Avevo raccolto un po' di materiale su Marwan Barghouti poco più di un anno fa, in due post: questo e questo.
Questa è la traduzione della trascrizione completa dell'intervista esclusiva di Lindsey Hilsum a Barghouti per Channel 4 News del 22 gennaio 2006.
Marwan Barghouti: Gli israeliani sono riusciti ad arrestare il mio corpo, ma non la mia testa, non la mia anima. Non ci riusciranno. Non spezzeranno la nostra volontà di indipendenza e di libertà.
Sono rimasto in isolamento per la maggior parte del tempo. Non ho visto nessuno, non ho ricevuto le visite dei miei figli, di mia moglie, né di nessun altro.
Le è la prima giornalista, insieme agli altri che sto vedendo ora. Oggi è il primo giorno della mia vita in prigione in cui incontro qualcuno, dopo quattro anni.
Penso che Hamas faccia parte del popolo palestinese e che abbia il diritto di partecipare alle elezioni, e io personalmente in questi anni e anche l'anno scorso ho cercato di convincerli e di fare pressioni perché partecipassero alle elezioni.
Quindi ben venga questa decisione storica di Hamas, perché che cosa significa decidere di partecipare alle elezioni? Significa che credono nella democrazia, che sono pronti a lavorare secondo le regole della legge e della democrazia, e questo è molto importante.
Lindsey Hilsum: Quindi è la fine della lotta armata, è chiusa l'epoca delle bombe e dei fucili?
MB: Il popolo palestinese, questo dovrebbe essere chiaro, ha comunque il pieno diritto di resistere alle operazioni militari israeliane nei territori occupati.
Pensa forse che gli israeliani avrebbero lasciato Gaza se non ci fosse stata l'intifada, la resistenza? No. Sono rimasti 38 anni. Perché se ne vanno da Gaza? Io penso che sia un grande risultato dell'intifada.
Ma i palestinesi dovrebbero dare una possibilità a ogni genere di tentativo, internazionale e locale, e così faremo.
Mi creda, gli israeliani considerano un terrorista chiunque si opponga all'occupazione. Non è così.
Non credo che gli israeliani siano nella posizione e nella condizione di descrivere le persone, e credo che siano gli ultimi al mondo a poter parlare di terrorismo.
LH: Ma hanno prove specifiche. L'hanno portata davanti a un tribunale, avevano persone che a loro dire erano state assassinate. Hanno dimostrato il suo coinvolgimento, i documenti che dimostravano che lei pagava delle persone perché mettessero in atto attentati suicidi.
MB: Assolutamente no. E io non tratto con il tribunale israeliano. Non riconosco il diritto di Israele a condannare un capo palestinese, un membro palestinese del parlamento.
Gli israeliani non hanno rispettato la democrazia. Sanno benissimo che io non ho diretto attacchi militari qua e là. È la verità. Sono molto esplicito sul fatto che sostengo l'intifada palestinese e la resistenza palestinese.
Io le parlo mentre mi trovo in carcere, non mentre sono fuori. E, anche così, continuo a dirlo.
LH: Dunque cosa pensa adesso degli attentati suicidi che continuano a verificarsi? Ce n'è stato uno giorni fa a Tel Aviv…
MB: Siamo contrari.
LH: Sì, ma cosa pensa dei palestinesi che lo fanno?
MB: Penso che gli israeliani non aiutino i palestinesi a raggiungere una soluzione nelle loro discussioni interne. Più di una volta i palestinesi sono stati vicini a una decisione al proposito. Ma durante l'intifada gli israeliani hanno ucciso 800 bambini palestinesi.
LH: E questo giustifica l'uccisione di bambini israeliani da parte dei palestinesi?
MB: No. In ogni caso nessuno può giustificare l'uccisione di civili – bambini, donne, in qualunque luogo del mondo. Dovrebbero essere tenuti fuori. Questo dev'essere chiaro. In Palestina e in Israele.
Abbiamo bisogno di due capi che siano pronti a prendere decisioni, decisioni critiche, e a correre rischi, dal lato palestinese e da quello israeliano.
E io credo che il mio popolo sia pronto alla pace con il popolo di Israele. Dovremmo agire secondo le categorie democratiche riconosciute in tutto il mondo. Dovemmo costruire uno Stato democratico, e io penso che il popolo palestinese sia perfettamente qualificato a farlo.
LH: Ma a Gaza stanno combinando un disastro. Guardi Gaza, persone che si sparano tra loro, che rapiscono stranieri, è il caos.
MB: Penso che sia un grave crimine rapire un giornalista o uno straniero. Ho mandato un messaggio attraverso i mezzi di informazione alle persone che conosco là e spero che non lo rifaranno.
MB: [A proposito della partecipazione delle donne alla lotta] Hanno assunto un ruolo importante nella lotta contro l'occupazione e spero che nel futuro vedremo un primo ministro palestinese donna.
LH: Pensa che trascorrerà il resto della sua vita in prigione? Cinque ergastoli...
MB: No. Assolutamente no. Sarò libero insieme a tutti questi altri detenuti. Gli israeliani non possono tenerci tutti e diecimila in carcere. E alla fine scopriranno… sa quello che è successo in Sudafrica? Alla fine sono andati da Mandela e hanno negoziato. E cos'è successo, anche in Irlanda?
LH: In Irlanda? Si sono parlati.
MB: Alla fine si sono parlati. E hanno rilasciato tutti i prigionieri. Il governo britannico li considerava dei terroristi. Io penso che noi siamo combattenti per la libertà. Nel futuro, mi vedo come un cittadino palestinese che esercita il proprio diritto in uno Stato democratico palestinese. Questo è il mio sogno.
Originale in inglese: http://www.channel4.com
Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.
mercoledì, gennaio 25, 2006
lunedì, gennaio 23, 2006
Operazione Verdun
Una città trasformata in prigione
di Dahr Jamail
(con Arkan Hamed)
SINIYAH, Iraq – Gli abitanti di Siniyah, un villaggio a 200 km a nord di Baghdad, sono infuriati per il muro di sabbia lungo una decina chilometri costruito dall’esercito americano per tenere sotto controllo gli attacchi da parte dei ribelli.
“La nostra città è diventata un campo di battaglia,” ha detto all’Inter Press Service l’ingegnere trentacinquenne Fuad Al-Mohandis, fermo a un posto di blocco alla periferia della città. "Sono state distrutte moltissime case e gli americani stanno minando aree in cui pensano che possano trovarsi dei combattenti, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di zone vicine ad abitazioni di civili innocenti."
I soldati della 101ma Divisione aviotrasportata hanno subito attacchi pressoché quotidiani per mezzo di bombe sistemate ai bordi delle strade.
Fuad ha detto l’esercito americano ha imposto un coprifuoco dalle cinque del pomeriggio e che “al momento ci sono molte esplosioni che terrorizzano i nostri bambini.”
Il 7 gennaio l’esercito statunitense ha cominciato a usare le ruspe per costruire un’ampia barriera di sabbia attorno alla città nel tentativo di isolare i combattenti che attaccano le pattuglie americane. Gli oleodotti verso la Turchia che si trovano in quest’area sono stati regolarmente sabotati dai gruppi della resistenza.
Queste misure drastiche hanno fatto infuriare molti dei 3000 abitanti della cittadina.
“Pensano che in questo modo riusciranno a fermare la resistenza," ha dichiarato all’IPS Amer, 43 anni, dipendente della vicina raffineria di Beji. “Ma gli americani così facendo stanno provocando una resistenza ancora maggiore. La resistenza non smetterà di attaccarli finché non si ritireranno dal nostro paese.”
Il dipendente ha detto che non era stato in grado di uscire di casa per diversi giorni, e che non aveva potuto recarsi al lavoro né a visitare i suoi familiari fuori Siniyah.
L’esercito statunitense ha battezzato la costruzione del muro di sabbia “Operazione Verdun”, richiamandosi a una battaglia della prima guerra mondiale. Le forze d’occupazione pensano che la città sia diventata la base dalla quale vengono lanciati gli attacchi alle loro pattuglie e i bombardamenti a colpi di mortaio contro la vicina Base di Summerall.
Vicino alla città sono stati installati dei posti blocco, dove le forze di sicurezza irachene e statunitensi perquisiscono tutti i veicoli alla ricerca di armi e di esplosivi.
“Non siamo più in grado di lavorare, i nostri redditi dipendono dalla distribuzione del carburante,” ha detto alla IPS il camionista Abdul Qadr a uno dei posti di blocco. “Ci troviamo in una situazione molto difficile. La città è attualmente isolata e ovunque stanno costruendo barricate per fermare i combattenti. Tutti i giorni fanno incursione nelle nostre case alla ricerca di stranieri, ma non riescono a trovarne.”
Abdul Qadr, che è cresciuto a Siniyah, ha detto all’IPS che lui e i suoi vicini hanno l’impressione di trovarsi in un “campo di concentramento.” Così anche gli abitanti di Fallujah e Samarra hanno descritto le loro città quando le forze statunitensi vi hanno costruito attorno dei muri simili a questo.
A Samarra l’esercito americano ha costruito un muro di 18 chilometri, mentre a Fallujah sono tuttora installati posti di blocco all’israeliana. Le forze d’occupazione hanno imposto misure simili anche in altre città come Al-Qa'im, Haditha, Ramadi, Balad, and Abu Hishma.
Da quando tali misure sono state messe in atto nelle diverse città, gli attacchi contro le forze di sicurezza non hanno fatto che aumentare, fino a giungere a una media di più di cento al giorno negli ultimi mesi.
“Gli americani pensano che i combattenti vengano dall’estero,” ha commentato Qadr. “Ma non è così. Non riescono a capire che la sola vera soluzione è permettere a un popolo di governarsi da solo?”
(Inter Press Service)
Fonte in inglese: http://www.antiwar.com/jamail/?articleid=8424
Traduzione in francese: http://quibla.net/iraq2006/iraq1.htm
Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com ). Questa traduzione è in Copyleft.
di Dahr Jamail
(con Arkan Hamed)
SINIYAH, Iraq – Gli abitanti di Siniyah, un villaggio a 200 km a nord di Baghdad, sono infuriati per il muro di sabbia lungo una decina chilometri costruito dall’esercito americano per tenere sotto controllo gli attacchi da parte dei ribelli.
“La nostra città è diventata un campo di battaglia,” ha detto all’Inter Press Service l’ingegnere trentacinquenne Fuad Al-Mohandis, fermo a un posto di blocco alla periferia della città. "Sono state distrutte moltissime case e gli americani stanno minando aree in cui pensano che possano trovarsi dei combattenti, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di zone vicine ad abitazioni di civili innocenti."
I soldati della 101ma Divisione aviotrasportata hanno subito attacchi pressoché quotidiani per mezzo di bombe sistemate ai bordi delle strade.
Fuad ha detto l’esercito americano ha imposto un coprifuoco dalle cinque del pomeriggio e che “al momento ci sono molte esplosioni che terrorizzano i nostri bambini.”
Il 7 gennaio l’esercito statunitense ha cominciato a usare le ruspe per costruire un’ampia barriera di sabbia attorno alla città nel tentativo di isolare i combattenti che attaccano le pattuglie americane. Gli oleodotti verso la Turchia che si trovano in quest’area sono stati regolarmente sabotati dai gruppi della resistenza.
Queste misure drastiche hanno fatto infuriare molti dei 3000 abitanti della cittadina.
“Pensano che in questo modo riusciranno a fermare la resistenza," ha dichiarato all’IPS Amer, 43 anni, dipendente della vicina raffineria di Beji. “Ma gli americani così facendo stanno provocando una resistenza ancora maggiore. La resistenza non smetterà di attaccarli finché non si ritireranno dal nostro paese.”
Il dipendente ha detto che non era stato in grado di uscire di casa per diversi giorni, e che non aveva potuto recarsi al lavoro né a visitare i suoi familiari fuori Siniyah.
L’esercito statunitense ha battezzato la costruzione del muro di sabbia “Operazione Verdun”, richiamandosi a una battaglia della prima guerra mondiale. Le forze d’occupazione pensano che la città sia diventata la base dalla quale vengono lanciati gli attacchi alle loro pattuglie e i bombardamenti a colpi di mortaio contro la vicina Base di Summerall.
Vicino alla città sono stati installati dei posti blocco, dove le forze di sicurezza irachene e statunitensi perquisiscono tutti i veicoli alla ricerca di armi e di esplosivi.
“Non siamo più in grado di lavorare, i nostri redditi dipendono dalla distribuzione del carburante,” ha detto alla IPS il camionista Abdul Qadr a uno dei posti di blocco. “Ci troviamo in una situazione molto difficile. La città è attualmente isolata e ovunque stanno costruendo barricate per fermare i combattenti. Tutti i giorni fanno incursione nelle nostre case alla ricerca di stranieri, ma non riescono a trovarne.”
Abdul Qadr, che è cresciuto a Siniyah, ha detto all’IPS che lui e i suoi vicini hanno l’impressione di trovarsi in un “campo di concentramento.” Così anche gli abitanti di Fallujah e Samarra hanno descritto le loro città quando le forze statunitensi vi hanno costruito attorno dei muri simili a questo.
A Samarra l’esercito americano ha costruito un muro di 18 chilometri, mentre a Fallujah sono tuttora installati posti di blocco all’israeliana. Le forze d’occupazione hanno imposto misure simili anche in altre città come Al-Qa'im, Haditha, Ramadi, Balad, and Abu Hishma.
Da quando tali misure sono state messe in atto nelle diverse città, gli attacchi contro le forze di sicurezza non hanno fatto che aumentare, fino a giungere a una media di più di cento al giorno negli ultimi mesi.
“Gli americani pensano che i combattenti vengano dall’estero,” ha commentato Qadr. “Ma non è così. Non riescono a capire che la sola vera soluzione è permettere a un popolo di governarsi da solo?”
(Inter Press Service)
Fonte in inglese: http://www.antiwar.com/jamail/?articleid=8424
Traduzione in francese: http://quibla.net/iraq2006/iraq1.htm
Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com ). Questa traduzione è in Copyleft.
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sabato, gennaio 21, 2006
Non sono gli ulivi, di Amira Hass
11 gennaio 2006
C’è qualcosa di molto umano in queste centinaia e centinaia di ulivi spezzati, i rami amputati tesi verso il cielo come se stessero implorando aiuto. Lo scorso venerdì, a Tawana, nelle colline a sud di Hebron, 120 alberi; a Burin, a sud di Nablus, agli inizi di questa settimana, circa 50 alberi; più o meno altri 100 a Burin il 24 dicembre; e 140 alberi, nuovamente a Burin, il 14 dicembre.
La polizia ha contato 733 alberi sradicati nel 2005. Secondo la lista (incompleta) di 29 casi di sabotaggio agricolo documentati dai gruppi per la difesa dei diritti umani Yesh Din e B'Tselem da marzo a dicembre, sono stati messi fuori uso 2616 alberi: sradicati, rubati, bruciati, spaccati, segati. Solo a Salem in quattro volte ne sono stati sradicati 900. Anche ammettendo che chi ha calcolato i danni abbia esagerato, entrambe le parti concordano sul fatto che gli israeliani stanno compromettendo i vigneti e le piantagioni.
Il moltiplicarsi negli ultimi mesi di immagini di alberi distrutti “da ignoti” è stato abbastanza traumatizzante da indurre il procuratore generale ad attaccare l’immobilismo delle autorità, e il ministro Gideon Ezra a convocare un incontro durante il quale si è deciso di mettere in atto misure di controllo “sugli insediamenti riconosciuti come problematici.”
Il trauma, tuttavia, è selettivo. L’Esercito di Difesa Israeliano ha sradicato migliaia di ulivi e di alberi da frutto, terre coltivate e serre, e continua a farlo – per rendere sicure le proprie strade e per aumentare la visibilità dei soldati; per costruire torri di guardia, posti di blocco e la barriera di separazione; e inoltre per realizzare altre strade e recintare gli insediamenti.
Nel solo villaggio di Qafeen, per esempio, per realizzare la barriera di separazione sono stati sradicati 12.600 ulivi. Migliaia di altri alberi – forse decine di migliaia – e migliaia di acri della Cisgiordania sono rimasti intrappolati dietro i muri, le recinzioni e le zone cuscinetto che circondano gli insediamenti. Solo a Qafeen 100.000 alberi sono imprigionati dietro la recinzione e per la maggior parte dell’anno ai loro proprietari è vietato accedervi. Non possono fare altro che guardarli da lontano e lasciarli in uno stato di completo abbandono. Naturalmente come spiegazione viene citata la “sicurezza”, ma per qualche motivo la sicurezza finisce sempre per causare un’ulteriore efficace sottrazione di territorio palestinese a beneficio dell’insediamento confinante, oppure per ampliare o rendere più confusa la Linea Verde e l’annessione del territorio a Israele.
Le persone che restano impressionate da questi episodi ignorano che le piantagioni di Salem e Tawana sono prossime a strade che sono chiuse al traffico palestinese perché collegano degli insediamenti. È l’Esercito di Difesa Israeliano a chiudere e a bloccare le strade e le centinaia di chilometri di ottimo asfalto della Cisgiordania precluse al traffico palestinese.
Lo sradicamento di 100 alberi sabota la capacità di un’intera famiglia di provvedere al proprio mantenimento. La chiusura delle strade sabota la vitalità economica dell’intero popolo palestinese. L’Esercito di Difesa Israeliano naturalmente dirà che è necessario proteggere i cittadini israeliani. Ma allora perché tutti si sorprendono e si indignano quando quegli stessi cittadini continuano ad estendere la logica del controllo israeliano sui territori occupati?
Secondo quella logica, Israele ha il diritto di istituire un doppio principio legale nei territori occupati: uno per gli ebrei, e un altro per i palestinesi. Se da un lato gli ebrei godono di diritti illimitati per quanto riguarda le abitazioni, la libertà di movimento, i mezzi di sostentamento, le infrastrutture, l’utilizzo dell’acqua e della terra, dall’altro i palestinesi vengono sistematicamente privati dei diritti umani e civili. Secondo quella logica i palestinesi sono costretti a cavarsela con porzioni di terra sempre più piccole di cui devono dimostrare di essere i legittimi proprietari. Le porzioni di terra più ampie, la cui proprietà non è registrata presso l’Amministrazione del Territorio di Israele, appartiene automaticamente a “Israele” e ai consigli dei coloni.
I coloni non dettano le politiche, ne sono il risultato. Vivono tutti in pace e senza scrupoli di coscienza alla faccia di centinaia di comunità impoverite ed efficacemente trasformate in prigioni per permettere all’Esercito di Difesa Israeliano di continuare a proteggere ciò che lo stato d’Israele ha intrapreso: il controllo della maggior parte possibile di territorio, l’espulsione del maggior numero possibile di palestinesi. Una minoranza di israeliani non aspetta che a distruggere siano l’Esercito di Difesa e lo stato; distrugge già da sé. È facile lasciarsi impressionare da una minoranza e dimenticare la responsabilità di tutti.
Fonte in inglese: http://www.haaretz.com/hasen/spages/668697.html
Tradotto dall'inglese all’italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.
C’è qualcosa di molto umano in queste centinaia e centinaia di ulivi spezzati, i rami amputati tesi verso il cielo come se stessero implorando aiuto. Lo scorso venerdì, a Tawana, nelle colline a sud di Hebron, 120 alberi; a Burin, a sud di Nablus, agli inizi di questa settimana, circa 50 alberi; più o meno altri 100 a Burin il 24 dicembre; e 140 alberi, nuovamente a Burin, il 14 dicembre.
La polizia ha contato 733 alberi sradicati nel 2005. Secondo la lista (incompleta) di 29 casi di sabotaggio agricolo documentati dai gruppi per la difesa dei diritti umani Yesh Din e B'Tselem da marzo a dicembre, sono stati messi fuori uso 2616 alberi: sradicati, rubati, bruciati, spaccati, segati. Solo a Salem in quattro volte ne sono stati sradicati 900. Anche ammettendo che chi ha calcolato i danni abbia esagerato, entrambe le parti concordano sul fatto che gli israeliani stanno compromettendo i vigneti e le piantagioni.
Il moltiplicarsi negli ultimi mesi di immagini di alberi distrutti “da ignoti” è stato abbastanza traumatizzante da indurre il procuratore generale ad attaccare l’immobilismo delle autorità, e il ministro Gideon Ezra a convocare un incontro durante il quale si è deciso di mettere in atto misure di controllo “sugli insediamenti riconosciuti come problematici.”
Il trauma, tuttavia, è selettivo. L’Esercito di Difesa Israeliano ha sradicato migliaia di ulivi e di alberi da frutto, terre coltivate e serre, e continua a farlo – per rendere sicure le proprie strade e per aumentare la visibilità dei soldati; per costruire torri di guardia, posti di blocco e la barriera di separazione; e inoltre per realizzare altre strade e recintare gli insediamenti.
Nel solo villaggio di Qafeen, per esempio, per realizzare la barriera di separazione sono stati sradicati 12.600 ulivi. Migliaia di altri alberi – forse decine di migliaia – e migliaia di acri della Cisgiordania sono rimasti intrappolati dietro i muri, le recinzioni e le zone cuscinetto che circondano gli insediamenti. Solo a Qafeen 100.000 alberi sono imprigionati dietro la recinzione e per la maggior parte dell’anno ai loro proprietari è vietato accedervi. Non possono fare altro che guardarli da lontano e lasciarli in uno stato di completo abbandono. Naturalmente come spiegazione viene citata la “sicurezza”, ma per qualche motivo la sicurezza finisce sempre per causare un’ulteriore efficace sottrazione di territorio palestinese a beneficio dell’insediamento confinante, oppure per ampliare o rendere più confusa la Linea Verde e l’annessione del territorio a Israele.
Le persone che restano impressionate da questi episodi ignorano che le piantagioni di Salem e Tawana sono prossime a strade che sono chiuse al traffico palestinese perché collegano degli insediamenti. È l’Esercito di Difesa Israeliano a chiudere e a bloccare le strade e le centinaia di chilometri di ottimo asfalto della Cisgiordania precluse al traffico palestinese.
Lo sradicamento di 100 alberi sabota la capacità di un’intera famiglia di provvedere al proprio mantenimento. La chiusura delle strade sabota la vitalità economica dell’intero popolo palestinese. L’Esercito di Difesa Israeliano naturalmente dirà che è necessario proteggere i cittadini israeliani. Ma allora perché tutti si sorprendono e si indignano quando quegli stessi cittadini continuano ad estendere la logica del controllo israeliano sui territori occupati?
Secondo quella logica, Israele ha il diritto di istituire un doppio principio legale nei territori occupati: uno per gli ebrei, e un altro per i palestinesi. Se da un lato gli ebrei godono di diritti illimitati per quanto riguarda le abitazioni, la libertà di movimento, i mezzi di sostentamento, le infrastrutture, l’utilizzo dell’acqua e della terra, dall’altro i palestinesi vengono sistematicamente privati dei diritti umani e civili. Secondo quella logica i palestinesi sono costretti a cavarsela con porzioni di terra sempre più piccole di cui devono dimostrare di essere i legittimi proprietari. Le porzioni di terra più ampie, la cui proprietà non è registrata presso l’Amministrazione del Territorio di Israele, appartiene automaticamente a “Israele” e ai consigli dei coloni.
I coloni non dettano le politiche, ne sono il risultato. Vivono tutti in pace e senza scrupoli di coscienza alla faccia di centinaia di comunità impoverite ed efficacemente trasformate in prigioni per permettere all’Esercito di Difesa Israeliano di continuare a proteggere ciò che lo stato d’Israele ha intrapreso: il controllo della maggior parte possibile di territorio, l’espulsione del maggior numero possibile di palestinesi. Una minoranza di israeliani non aspetta che a distruggere siano l’Esercito di Difesa e lo stato; distrugge già da sé. È facile lasciarsi impressionare da una minoranza e dimenticare la responsabilità di tutti.
Fonte in inglese: http://www.haaretz.com/hasen/spages/668697.html
Tradotto dall'inglese all’italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.
venerdì, gennaio 20, 2006
Pobeda!
Compagne, compagni,
siamo liete di annunciare che - dopo i molteplici tentativi di sabotaggio del nemico capitalista e grazie all'opera instancabile del delegato esperto in nuove tecnologie - da ieri sera disponiamo di un'adsl 4 mega. Nella foto, la compagna Mirumir, con un gruppo di amiche vestite a festa, attende gioiosamente il trionfale arrivo della portante dalla nuovissima centrale di Irkutsk.
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lunedì, gennaio 16, 2006
Quelle cinque strane abitudini
(F. lo sapeva, che poteva contare sui miei jackpot nevrotici)
Le mie cinque manie (mi sono costretta a una selezione).
- Tenere uno stick di burrocacao in ogni borsa e/o tasca. Metti che la temperatura crolli di colpo e finisca a venti sotto zero, metti che ci ritroviamo all'improvviso con un clima sahariano o alle prese con un fallout nucleare: possiamo correre il rischio che ci si secchino le labbra?
- Non buttare mai i talloncini delle carte d'imbarco, i biglietti d'ingresso a mostre e cinema, gli abbonamenti scaduti. Per poi tirar fuori dall'armadio la giacca di pelle, frugare nelle tasche, trovare il biglietto di ingresso ai Jardins de Bagatelle e sorridere, un istante prima di chiedermi: "che cavolo ci facevo a ferragosto con la giacca di pelle?"
- Coprirmi le orecchie con il lenzuolo prima di dormire.
- Guardare un film doppiato in italiano e cercare di ricostruire l'originale dal labiale (ecco perché sembro sempre così attenta). Il fatto che la lingua originale mi sia ignota non rappresenta un problema.
- Nelle circostanze meno adatte, attaccare con domande tipo: "Ti sei mai chiesto come si mettono e si tolgono i sigilli in un impianto nucleare?" e procedere con la spiegazione. Se possibile, proseguire con insostenibili dietrologie che mettono in imbarazzo l'interlocutore.
Come allegra infrazione finale ho deciso di non passare a nessuno questo meme: liberi tutti (sesta mania: fare l'anello debole). Per documentare strane abitudini anche non necessariamente nel numero di cinque, accomodiamoci nei commenti.
Le mie cinque manie (mi sono costretta a una selezione).
- Tenere uno stick di burrocacao in ogni borsa e/o tasca. Metti che la temperatura crolli di colpo e finisca a venti sotto zero, metti che ci ritroviamo all'improvviso con un clima sahariano o alle prese con un fallout nucleare: possiamo correre il rischio che ci si secchino le labbra?
- Non buttare mai i talloncini delle carte d'imbarco, i biglietti d'ingresso a mostre e cinema, gli abbonamenti scaduti. Per poi tirar fuori dall'armadio la giacca di pelle, frugare nelle tasche, trovare il biglietto di ingresso ai Jardins de Bagatelle e sorridere, un istante prima di chiedermi: "che cavolo ci facevo a ferragosto con la giacca di pelle?"
- Coprirmi le orecchie con il lenzuolo prima di dormire.
- Guardare un film doppiato in italiano e cercare di ricostruire l'originale dal labiale (ecco perché sembro sempre così attenta). Il fatto che la lingua originale mi sia ignota non rappresenta un problema.
- Nelle circostanze meno adatte, attaccare con domande tipo: "Ti sei mai chiesto come si mettono e si tolgono i sigilli in un impianto nucleare?" e procedere con la spiegazione. Se possibile, proseguire con insostenibili dietrologie che mettono in imbarazzo l'interlocutore.
Come allegra infrazione finale ho deciso di non passare a nessuno questo meme: liberi tutti (sesta mania: fare l'anello debole). Per documentare strane abitudini anche non necessariamente nel numero di cinque, accomodiamoci nei commenti.
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domenica, gennaio 15, 2006
Da domani
Da domani i documenti lunghi e le traduzioni in italiano saranno per lo più pubblicati su mirumir 2.0 / documenti. Qui ne posterò soprattutto degli estratti e delle anticipazioni - i trailer, va' - lasciando il resto dello spazio a testi relativamente più brevi, agli esercizi di dietrologia+fondotinta e alle aste di indesiderabili memorabilia. Segnatevi il feed atom, annotatevi l'indirizzo, ché insomma da domani interrogo pescando a caso dalla lista.
Meno entusiasmo, mi raccomando.
Si apre il sondaggio:
a) hmm, non funzionerà;
b) funzionerà, ma è troppo presto;
c) fantastico: adoro i piani quinquennali;
d) interroghi su tutto o solo sugli argomenti più recenti?
e) è ancora possibile avere la madonnina placcata oro zecchino su base di legno?
martedì, gennaio 10, 2006
La compagna Mirumir
Riceviamo dal subcomandante Babsi la seguente foto con didascalia:
La compagna Mirumir si adopera, in compagnia di un delegato di partito, a capire cosa c'è che non va nella linea telefonica.
(Vi prego di notare la mia espressione piena di grato stupore per le meraviglie della tecnologia socialista; sono circondata dagli opulenti rivestimenti in legno di betulla baltica e da ritratti di ex-fidanzati, celebri leader rivoluzionari fotografati proprio all'apice della carriera politica e un istante prima della defenestrazione. Nel lindore del mio vestito da campagna a vita alta e nel trucco sapientemente nature, ringrazio mentalmente il Partito Unico per avermi mandato a casa un giovanotto serio, competente e anche un po' fricchettone e sto meditando se togliermi fazzoletto e bigodini e offrirgli un rinfrescante bicchiere di kvas. "Mi scusi, quella che tiene in mano è la portante?" "Si, signora, ehm, signorina... parte da qui e corre per tutta la steppa per agganciarsi alla centrale d'epoca Romanov" "Ma lei ne sa una più di Stalin!")
La compagna Mirumir si adopera, in compagnia di un delegato di partito, a capire cosa c'è che non va nella linea telefonica.
(Vi prego di notare la mia espressione piena di grato stupore per le meraviglie della tecnologia socialista; sono circondata dagli opulenti rivestimenti in legno di betulla baltica e da ritratti di ex-fidanzati, celebri leader rivoluzionari fotografati proprio all'apice della carriera politica e un istante prima della defenestrazione. Nel lindore del mio vestito da campagna a vita alta e nel trucco sapientemente nature, ringrazio mentalmente il Partito Unico per avermi mandato a casa un giovanotto serio, competente e anche un po' fricchettone e sto meditando se togliermi fazzoletto e bigodini e offrirgli un rinfrescante bicchiere di kvas. "Mi scusi, quella che tiene in mano è la portante?" "Si, signora, ehm, signorina... parte da qui e corre per tutta la steppa per agganciarsi alla centrale d'epoca Romanov" "Ma lei ne sa una più di Stalin!")
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Tot anni, una candelina
Dal prossimo anno si adotta il metodo Risiko: tot carrarmati, una bandierina. Tot anni, una candelina.
Mi stressano, le telefonate di auguri. Quelli che ti ricordano quanto ti sei rincoglionita con il passare del tempo. Quelli che chiamano e parlano a voce bassissima, così tu capisci una parola su tre e loro poi possono consigliarti una soluzione Amplifon in comode rate. Quelli che decidono di non parlarti dell'età e per distrarti ti ricordano che non hai ancora scritto al garante la famosa dichiarazione sulla sicurezza dei dati custoditi, e insomma ti devi sbrigare, e son grane. Quelli che aspettano di essere almeno in otto tutti insieme in una stanza per chiamarti e farti gli auguri a turno. Allegria. Quelli che ti chiamano non per farti gli auguri ma per sapere se stasera ti trovano, per farti gli auguri.
A mezzanotte meno un quarto, mentre mi preparavo a dichiarare chiuso il compleanno e ufficialmente aperti i festeggiamenti di Buon Non Compleanno, è arrivato un sms. Ma basta. Invece era D., che chiedeva: "Si può congelare, il panettone?". Adoro questa donna.
Mi stressano, le telefonate di auguri. Quelli che ti ricordano quanto ti sei rincoglionita con il passare del tempo. Quelli che chiamano e parlano a voce bassissima, così tu capisci una parola su tre e loro poi possono consigliarti una soluzione Amplifon in comode rate. Quelli che decidono di non parlarti dell'età e per distrarti ti ricordano che non hai ancora scritto al garante la famosa dichiarazione sulla sicurezza dei dati custoditi, e insomma ti devi sbrigare, e son grane. Quelli che aspettano di essere almeno in otto tutti insieme in una stanza per chiamarti e farti gli auguri a turno. Allegria. Quelli che ti chiamano non per farti gli auguri ma per sapere se stasera ti trovano, per farti gli auguri.
A mezzanotte meno un quarto, mentre mi preparavo a dichiarare chiuso il compleanno e ufficialmente aperti i festeggiamenti di Buon Non Compleanno, è arrivato un sms. Ma basta. Invece era D., che chiedeva: "Si può congelare, il panettone?". Adoro questa donna.
venerdì, gennaio 06, 2006
Tre chicchi di riso e quattro formiche
Lettera di un operatore di Al Jazeera detenuto a Guantánamo al suo avvocato britannico Clive Stafford-Smith
Punito per tre chicchi di riso e quattro formicheDi Sami Muhydin al Hajj, 6 novembre 2005
Caro Clive,
Permettimi di confessarti una cosa. Non posso fare a meno di continuare a chiedermi: “Perché mi puniscono?” Questa domanda mi ossessiona, non riesco a togliermela dalla testa.
La mia storia di punizioni è cominciata alla prigione di Bagram. Avevamo il permesso di andare al bagno solo due volte al giorno: la prima subito dopo l’alba e la seconda prima del tramonto, e ciascuno doveva attendere il proprio turno.
Ricordo una volta in cui ne avevo veramente l’urgenza, e sussurrai all’orecchio della persona che era davanti a me di lasciarmi passare avanti. Allora il soldato di guardia mi urlò rabbiosamente: “Non parlare,” e mi ordinò di uscire. Mi legò le mani con del filo di ferro e mi lasciò là fuori tutto il giorno a tremare di freddo, tanto che dovetti orinarmi addosso provocando l’ilarità dei soldati e delle puttane.
Poi, a Kandahar :
In piena estate, mentre stiamo sotto un sole bruciante e su un suolo bollente, un soldato grida: “Tu, fermati, e anche il secondo, il terzo e il quarto! Perché parlate? Mettetevi in ginocchio, le mani sulla testa”. Noi obbediamo e ci lascia lì, sotto quel sole torrido, le ginocchia sulle pietre roventi, finché uno di noi non sviene e gli altri vanno a soccorrerlo.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Guantánamo un mattino presto i soldati arrivarono e ordinarono ai detenuti di mettere le braccia attraverso l’apertura usata abitualmente per far passare il cibo: dissero che volevano farci l’iniezione antitetanica.
Quando venne il mio turno li informai che prima di partire da Doha mi ero fatto vaccinare contro il tetano, la febbre gialla, il colera e le altre malattie e che secondo il medico questi vaccini erano validi cinque anni. Dunque non dovevo rifarli.
L’ufficiale mi urlò di non mettermi a discutere: “Metti fuori il braccio per il vaccino, o te lo tiriamo fuori a forza,” disse. Io mi rifiutai di farlo. Per il momento mi lasciarono in pace, ma ritornarono dopo aver finito con gli altri. Io continuai a non accettare di rifarmi vaccinare. Allora mi requisirono tutto, dal materasso allo spazzolino da denti, e mi costrinsero a coricarmi sulla rete di ferro per tre giorni e tre notti.
La domanda che torna a tormentarmi è sempre la stessa: “Perché mi puniscono? La medicine sono obbligatorie? Siamo diventati un branco di pecore ammassate? Dobbiamo accettare tutto senza discutere, senza fare la minima obiezione e senza sapere nulla di quello che ci accade?”
Ma mi è successo di peggio. Una sera mi coricai molto presto. Ero esausto dopo essere stato interrogato per ore. Feci l’errore di coprirmi la testa e le mani. Ero profondamente addormentato quando udii le grida e gli ordini di un soldato: “Tira fuori la testa e le mani da sotto la coperta”. Mi svegliai di soprassalto e mi affrettati a obbedire. In effetti ci avevano proibito di dormire con la testa o le mani sotto la coperta.
Mi ero appena riaddormentato quando il soldato venne a picchiare violentemente sulla porta della mia cella e gridò: “Perché hai messo il dentifricio al posto dello spazzolino?” Mi accusò di disobbedire deliberatamente alle leggi e ai regolamenti militari e mi ordinò di raccogliere le mie cose. Fui punito per un’intera settimana.
E mi si ripresenta l’eterna domanda: “Perché mi puniscono? È una ragione sufficiente per punirmi, requisire tutte le mie cose e farmi dormire per una settimana sulla rete di ferro, senza materasso né coperte?”
Un’altra volta stavo consumando la mia colazione, che consisteva in un barattolo di cibo freddo. Quando ebbi finito di mangiare, un soldato venne a raccogliere i resti del pasto e i sacchetti di plastica. Si fermò sulla porta della mia cella e cominciò a contare i pezzi di plastica e a metterli insieme. All’improvviso si mise a gridare: “Dov’è il pezzo che manca?” Io cominciai a frugare tra le mie cose, invano. Allora andò a riferire la cosa ai suoi superiori e ritornò con questa sentenza: meritavo una punizione che servisse da esempio per gli altri detenuti.
E così mi requisirono le mie cose per tre giorni, durante i quali mi scervellai per trovare una risposta a questa bruciante domanda: “Perché mi puniscono, cosa mai avrei potuto fare con quel pezzetto di plastica introvabile?”
Un’altra volta la provvidenza fece sì che finissi nello stesso blocco di detenzione con Jamel dell’Uganda, Mohamed del Ciad e il britannico Jamel Blama. Ci univa non solo la prigionia, ma anche il colore della pelle e l’odioso colore della tuta arancione dei detenuti. La nostra pelle nera era una ragione sufficiente perché i guardiani bianchi si accanissero contro di noi e ci punissero senza motivo. Spesso ci svegliavano nel mezzo della notte con il pretesto di perquisire la gabbia.
Una notte mi svegliarono per un’altra perquisizione. Non trovarono niente di sospetto... a parte tre chicchi di riso per terra che avevano attirato delle formiche. Mi inflissero una punizione di sette giorni. Ancora una volta ne approfittai per chiedermi ossessivamente: “Perché mi puniscono?” Non riuscivo a capire come tre chicchi di riso e quattro formiche potessero costituire un motivo sufficiente.
Un’altra notte due soldati si fermarono davanti alla porta della mia gabbia. Avevano con sé delle catene e delle manette. Quando bussarono violentemente alla porta mi svegliai in preda al terrore. Mi ammanettarono e mi condussero al blocco Romeo, dove mi misero in una gabbia dopo avermi spogliato di tutto lasciandomi con la sola biancheria intima addosso. Nient’altro, nemmeno il sapone o lo spazzolino da denti.
Chiesi inutilmente una spiegazione per quella punizione, ma le mie domande restarono senza risposta fino all’indomani, quando su mia insistenza un responsabile venne a dirmi ero stato condannato a passare due settimane nella gabbia perché un soldato aveva trovato un chiodo sul bordo esterno dell’apertura d’aerazione della mia cella! Allora dissi al responsabile: “Come mi sarei procurato quel chiodo e come avrei fatto a metterlo sul bordo esterno dell’apertura, e perché?” Ma si voltò e se ne andò, ignorando le mie domande.
E così passai là 14 giorni seduto, evitando per pudore di dire le preghiere perché ero seminudo, e dormii per 14 fredde notti invernali sulla rete di ferro, senza coperte né materasso.
I tormenti e le provocazioni dei soldati si moltiplicarono e si diversificarono.
Una volta venimmo a sapere che un soldato aveva calpestato il Sacro Corano, sporcandolo con le impronte delle sue scarpe. I detenuti si ribellarono e decisero di restituire le copie del Sacro libro all’amministrazione americana per evitare che fossero profanate sotto i nostri occhi, tanto più che il generale si era già impegnato a far sì che questo genere di provocazione non si ripetesse. Ma la promessa non fu mantenuta.
I detenuti allora decisero di non lasciare le loro celle, nemmeno per andare a fare la passeggiata e la doccia di cui avevano tanto bisogno, finché tutte le copie del Sacro Corano non fossero state raccolte.
Com’era loro abitudine, i responsabili vennero subito a urlare ordini e minacce. Fecero uscire le valorose forze anti-sommossa, che aprirono le gabbie e si misero a picchiare i detenuti, li incatenarono e li ammanettarono. Tagliarono loro i capelli, la barba e i baffi e li gettarono in gabbie singole.
Arrivò anche il mio turno. Mi spruzzarono del gas negli occhi, poi cinque soldati si misero a picchiarmi, mi portarono fuori e mi gettarono a terra. Uno di loro mi afferrò la testa e cominciò a sbatterla contro il pavimento di cemento. Un altro mi colpì sull’arcata sopracciliare, causandomi un taglio da cui presto cominciò a uscire molto sangue. Tutto questo accadde mentre ero steso a terra, ammanettato e incatenato. Mi tagliarono capelli, baffi e barba e mi buttarono in una gabbia singola, ricoperto di sangue.
Dopo un’ora un soldato venne a chiedermi, attraverso l’apertura della porta, se mi servivano le cure di un medico. Rifiutai l’offerta e mi raccomandai a Dio, mostrandogli l’ingiustizia dei miei carcerieri. A un certo punto mi accorsi che stavo svenendo a causa della perdita di sangue, e allora chiesi di essere medicato. Mi diedero tre punti di sutura all’arcata sopracciliare, mi fasciarono la testa e mi diedero dei sonniferi, dicendo che erano degli antibiotici. Il tutto, attraverso un’apertura di pochi centimetri.
Mi addormentai, oppresso dall’ingiustizia terribile di quegli uomini.
La mattina del giorno dopo avevo appena aperto gli occhi quando mi trovai di nuovo ossessionato dalla stessa domanda: “Perché mi puniscono? La difesa della mia fede e della mia religione è forse un crimine punibile con il carcere? La nostra richiesta di ritirare le copie del Corano perché non siano profanate sotto ai nostri occhi è un crimine? Perché mi trovo qui? Il fatto che io sia partito per l’Afghanistan per trascorrervi quattro settimane con una telecamera per conto di Al Jazeera dopo la guerra d’aggressione contro un popolo disarmato è anch’esso un crimine per il quale devo essere punito con più di quattro anni di carcere? E per il quale devo essere accusato di terrorismo?”
Tante domande si affollavano nella mia mente, tormentandomi lo spirito e andando ad infrangersi contro tutti gli slogan ingannevoli di cui si gloriano i promotori della libertà, i difensori della democrazia e i protettori della pace in terra.
Originale: http://www.aljazeera.netTradotto dall’arabo in francese da Ahmed Manaï, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com), dal francese in spagnolo da Juan Vivanco a http://www.rebelion.org, dallo spagnolo in inglese da Ernesto Paramo, membro di Tlaxcala, dal francese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala. Questa traduzione è in copyleft.
Versione francese: http://quibla.net/guantanamo2006/guantanamo1.htm
Versione spagnola: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=25069
Versione inglese: http://peacepalestine.blogspot.com
Punito per tre chicchi di riso e quattro formicheDi Sami Muhydin al Hajj, 6 novembre 2005
Caro Clive,
Permettimi di confessarti una cosa. Non posso fare a meno di continuare a chiedermi: “Perché mi puniscono?” Questa domanda mi ossessiona, non riesco a togliermela dalla testa.
La mia storia di punizioni è cominciata alla prigione di Bagram. Avevamo il permesso di andare al bagno solo due volte al giorno: la prima subito dopo l’alba e la seconda prima del tramonto, e ciascuno doveva attendere il proprio turno.
Ricordo una volta in cui ne avevo veramente l’urgenza, e sussurrai all’orecchio della persona che era davanti a me di lasciarmi passare avanti. Allora il soldato di guardia mi urlò rabbiosamente: “Non parlare,” e mi ordinò di uscire. Mi legò le mani con del filo di ferro e mi lasciò là fuori tutto il giorno a tremare di freddo, tanto che dovetti orinarmi addosso provocando l’ilarità dei soldati e delle puttane.
Poi, a Kandahar :
In piena estate, mentre stiamo sotto un sole bruciante e su un suolo bollente, un soldato grida: “Tu, fermati, e anche il secondo, il terzo e il quarto! Perché parlate? Mettetevi in ginocchio, le mani sulla testa”. Noi obbediamo e ci lascia lì, sotto quel sole torrido, le ginocchia sulle pietre roventi, finché uno di noi non sviene e gli altri vanno a soccorrerlo.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Guantánamo un mattino presto i soldati arrivarono e ordinarono ai detenuti di mettere le braccia attraverso l’apertura usata abitualmente per far passare il cibo: dissero che volevano farci l’iniezione antitetanica.
Quando venne il mio turno li informai che prima di partire da Doha mi ero fatto vaccinare contro il tetano, la febbre gialla, il colera e le altre malattie e che secondo il medico questi vaccini erano validi cinque anni. Dunque non dovevo rifarli.
L’ufficiale mi urlò di non mettermi a discutere: “Metti fuori il braccio per il vaccino, o te lo tiriamo fuori a forza,” disse. Io mi rifiutai di farlo. Per il momento mi lasciarono in pace, ma ritornarono dopo aver finito con gli altri. Io continuai a non accettare di rifarmi vaccinare. Allora mi requisirono tutto, dal materasso allo spazzolino da denti, e mi costrinsero a coricarmi sulla rete di ferro per tre giorni e tre notti.
La domanda che torna a tormentarmi è sempre la stessa: “Perché mi puniscono? La medicine sono obbligatorie? Siamo diventati un branco di pecore ammassate? Dobbiamo accettare tutto senza discutere, senza fare la minima obiezione e senza sapere nulla di quello che ci accade?”
Ma mi è successo di peggio. Una sera mi coricai molto presto. Ero esausto dopo essere stato interrogato per ore. Feci l’errore di coprirmi la testa e le mani. Ero profondamente addormentato quando udii le grida e gli ordini di un soldato: “Tira fuori la testa e le mani da sotto la coperta”. Mi svegliai di soprassalto e mi affrettati a obbedire. In effetti ci avevano proibito di dormire con la testa o le mani sotto la coperta.
Mi ero appena riaddormentato quando il soldato venne a picchiare violentemente sulla porta della mia cella e gridò: “Perché hai messo il dentifricio al posto dello spazzolino?” Mi accusò di disobbedire deliberatamente alle leggi e ai regolamenti militari e mi ordinò di raccogliere le mie cose. Fui punito per un’intera settimana.
E mi si ripresenta l’eterna domanda: “Perché mi puniscono? È una ragione sufficiente per punirmi, requisire tutte le mie cose e farmi dormire per una settimana sulla rete di ferro, senza materasso né coperte?”
Un’altra volta stavo consumando la mia colazione, che consisteva in un barattolo di cibo freddo. Quando ebbi finito di mangiare, un soldato venne a raccogliere i resti del pasto e i sacchetti di plastica. Si fermò sulla porta della mia cella e cominciò a contare i pezzi di plastica e a metterli insieme. All’improvviso si mise a gridare: “Dov’è il pezzo che manca?” Io cominciai a frugare tra le mie cose, invano. Allora andò a riferire la cosa ai suoi superiori e ritornò con questa sentenza: meritavo una punizione che servisse da esempio per gli altri detenuti.
E così mi requisirono le mie cose per tre giorni, durante i quali mi scervellai per trovare una risposta a questa bruciante domanda: “Perché mi puniscono, cosa mai avrei potuto fare con quel pezzetto di plastica introvabile?”
Un’altra volta la provvidenza fece sì che finissi nello stesso blocco di detenzione con Jamel dell’Uganda, Mohamed del Ciad e il britannico Jamel Blama. Ci univa non solo la prigionia, ma anche il colore della pelle e l’odioso colore della tuta arancione dei detenuti. La nostra pelle nera era una ragione sufficiente perché i guardiani bianchi si accanissero contro di noi e ci punissero senza motivo. Spesso ci svegliavano nel mezzo della notte con il pretesto di perquisire la gabbia.
Una notte mi svegliarono per un’altra perquisizione. Non trovarono niente di sospetto... a parte tre chicchi di riso per terra che avevano attirato delle formiche. Mi inflissero una punizione di sette giorni. Ancora una volta ne approfittai per chiedermi ossessivamente: “Perché mi puniscono?” Non riuscivo a capire come tre chicchi di riso e quattro formiche potessero costituire un motivo sufficiente.
Un’altra notte due soldati si fermarono davanti alla porta della mia gabbia. Avevano con sé delle catene e delle manette. Quando bussarono violentemente alla porta mi svegliai in preda al terrore. Mi ammanettarono e mi condussero al blocco Romeo, dove mi misero in una gabbia dopo avermi spogliato di tutto lasciandomi con la sola biancheria intima addosso. Nient’altro, nemmeno il sapone o lo spazzolino da denti.
Chiesi inutilmente una spiegazione per quella punizione, ma le mie domande restarono senza risposta fino all’indomani, quando su mia insistenza un responsabile venne a dirmi ero stato condannato a passare due settimane nella gabbia perché un soldato aveva trovato un chiodo sul bordo esterno dell’apertura d’aerazione della mia cella! Allora dissi al responsabile: “Come mi sarei procurato quel chiodo e come avrei fatto a metterlo sul bordo esterno dell’apertura, e perché?” Ma si voltò e se ne andò, ignorando le mie domande.
E così passai là 14 giorni seduto, evitando per pudore di dire le preghiere perché ero seminudo, e dormii per 14 fredde notti invernali sulla rete di ferro, senza coperte né materasso.
I tormenti e le provocazioni dei soldati si moltiplicarono e si diversificarono.
Una volta venimmo a sapere che un soldato aveva calpestato il Sacro Corano, sporcandolo con le impronte delle sue scarpe. I detenuti si ribellarono e decisero di restituire le copie del Sacro libro all’amministrazione americana per evitare che fossero profanate sotto i nostri occhi, tanto più che il generale si era già impegnato a far sì che questo genere di provocazione non si ripetesse. Ma la promessa non fu mantenuta.
I detenuti allora decisero di non lasciare le loro celle, nemmeno per andare a fare la passeggiata e la doccia di cui avevano tanto bisogno, finché tutte le copie del Sacro Corano non fossero state raccolte.
Com’era loro abitudine, i responsabili vennero subito a urlare ordini e minacce. Fecero uscire le valorose forze anti-sommossa, che aprirono le gabbie e si misero a picchiare i detenuti, li incatenarono e li ammanettarono. Tagliarono loro i capelli, la barba e i baffi e li gettarono in gabbie singole.
Arrivò anche il mio turno. Mi spruzzarono del gas negli occhi, poi cinque soldati si misero a picchiarmi, mi portarono fuori e mi gettarono a terra. Uno di loro mi afferrò la testa e cominciò a sbatterla contro il pavimento di cemento. Un altro mi colpì sull’arcata sopracciliare, causandomi un taglio da cui presto cominciò a uscire molto sangue. Tutto questo accadde mentre ero steso a terra, ammanettato e incatenato. Mi tagliarono capelli, baffi e barba e mi buttarono in una gabbia singola, ricoperto di sangue.
Dopo un’ora un soldato venne a chiedermi, attraverso l’apertura della porta, se mi servivano le cure di un medico. Rifiutai l’offerta e mi raccomandai a Dio, mostrandogli l’ingiustizia dei miei carcerieri. A un certo punto mi accorsi che stavo svenendo a causa della perdita di sangue, e allora chiesi di essere medicato. Mi diedero tre punti di sutura all’arcata sopracciliare, mi fasciarono la testa e mi diedero dei sonniferi, dicendo che erano degli antibiotici. Il tutto, attraverso un’apertura di pochi centimetri.
Mi addormentai, oppresso dall’ingiustizia terribile di quegli uomini.
La mattina del giorno dopo avevo appena aperto gli occhi quando mi trovai di nuovo ossessionato dalla stessa domanda: “Perché mi puniscono? La difesa della mia fede e della mia religione è forse un crimine punibile con il carcere? La nostra richiesta di ritirare le copie del Corano perché non siano profanate sotto ai nostri occhi è un crimine? Perché mi trovo qui? Il fatto che io sia partito per l’Afghanistan per trascorrervi quattro settimane con una telecamera per conto di Al Jazeera dopo la guerra d’aggressione contro un popolo disarmato è anch’esso un crimine per il quale devo essere punito con più di quattro anni di carcere? E per il quale devo essere accusato di terrorismo?”
Tante domande si affollavano nella mia mente, tormentandomi lo spirito e andando ad infrangersi contro tutti gli slogan ingannevoli di cui si gloriano i promotori della libertà, i difensori della democrazia e i protettori della pace in terra.
Originale: http://www.aljazeera.netTradotto dall’arabo in francese da Ahmed Manaï, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com), dal francese in spagnolo da Juan Vivanco a http://www.rebelion.org, dallo spagnolo in inglese da Ernesto Paramo, membro di Tlaxcala, dal francese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala. Questa traduzione è in copyleft.
Versione francese: http://quibla.net/guantanamo2006/guantanamo1.htm
Versione spagnola: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=25069
Versione inglese: http://peacepalestine.blogspot.com
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mercoledì, gennaio 04, 2006
La Barbie e il sondaggio transgender
La Concerned Women for America, un'associazione femminile ultraconservatrice, ha accusato la Barbie di far parte del movimento transgender. Il sito barbie.com ("Activities and Games for Girls online!") ospita un sondaggio in cui i bambini (dai 4 ai 70+ anni, ma su quest'ultimo aspetto sorvoliamo) sono invitati a rispondere a un'innocente domanda:
in gennaio, cosa ti piace fare?
1. giocare nella neve!
2. pattinare o sciare!
3. starmene al calduccio con una bella cioccolata bollente!
4. indossare fighissimi vestiti invernali!
(nota: una rassicurante maggioranza, benché non assoluta, sceglie di giocare nella neve)
Cosa c'è che non va in questo sondaggio, a parte l'uso euforico dei punti esclamativi?
La sezione incriminata è quella in cui bisogna indicare il proprio sesso, scegliendo tra "bambina", "bambino" e "non lo so." Ora, le CWFA hanno l'apertura mentale e la flessibilità morale del Cardinale Ruini quando è incazzato con l'universo, tanto che nel loro sito alcuni dei temi scottanti sono "Quello che il vostro insegnante non vi ha detto sull'astinenza", "A chi importa del matrimonio omosessuale? A Dio!" e una difesa appassionata della preghiera prima dei pasti all'Accademia Navale, affiancati a validi programmi di azione e preghiera e fruttuose sinergie con le "Women for Alito". Naturale che la terza opzione della Barbie abbia mandato fuori di testa le Donne Preoccupate: il sito della Mattel è influenzato dalle problematiche transgender, mira a creare confusione sessuale, incoraggia la bisessualità!
E così il "non lo so" è stato tempestivamente sostituito con un "non mi va di dirlo": più oscuro e inquietante, perché pensare che bambini/e di 5 anni desiderino tenere segreta la propria identità di genere fa impressione.
Adesso il mio senso del surreale sarebbe perfettamente soddisfatto se un'associazione di Donne Preoccupate per i Paesi Caldi accusasse la Mattel di discriminazione climatica e la costringesse ad aggiungere l'opzione windsurf agli ozi di gennaio.
E comunque: se c'è un elemento di confusione sessuale nel'ambiente della Barbie, è chiaramente la deprecata, molto chiacchierata e vistosissima assenza del pisellino di Ken.
in gennaio, cosa ti piace fare?
1. giocare nella neve!
2. pattinare o sciare!
3. starmene al calduccio con una bella cioccolata bollente!
4. indossare fighissimi vestiti invernali!
(nota: una rassicurante maggioranza, benché non assoluta, sceglie di giocare nella neve)
Cosa c'è che non va in questo sondaggio, a parte l'uso euforico dei punti esclamativi?
La sezione incriminata è quella in cui bisogna indicare il proprio sesso, scegliendo tra "bambina", "bambino" e "non lo so." Ora, le CWFA hanno l'apertura mentale e la flessibilità morale del Cardinale Ruini quando è incazzato con l'universo, tanto che nel loro sito alcuni dei temi scottanti sono "Quello che il vostro insegnante non vi ha detto sull'astinenza", "A chi importa del matrimonio omosessuale? A Dio!" e una difesa appassionata della preghiera prima dei pasti all'Accademia Navale, affiancati a validi programmi di azione e preghiera e fruttuose sinergie con le "Women for Alito". Naturale che la terza opzione della Barbie abbia mandato fuori di testa le Donne Preoccupate: il sito della Mattel è influenzato dalle problematiche transgender, mira a creare confusione sessuale, incoraggia la bisessualità!
E così il "non lo so" è stato tempestivamente sostituito con un "non mi va di dirlo": più oscuro e inquietante, perché pensare che bambini/e di 5 anni desiderino tenere segreta la propria identità di genere fa impressione.
Adesso il mio senso del surreale sarebbe perfettamente soddisfatto se un'associazione di Donne Preoccupate per i Paesi Caldi accusasse la Mattel di discriminazione climatica e la costringesse ad aggiungere l'opzione windsurf agli ozi di gennaio.
E comunque: se c'è un elemento di confusione sessuale nel'ambiente della Barbie, è chiaramente la deprecata, molto chiacchierata e vistosissima assenza del pisellino di Ken.
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martedì, gennaio 03, 2006
Smoking gun
Chiave di ricerca del giorno:
"Saddam usò le playstation"
E dai, che a cercarla bene una smoking gun si trova sempre.
"Saddam usò le playstation"
E dai, che a cercarla bene una smoking gun si trova sempre.
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lunedì, gennaio 02, 2006
Possessione telefonica parte seconda
Dopo un'ora e mezza passata a chiamare la tin, comincio a pensare che i numeri di pratica siano i migliori amici delle ragazze. Almeno di quelle con problemi di portante.
L'adsl è mia e me la gestisco io
- Buongiorno, come posso aiutarla?
- Buongiorno, adesso le spiego. Ho traslocato, e in Telecom devono aver sbagliato la riconfigurazione del DSLAM, perché ora ho la portante fissa sui 799 chilobìt per secondo, come se...
- Di chi è l'adsl?
- Emmmmìa!
- Ma no: di quale gestore?
Solo il 2 gennaio e già così.
L'adsl è mia e me la gestisco io
- Buongiorno, come posso aiutarla?
- Buongiorno, adesso le spiego. Ho traslocato, e in Telecom devono aver sbagliato la riconfigurazione del DSLAM, perché ora ho la portante fissa sui 799 chilobìt per secondo, come se...
- Di chi è l'adsl?
- Emmmmìa!
- Ma no: di quale gestore?
Solo il 2 gennaio e già così.
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domenica, gennaio 01, 2006
Colora il tuo 2006
Buon 2006.
Mi fanno tenerezza quelli che mandano gli sms di buon anno verso le nove di sera: per togliersi il pensiero, per essere i primi, per fare i previdenti? Oppure gli parte così, come il tappo dello spumante solitario cinque minuti prima di mezzanotte? Me li vedo, i precoci, mentre aspettano gli amici e si portano avanti con il lavoro durante il discorso di Ciampi.
Poi c'è la categoria dei precoci e originali.
Ore nove, bip bip:
"L'anno nuovo sarà come 1 libro con 365 pagine vuote. Fai di ogni giorno il tuo CAPOLAVORO usa tutti i colori della vita e mentre colori sorridi! Buon 2006".
1 libro, 365 pagine vuote: un bel bidone, a prima vista. Ma no, perché sono io a doverlo riempire, rendendo ogni giorno un CAPOLAVORO (tutto maiuscolo, un diktat più che un suggerimento), e usando tutti i colori della vita (sarebbe troppo facile e convenzionale usare la scala Pantone). Il tutto, senza mai smettere di sorridere come una cretina.
"Vieni al cine?"
"No scusa, non ho tempo, ho venti giorni arretrati da colorare."
"Cazzo hai da ridere, allora?"
"Eh."
Buon 2006?
Stavi per ammazzarmi, pazza.
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The Real Thing
sabato, dicembre 31, 2005
Ultimi visagismi dell'anno
Non fatemi fare brutte figure, con tutto quello che vi ho insegnato in questi mesi: fondotinta mousse Matte Soufflé, Eyeliner Unforgettable Black, rossetto repulp Pink Sunset, ombretto Prisme Again n. 41, Body Powder in quantità. Ma soprattutto ricordatevi la Poudre Coromandel, che scalda l'incarnato e può tornare utile anche come antigelo per il motore.
Un buon fine anno a tutte/i.
Un buon fine anno a tutte/i.
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visagistica
Holidays on ice
- Ciao, dove passate l'ultimo dell'anno?
- Andiamo a cena da quelli che abitano al 21.
- Ah. Mi passi papà?
- È già di sotto che sparge il sale tra casa nostra* e il 21.
*al 23, NdA.
- Andiamo a cena da quelli che abitano al 21.
- Ah. Mi passi papà?
- È già di sotto che sparge il sale tra casa nostra* e il 21.
*al 23, NdA.
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mercoledì, dicembre 28, 2005
Un caso di possessione telefonica
C'è quest'horror asiatico che ricordo solo per sommi capi: ci sono due sorelle, una bambina posseduta, un marito fedifrago, una casa e il solito telefono. Alla fine una delle due sorelle, esasperata dai fenomeni paranormali e da una caduta dalle scale della bimba ormai irrimediabilmente indemoniata, fa una scelta drammatica, definitiva e in sintonia con il genere: si mette a strappare il filo del telefono. Naturalmente va a finire che con il filo si stacca anche un pezzo di muro. Ci sarà un condensatore, un centralino, un apparecchietto di teleallarme, un salvavita Beghelli? No! Nel muro c'è il corpo mummificato di una studentessa con tanto di camicetta, gonnellino scozzese e calzettoni. Chiaro che standosene lì murata possedeva la linea telefonica, e quindi gli abitanti della casa. (Adoro questi horror asiatici in cui la maledizione è teletrasmessa, videoregistrata, telefonata: lo trovo pratico, perché perder tempo in spiegazioni esoteriche quando possiamo dire che la bambina è posseduta telefonicamente da una morta che sta letteralmente sepolta insieme al doppino?)
La mia linea telefonica è posseduta. Prima succedeva che la connessione adsl cadesse quando si alzava il ricevitore, anche se i filtri erano a posto e i telefoni stavano tutti in parallelo.
In questi casi ho imparato che bisogna fare come negli horror asiatici: prendere coraggio e vedere cosa succede nella presa principale. In cuor mio speravo di trovare murata la suocera dell'inquilino precedente, impacchettata come le mummie del British Museum. Perché si sa che tra Natale e Capodanno è più facile trovare un esorcista che un tecnico competente.
Invece ho trovato la NTUL, che non è una maledizione in rumeno (magari) ma la Nuova Terminazione Unificata di Linea, una scatoletta che la SIP installava negli anni Novanta per rilevare e risolvere a distanza i guasti telefonici. Il progetto naturalmente fu abbandonato, lasciando in eredità queste scatole pieni di cavetti che escono dalla tua povera presa posseduta ed entrano nel corpo orribilmente decomposto della centrale Telecom.
Altro che suocera.
E via, si fa un altro bel respiro profondo, si sganciano i morsetti e si isola la scatola abbandonandola al suo destino autoreferenziale, a sognare interventi che non arriveranno mai.
Così la connessione non cade più. Solo che la linea è ancora disturbata, l'adsl viaggia a 799 kbps, l'803380 mi omaggia della voce di Annie Lennox ("I saved the world today" non è un po' azzardata per dei tizi che non riescono neanche a salvarti la connessione?) invece di passarmi un operatore, poi mi passa un operatore che mi spiega come funziona l'adsl, e io gli rispondo che lo immagino, ma che sto a duecento metri dalla casa di prima, l'impianto è a posto e soprattutto 799 kbps sono pochi quando si paga almeno per l'illusione di 4 mega, insisto per dargli i dati dell'attenuazione e dei rumori di fondo, e insomma lui alla fine si rassegna a fare la segnalazione come si deve e mi chiede il numero di cellulare. Non ho mai faticato tanto per dare a un uomo il mio numero di telefono (con alcune vistose eccezioni), e chissà se ne è valsa la pena. Alla fine non ho ben capito cosa succederà nelle prossime 48 ore, ma penso niente.
Adesso nevica, io osservo la presa principale e la NTUL defunta e ripenso al tecnico della Telecom (uno dei tanti con cui ho chiacchierato oggi, in un'apoteosi di numeri verdi) che mi ha detto dispiaciuto: "Sa, noi e quelli dell'adsl siamo solo cugini, per così dire." Di quei cugini che non si parlano, naturalmente.
Quando rispondo al telefono mi fanno tutti graziosamente notare che sembro una voce dall'oltretomba. Un po' Merle Oberon in Cime Tempestose quando grida disperatamente "Heathcliff!" nella tormenta, mi sembra di capire. Un regista asiatico ci girerebbe un film di serie B in cui lo spettro della donna dai lunghi capelli presidia i doppini in attesa di ossessionare prede vulnerabili, meglio se operatori o operatrici di call center tin.it, cugini malvagi e manager Telecom, mentre in sottofondo va in loop la versione stonata e al contrario di "yadot dlrow eht devas I."
Una bella maledizione adesso la sussurrerei tanto volentieri, ma comodamente a telefono, possibilmente ore pasti.
La mia linea telefonica è posseduta. Prima succedeva che la connessione adsl cadesse quando si alzava il ricevitore, anche se i filtri erano a posto e i telefoni stavano tutti in parallelo.
In questi casi ho imparato che bisogna fare come negli horror asiatici: prendere coraggio e vedere cosa succede nella presa principale. In cuor mio speravo di trovare murata la suocera dell'inquilino precedente, impacchettata come le mummie del British Museum. Perché si sa che tra Natale e Capodanno è più facile trovare un esorcista che un tecnico competente.
Invece ho trovato la NTUL, che non è una maledizione in rumeno (magari) ma la Nuova Terminazione Unificata di Linea, una scatoletta che la SIP installava negli anni Novanta per rilevare e risolvere a distanza i guasti telefonici. Il progetto naturalmente fu abbandonato, lasciando in eredità queste scatole pieni di cavetti che escono dalla tua povera presa posseduta ed entrano nel corpo orribilmente decomposto della centrale Telecom.
Altro che suocera.
E via, si fa un altro bel respiro profondo, si sganciano i morsetti e si isola la scatola abbandonandola al suo destino autoreferenziale, a sognare interventi che non arriveranno mai.
Così la connessione non cade più. Solo che la linea è ancora disturbata, l'adsl viaggia a 799 kbps, l'803380 mi omaggia della voce di Annie Lennox ("I saved the world today" non è un po' azzardata per dei tizi che non riescono neanche a salvarti la connessione?) invece di passarmi un operatore, poi mi passa un operatore che mi spiega come funziona l'adsl, e io gli rispondo che lo immagino, ma che sto a duecento metri dalla casa di prima, l'impianto è a posto e soprattutto 799 kbps sono pochi quando si paga almeno per l'illusione di 4 mega, insisto per dargli i dati dell'attenuazione e dei rumori di fondo, e insomma lui alla fine si rassegna a fare la segnalazione come si deve e mi chiede il numero di cellulare. Non ho mai faticato tanto per dare a un uomo il mio numero di telefono (con alcune vistose eccezioni), e chissà se ne è valsa la pena. Alla fine non ho ben capito cosa succederà nelle prossime 48 ore, ma penso niente.
Adesso nevica, io osservo la presa principale e la NTUL defunta e ripenso al tecnico della Telecom (uno dei tanti con cui ho chiacchierato oggi, in un'apoteosi di numeri verdi) che mi ha detto dispiaciuto: "Sa, noi e quelli dell'adsl siamo solo cugini, per così dire." Di quei cugini che non si parlano, naturalmente.
Quando rispondo al telefono mi fanno tutti graziosamente notare che sembro una voce dall'oltretomba. Un po' Merle Oberon in Cime Tempestose quando grida disperatamente "Heathcliff!" nella tormenta, mi sembra di capire. Un regista asiatico ci girerebbe un film di serie B in cui lo spettro della donna dai lunghi capelli presidia i doppini in attesa di ossessionare prede vulnerabili, meglio se operatori o operatrici di call center tin.it, cugini malvagi e manager Telecom, mentre in sottofondo va in loop la versione stonata e al contrario di "yadot dlrow eht devas I."
Una bella maledizione adesso la sussurrerei tanto volentieri, ma comodamente a telefono, possibilmente ore pasti.
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lunedì, dicembre 26, 2005
Il segreto della felicità dei gatti
Io capisco benissimo il signor G.
Ti prelevano da casa tua per portarti da un'altra parte. Vacanza, pensi. Poi tornano a prenderti, e già assapori le comodità ritrovate delle ciotole del cibo perfettamente allineate al posto giusto e della cassettina tua-tua con la lettiera della gradita consistenza. I dubbi ti assalgono alla prima svolta sbagliata ("Ehi, gente, le mie vibrisse dicono da quella parte"); nell'ascensore - "Ehi, noi non abbiamo un ascensore" - ti consoli pensando che neanche il veterinario ha un ascensore, del resto tu ti senti benissimo e non è giorno di vaccinazione.
Poi ti ritrovi in un'altra casa, dove le tue cose sono disposte in un ordine diverso, ci sono alcuni mobili che riconosci e altri che per te costituiscono un sudoku olfattivo di livello diabolico.
Infine, scopri che lì ci è vissuto un altro gatto. E per quanto la tua donna di fiducia sia una maniaca della candeggina e del lisoformio, accidenti, ti accorgi che ti attendono mesi di duro lavoro: superfici nuove da strofinare con il muso, angolini da marcare con discrezione, stipiti da graffiare.
Al posto suo impazzirei.
Aggiungiamoci poi il gatto rosso, una specie di furbetto del condominio che gironzola per le scale impunito: non si sa di chi sia né in cosa consista la sua carta degli obiettivi, però trovo sospetto che mi aspetti sullo zerbino di casa e che venerdì abbia tentato di invitarsi a cena. Ha la faccia di uno che non accetta un no come risposta. Bisogna quindi evitare che il rosso si presenti alla porta di casa con un cartone di Friskies e si piazzi sul divano.
Ma soprattutto bisogna far felice il signor G.
Così sabato sono uscita e ho comprato il Feliway ("il segreto della felicità dei gatti"), un diffusore di feromoni con effetto tranquillizzante e antistress. Nota per i lettori: sulla confezione sta scritto che "i componenti attivi di Feliway non sono estratti dagli animali". Per dire, non hanno spremuto nessun micio per produrli. Posso confermare che in questo post l'unico a essere stato maltrattato è il mio portafoglio.
Ho inserito il Feliway nella presa e sono andata a prendere il signor G. per immergerlo in questo ambiente estraneo inondato di palpabile benessere felino.
Il signor G., nell'ordine e nell'arco di un paio d'ore:
1. si è molto agitato;
2. ha molto miagolato;
3. si è steso sul pavimento a sbadigliare, a riprender fiato e a raccogliere le idee;
4. ha annusato tutto;
5. ha bevuto da tutti i rubinetti, verificando che l'acqua fosse perfettamente potabile;
5. si è calmato;
6. si è addormentato.
L'efficacia del Feliway non è al momento dimostrata, tranne che per un paio di fenomeni:
1. io ho un irrefrenabile impulso a strofinare la faccia contro gli spigoli;
2. il rosso mi sembra più ammiccante e rilassato del solito;
3. i gatti del vicinato adesso mi fanno ciao con la zampina.
Dimenticavo: buone feste a tutti.
Ti prelevano da casa tua per portarti da un'altra parte. Vacanza, pensi. Poi tornano a prenderti, e già assapori le comodità ritrovate delle ciotole del cibo perfettamente allineate al posto giusto e della cassettina tua-tua con la lettiera della gradita consistenza. I dubbi ti assalgono alla prima svolta sbagliata ("Ehi, gente, le mie vibrisse dicono da quella parte"); nell'ascensore - "Ehi, noi non abbiamo un ascensore" - ti consoli pensando che neanche il veterinario ha un ascensore, del resto tu ti senti benissimo e non è giorno di vaccinazione.
Poi ti ritrovi in un'altra casa, dove le tue cose sono disposte in un ordine diverso, ci sono alcuni mobili che riconosci e altri che per te costituiscono un sudoku olfattivo di livello diabolico.
Infine, scopri che lì ci è vissuto un altro gatto. E per quanto la tua donna di fiducia sia una maniaca della candeggina e del lisoformio, accidenti, ti accorgi che ti attendono mesi di duro lavoro: superfici nuove da strofinare con il muso, angolini da marcare con discrezione, stipiti da graffiare.
Al posto suo impazzirei.
Aggiungiamoci poi il gatto rosso, una specie di furbetto del condominio che gironzola per le scale impunito: non si sa di chi sia né in cosa consista la sua carta degli obiettivi, però trovo sospetto che mi aspetti sullo zerbino di casa e che venerdì abbia tentato di invitarsi a cena. Ha la faccia di uno che non accetta un no come risposta. Bisogna quindi evitare che il rosso si presenti alla porta di casa con un cartone di Friskies e si piazzi sul divano.
Ma soprattutto bisogna far felice il signor G.
Così sabato sono uscita e ho comprato il Feliway ("il segreto della felicità dei gatti"), un diffusore di feromoni con effetto tranquillizzante e antistress. Nota per i lettori: sulla confezione sta scritto che "i componenti attivi di Feliway non sono estratti dagli animali". Per dire, non hanno spremuto nessun micio per produrli. Posso confermare che in questo post l'unico a essere stato maltrattato è il mio portafoglio.
Ho inserito il Feliway nella presa e sono andata a prendere il signor G. per immergerlo in questo ambiente estraneo inondato di palpabile benessere felino.
Il signor G., nell'ordine e nell'arco di un paio d'ore:
1. si è molto agitato;
2. ha molto miagolato;
3. si è steso sul pavimento a sbadigliare, a riprender fiato e a raccogliere le idee;
4. ha annusato tutto;
5. ha bevuto da tutti i rubinetti, verificando che l'acqua fosse perfettamente potabile;
5. si è calmato;
6. si è addormentato.
L'efficacia del Feliway non è al momento dimostrata, tranne che per un paio di fenomeni:
1. io ho un irrefrenabile impulso a strofinare la faccia contro gli spigoli;
2. il rosso mi sembra più ammiccante e rilassato del solito;
3. i gatti del vicinato adesso mi fanno ciao con la zampina.
Dimenticavo: buone feste a tutti.
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martedì, dicembre 20, 2005
Atti di ordinaria follia
[Prima o poi doveva succedere. Ho appena telefonato a mia madre con un futile pretesto e mi sono fatta passare il signor G.]
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sabato, dicembre 17, 2005
Come caricare un AK-47 e vivere felici
Raw Story ha messo a disposizione in file excel e pdf le richieste (più di 10.000, e i file sono di conseguenza molto corposi) presentate al Pentagono in base al Freedom of Information Act, dal 2000 a oggi.
Non sorprende che le domande a proposito di UFO, Roswell, Area 51 e relazioni diplomatiche con gli extraterrestri vadano per la maggiore.
Due sono però i miei preferiti in assoluto:
1. quello che in aggiunta ai soliti chiarimenti su Roswell e l'Area 51 chiede anche una fotografia di Donald Rumsfeld.
2. il signor (o signora) Ellington che dichiara la propria disponibilità a pagare 2 dollari per imparare a caricare un Kalashnikov AK-47.
Non posso fare a meno di pensare che si tratti sempre di Mr o Mrs Ellington.
Me lo/la immagino mentre, caricato finalmente l'AK-47 con la modica spesa di dollari due, usa la foto di Rumsfeld come bersaglio in attesa fiduciosa dei rinforzi da Marte.
Non sorprende che le domande a proposito di UFO, Roswell, Area 51 e relazioni diplomatiche con gli extraterrestri vadano per la maggiore.
Due sono però i miei preferiti in assoluto:
1. quello che in aggiunta ai soliti chiarimenti su Roswell e l'Area 51 chiede anche una fotografia di Donald Rumsfeld.
2. il signor (o signora) Ellington che dichiara la propria disponibilità a pagare 2 dollari per imparare a caricare un Kalashnikov AK-47.
Non posso fare a meno di pensare che si tratti sempre di Mr o Mrs Ellington.
Me lo/la immagino mentre, caricato finalmente l'AK-47 con la modica spesa di dollari due, usa la foto di Rumsfeld come bersaglio in attesa fiduciosa dei rinforzi da Marte.
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giovedì, dicembre 15, 2005
La regressione da trasloco
Sto infine per traslocare.
È normale che abbia questo strano desiderio di nascondermi nella cassapanca con il signor G. e un chilo di fondotinta per tutte le evenienze?
Che poi facevamo che io ero nella cassapanca e voi mi portavate qualcosa da mangiare e le notizie del giorno, e così non si faceva nessun trasloco. Che i nuovi inquilini imparavano ad amarmi e forse a rispettarmi, io continuavo a usare la loro connessione internet ma a mangiare pochissimo, il pomeriggio facevo partire il videoregistratore così non serviva mettere il timer, la mattina sgusciavo dalla cassapanca e andavo a comprare le brioche e i krapfen con la marmellata, e facevo anche il pane per tutti, per le feste e per i battesimi, portavo a scuola i bambini e gli facevo i compiti di nascosto. Che andavo alle riunioni di condominio e a pagare l'ici. Che il signor G. pattinava per casa come un matto lucidando il pavimento. Che mettevo alla porta con cortesia e fermezza i testimoni di Geova e i rappresentanti del Folletto Hoover.
E invece no. Devo prendere questi 4300 libri e inscatolarli, chiedendomi cosa me ne faccio della storia del baccalà, come si giustifica un manuale di danza del ventre, e perché possiedo una vecchia edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray che ha come titolo Doriano Gray dipinto. Prendere il ritratto 50x70 del maresciallo Tito e incartarlo.
Prendere quella madonna placcata oro zecchino su base di legno regalata da chissà chi e trovare il coraggio di abbandonarla sul raccordo Gorizia-Villesse, insieme al gruppo di pietra portoghese raffigurante nonno che fuma la pipa e legge il giornale, fanciullo triste e cane mesto (o nonno mesto, cane che legge il giornale e fanciullo che fuma), regalo lo so io di chi (parlo di te, Umberto N.). Scalpellare la targhetta "attention chat bizarre" e salutare la piastrella "Deu vos guard", che invoca la benevolenza di un dio straniero e fa pendant con il gruppo di pietra (Umberto, sempre tu: conoscerai la mia vendetta).
Nel cassetto dell'angoliera ho scoperto un pennino vecchissimo marca "Impero", ossidato. Sotto l'angoliera, invece, una pallina rosa e nera del signor G., una cartina argentata e una moneta da un euro. In quel momento il felino e io ci siamo guardati e abbiamo allungato zampa e mano contemporaneamente sul malloppo, grati alla divinità che nasconde le cose e poi te le fa ritrovare impolverate.
Dietro ai libri di ricette, in cucina, ho trovato un topolino di peluche della gatta, nascosto dalla divinità specializzata in pugni allo stomaco e colpi bassi.
Il mio medico mi ha appena comunicato con soddisfazione pettegola che tra i miei nuovi vicini di casa ci sono alcuni suoi colleghi. Mi destabilizza, questa concentrazione: immagino già l'agonia dei viaggi in ascensore con l'ematologa che scruta la mia faccia pallida e mi propone un controllo delle piastrine. O il fisiatra che mentre esco di casa mi grida dietro "su con quella schiena, e che cazzo". Al dentista non voglio nemmeno pensarci.
Il signor G. domani andrà dai miei con il suo beauty case e la prossima settimana - dopo essere stato pettinato, vezzeggiato, baciato e interrogato senza sosta e dunque fino allo sfinimento da mia madre - sarà depositato in una casa sconosciuta già abitata in precedenza da un gatto obeso e provvista di un divano nuovo di mia scelta e gusto. Marcherà il suo territorio diligentemente e poi stravaccandosi felice sul plaid si guarderà attorno con fare scettico pensando: "sta' a vedere che con tutti questi medici c'è pure un Mengele di veterinario, con la sfiga che gira ultimamente."
Voglio arrivare lì e attaccare il quadro degli anni Sessanta con le due facce della luna, il poster incorniciato di The Great Bear e il ritratto di Peter Sellers di Bill Brandt. Bruciare le erbette dell'amica di Alessandra ("guarda che non si fumano, ma allora lo vedi che sei scema!") e accendere le sue candele magiche perché non si sa mai e magari non farlo porta pegola. Poi mettere via i libri e sperare che il tecnico della Telecom tanto gentile che mi ha detto che mi telefona sul cellulare martedì pomeriggio e mercoledì mi mette la linea non sia un mitomane o uno scappato dal manicomio o un troll padano (un fan, invece, escluderei).
La sera tardi voglio farmi una cioccolata calda, sedermi sul divano e aspettare, chiedendomi per la centesima volta come ho fatto a prestare tutta la serie di Douglas Adams. E poi finalmente sentire un urlo angosciato e le parole "chi ha appeso il ritratto di Tito nell'armadio guardaroba?".
A quel punto, lo sapete voi e lo so anch'io, mi scapperà il primo sorriso della giornata.
È normale che abbia questo strano desiderio di nascondermi nella cassapanca con il signor G. e un chilo di fondotinta per tutte le evenienze?
Che poi facevamo che io ero nella cassapanca e voi mi portavate qualcosa da mangiare e le notizie del giorno, e così non si faceva nessun trasloco. Che i nuovi inquilini imparavano ad amarmi e forse a rispettarmi, io continuavo a usare la loro connessione internet ma a mangiare pochissimo, il pomeriggio facevo partire il videoregistratore così non serviva mettere il timer, la mattina sgusciavo dalla cassapanca e andavo a comprare le brioche e i krapfen con la marmellata, e facevo anche il pane per tutti, per le feste e per i battesimi, portavo a scuola i bambini e gli facevo i compiti di nascosto. Che andavo alle riunioni di condominio e a pagare l'ici. Che il signor G. pattinava per casa come un matto lucidando il pavimento. Che mettevo alla porta con cortesia e fermezza i testimoni di Geova e i rappresentanti del Folletto Hoover.
E invece no. Devo prendere questi 4300 libri e inscatolarli, chiedendomi cosa me ne faccio della storia del baccalà, come si giustifica un manuale di danza del ventre, e perché possiedo una vecchia edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray che ha come titolo Doriano Gray dipinto. Prendere il ritratto 50x70 del maresciallo Tito e incartarlo.
Prendere quella madonna placcata oro zecchino su base di legno regalata da chissà chi e trovare il coraggio di abbandonarla sul raccordo Gorizia-Villesse, insieme al gruppo di pietra portoghese raffigurante nonno che fuma la pipa e legge il giornale, fanciullo triste e cane mesto (o nonno mesto, cane che legge il giornale e fanciullo che fuma), regalo lo so io di chi (parlo di te, Umberto N.). Scalpellare la targhetta "attention chat bizarre" e salutare la piastrella "Deu vos guard", che invoca la benevolenza di un dio straniero e fa pendant con il gruppo di pietra (Umberto, sempre tu: conoscerai la mia vendetta).
Nel cassetto dell'angoliera ho scoperto un pennino vecchissimo marca "Impero", ossidato. Sotto l'angoliera, invece, una pallina rosa e nera del signor G., una cartina argentata e una moneta da un euro. In quel momento il felino e io ci siamo guardati e abbiamo allungato zampa e mano contemporaneamente sul malloppo, grati alla divinità che nasconde le cose e poi te le fa ritrovare impolverate.
Dietro ai libri di ricette, in cucina, ho trovato un topolino di peluche della gatta, nascosto dalla divinità specializzata in pugni allo stomaco e colpi bassi.
Il mio medico mi ha appena comunicato con soddisfazione pettegola che tra i miei nuovi vicini di casa ci sono alcuni suoi colleghi. Mi destabilizza, questa concentrazione: immagino già l'agonia dei viaggi in ascensore con l'ematologa che scruta la mia faccia pallida e mi propone un controllo delle piastrine. O il fisiatra che mentre esco di casa mi grida dietro "su con quella schiena, e che cazzo". Al dentista non voglio nemmeno pensarci.
Il signor G. domani andrà dai miei con il suo beauty case e la prossima settimana - dopo essere stato pettinato, vezzeggiato, baciato e interrogato senza sosta e dunque fino allo sfinimento da mia madre - sarà depositato in una casa sconosciuta già abitata in precedenza da un gatto obeso e provvista di un divano nuovo di mia scelta e gusto. Marcherà il suo territorio diligentemente e poi stravaccandosi felice sul plaid si guarderà attorno con fare scettico pensando: "sta' a vedere che con tutti questi medici c'è pure un Mengele di veterinario, con la sfiga che gira ultimamente."
Voglio arrivare lì e attaccare il quadro degli anni Sessanta con le due facce della luna, il poster incorniciato di The Great Bear e il ritratto di Peter Sellers di Bill Brandt. Bruciare le erbette dell'amica di Alessandra ("guarda che non si fumano, ma allora lo vedi che sei scema!") e accendere le sue candele magiche perché non si sa mai e magari non farlo porta pegola. Poi mettere via i libri e sperare che il tecnico della Telecom tanto gentile che mi ha detto che mi telefona sul cellulare martedì pomeriggio e mercoledì mi mette la linea non sia un mitomane o uno scappato dal manicomio o un troll padano (un fan, invece, escluderei).
La sera tardi voglio farmi una cioccolata calda, sedermi sul divano e aspettare, chiedendomi per la centesima volta come ho fatto a prestare tutta la serie di Douglas Adams. E poi finalmente sentire un urlo angosciato e le parole "chi ha appeso il ritratto di Tito nell'armadio guardaroba?".
A quel punto, lo sapete voi e lo so anch'io, mi scapperà il primo sorriso della giornata.
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