui: "Non ho tempo da perdere. Anche se voi avete tempo da perdere, non è giornata."
"Può funzionare," ha commentato un generale iracheno, comandante dell'esercito già ai tempi di Saddam, a incontro terminato.
In effetti, i marines non hanno fatto la fine della pecora.

Fonte: "U.S. Debate on Pullout Resonates As Troops Engage Sunnis in Talks", Washington Post.

mercoledì, novembre 30, 2005

Se non vogliono, non vogliono

Secondo il direttore della CIA Porter Goss, Bin Laden e al-Zarqawi non sono ancora stati trovati "principalmente perché non vogliono che li troviamo, e stanno facendo di tutto per assicurarsi che non li troviamo."
Ha!

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Make-up:
Per i due di al-Qaeda, Pure Pops Brush-on Color Pure Chameleon e Pure Color Nail Lacquer Chameleon Prism. Per Mr. Goss, un make-up polveroso ed etereo e Vanilla Kiss Body Shimmer (trasforma la pelle in una fonte di luce).

martedì, novembre 29, 2005

I SEALS lo facevano meglio

Questi sono lunghi estratti da una recente intervista di Amy Goodman di Democracy Now a Tony Lagouranis, ex-specialista addetto agli interrogatori dell'esercito americano. Una decina di giorni fa l'ho tradotta velocemente per farla leggere a un amico. Pensavo che presto ne avrebbero parlato giornali e blog, ma non ha ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato (o almeno, non in Italia). Per questo oggi ho deciso di riportarne sul blog alcune parti, soprattutto quelle in cui Lagouranis descrive alcune tecniche di interrogatorio, quello che vide a Fallujah e i metodi usati dai marines Force Recon alla base di North Babel.

GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?

LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.

GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?

LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?

LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.

GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?

LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.

GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?

LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.

GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?

LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.

GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?

LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.

GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?

LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.

[...]

GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?

LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.

[...]

GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?

LAGOURANIS: Sì.

GOODMAN: Cosa faceva laggiù?

LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.

GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?

LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.

GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?

LAGOURANIS: 500.

GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?

LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.

GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?

LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.

GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?

LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.

GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?

LAGOURANIS: Sì.

GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?

LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...

GOODMAN: E lei cosa diceva?

LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.

GOODMAN: E le donne e i bambini?

LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.

GOODMAN: Ne avete discusso?

LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.

GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?

LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.

GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?

LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.

[...]

A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.

GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?

LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.

GOODMAN: E cosa raccontavano?

LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.

GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?

LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.

GOODMAN: Perché era bollente?

LAGOURANIS: Esatto.

GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?

LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.

GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?

LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...

GOODMAN: Che intende dire?

LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.

GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?

LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.

[...]

GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?

LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.

GOODMAN: Be'..

LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.

GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?

LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.

Fonte: Democracy Now!

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Perché voi valete:

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lunedì, novembre 28, 2005

Al-Jazeera, Belgrado 99 e amnesie

Stavo mettendo giù qualche scomposta riflessione (io scrivo riflessione, ma voi leggete pure delirio) sull'indignazione dei media di fronte al caso "BushBlairAl-Jazeera" e la loro mancata reazione al bombardamento NATO della radiotelevisione serba nel 1999 (e per una guerra altrettanto ingiusta), quando ho letto questo splendido articolo di Brendan O'Neill intitolato "Al-Jazeera, Serbia, and Liberal Amnesia. When killing journalists was permissible". Dice quello su cui stavo rimuginando da un paio di giorni - e immagino di non essere la sola - ma lo dice molto meglio.
Eccone alcuni estratti (ci si dilunga un po', procuratevi alcuni generi di conforto):

“Non sorprende che i giornalisti vogliano difendere i colleghi [di Al-Jazeera] da un presidente dal grilletto facile, soprattutto considerando che l’esercito americano ha già colpito gli uffici di Al-Jazeera a Kabul nel novembre del 2001 e i suoi inviati in Iraq. Ma ho una domanda da fare. Perché alcuni giornalisti sembrano più indignati per le presunte minacce e offese del presidente Bush nei confronti di una stazione televisiva di quanto lo siano stati quando un altro presidente giunse a bombardarne una?
Perché danno sfogo a tanta rabbia e indignazione per l’incidente di Bush e Al-Jazeera, mentre finsero di non vedere - e tentarono addirittura di giustificare - il vergognoso bombardamento della televisione serba ne 1999 che provocò la morte e il ferimento di molti dipendenti?

[…]

Quando la NATO - con Clinton e Blair al comando - bombardò la sede della radiotelevisione serba a Belgrado il 23 aprile 1999, non si trattò di uno scherzo. Accadde veramente. Nel mezzo della notte, alle 2.20 del mattino - dei missili Cruise distrussero l’ingresso dell’edificio e ridussero in macerie almeno uno studio. C’erano circa 120 persone al lavoro, in quel momento; almeno 16 rimasero uccise, ed altre 16 furono ferite. Erano tutti civili, per lo più tecnici e operatori. John Simpson della BBC raccontò di aver visto ‘il corpo di una giovane truccatrice… sul pavimento di un camerino.’
Fu un attacco intenzionale ai lavoratori civili del settore dell’informazione. La NATO parlò apertamente e senza vergogna di questi attacchi come di un mezzo per segnar punti nella guerra di propaganda e indebolire ulteriormente il controllo del presidente Milosevic sulla Serbia.

[...]

Oggi i giornalisti si chiedono se Blair abbia o no preso sul serio la battuta di Bush sul bombardamento di Al-Jazeera. Non fateci caso. Ecco quello che disse Blair - in pubblico, ufficialmente - sul bombardamento e l’uccisione dei giornalisti nella campagna del Kosovo: i media ‘sono l’apparato che mantiene [Milosevic] al potere e siamo totalmente giustificati in quanto alleati NATO a danneggiare e a colpire quegli obiettivi.’

Anche l’ex ministro britannico Clare Short - che si è dimessa perché contraria alla guerra in Iraq e adesso posa da guerriera pacifista - giustificò il bombardamento dei giornalisti nel 1999. Disse allora: ‘Questa è una guerra, questo è un grave conflitto, vengono commessi e taciuti degli orrori. La macchina della propaganda sta prolungando la guerra ed è un bersaglio legittimo.’ Raccontatelo alla famiglia della giovane truccatrice.

Gli attacchi erano progettati per causare il massimo danno alla stazione televisiva, e, per citare un ufficiale statunitense, si sperava che i bombardamenti avessero ‘il massimo impatto in termini di propaganda a livello nazionale e internazionale’ per la NATO. La rivista militare Jane’s Defense Weekly riferì nel luglio del 2000 che gli strateghi della NATO avevano stabilito quali parti dell’edificio ospitassero con maggiore probabilità i sistemi di controllo dell’impianto antincendio, e che i missili erano programmati per colpire proprio questi punti, così che l’incendio causato dalle bombe potesse diffondersi più rapidamente e fosse più difficile estinguerlo.

Clinton, Blair e i loro compari della NATO giustificarono questi attacchi come ‘legittimi’ tentativi di indebolire il nemico colpendo la macchina della sua propaganda. Vogliono farci credere che gli operatori, i tecnici del suono e una truccatrice fossero quelli che mantenevano Milosevic al potere? In verità, il bombardamento segnò un nuovo minimo storico nella guerra ‘umanitaria’ privilegiata da Clinton e Blair: fu fatto per colpire i civili; fu progettato per causare il massimo danno; e serviva a dare una mano sul piano nazionale e internazionale a Stati Uniti e Gran Bretagna.

[...]

E tuttavia, l’indignazione tra i giornalisti per questo attacco ai loro colleghi si fece notare per la propria assenza; fu senz’altro più smorzata delle manifestazioni di sdegno che hanno accolto le rivelazioni sull’incidente Bush-Blair. In Gran Bretagna alcuni sindacati della stampa si rifiutarono perfino di condannare il bombardamento della sede della RTS. Il BECTU [Broadcasting Entertainment Cinematograph and Theatre Union] evitò perfino di commentare l’attacco e proibì che il proprio nome figurasse nelle manifestazioni pacifiste.

Ci fu un tono quasi celebrativo nei servizi che il Guardian dedicò al bombardamento della RTS. Nel suo primo pezzo dopo l’attacco, il quotidiano ripeté le giustificazioni della NATO senza metterle in discussione, dichiarando: ‘nel primo mattino la NATO ha attaccato il cuore della base del potere del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic bombardando la sede della televisione di stato serba, interrompendo le trasmissioni nel mezzo di un notiziario.’

[...]

Alcuni giornalisti condannarono il bombardamento, non perché fosse moralmente e politicamente ingiusto, ma perché regalava una ‘vittoria di propaganda’ agli oppositori della guerra. L’editorialista del Guardian Polly Toynbee, che era favorevole ai bombardamenti, disse: ‘è stato un inutile atto di follia bombardare la stazione radiotelevisiva serba,’ poiché non era altro che un ‘regalo ai molti critici della NATO.’

Naturalmente vi furono giornalisti che presero posizione contro il bombardamento della tv serba. In Gran Bretagna, per esempio, il portavoce del Sindacato nazionale dei giornalisti si oppose con forza all’attacco. Ma in generale - in un momento in cui i mezzi di informazione non solo appoggiavano l’intervento ma lo incoraggiavano entusiasticamente - vi fu una certa indifferenza verso questo vergognoso attacco ai lavoratori dell’informazione: più un senso di imbarazzo che una reale opposizione.

Questa disparità tra l’atteggiamento dei media nell’incidente di Al-Jazeera e la loro reazione al bombardamento della TV serba da parte di Clinton è rivelatrice.
Da Clare Short ai giornalisti del Guardian ai rappresentanti sindacali, alcuni di coloro che oggi mettono in ridicolo la guerra illegale di Blair e Bush all’Iraq erano in prima linea nell’appoggiare una guerra altrettanto illegale per il Kosovo (neanche quell’intervento si guadagnò l’appoggio unanime delle Nazioni Unite). Anzi, alcuni degli argomenti che usarono per giustificare gli attacchi alla Jugoslavia - come la necessità di punire un ‘dittatore colpevole di genocidio’, di proteggere una ‘popolazione vulnerabile’ e di adempiere all'‘impegno internazionale’ di diffondere la pace e l’armonia - sono stati ripetuti da Bush e Blair con riferimento all’Iraq.

I giornalisti, specie di convinzioni liberali e di sinistra, hanno atteggiamenti molto contraddittori nei confronti delle guerre d’aggressione occidentali. Questo significa che non sono nella posizione migliore per lamentarsi degli aspetti della guerra in Iraq, visto che il loro supino consenso alla guerra del Kosovo ha preparato la strada ai successivi interventi in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003.”

Il cuore e l'anima della compagnia

Su Crooks and Liars, il video dei mercenari che sparano con fucili automatici per le strade di Baghdad (apparentemente si tratta della route Irish, "la strada più pericolosa del mondo", quella che porta all'aeroporto), colpendo macchine di civili iracheni a caso. Ne aveva parlato ieri il Sunday Telegraph: il filmato era apparso per la prima volta su www.aegisIraq.co.uk e in seguito rimosso. Sull'homepage sta scritto: "Questo sito non appartiene alla Aegis Defence Ltd, appartiene agli uomini sul campo che rappresentano il cuore e l'anima della compagnia."
La Aegis nega che si tratti di propri dipendenti; comunque, in almeno uno dei filmati si sentono delle voci con accento scozzese o irlandese.
Certo: aegis significa protezione.

domenica, novembre 27, 2005

Il numero 35

Bilal Mahmud Awad Shebah, noto con il nome di Abu Ubaydah, era confidente, guardiano, messaggero e segretario personale di Al Zarqawi. In breve, il braccio destro numero 35.

venerdì, novembre 25, 2005

You have to do it with candor

L'ex direttore pasticcione e raccomandato della FEMA, Michael Brown, ha un nuovo lavoro: dirigerà in Colorado una ditta di consulenze nel settore della gestione dei disastri e delle emergenze.
In pratica, insegnerà ai clienti come evitare di commettere i suoi stessi errori.
Quando gli hanno chiesto come intende affrontare questo nuovo compito, ha risposto: "You have to do it with candor".

Fonti: CNN, SHNS.

mercoledì, novembre 23, 2005

Il cartaro truffaldino

Scrivevano Bonini e D'Avanzo poco tempo fa, a proposito del "cartaro truffaldino" Rocco Martino e del falso dossier sull'uranio del Niger:

"Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, 'di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938'.

Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: 'È vero, c'è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigeriano), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di disinformazione'.

Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell''operazione'. Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.

Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il '77 'allontanato per difetti di comportamento'. Nell'85 arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, 'fino al 1999' collabora ancora con il Sismi. E' un doppiogiochista."

È emerso un particolare che a me sembra nuovo: l'ex-analista della National Security Agency Wayne Madsen (il suo sito non ha i permalink, basta fare una ricerca nel testo con il nome "Martino") ha scritto ieri che Rocco Martino ha lavorato ufficiosamente per George H.W. Bush negli anni Ottanta: "Martino, che ha mantenuto la residenza in Lussemburgo, fa parte di una complessa rete di individui che figurarono come elementi di primo piano nella vicenda Iran-Contra. Tra di essi vi sono Michael Ledeen, Manucher Ghorbanifar, Adnan Khashoggi, e altri protagonisti di quell'operazione segreta che si sarebbe trasformata in uno scandalo di grandi proporzioni per l'amministrazione Reagan." Questa informazione verrebbe da fonti dell'intelligence statunitense.

Che Madsen disponga di molte fonti tra amici ed ex amici all'interno dei servizi segreti americani, si era capito già in questa intervista sulla morte di Nicola Calipari risalente allo scorso mese di maggio, nella quale di fatto anticipava informazioni sul falso dossier sull'uranio nigeriano e il ruolo avuto dagli italiani: "Secondo i miei contatti nel governo americano, le persone coinvolte in incontri segreti che hanno portato alla guerra in Iraq comprendono il neo-conservatore Michael Ledeen, sua figlia Simone Ledeen, il sedicente agente a tempo del SISMI, Rocco Martino, Ghorbanifar, il funzionario del Pentagono Larry Franklin recentemente arrestato come spia israeliana, il suo superiore al Pentagono, Harold Rhode che è anche ufficiale di collegamento con l’attuale Ministro del Petrolio iracheno, Ahmad Chalabi. Penso che molti dettagli emergeranno su questa storia."

Cosmesi:
Prima di dormire, Eau de Soin demaquillante, Lozione detergente pelli intolleranti, maschera nutriente Yellowcake, crema Coherence Rass notte.

martedì, novembre 22, 2005

Il fosforo bianco sono gli altri

Per minimizzare l'impatto politico delle rivelazioni sull'uso del fosforo bianco a Fallujah da parte dell'esercito americano, il Pentagono ha sostenuto che le munizioni al fosforo sono legali perché non sono tecnicamente "armi chimiche."

Gabriele Zamparini dà notizia di un documento del Pentagono risalente al 1995 intitolato “Possible Use of Phosphorous Chemical”, che descrive l'uso che Saddam Hussein fece del fosforo bianco contro i curdi. Il documento, ripreso anche da Think Progress, sarebbe questo.
Vi si legge:

"L'Iraq potrebbe aver impiegato armi chimiche al fosforo contro la popolazione curda in aree lungo i confini tra Iraq, Iran e Turchia. […]

Alla fine di febbraio del 1991, dopo la schiacciante vittoria delle forze della coalizione in Iraq, i ribelli curdi intensificarono la loro lotta contro l'esercito iracheno nell'Iraq settentrionale. Durante la brutale repressione che seguì alla sollevazione curda, le forze irachene leali al presidente Saddam (Hussein) potrebbero aver usato arme chimiche al fosforo bianco (WP) contro i ribelli curdi e la popolazione delle province irachene di Erbil (GEOCOORD:3412N/04401E) (nei pressi del confine iraniano) e Dohuk (GEOCOORD:3652N/04301E) (nei pressi del confine iracheno). [sic. qui dovrebbe stare scritto confine turco, credo]"

Se questo documento è autentico, ne possiamo dedurre che il Pentagono definisce il fosforo bianco un'arma chimica quando viene usata dal nemico.

La gente di Fallujah, naturalmente, sarebbe morta comunque, anche usando mezzi convenzionali. È importante, allora, che siano state usate anche armi chimiche? Sì, lo è. Come scrive oggi George Monbiot sul Guardian "chiunque abbia visto le foto di reduci della prima guerra mondiale resi ciechi dalle armi chimiche comprenderà le ragioni della legge internazionale, e i pericoli impliciti nella sua violazione." Ma, aggiunge, "non dobbiamo dimenticare che l'uso di armi chimiche è stato un crimine di guerra all'interno di un crimine di guerra all'interno di un altro crimine di guerra. L'invasione dell'Iraq e l'attacco di Fallujah sono stati atti d'aggressione illegali. Prima di attaccare Fallujah, i marines impedirono di lasciare la città agli uomini in grado di combattere. Anche molte donne e bambini rimasero: il corrispondente del Guardian ha stimato che in città restarono tra i 30.000 e i 50.000 civili. I marines trattarono Fallujah come se i suoi unici abitanti fossero i combattenti. Rasero al suolo migliaia di edifici, negarono illegalmente l'accesso alla Mezzaluna Rossa irachena e secondo lo special rapporteur dell'ONU, usarono 'la fame e la mancanza d'acqua come armi contro la popolazione civile.'"

Monbiot ricorda un'altra cosa importante, e cioè che "su un'arma d'assalto usata dai marines erano montate delle testate contenenti 'circa un 35% di esplosivo termobarico e un 65% di esplosivo standard.'" Le utilizzarono per causare il crollo dei tetti e schiacciare gli insorti asserragliati, e lo fecero ripetutamente: "L'impiego di esplosivo per sgombrare le case fu enorme. Un articolo pubblicato nel 2000 descrive gli effetti che queste armi provocarono quando furono usate dai russi a Grozny. Le armi termobariche o fuel-air, secondo questo articolo, formano una nuvola di gas volatili o di esplosivi finemente polverizzati. 'Questa nuvola successivamente si incendia e risucchia l'ossigeno dell'area circostante. La mancanza d'ossigeno crea un'enorme pressione... chi si trova sotto questa nube muore letteralmente schiacciato. Al di fuori di quest'area l'onda d'urto viaggia a circa 3000 metri al secondo... Di conseguenza, un esplosivo fuel-air può avere gli effetti di un'arma tattica nucleare senza provocare radiazioni... Chi si trova direttamente sotto la nuvola muore incenerito o a causa della pressione. Chi si trova ai margini può riportare ferite molto gravi: ustioni, fratture, contusioni, cecità. La pressione può inoltre causare embolia, commozioni cerebrali, emorragie interne multiple al fegato e alla milza, collasso dei polmoni, rottura dei timpani e spostamento degli occhi dalle orbite.'"
Conclude Monbiot che "è molto difficile capire come si siano potute usare queste armi a Fallujah senza uccidere dei civili."
Dunque il problema diventa: "esiste un crimine che le forze della coalizione non abbiano commesso in Iraq?". Esiste?

Make up
Armi segrete: lucidalabbra Phyto-Lip n. 1, fondotinta mousse Matte Soufflé n. 620, cipria multicolor: Météorites Poudre Pressée, col. Winter Radiance (WR).

domenica, novembre 20, 2005

Due gradi di separazione

(Avvertenza: mi avete concesso democraticamente un po' di teoria del complotto, di tanto in tanto. Sit back and enjoy.)

Allora, gli attentati di Amman. Capisco che i giornalisti italiani in quei giorni scioperavano e che la notizia non è stata seguita benissimo – salvo poi dare grande rilievo alla kamikaze mancata, fotografata con tanto di corpetto esplosivo – ma la versione ufficiale e accettata sembra fatta apposta per un'innocua esercitazione di dietrologia.

Il soffitto
Probabilmente un esperto di esplosioni sarebbe in grado di spiegarmi come mai i soffitti del Radisson erano sfondati mentre le pareti vicine ai luoghi delle esplosioni sono rimaste praticamente intatte, quindi su questo non mi soffermerò più di tanto. Però al dietrologo dilettante verrebbe da dire che c'erano delle bombe sul/nel soffitto, non che si sono fatte saltare in aria delle persone. Ah, dimenticavo: di bombe posizionate nel controsoffitto parlava il primo lancio Reuters (ne parlano Al Jazeera qui, e anche il Daily Star, qui).

La kamikaze mancata
Storia dell'Associated Press: la donna ha detto che lei e il marito indossavano cinture esplosive quando sono entrati nella sala da ballo del Radisson in cui si trovavano centinaia di persone, compresi dei bambini, ospiti di una festa di matrimonio giordano-palestinese. "Mio marito indossava una cintura e ne fece indossare una anche a me. Mi insegnò come usarla, come tirare e farla esplodere," ha detto. "Mio marito fece esplodere la sua bomba. Io cercai di far esplodere la mia cintura, ma non ci riuscii. Me ne andai, c'era gente che scappava e io scappai fuori con loro." Nella versione dell'Associated Press, il vice primo ministro Muasher aggiunge un particolare importante: il marito, vedendo che la donna non riusciva a farsi esplodere, la spinse fuori dalla sala da ballo, e poi si fece saltare in aria.
La stessa storia su Al Jazeera è raccontata così: "Entrammo nell'albergo. Mio marito andò in un angolo e io andai nell'altro. Nell'albergo c'era un matrimonio. C'erano donne e bambini. Mio marito fece esplodere la sua bomba, io cercai di far esplodere la mia, ma non funzionava. La gente scappava e anch'io scappai con loro".
Allora il marito la spinse fuori prima di farsi esplodere o no? E soprattutto, perché avrebbe dovuto farlo?

Parenti serpenti
La donna è stata arrestata la domenica mattina successiva all'attentato in una "casa sicura" che si trova nello stesso quartiere in cui il marito e gli altri avevano affittato un appartamento immobiliato. I servizi giordani si sono basati sul comunicato di rivendicazione dei tre attacchi terroristici firmato dall'Organizzazione di al Qaeda per la Jihad in Giordania, in cui si parlava di una donna tra gli attentatori. Come abbiano fatto a trovare il nascondiglio "sicuro", non si sa. Visto che era, per l'appunto, "sicuro".
Infatti la versione negli ultimi giorni è cambiata ancora una volta: niente più luogo sicuro, la donna si era rifugiata a Salt, chiedendo ospitalità alla famiglia del defunto marito di sua sorella. Il defunto marito della sorella non era uno qualunque, ma Nidal Arabiyat, un alleato di al-Zarqawi che era rimasto ucciso in uno scontro con gli americani in Iraq nel 2003, secondo le fonti ufficiali del governo giordano. E mica solo un alleato: no, addirittura un esperto di esplosivi. Il mondo è piccolo.

Non volevo, uffaQui la storia si fa appassionante, perché al-Zarkawi interpreta il suo solito cameo. Innanzitutto bisogna osservare che le rivendicazioni del fantomatico al-Zarkawi sono sempre precise, tempestive e aggiungono utili dettagli. In questo caso alla rivendicazione è perfino seguita una seconda dichiarazione. O questo signore è un grafomane, o qualcuno stava dando dei ritocchi strategici alla storia. Poi, venerdì scorso è arrivata un'ulteriore precisazione di al-Zarqawi, ovviamente in una registrazione radio diffusa su internet: non voleva colpire i fedeli musulmani intenti a partecipare alle feste nuziali. Da una notizia AGI: "una puntualizzazione che sembra confermare quanto stragi così sanguinose, che hanno provocato nel complesso almeno 58 morti, abbiano messo seriamente in imbarazzo il super-terrorista di origini giordane, luogotenente di Osama bin Laden in Iraq, per lo sdegno che hanno suscitato prima di tutto nello stesso mondo islamico." In imbarazzo.
Insomma, 'sta al Qaeda per la Jihad nella Terra dei Due Fiumi credeva che gli alberghi fossero "covi di agenti dei servizi segreti americani, israeliani e giordani", quando la proprietà del Radisson di Amman è giordano-palestinese. Infatti sono stati fatti fuori i capi dell'intelligence palestinese e alcuni cinesi, oltre ai molti civili giordani, e lasciamo pure perdere l'articolo di Haaretz, poi smentito, secondo cui prima degli attentati alcuni israeliani erano stati fatti uscire dal Radisson dai servizi di sicurezza giordani (nel sito del quotidiano ci sono ancora le due versioni: uno e due). Ma invece no, al Quaeda pensava che lì ci fosse il megaraduno dell'asse del male.

Il soffitto, reloaded
Nella necessità di spiegarsi del "super-terrorista" c'è un altro strano riferimento: "L'idea che si siano fatti esplodere nel mezzo di festeggiamenti per un matrimonio è una bugia del regime giordano... l'obiettivo era un incontro di servizi segreti, solo che a causa dell'esplosione è crollato il soffitto sugli ospiti del ricevimento".
Ci teneva, a spiegare perché fosse crollato il soffitto. E poi uno non deve pensar male.

Due gradi di separazione
Ma se c'è una cosa che mi fa impazzire è che praticamente tutti gli iracheni sembrano essere divisi da non più di due gradi di separazione da al-Zarqawi. In questo caso, Sajida Mubarak Atrous al-Rishawi, la kamikaze mancata, è la sorella del defunto Mubarak Atrous al-Rishawi, già braccio destro (ma non sappiamo quale numero) di al Zarqawi ucciso non si sa quando a Fallujah. E suo cognato - l'esperto di esplosivi, morto anche lui in battaglia - era un altro braccio destro. Naturalmente, in questo modo gli Stati Uniti possono dire che al-Zarqawi è ormai alle corde, perché è costretto a mandare a morire i suoi uomini migliori (e le loro sorelle, e i loro mariti, altri elementi validi dell'organizzazione). Il fatto che quattro iracheni debbano farsi la gita suicida in Giordania non si spiega se non con il fatto che Abu Musab è rimasto senza parenti.

E però
Al-Zarqawi non esiste. Se non esiste, possiamo dire che ha i giorni contati. Può scriversi le letterine con al-Zawahiri. Può telefonarsi con Bin Laden. Può fare dichiarazioni. Può anche essere ripudiato dalla sua famiglia.
Se telefonasse in diretta dalla De Filippi io personalmente mi insospettirei, e anche se improvvisamente cominciasse a dire "voi giornalisti fraintendete tutto quel che dico, uffa", però tutto il resto può reggere ancora per un po'.

Un po' di materiale interessante in:
Xymphora, Another day in the Empire, "Did Al Zarqawi really bomb Amman?", Xiaodong People, Uruknet.

Make up
Il fondotinta adatto a questo post dovrebbe essere molto coprente: diciamo l'Unifiance Lissage Optique, da abbinare alla Poudre Coromandel (che uniforma e scalda). E poi, grande ritorno dell'eyeliner con lo Spectacular nero; per sopracciglia ben definite come quelle di al-Zarqawi, Dual Perfection n. 01. E poi due gocce di Baiser du Dragon.

sabato, novembre 19, 2005

Pelle e capelli scuri

I soldati americani in Iraq hanno ucciso finora ben 13 giornalisti dall'inizio dell'invasione e ne stanno tenendo cinque in arresto senza che siano stati incriminati.
I militari dicono che è loro intenzione prevenire l'uccisione di civili, ma che la natura della guerra costringe i soldati a reagire rapidamente per proteggersi. Quindi l'atteggiamento trigger happy delle truppe sarebbe giustificato (boh, questa mi ricorda qualcosa).
Nell'agosto del 2003 gli americani uccisero Mazen Dana, un noto cameraman palestinese che lavorava per la Reuters e che aveva ottenuto il permesso di fare delle riprese all'esterno della prigione di Abu Ghraib. L'inchiesta militare che ne seguì giunse alla conclusione che il soldato che aveva sparato aveva agito ragionevolmente: aveva infatti visto un uomo "con pelle e capelli scuri" e aveva scambiato la telecamera per un lanciagranate.
Ragionevole.
Un altro problema è costituito dai giornalisti imprigionati, attualmente cinque. Il tenente colonnello Rudisill, addetto alle pubbliche relazioni della forza multinazionale in Iraq, ha spiegato che la coalizione ha l'autorità di tenere in arresto chiunque sia sospettato di costituire una minaccia per la sicurezza, e che i detenuti non hanno diritto a un avvocato finché non vengono incriminati: cosa che può richiedere dei mesi e anche non verificarsi mai. Quindi, se vieni arrestato e non incriminato non hai diritto a un avvocato. Questi si prendono da 90 a 120 giorni per decidere se incriminarti o meno. Tre-quattro mesi ad Abu Ghraib sono assicurati, in ogni caso. Poi al limite ti rilasciano perché non sei colpevole. Che metodo.
Ali Mashhadani è stato arrestato in agosto: durante una perquisizione le truppe americane hanno trovato nella sua videocamera del materiale sugli insorti. È finito ad Abu Ghraib senza neanche sapere perché, niente avvocati e niente visite. Samir Mohammed Noor, arrestato in circostanze simili dai soldati iracheni, è stato portato ad Abu Ghraib dentro una coperta, per come lo avevano conciato. Se c'è qualcosa che l'esercito iracheno impara in fretta, sono le cattive lezioni.

Fonte: "Journalists' perils in Iraq highlighted", The Boston Globe.

venerdì, novembre 18, 2005

Overheard in Friuli

– Come va?
– Male, male. Di giorno ho sempre sonno, mi addormento in piedi. Poi verso il tardo pomeriggio mi sveglio e la notte ho l'insonnia.
– Ma da quanto tempo soffri di questi disturbi?
– Da sempre! Ho finito a fatica le scuole medie. Per fortuna alle superiori tutto bene, il massimo dei voti.
– Ah, allora stavi meglio.
– No. Ho fatto le serali.

Comunicazione di servizio

La mia anima complottista stava già sospettando che la Tin volesse dirottarmi su Alice a colpi di disservizi, ma a quanto pare oggi sono ferme tutte le ADSL Telecom del Friuli Venezia Giulia. (mi consola? un po'). Questo significa che per spedire dei file ho dovuto connettermi a 56k. Questo significa che la mia velocità di reazione - e di risposta alle mail - sarà direttamente proporzionale a quella del modem.
In compenso, spero che anche la funzione Autotrolling® sia disabilitata.

mercoledì, novembre 16, 2005

Come Mogadiscio

Sciiti torturano sunniti: in una prigione segreta, al Ministero degli Interni iracheno, sono stati scoperti 173 prigionieri accusati di "terrorismo" e rapimenti. Al solito: botte, fame, elettricità, buio e paura.
Baghdad "sta diventando sempre più simile a Mogadiscio, ogni giorno che passa", ha commentato un ufficiale americano.
Anche questa ci mancava.
Non è bella, la democrazia?

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Make-up: per un trucco notturno, un tratto di Pure Color Eyeliner nella tonalità pervinca, sulle ciglia un tocco di mascara Magnascopic blu scuro, fondotinta Individualist matte beige n° 6.

Gli exit poll

Considerazioni varie:
1. in effetti la (c) doveva essere "ti tocchi", ma è stata sostituita con il fondotinta coprente nell'esigenza di mantenere il blog entro limiti pudibondi (vi conosco, mascherine, e c'era il rischio che mi sbracaste subito, procurandomi la bandierina nera di objectionable content. Ecco, già che ci siamo, non pasticciate mai con l'angolo in alto a destra di blogger: e non faccio nomi).
2. però scusate, possibile che dobbiamo farci sputtanare subito? C'è stata una finta doppia delega, tra un po' diranno che abbiamo falsificato il sondaggio e che siamo i soliti comunisti.
3. mi sembra di capire che un po' di dietrologia si può fare, nei limiti, abbinandola a consigli di bellezza. Quando parlerò di mascara allungaciglia Bodansky non andate a chiederlo in profumeria.
4. non volevo far saltare la copertura del signorG - smaliziato agente operativo nordcoreano - come se fosse un Valerie Plame qualunque; a questo punto mi trovo costretta a dichiarare aperto il G-gate.
5. grazie per non aver mai preso in considerazione l'ipotesi (a).

I risultati:
due traslochi, tre fondotinta, un qualsiasi cosa tranne il trasloco, un ok per tutto, un'opzione omega, quattro cinque dietrologie, un dubbio sul fondotinta di puffetta e una roba da chiarire sul bambino kinder candidato manciuriano.

martedì, novembre 15, 2005

I leoni di Uday

Due iracheni arrestati nel loro paese dalle forze di occupazione americane ma mai accusati di alcun crimine hanno denunciato il trattamento subito.
In particolare, i soldati americani:
– hanno finto di volerli giustiziare, mettendoli al muro e puntando loro addosso i fucili. (ce l'ho)
– li hanno umiliati durante gli interrogatori in varie strutture di detenzione. (ce l'ho)
– li hanno messi in una gabbia di leoni. (leoni? mi manca)

Sherzad Khalid, 35 anni, e Thahe Sabar, 37, dicono di essere stati picchiati brutalmente durante i vari mesi di prigionia trascorsi in posti come Camp Bucca, Abu Ghraib e un'altra struttura di detenzione che si trova all'aeroporto di Baghdad. Le torture hanno avuto luogo perché i due non erano in grado di dire dove si nascondesse Saddam Hussein e di parlare delle armi di distruzione di massa in Iraq. Quando a Sabar fu chiesto delle armi di distruzione di massa e del nascondiglio di Saddam, lui ovviamente si mise a ridere; ovviamente lo picchiarono più forte.
Entrambi uomini d'affari, erano stati arrestati il 17 luglio 2003. Entrambi erano favorevoli all'invasione degli Stati Uniti.
"Per me quello è stato un periodo tremendo," ha detto Khalid, raccontando che fu spinto per ben tre volte dentro una gabbia di leoni in uno dei palazzi presidenziali di Baghdad, prima di finire contro il muro per una finta esecuzione. "Mi chiedevo se l'esercito americano potesse davvero comportarsi in questo modo."
Adesso fanno causa a Rumsfeld e agli alti comandi militari in Iraq.

Fonte: "Abuse Included Use of Lions, Iraqis Allege", Washington Post.

Altre informazioni sul sito dell'American Civil Liberties Union:
Thahe Mohammed Sabar, sposato con quattro figli, è stato in carcere per circa sei mesi e sottoposto a torture e a trattamento crudele e degradante. Adesso ha un problemi nervosi e ci sono momenti in cui perde il controllo, trema e piange.
È stato frequentemente e brutalmente percosso con fucili e armi elettriche. È stato legato a una recinzione e lasciato molte ore a una temperatura di oltre 48° C.
Durante una delle finte fucilazioni, lui ed altri prigionieri hanno perso il controllo della vescica, e sono stati derisi e umiliati. I soldati li hanno minacciati di spedirli a Guantánamo, dove sarebbero morti. Poi: gabbia di leoni, privazione del cibo e dell'acqua, somministrazione di razioni di cibo marcio, divieto di andare in bagno.
Quando l'hanno rilasciato, Sabar è tornato ad Abu Ghraib perché gli restituissero i suoi effetti personali e per chiedere notizie di un amico e di un socio che erano ancora prigionieri. L'hanno rinchiuso di nuovo. Poi l'hanno lasciato andare, senza restituirgli nulla.

Sherzad Kamal Khalid è sposato con quattro figli. Ha fatto due mesi di prigionia. È stato sottoposto a violente percosse e altri crudeli abusi. Il personale militare statunitense gli infliggeva regolarmente e intenzionalmente abusi fisici. Lo hanno preso a calci e pugni per ore dopo averlo legato e incappucciato, terrorizzandolo e ferendolo con colpi a caso e inaspettati.
Poi, minacce di morte e finte esecuzioni. Privazione di sonno, cibo e acqua. Somministrazione di cibo guasto. Divieto di andare in bagno. A un certo punto è stato costretto a restare per alcuni giorni in una "tenda del silenzio", dove veniva picchiato quando dava segno di addormentarsi.
A più di un anno dal rilascio, soffre ancora di ulcere gastriche per una malattia non curata durante la prigionia. Soffre anche di una depressione grave e di incubi.

Khalid e Saber continuano a non saper nulla di armi di distruzioni di massa o di dove cavolo si nascondesse il Saddam.
In compenso adesso sanno dove Uday teneva i grandi felini.