Riceviamo dal subcomandante Babsi la seguente foto con didascalia:
La compagna Mirumir si adopera, in compagnia di un delegato di partito, a capire cosa c'è che non va nella linea telefonica.
(Vi prego di notare la mia espressione piena di grato stupore per le meraviglie della tecnologia socialista; sono circondata dagli opulenti rivestimenti in legno di betulla baltica e da ritratti di ex-fidanzati, celebri leader rivoluzionari fotografati proprio all'apice della carriera politica e un istante prima della defenestrazione. Nel lindore del mio vestito da campagna a vita alta e nel trucco sapientemente nature, ringrazio mentalmente il Partito Unico per avermi mandato a casa un giovanotto serio, competente e anche un po' fricchettone e sto meditando se togliermi fazzoletto e bigodini e offrirgli un rinfrescante bicchiere di kvas. "Mi scusi, quella che tiene in mano è la portante?" "Si, signora, ehm, signorina... parte da qui e corre per tutta la steppa per agganciarsi alla centrale d'epoca Romanov" "Ma lei ne sa una più di Stalin!")
martedì, gennaio 10, 2006
Tot anni, una candelina
Dal prossimo anno si adotta il metodo Risiko: tot carrarmati, una bandierina. Tot anni, una candelina.
Mi stressano, le telefonate di auguri. Quelli che ti ricordano quanto ti sei rincoglionita con il passare del tempo. Quelli che chiamano e parlano a voce bassissima, così tu capisci una parola su tre e loro poi possono consigliarti una soluzione Amplifon in comode rate. Quelli che decidono di non parlarti dell'età e per distrarti ti ricordano che non hai ancora scritto al garante la famosa dichiarazione sulla sicurezza dei dati custoditi, e insomma ti devi sbrigare, e son grane. Quelli che aspettano di essere almeno in otto tutti insieme in una stanza per chiamarti e farti gli auguri a turno. Allegria. Quelli che ti chiamano non per farti gli auguri ma per sapere se stasera ti trovano, per farti gli auguri.
A mezzanotte meno un quarto, mentre mi preparavo a dichiarare chiuso il compleanno e ufficialmente aperti i festeggiamenti di Buon Non Compleanno, è arrivato un sms. Ma basta. Invece era D., che chiedeva: "Si può congelare, il panettone?". Adoro questa donna.
Mi stressano, le telefonate di auguri. Quelli che ti ricordano quanto ti sei rincoglionita con il passare del tempo. Quelli che chiamano e parlano a voce bassissima, così tu capisci una parola su tre e loro poi possono consigliarti una soluzione Amplifon in comode rate. Quelli che decidono di non parlarti dell'età e per distrarti ti ricordano che non hai ancora scritto al garante la famosa dichiarazione sulla sicurezza dei dati custoditi, e insomma ti devi sbrigare, e son grane. Quelli che aspettano di essere almeno in otto tutti insieme in una stanza per chiamarti e farti gli auguri a turno. Allegria. Quelli che ti chiamano non per farti gli auguri ma per sapere se stasera ti trovano, per farti gli auguri.
A mezzanotte meno un quarto, mentre mi preparavo a dichiarare chiuso il compleanno e ufficialmente aperti i festeggiamenti di Buon Non Compleanno, è arrivato un sms. Ma basta. Invece era D., che chiedeva: "Si può congelare, il panettone?". Adoro questa donna.
venerdì, gennaio 06, 2006
Tre chicchi di riso e quattro formiche
Lettera di un operatore di Al Jazeera detenuto a Guantánamo al suo avvocato britannico Clive Stafford-Smith
Punito per tre chicchi di riso e quattro formicheDi Sami Muhydin al Hajj, 6 novembre 2005
Caro Clive,
Permettimi di confessarti una cosa. Non posso fare a meno di continuare a chiedermi: “Perché mi puniscono?” Questa domanda mi ossessiona, non riesco a togliermela dalla testa.
La mia storia di punizioni è cominciata alla prigione di Bagram. Avevamo il permesso di andare al bagno solo due volte al giorno: la prima subito dopo l’alba e la seconda prima del tramonto, e ciascuno doveva attendere il proprio turno.
Ricordo una volta in cui ne avevo veramente l’urgenza, e sussurrai all’orecchio della persona che era davanti a me di lasciarmi passare avanti. Allora il soldato di guardia mi urlò rabbiosamente: “Non parlare,” e mi ordinò di uscire. Mi legò le mani con del filo di ferro e mi lasciò là fuori tutto il giorno a tremare di freddo, tanto che dovetti orinarmi addosso provocando l’ilarità dei soldati e delle puttane.
Poi, a Kandahar :
In piena estate, mentre stiamo sotto un sole bruciante e su un suolo bollente, un soldato grida: “Tu, fermati, e anche il secondo, il terzo e il quarto! Perché parlate? Mettetevi in ginocchio, le mani sulla testa”. Noi obbediamo e ci lascia lì, sotto quel sole torrido, le ginocchia sulle pietre roventi, finché uno di noi non sviene e gli altri vanno a soccorrerlo.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Guantánamo un mattino presto i soldati arrivarono e ordinarono ai detenuti di mettere le braccia attraverso l’apertura usata abitualmente per far passare il cibo: dissero che volevano farci l’iniezione antitetanica.
Quando venne il mio turno li informai che prima di partire da Doha mi ero fatto vaccinare contro il tetano, la febbre gialla, il colera e le altre malattie e che secondo il medico questi vaccini erano validi cinque anni. Dunque non dovevo rifarli.
L’ufficiale mi urlò di non mettermi a discutere: “Metti fuori il braccio per il vaccino, o te lo tiriamo fuori a forza,” disse. Io mi rifiutai di farlo. Per il momento mi lasciarono in pace, ma ritornarono dopo aver finito con gli altri. Io continuai a non accettare di rifarmi vaccinare. Allora mi requisirono tutto, dal materasso allo spazzolino da denti, e mi costrinsero a coricarmi sulla rete di ferro per tre giorni e tre notti.
La domanda che torna a tormentarmi è sempre la stessa: “Perché mi puniscono? La medicine sono obbligatorie? Siamo diventati un branco di pecore ammassate? Dobbiamo accettare tutto senza discutere, senza fare la minima obiezione e senza sapere nulla di quello che ci accade?”
Ma mi è successo di peggio. Una sera mi coricai molto presto. Ero esausto dopo essere stato interrogato per ore. Feci l’errore di coprirmi la testa e le mani. Ero profondamente addormentato quando udii le grida e gli ordini di un soldato: “Tira fuori la testa e le mani da sotto la coperta”. Mi svegliai di soprassalto e mi affrettati a obbedire. In effetti ci avevano proibito di dormire con la testa o le mani sotto la coperta.
Mi ero appena riaddormentato quando il soldato venne a picchiare violentemente sulla porta della mia cella e gridò: “Perché hai messo il dentifricio al posto dello spazzolino?” Mi accusò di disobbedire deliberatamente alle leggi e ai regolamenti militari e mi ordinò di raccogliere le mie cose. Fui punito per un’intera settimana.
E mi si ripresenta l’eterna domanda: “Perché mi puniscono? È una ragione sufficiente per punirmi, requisire tutte le mie cose e farmi dormire per una settimana sulla rete di ferro, senza materasso né coperte?”
Un’altra volta stavo consumando la mia colazione, che consisteva in un barattolo di cibo freddo. Quando ebbi finito di mangiare, un soldato venne a raccogliere i resti del pasto e i sacchetti di plastica. Si fermò sulla porta della mia cella e cominciò a contare i pezzi di plastica e a metterli insieme. All’improvviso si mise a gridare: “Dov’è il pezzo che manca?” Io cominciai a frugare tra le mie cose, invano. Allora andò a riferire la cosa ai suoi superiori e ritornò con questa sentenza: meritavo una punizione che servisse da esempio per gli altri detenuti.
E così mi requisirono le mie cose per tre giorni, durante i quali mi scervellai per trovare una risposta a questa bruciante domanda: “Perché mi puniscono, cosa mai avrei potuto fare con quel pezzetto di plastica introvabile?”
Un’altra volta la provvidenza fece sì che finissi nello stesso blocco di detenzione con Jamel dell’Uganda, Mohamed del Ciad e il britannico Jamel Blama. Ci univa non solo la prigionia, ma anche il colore della pelle e l’odioso colore della tuta arancione dei detenuti. La nostra pelle nera era una ragione sufficiente perché i guardiani bianchi si accanissero contro di noi e ci punissero senza motivo. Spesso ci svegliavano nel mezzo della notte con il pretesto di perquisire la gabbia.
Una notte mi svegliarono per un’altra perquisizione. Non trovarono niente di sospetto... a parte tre chicchi di riso per terra che avevano attirato delle formiche. Mi inflissero una punizione di sette giorni. Ancora una volta ne approfittai per chiedermi ossessivamente: “Perché mi puniscono?” Non riuscivo a capire come tre chicchi di riso e quattro formiche potessero costituire un motivo sufficiente.
Un’altra notte due soldati si fermarono davanti alla porta della mia gabbia. Avevano con sé delle catene e delle manette. Quando bussarono violentemente alla porta mi svegliai in preda al terrore. Mi ammanettarono e mi condussero al blocco Romeo, dove mi misero in una gabbia dopo avermi spogliato di tutto lasciandomi con la sola biancheria intima addosso. Nient’altro, nemmeno il sapone o lo spazzolino da denti.
Chiesi inutilmente una spiegazione per quella punizione, ma le mie domande restarono senza risposta fino all’indomani, quando su mia insistenza un responsabile venne a dirmi ero stato condannato a passare due settimane nella gabbia perché un soldato aveva trovato un chiodo sul bordo esterno dell’apertura d’aerazione della mia cella! Allora dissi al responsabile: “Come mi sarei procurato quel chiodo e come avrei fatto a metterlo sul bordo esterno dell’apertura, e perché?” Ma si voltò e se ne andò, ignorando le mie domande.
E così passai là 14 giorni seduto, evitando per pudore di dire le preghiere perché ero seminudo, e dormii per 14 fredde notti invernali sulla rete di ferro, senza coperte né materasso.
I tormenti e le provocazioni dei soldati si moltiplicarono e si diversificarono.
Una volta venimmo a sapere che un soldato aveva calpestato il Sacro Corano, sporcandolo con le impronte delle sue scarpe. I detenuti si ribellarono e decisero di restituire le copie del Sacro libro all’amministrazione americana per evitare che fossero profanate sotto i nostri occhi, tanto più che il generale si era già impegnato a far sì che questo genere di provocazione non si ripetesse. Ma la promessa non fu mantenuta.
I detenuti allora decisero di non lasciare le loro celle, nemmeno per andare a fare la passeggiata e la doccia di cui avevano tanto bisogno, finché tutte le copie del Sacro Corano non fossero state raccolte.
Com’era loro abitudine, i responsabili vennero subito a urlare ordini e minacce. Fecero uscire le valorose forze anti-sommossa, che aprirono le gabbie e si misero a picchiare i detenuti, li incatenarono e li ammanettarono. Tagliarono loro i capelli, la barba e i baffi e li gettarono in gabbie singole.
Arrivò anche il mio turno. Mi spruzzarono del gas negli occhi, poi cinque soldati si misero a picchiarmi, mi portarono fuori e mi gettarono a terra. Uno di loro mi afferrò la testa e cominciò a sbatterla contro il pavimento di cemento. Un altro mi colpì sull’arcata sopracciliare, causandomi un taglio da cui presto cominciò a uscire molto sangue. Tutto questo accadde mentre ero steso a terra, ammanettato e incatenato. Mi tagliarono capelli, baffi e barba e mi buttarono in una gabbia singola, ricoperto di sangue.
Dopo un’ora un soldato venne a chiedermi, attraverso l’apertura della porta, se mi servivano le cure di un medico. Rifiutai l’offerta e mi raccomandai a Dio, mostrandogli l’ingiustizia dei miei carcerieri. A un certo punto mi accorsi che stavo svenendo a causa della perdita di sangue, e allora chiesi di essere medicato. Mi diedero tre punti di sutura all’arcata sopracciliare, mi fasciarono la testa e mi diedero dei sonniferi, dicendo che erano degli antibiotici. Il tutto, attraverso un’apertura di pochi centimetri.
Mi addormentai, oppresso dall’ingiustizia terribile di quegli uomini.
La mattina del giorno dopo avevo appena aperto gli occhi quando mi trovai di nuovo ossessionato dalla stessa domanda: “Perché mi puniscono? La difesa della mia fede e della mia religione è forse un crimine punibile con il carcere? La nostra richiesta di ritirare le copie del Corano perché non siano profanate sotto ai nostri occhi è un crimine? Perché mi trovo qui? Il fatto che io sia partito per l’Afghanistan per trascorrervi quattro settimane con una telecamera per conto di Al Jazeera dopo la guerra d’aggressione contro un popolo disarmato è anch’esso un crimine per il quale devo essere punito con più di quattro anni di carcere? E per il quale devo essere accusato di terrorismo?”
Tante domande si affollavano nella mia mente, tormentandomi lo spirito e andando ad infrangersi contro tutti gli slogan ingannevoli di cui si gloriano i promotori della libertà, i difensori della democrazia e i protettori della pace in terra.
Originale: http://www.aljazeera.netTradotto dall’arabo in francese da Ahmed Manaï, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com), dal francese in spagnolo da Juan Vivanco a http://www.rebelion.org, dallo spagnolo in inglese da Ernesto Paramo, membro di Tlaxcala, dal francese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala. Questa traduzione è in copyleft.
Versione francese: http://quibla.net/guantanamo2006/guantanamo1.htm
Versione spagnola: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=25069
Versione inglese: http://peacepalestine.blogspot.com
Punito per tre chicchi di riso e quattro formicheDi Sami Muhydin al Hajj, 6 novembre 2005
Caro Clive,
Permettimi di confessarti una cosa. Non posso fare a meno di continuare a chiedermi: “Perché mi puniscono?” Questa domanda mi ossessiona, non riesco a togliermela dalla testa.
La mia storia di punizioni è cominciata alla prigione di Bagram. Avevamo il permesso di andare al bagno solo due volte al giorno: la prima subito dopo l’alba e la seconda prima del tramonto, e ciascuno doveva attendere il proprio turno.
Ricordo una volta in cui ne avevo veramente l’urgenza, e sussurrai all’orecchio della persona che era davanti a me di lasciarmi passare avanti. Allora il soldato di guardia mi urlò rabbiosamente: “Non parlare,” e mi ordinò di uscire. Mi legò le mani con del filo di ferro e mi lasciò là fuori tutto il giorno a tremare di freddo, tanto che dovetti orinarmi addosso provocando l’ilarità dei soldati e delle puttane.
Poi, a Kandahar :
In piena estate, mentre stiamo sotto un sole bruciante e su un suolo bollente, un soldato grida: “Tu, fermati, e anche il secondo, il terzo e il quarto! Perché parlate? Mettetevi in ginocchio, le mani sulla testa”. Noi obbediamo e ci lascia lì, sotto quel sole torrido, le ginocchia sulle pietre roventi, finché uno di noi non sviene e gli altri vanno a soccorrerlo.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Guantánamo un mattino presto i soldati arrivarono e ordinarono ai detenuti di mettere le braccia attraverso l’apertura usata abitualmente per far passare il cibo: dissero che volevano farci l’iniezione antitetanica.
Quando venne il mio turno li informai che prima di partire da Doha mi ero fatto vaccinare contro il tetano, la febbre gialla, il colera e le altre malattie e che secondo il medico questi vaccini erano validi cinque anni. Dunque non dovevo rifarli.
L’ufficiale mi urlò di non mettermi a discutere: “Metti fuori il braccio per il vaccino, o te lo tiriamo fuori a forza,” disse. Io mi rifiutai di farlo. Per il momento mi lasciarono in pace, ma ritornarono dopo aver finito con gli altri. Io continuai a non accettare di rifarmi vaccinare. Allora mi requisirono tutto, dal materasso allo spazzolino da denti, e mi costrinsero a coricarmi sulla rete di ferro per tre giorni e tre notti.
La domanda che torna a tormentarmi è sempre la stessa: “Perché mi puniscono? La medicine sono obbligatorie? Siamo diventati un branco di pecore ammassate? Dobbiamo accettare tutto senza discutere, senza fare la minima obiezione e senza sapere nulla di quello che ci accade?”
Ma mi è successo di peggio. Una sera mi coricai molto presto. Ero esausto dopo essere stato interrogato per ore. Feci l’errore di coprirmi la testa e le mani. Ero profondamente addormentato quando udii le grida e gli ordini di un soldato: “Tira fuori la testa e le mani da sotto la coperta”. Mi svegliai di soprassalto e mi affrettati a obbedire. In effetti ci avevano proibito di dormire con la testa o le mani sotto la coperta.
Mi ero appena riaddormentato quando il soldato venne a picchiare violentemente sulla porta della mia cella e gridò: “Perché hai messo il dentifricio al posto dello spazzolino?” Mi accusò di disobbedire deliberatamente alle leggi e ai regolamenti militari e mi ordinò di raccogliere le mie cose. Fui punito per un’intera settimana.
E mi si ripresenta l’eterna domanda: “Perché mi puniscono? È una ragione sufficiente per punirmi, requisire tutte le mie cose e farmi dormire per una settimana sulla rete di ferro, senza materasso né coperte?”
Un’altra volta stavo consumando la mia colazione, che consisteva in un barattolo di cibo freddo. Quando ebbi finito di mangiare, un soldato venne a raccogliere i resti del pasto e i sacchetti di plastica. Si fermò sulla porta della mia cella e cominciò a contare i pezzi di plastica e a metterli insieme. All’improvviso si mise a gridare: “Dov’è il pezzo che manca?” Io cominciai a frugare tra le mie cose, invano. Allora andò a riferire la cosa ai suoi superiori e ritornò con questa sentenza: meritavo una punizione che servisse da esempio per gli altri detenuti.
E così mi requisirono le mie cose per tre giorni, durante i quali mi scervellai per trovare una risposta a questa bruciante domanda: “Perché mi puniscono, cosa mai avrei potuto fare con quel pezzetto di plastica introvabile?”
Un’altra volta la provvidenza fece sì che finissi nello stesso blocco di detenzione con Jamel dell’Uganda, Mohamed del Ciad e il britannico Jamel Blama. Ci univa non solo la prigionia, ma anche il colore della pelle e l’odioso colore della tuta arancione dei detenuti. La nostra pelle nera era una ragione sufficiente perché i guardiani bianchi si accanissero contro di noi e ci punissero senza motivo. Spesso ci svegliavano nel mezzo della notte con il pretesto di perquisire la gabbia.
Una notte mi svegliarono per un’altra perquisizione. Non trovarono niente di sospetto... a parte tre chicchi di riso per terra che avevano attirato delle formiche. Mi inflissero una punizione di sette giorni. Ancora una volta ne approfittai per chiedermi ossessivamente: “Perché mi puniscono?” Non riuscivo a capire come tre chicchi di riso e quattro formiche potessero costituire un motivo sufficiente.
Un’altra notte due soldati si fermarono davanti alla porta della mia gabbia. Avevano con sé delle catene e delle manette. Quando bussarono violentemente alla porta mi svegliai in preda al terrore. Mi ammanettarono e mi condussero al blocco Romeo, dove mi misero in una gabbia dopo avermi spogliato di tutto lasciandomi con la sola biancheria intima addosso. Nient’altro, nemmeno il sapone o lo spazzolino da denti.
Chiesi inutilmente una spiegazione per quella punizione, ma le mie domande restarono senza risposta fino all’indomani, quando su mia insistenza un responsabile venne a dirmi ero stato condannato a passare due settimane nella gabbia perché un soldato aveva trovato un chiodo sul bordo esterno dell’apertura d’aerazione della mia cella! Allora dissi al responsabile: “Come mi sarei procurato quel chiodo e come avrei fatto a metterlo sul bordo esterno dell’apertura, e perché?” Ma si voltò e se ne andò, ignorando le mie domande.
E così passai là 14 giorni seduto, evitando per pudore di dire le preghiere perché ero seminudo, e dormii per 14 fredde notti invernali sulla rete di ferro, senza coperte né materasso.
I tormenti e le provocazioni dei soldati si moltiplicarono e si diversificarono.
Una volta venimmo a sapere che un soldato aveva calpestato il Sacro Corano, sporcandolo con le impronte delle sue scarpe. I detenuti si ribellarono e decisero di restituire le copie del Sacro libro all’amministrazione americana per evitare che fossero profanate sotto i nostri occhi, tanto più che il generale si era già impegnato a far sì che questo genere di provocazione non si ripetesse. Ma la promessa non fu mantenuta.
I detenuti allora decisero di non lasciare le loro celle, nemmeno per andare a fare la passeggiata e la doccia di cui avevano tanto bisogno, finché tutte le copie del Sacro Corano non fossero state raccolte.
Com’era loro abitudine, i responsabili vennero subito a urlare ordini e minacce. Fecero uscire le valorose forze anti-sommossa, che aprirono le gabbie e si misero a picchiare i detenuti, li incatenarono e li ammanettarono. Tagliarono loro i capelli, la barba e i baffi e li gettarono in gabbie singole.
Arrivò anche il mio turno. Mi spruzzarono del gas negli occhi, poi cinque soldati si misero a picchiarmi, mi portarono fuori e mi gettarono a terra. Uno di loro mi afferrò la testa e cominciò a sbatterla contro il pavimento di cemento. Un altro mi colpì sull’arcata sopracciliare, causandomi un taglio da cui presto cominciò a uscire molto sangue. Tutto questo accadde mentre ero steso a terra, ammanettato e incatenato. Mi tagliarono capelli, baffi e barba e mi buttarono in una gabbia singola, ricoperto di sangue.
Dopo un’ora un soldato venne a chiedermi, attraverso l’apertura della porta, se mi servivano le cure di un medico. Rifiutai l’offerta e mi raccomandai a Dio, mostrandogli l’ingiustizia dei miei carcerieri. A un certo punto mi accorsi che stavo svenendo a causa della perdita di sangue, e allora chiesi di essere medicato. Mi diedero tre punti di sutura all’arcata sopracciliare, mi fasciarono la testa e mi diedero dei sonniferi, dicendo che erano degli antibiotici. Il tutto, attraverso un’apertura di pochi centimetri.
Mi addormentai, oppresso dall’ingiustizia terribile di quegli uomini.
La mattina del giorno dopo avevo appena aperto gli occhi quando mi trovai di nuovo ossessionato dalla stessa domanda: “Perché mi puniscono? La difesa della mia fede e della mia religione è forse un crimine punibile con il carcere? La nostra richiesta di ritirare le copie del Corano perché non siano profanate sotto ai nostri occhi è un crimine? Perché mi trovo qui? Il fatto che io sia partito per l’Afghanistan per trascorrervi quattro settimane con una telecamera per conto di Al Jazeera dopo la guerra d’aggressione contro un popolo disarmato è anch’esso un crimine per il quale devo essere punito con più di quattro anni di carcere? E per il quale devo essere accusato di terrorismo?”
Tante domande si affollavano nella mia mente, tormentandomi lo spirito e andando ad infrangersi contro tutti gli slogan ingannevoli di cui si gloriano i promotori della libertà, i difensori della democrazia e i protettori della pace in terra.
Originale: http://www.aljazeera.netTradotto dall’arabo in francese da Ahmed Manaï, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com), dal francese in spagnolo da Juan Vivanco a http://www.rebelion.org, dallo spagnolo in inglese da Ernesto Paramo, membro di Tlaxcala, dal francese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala. Questa traduzione è in copyleft.
Versione francese: http://quibla.net/guantanamo2006/guantanamo1.htm
Versione spagnola: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=25069
Versione inglese: http://peacepalestine.blogspot.com
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mercoledì, gennaio 04, 2006
La Barbie e il sondaggio transgender
La Concerned Women for America, un'associazione femminile ultraconservatrice, ha accusato la Barbie di far parte del movimento transgender. Il sito barbie.com ("Activities and Games for Girls online!") ospita un sondaggio in cui i bambini (dai 4 ai 70+ anni, ma su quest'ultimo aspetto sorvoliamo) sono invitati a rispondere a un'innocente domanda:
in gennaio, cosa ti piace fare?
1. giocare nella neve!
2. pattinare o sciare!
3. starmene al calduccio con una bella cioccolata bollente!
4. indossare fighissimi vestiti invernali!
(nota: una rassicurante maggioranza, benché non assoluta, sceglie di giocare nella neve)
Cosa c'è che non va in questo sondaggio, a parte l'uso euforico dei punti esclamativi?
La sezione incriminata è quella in cui bisogna indicare il proprio sesso, scegliendo tra "bambina", "bambino" e "non lo so." Ora, le CWFA hanno l'apertura mentale e la flessibilità morale del Cardinale Ruini quando è incazzato con l'universo, tanto che nel loro sito alcuni dei temi scottanti sono "Quello che il vostro insegnante non vi ha detto sull'astinenza", "A chi importa del matrimonio omosessuale? A Dio!" e una difesa appassionata della preghiera prima dei pasti all'Accademia Navale, affiancati a validi programmi di azione e preghiera e fruttuose sinergie con le "Women for Alito". Naturale che la terza opzione della Barbie abbia mandato fuori di testa le Donne Preoccupate: il sito della Mattel è influenzato dalle problematiche transgender, mira a creare confusione sessuale, incoraggia la bisessualità!
E così il "non lo so" è stato tempestivamente sostituito con un "non mi va di dirlo": più oscuro e inquietante, perché pensare che bambini/e di 5 anni desiderino tenere segreta la propria identità di genere fa impressione.
Adesso il mio senso del surreale sarebbe perfettamente soddisfatto se un'associazione di Donne Preoccupate per i Paesi Caldi accusasse la Mattel di discriminazione climatica e la costringesse ad aggiungere l'opzione windsurf agli ozi di gennaio.
E comunque: se c'è un elemento di confusione sessuale nel'ambiente della Barbie, è chiaramente la deprecata, molto chiacchierata e vistosissima assenza del pisellino di Ken.
in gennaio, cosa ti piace fare?
1. giocare nella neve!
2. pattinare o sciare!
3. starmene al calduccio con una bella cioccolata bollente!
4. indossare fighissimi vestiti invernali!
(nota: una rassicurante maggioranza, benché non assoluta, sceglie di giocare nella neve)
Cosa c'è che non va in questo sondaggio, a parte l'uso euforico dei punti esclamativi?
La sezione incriminata è quella in cui bisogna indicare il proprio sesso, scegliendo tra "bambina", "bambino" e "non lo so." Ora, le CWFA hanno l'apertura mentale e la flessibilità morale del Cardinale Ruini quando è incazzato con l'universo, tanto che nel loro sito alcuni dei temi scottanti sono "Quello che il vostro insegnante non vi ha detto sull'astinenza", "A chi importa del matrimonio omosessuale? A Dio!" e una difesa appassionata della preghiera prima dei pasti all'Accademia Navale, affiancati a validi programmi di azione e preghiera e fruttuose sinergie con le "Women for Alito". Naturale che la terza opzione della Barbie abbia mandato fuori di testa le Donne Preoccupate: il sito della Mattel è influenzato dalle problematiche transgender, mira a creare confusione sessuale, incoraggia la bisessualità!
E così il "non lo so" è stato tempestivamente sostituito con un "non mi va di dirlo": più oscuro e inquietante, perché pensare che bambini/e di 5 anni desiderino tenere segreta la propria identità di genere fa impressione.
Adesso il mio senso del surreale sarebbe perfettamente soddisfatto se un'associazione di Donne Preoccupate per i Paesi Caldi accusasse la Mattel di discriminazione climatica e la costringesse ad aggiungere l'opzione windsurf agli ozi di gennaio.
E comunque: se c'è un elemento di confusione sessuale nel'ambiente della Barbie, è chiaramente la deprecata, molto chiacchierata e vistosissima assenza del pisellino di Ken.
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martedì, gennaio 03, 2006
Smoking gun
Chiave di ricerca del giorno:
"Saddam usò le playstation"
E dai, che a cercarla bene una smoking gun si trova sempre.
"Saddam usò le playstation"
E dai, che a cercarla bene una smoking gun si trova sempre.
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lunedì, gennaio 02, 2006
Possessione telefonica parte seconda
Dopo un'ora e mezza passata a chiamare la tin, comincio a pensare che i numeri di pratica siano i migliori amici delle ragazze. Almeno di quelle con problemi di portante.
L'adsl è mia e me la gestisco io
- Buongiorno, come posso aiutarla?
- Buongiorno, adesso le spiego. Ho traslocato, e in Telecom devono aver sbagliato la riconfigurazione del DSLAM, perché ora ho la portante fissa sui 799 chilobìt per secondo, come se...
- Di chi è l'adsl?
- Emmmmìa!
- Ma no: di quale gestore?
Solo il 2 gennaio e già così.
L'adsl è mia e me la gestisco io
- Buongiorno, come posso aiutarla?
- Buongiorno, adesso le spiego. Ho traslocato, e in Telecom devono aver sbagliato la riconfigurazione del DSLAM, perché ora ho la portante fissa sui 799 chilobìt per secondo, come se...
- Di chi è l'adsl?
- Emmmmìa!
- Ma no: di quale gestore?
Solo il 2 gennaio e già così.
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The Real Thing
domenica, gennaio 01, 2006
Colora il tuo 2006
Buon 2006.
Mi fanno tenerezza quelli che mandano gli sms di buon anno verso le nove di sera: per togliersi il pensiero, per essere i primi, per fare i previdenti? Oppure gli parte così, come il tappo dello spumante solitario cinque minuti prima di mezzanotte? Me li vedo, i precoci, mentre aspettano gli amici e si portano avanti con il lavoro durante il discorso di Ciampi.
Poi c'è la categoria dei precoci e originali.
Ore nove, bip bip:
"L'anno nuovo sarà come 1 libro con 365 pagine vuote. Fai di ogni giorno il tuo CAPOLAVORO usa tutti i colori della vita e mentre colori sorridi! Buon 2006".
1 libro, 365 pagine vuote: un bel bidone, a prima vista. Ma no, perché sono io a doverlo riempire, rendendo ogni giorno un CAPOLAVORO (tutto maiuscolo, un diktat più che un suggerimento), e usando tutti i colori della vita (sarebbe troppo facile e convenzionale usare la scala Pantone). Il tutto, senza mai smettere di sorridere come una cretina.
"Vieni al cine?"
"No scusa, non ho tempo, ho venti giorni arretrati da colorare."
"Cazzo hai da ridere, allora?"
"Eh."
Buon 2006?
Stavi per ammazzarmi, pazza.
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The Real Thing
sabato, dicembre 31, 2005
Ultimi visagismi dell'anno
Non fatemi fare brutte figure, con tutto quello che vi ho insegnato in questi mesi: fondotinta mousse Matte Soufflé, Eyeliner Unforgettable Black, rossetto repulp Pink Sunset, ombretto Prisme Again n. 41, Body Powder in quantità. Ma soprattutto ricordatevi la Poudre Coromandel, che scalda l'incarnato e può tornare utile anche come antigelo per il motore.
Un buon fine anno a tutte/i.
Un buon fine anno a tutte/i.
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visagistica
Holidays on ice
- Ciao, dove passate l'ultimo dell'anno?
- Andiamo a cena da quelli che abitano al 21.
- Ah. Mi passi papà?
- È già di sotto che sparge il sale tra casa nostra* e il 21.
*al 23, NdA.
- Andiamo a cena da quelli che abitano al 21.
- Ah. Mi passi papà?
- È già di sotto che sparge il sale tra casa nostra* e il 21.
*al 23, NdA.
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mercoledì, dicembre 28, 2005
Un caso di possessione telefonica
C'è quest'horror asiatico che ricordo solo per sommi capi: ci sono due sorelle, una bambina posseduta, un marito fedifrago, una casa e il solito telefono. Alla fine una delle due sorelle, esasperata dai fenomeni paranormali e da una caduta dalle scale della bimba ormai irrimediabilmente indemoniata, fa una scelta drammatica, definitiva e in sintonia con il genere: si mette a strappare il filo del telefono. Naturalmente va a finire che con il filo si stacca anche un pezzo di muro. Ci sarà un condensatore, un centralino, un apparecchietto di teleallarme, un salvavita Beghelli? No! Nel muro c'è il corpo mummificato di una studentessa con tanto di camicetta, gonnellino scozzese e calzettoni. Chiaro che standosene lì murata possedeva la linea telefonica, e quindi gli abitanti della casa. (Adoro questi horror asiatici in cui la maledizione è teletrasmessa, videoregistrata, telefonata: lo trovo pratico, perché perder tempo in spiegazioni esoteriche quando possiamo dire che la bambina è posseduta telefonicamente da una morta che sta letteralmente sepolta insieme al doppino?)
La mia linea telefonica è posseduta. Prima succedeva che la connessione adsl cadesse quando si alzava il ricevitore, anche se i filtri erano a posto e i telefoni stavano tutti in parallelo.
In questi casi ho imparato che bisogna fare come negli horror asiatici: prendere coraggio e vedere cosa succede nella presa principale. In cuor mio speravo di trovare murata la suocera dell'inquilino precedente, impacchettata come le mummie del British Museum. Perché si sa che tra Natale e Capodanno è più facile trovare un esorcista che un tecnico competente.
Invece ho trovato la NTUL, che non è una maledizione in rumeno (magari) ma la Nuova Terminazione Unificata di Linea, una scatoletta che la SIP installava negli anni Novanta per rilevare e risolvere a distanza i guasti telefonici. Il progetto naturalmente fu abbandonato, lasciando in eredità queste scatole pieni di cavetti che escono dalla tua povera presa posseduta ed entrano nel corpo orribilmente decomposto della centrale Telecom.
Altro che suocera.
E via, si fa un altro bel respiro profondo, si sganciano i morsetti e si isola la scatola abbandonandola al suo destino autoreferenziale, a sognare interventi che non arriveranno mai.
Così la connessione non cade più. Solo che la linea è ancora disturbata, l'adsl viaggia a 799 kbps, l'803380 mi omaggia della voce di Annie Lennox ("I saved the world today" non è un po' azzardata per dei tizi che non riescono neanche a salvarti la connessione?) invece di passarmi un operatore, poi mi passa un operatore che mi spiega come funziona l'adsl, e io gli rispondo che lo immagino, ma che sto a duecento metri dalla casa di prima, l'impianto è a posto e soprattutto 799 kbps sono pochi quando si paga almeno per l'illusione di 4 mega, insisto per dargli i dati dell'attenuazione e dei rumori di fondo, e insomma lui alla fine si rassegna a fare la segnalazione come si deve e mi chiede il numero di cellulare. Non ho mai faticato tanto per dare a un uomo il mio numero di telefono (con alcune vistose eccezioni), e chissà se ne è valsa la pena. Alla fine non ho ben capito cosa succederà nelle prossime 48 ore, ma penso niente.
Adesso nevica, io osservo la presa principale e la NTUL defunta e ripenso al tecnico della Telecom (uno dei tanti con cui ho chiacchierato oggi, in un'apoteosi di numeri verdi) che mi ha detto dispiaciuto: "Sa, noi e quelli dell'adsl siamo solo cugini, per così dire." Di quei cugini che non si parlano, naturalmente.
Quando rispondo al telefono mi fanno tutti graziosamente notare che sembro una voce dall'oltretomba. Un po' Merle Oberon in Cime Tempestose quando grida disperatamente "Heathcliff!" nella tormenta, mi sembra di capire. Un regista asiatico ci girerebbe un film di serie B in cui lo spettro della donna dai lunghi capelli presidia i doppini in attesa di ossessionare prede vulnerabili, meglio se operatori o operatrici di call center tin.it, cugini malvagi e manager Telecom, mentre in sottofondo va in loop la versione stonata e al contrario di "yadot dlrow eht devas I."
Una bella maledizione adesso la sussurrerei tanto volentieri, ma comodamente a telefono, possibilmente ore pasti.
La mia linea telefonica è posseduta. Prima succedeva che la connessione adsl cadesse quando si alzava il ricevitore, anche se i filtri erano a posto e i telefoni stavano tutti in parallelo.
In questi casi ho imparato che bisogna fare come negli horror asiatici: prendere coraggio e vedere cosa succede nella presa principale. In cuor mio speravo di trovare murata la suocera dell'inquilino precedente, impacchettata come le mummie del British Museum. Perché si sa che tra Natale e Capodanno è più facile trovare un esorcista che un tecnico competente.
Invece ho trovato la NTUL, che non è una maledizione in rumeno (magari) ma la Nuova Terminazione Unificata di Linea, una scatoletta che la SIP installava negli anni Novanta per rilevare e risolvere a distanza i guasti telefonici. Il progetto naturalmente fu abbandonato, lasciando in eredità queste scatole pieni di cavetti che escono dalla tua povera presa posseduta ed entrano nel corpo orribilmente decomposto della centrale Telecom.
Altro che suocera.
E via, si fa un altro bel respiro profondo, si sganciano i morsetti e si isola la scatola abbandonandola al suo destino autoreferenziale, a sognare interventi che non arriveranno mai.
Così la connessione non cade più. Solo che la linea è ancora disturbata, l'adsl viaggia a 799 kbps, l'803380 mi omaggia della voce di Annie Lennox ("I saved the world today" non è un po' azzardata per dei tizi che non riescono neanche a salvarti la connessione?) invece di passarmi un operatore, poi mi passa un operatore che mi spiega come funziona l'adsl, e io gli rispondo che lo immagino, ma che sto a duecento metri dalla casa di prima, l'impianto è a posto e soprattutto 799 kbps sono pochi quando si paga almeno per l'illusione di 4 mega, insisto per dargli i dati dell'attenuazione e dei rumori di fondo, e insomma lui alla fine si rassegna a fare la segnalazione come si deve e mi chiede il numero di cellulare. Non ho mai faticato tanto per dare a un uomo il mio numero di telefono (con alcune vistose eccezioni), e chissà se ne è valsa la pena. Alla fine non ho ben capito cosa succederà nelle prossime 48 ore, ma penso niente.
Adesso nevica, io osservo la presa principale e la NTUL defunta e ripenso al tecnico della Telecom (uno dei tanti con cui ho chiacchierato oggi, in un'apoteosi di numeri verdi) che mi ha detto dispiaciuto: "Sa, noi e quelli dell'adsl siamo solo cugini, per così dire." Di quei cugini che non si parlano, naturalmente.
Quando rispondo al telefono mi fanno tutti graziosamente notare che sembro una voce dall'oltretomba. Un po' Merle Oberon in Cime Tempestose quando grida disperatamente "Heathcliff!" nella tormenta, mi sembra di capire. Un regista asiatico ci girerebbe un film di serie B in cui lo spettro della donna dai lunghi capelli presidia i doppini in attesa di ossessionare prede vulnerabili, meglio se operatori o operatrici di call center tin.it, cugini malvagi e manager Telecom, mentre in sottofondo va in loop la versione stonata e al contrario di "yadot dlrow eht devas I."
Una bella maledizione adesso la sussurrerei tanto volentieri, ma comodamente a telefono, possibilmente ore pasti.
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lunedì, dicembre 26, 2005
Il segreto della felicità dei gatti
Io capisco benissimo il signor G.
Ti prelevano da casa tua per portarti da un'altra parte. Vacanza, pensi. Poi tornano a prenderti, e già assapori le comodità ritrovate delle ciotole del cibo perfettamente allineate al posto giusto e della cassettina tua-tua con la lettiera della gradita consistenza. I dubbi ti assalgono alla prima svolta sbagliata ("Ehi, gente, le mie vibrisse dicono da quella parte"); nell'ascensore - "Ehi, noi non abbiamo un ascensore" - ti consoli pensando che neanche il veterinario ha un ascensore, del resto tu ti senti benissimo e non è giorno di vaccinazione.
Poi ti ritrovi in un'altra casa, dove le tue cose sono disposte in un ordine diverso, ci sono alcuni mobili che riconosci e altri che per te costituiscono un sudoku olfattivo di livello diabolico.
Infine, scopri che lì ci è vissuto un altro gatto. E per quanto la tua donna di fiducia sia una maniaca della candeggina e del lisoformio, accidenti, ti accorgi che ti attendono mesi di duro lavoro: superfici nuove da strofinare con il muso, angolini da marcare con discrezione, stipiti da graffiare.
Al posto suo impazzirei.
Aggiungiamoci poi il gatto rosso, una specie di furbetto del condominio che gironzola per le scale impunito: non si sa di chi sia né in cosa consista la sua carta degli obiettivi, però trovo sospetto che mi aspetti sullo zerbino di casa e che venerdì abbia tentato di invitarsi a cena. Ha la faccia di uno che non accetta un no come risposta. Bisogna quindi evitare che il rosso si presenti alla porta di casa con un cartone di Friskies e si piazzi sul divano.
Ma soprattutto bisogna far felice il signor G.
Così sabato sono uscita e ho comprato il Feliway ("il segreto della felicità dei gatti"), un diffusore di feromoni con effetto tranquillizzante e antistress. Nota per i lettori: sulla confezione sta scritto che "i componenti attivi di Feliway non sono estratti dagli animali". Per dire, non hanno spremuto nessun micio per produrli. Posso confermare che in questo post l'unico a essere stato maltrattato è il mio portafoglio.
Ho inserito il Feliway nella presa e sono andata a prendere il signor G. per immergerlo in questo ambiente estraneo inondato di palpabile benessere felino.
Il signor G., nell'ordine e nell'arco di un paio d'ore:
1. si è molto agitato;
2. ha molto miagolato;
3. si è steso sul pavimento a sbadigliare, a riprender fiato e a raccogliere le idee;
4. ha annusato tutto;
5. ha bevuto da tutti i rubinetti, verificando che l'acqua fosse perfettamente potabile;
5. si è calmato;
6. si è addormentato.
L'efficacia del Feliway non è al momento dimostrata, tranne che per un paio di fenomeni:
1. io ho un irrefrenabile impulso a strofinare la faccia contro gli spigoli;
2. il rosso mi sembra più ammiccante e rilassato del solito;
3. i gatti del vicinato adesso mi fanno ciao con la zampina.
Dimenticavo: buone feste a tutti.
Ti prelevano da casa tua per portarti da un'altra parte. Vacanza, pensi. Poi tornano a prenderti, e già assapori le comodità ritrovate delle ciotole del cibo perfettamente allineate al posto giusto e della cassettina tua-tua con la lettiera della gradita consistenza. I dubbi ti assalgono alla prima svolta sbagliata ("Ehi, gente, le mie vibrisse dicono da quella parte"); nell'ascensore - "Ehi, noi non abbiamo un ascensore" - ti consoli pensando che neanche il veterinario ha un ascensore, del resto tu ti senti benissimo e non è giorno di vaccinazione.
Poi ti ritrovi in un'altra casa, dove le tue cose sono disposte in un ordine diverso, ci sono alcuni mobili che riconosci e altri che per te costituiscono un sudoku olfattivo di livello diabolico.
Infine, scopri che lì ci è vissuto un altro gatto. E per quanto la tua donna di fiducia sia una maniaca della candeggina e del lisoformio, accidenti, ti accorgi che ti attendono mesi di duro lavoro: superfici nuove da strofinare con il muso, angolini da marcare con discrezione, stipiti da graffiare.
Al posto suo impazzirei.
Aggiungiamoci poi il gatto rosso, una specie di furbetto del condominio che gironzola per le scale impunito: non si sa di chi sia né in cosa consista la sua carta degli obiettivi, però trovo sospetto che mi aspetti sullo zerbino di casa e che venerdì abbia tentato di invitarsi a cena. Ha la faccia di uno che non accetta un no come risposta. Bisogna quindi evitare che il rosso si presenti alla porta di casa con un cartone di Friskies e si piazzi sul divano.
Ma soprattutto bisogna far felice il signor G.
Così sabato sono uscita e ho comprato il Feliway ("il segreto della felicità dei gatti"), un diffusore di feromoni con effetto tranquillizzante e antistress. Nota per i lettori: sulla confezione sta scritto che "i componenti attivi di Feliway non sono estratti dagli animali". Per dire, non hanno spremuto nessun micio per produrli. Posso confermare che in questo post l'unico a essere stato maltrattato è il mio portafoglio.
Ho inserito il Feliway nella presa e sono andata a prendere il signor G. per immergerlo in questo ambiente estraneo inondato di palpabile benessere felino.
Il signor G., nell'ordine e nell'arco di un paio d'ore:
1. si è molto agitato;
2. ha molto miagolato;
3. si è steso sul pavimento a sbadigliare, a riprender fiato e a raccogliere le idee;
4. ha annusato tutto;
5. ha bevuto da tutti i rubinetti, verificando che l'acqua fosse perfettamente potabile;
5. si è calmato;
6. si è addormentato.
L'efficacia del Feliway non è al momento dimostrata, tranne che per un paio di fenomeni:
1. io ho un irrefrenabile impulso a strofinare la faccia contro gli spigoli;
2. il rosso mi sembra più ammiccante e rilassato del solito;
3. i gatti del vicinato adesso mi fanno ciao con la zampina.
Dimenticavo: buone feste a tutti.
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martedì, dicembre 20, 2005
Atti di ordinaria follia
[Prima o poi doveva succedere. Ho appena telefonato a mia madre con un futile pretesto e mi sono fatta passare il signor G.]
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sabato, dicembre 17, 2005
Come caricare un AK-47 e vivere felici
Raw Story ha messo a disposizione in file excel e pdf le richieste (più di 10.000, e i file sono di conseguenza molto corposi) presentate al Pentagono in base al Freedom of Information Act, dal 2000 a oggi.
Non sorprende che le domande a proposito di UFO, Roswell, Area 51 e relazioni diplomatiche con gli extraterrestri vadano per la maggiore.
Due sono però i miei preferiti in assoluto:
1. quello che in aggiunta ai soliti chiarimenti su Roswell e l'Area 51 chiede anche una fotografia di Donald Rumsfeld.
2. il signor (o signora) Ellington che dichiara la propria disponibilità a pagare 2 dollari per imparare a caricare un Kalashnikov AK-47.
Non posso fare a meno di pensare che si tratti sempre di Mr o Mrs Ellington.
Me lo/la immagino mentre, caricato finalmente l'AK-47 con la modica spesa di dollari due, usa la foto di Rumsfeld come bersaglio in attesa fiduciosa dei rinforzi da Marte.
Non sorprende che le domande a proposito di UFO, Roswell, Area 51 e relazioni diplomatiche con gli extraterrestri vadano per la maggiore.
Due sono però i miei preferiti in assoluto:
1. quello che in aggiunta ai soliti chiarimenti su Roswell e l'Area 51 chiede anche una fotografia di Donald Rumsfeld.
2. il signor (o signora) Ellington che dichiara la propria disponibilità a pagare 2 dollari per imparare a caricare un Kalashnikov AK-47.
Non posso fare a meno di pensare che si tratti sempre di Mr o Mrs Ellington.
Me lo/la immagino mentre, caricato finalmente l'AK-47 con la modica spesa di dollari due, usa la foto di Rumsfeld come bersaglio in attesa fiduciosa dei rinforzi da Marte.
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giovedì, dicembre 15, 2005
La regressione da trasloco
Sto infine per traslocare.
È normale che abbia questo strano desiderio di nascondermi nella cassapanca con il signor G. e un chilo di fondotinta per tutte le evenienze?
Che poi facevamo che io ero nella cassapanca e voi mi portavate qualcosa da mangiare e le notizie del giorno, e così non si faceva nessun trasloco. Che i nuovi inquilini imparavano ad amarmi e forse a rispettarmi, io continuavo a usare la loro connessione internet ma a mangiare pochissimo, il pomeriggio facevo partire il videoregistratore così non serviva mettere il timer, la mattina sgusciavo dalla cassapanca e andavo a comprare le brioche e i krapfen con la marmellata, e facevo anche il pane per tutti, per le feste e per i battesimi, portavo a scuola i bambini e gli facevo i compiti di nascosto. Che andavo alle riunioni di condominio e a pagare l'ici. Che il signor G. pattinava per casa come un matto lucidando il pavimento. Che mettevo alla porta con cortesia e fermezza i testimoni di Geova e i rappresentanti del Folletto Hoover.
E invece no. Devo prendere questi 4300 libri e inscatolarli, chiedendomi cosa me ne faccio della storia del baccalà, come si giustifica un manuale di danza del ventre, e perché possiedo una vecchia edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray che ha come titolo Doriano Gray dipinto. Prendere il ritratto 50x70 del maresciallo Tito e incartarlo.
Prendere quella madonna placcata oro zecchino su base di legno regalata da chissà chi e trovare il coraggio di abbandonarla sul raccordo Gorizia-Villesse, insieme al gruppo di pietra portoghese raffigurante nonno che fuma la pipa e legge il giornale, fanciullo triste e cane mesto (o nonno mesto, cane che legge il giornale e fanciullo che fuma), regalo lo so io di chi (parlo di te, Umberto N.). Scalpellare la targhetta "attention chat bizarre" e salutare la piastrella "Deu vos guard", che invoca la benevolenza di un dio straniero e fa pendant con il gruppo di pietra (Umberto, sempre tu: conoscerai la mia vendetta).
Nel cassetto dell'angoliera ho scoperto un pennino vecchissimo marca "Impero", ossidato. Sotto l'angoliera, invece, una pallina rosa e nera del signor G., una cartina argentata e una moneta da un euro. In quel momento il felino e io ci siamo guardati e abbiamo allungato zampa e mano contemporaneamente sul malloppo, grati alla divinità che nasconde le cose e poi te le fa ritrovare impolverate.
Dietro ai libri di ricette, in cucina, ho trovato un topolino di peluche della gatta, nascosto dalla divinità specializzata in pugni allo stomaco e colpi bassi.
Il mio medico mi ha appena comunicato con soddisfazione pettegola che tra i miei nuovi vicini di casa ci sono alcuni suoi colleghi. Mi destabilizza, questa concentrazione: immagino già l'agonia dei viaggi in ascensore con l'ematologa che scruta la mia faccia pallida e mi propone un controllo delle piastrine. O il fisiatra che mentre esco di casa mi grida dietro "su con quella schiena, e che cazzo". Al dentista non voglio nemmeno pensarci.
Il signor G. domani andrà dai miei con il suo beauty case e la prossima settimana - dopo essere stato pettinato, vezzeggiato, baciato e interrogato senza sosta e dunque fino allo sfinimento da mia madre - sarà depositato in una casa sconosciuta già abitata in precedenza da un gatto obeso e provvista di un divano nuovo di mia scelta e gusto. Marcherà il suo territorio diligentemente e poi stravaccandosi felice sul plaid si guarderà attorno con fare scettico pensando: "sta' a vedere che con tutti questi medici c'è pure un Mengele di veterinario, con la sfiga che gira ultimamente."
Voglio arrivare lì e attaccare il quadro degli anni Sessanta con le due facce della luna, il poster incorniciato di The Great Bear e il ritratto di Peter Sellers di Bill Brandt. Bruciare le erbette dell'amica di Alessandra ("guarda che non si fumano, ma allora lo vedi che sei scema!") e accendere le sue candele magiche perché non si sa mai e magari non farlo porta pegola. Poi mettere via i libri e sperare che il tecnico della Telecom tanto gentile che mi ha detto che mi telefona sul cellulare martedì pomeriggio e mercoledì mi mette la linea non sia un mitomane o uno scappato dal manicomio o un troll padano (un fan, invece, escluderei).
La sera tardi voglio farmi una cioccolata calda, sedermi sul divano e aspettare, chiedendomi per la centesima volta come ho fatto a prestare tutta la serie di Douglas Adams. E poi finalmente sentire un urlo angosciato e le parole "chi ha appeso il ritratto di Tito nell'armadio guardaroba?".
A quel punto, lo sapete voi e lo so anch'io, mi scapperà il primo sorriso della giornata.
È normale che abbia questo strano desiderio di nascondermi nella cassapanca con il signor G. e un chilo di fondotinta per tutte le evenienze?
Che poi facevamo che io ero nella cassapanca e voi mi portavate qualcosa da mangiare e le notizie del giorno, e così non si faceva nessun trasloco. Che i nuovi inquilini imparavano ad amarmi e forse a rispettarmi, io continuavo a usare la loro connessione internet ma a mangiare pochissimo, il pomeriggio facevo partire il videoregistratore così non serviva mettere il timer, la mattina sgusciavo dalla cassapanca e andavo a comprare le brioche e i krapfen con la marmellata, e facevo anche il pane per tutti, per le feste e per i battesimi, portavo a scuola i bambini e gli facevo i compiti di nascosto. Che andavo alle riunioni di condominio e a pagare l'ici. Che il signor G. pattinava per casa come un matto lucidando il pavimento. Che mettevo alla porta con cortesia e fermezza i testimoni di Geova e i rappresentanti del Folletto Hoover.
E invece no. Devo prendere questi 4300 libri e inscatolarli, chiedendomi cosa me ne faccio della storia del baccalà, come si giustifica un manuale di danza del ventre, e perché possiedo una vecchia edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray che ha come titolo Doriano Gray dipinto. Prendere il ritratto 50x70 del maresciallo Tito e incartarlo.
Prendere quella madonna placcata oro zecchino su base di legno regalata da chissà chi e trovare il coraggio di abbandonarla sul raccordo Gorizia-Villesse, insieme al gruppo di pietra portoghese raffigurante nonno che fuma la pipa e legge il giornale, fanciullo triste e cane mesto (o nonno mesto, cane che legge il giornale e fanciullo che fuma), regalo lo so io di chi (parlo di te, Umberto N.). Scalpellare la targhetta "attention chat bizarre" e salutare la piastrella "Deu vos guard", che invoca la benevolenza di un dio straniero e fa pendant con il gruppo di pietra (Umberto, sempre tu: conoscerai la mia vendetta).
Nel cassetto dell'angoliera ho scoperto un pennino vecchissimo marca "Impero", ossidato. Sotto l'angoliera, invece, una pallina rosa e nera del signor G., una cartina argentata e una moneta da un euro. In quel momento il felino e io ci siamo guardati e abbiamo allungato zampa e mano contemporaneamente sul malloppo, grati alla divinità che nasconde le cose e poi te le fa ritrovare impolverate.
Dietro ai libri di ricette, in cucina, ho trovato un topolino di peluche della gatta, nascosto dalla divinità specializzata in pugni allo stomaco e colpi bassi.
Il mio medico mi ha appena comunicato con soddisfazione pettegola che tra i miei nuovi vicini di casa ci sono alcuni suoi colleghi. Mi destabilizza, questa concentrazione: immagino già l'agonia dei viaggi in ascensore con l'ematologa che scruta la mia faccia pallida e mi propone un controllo delle piastrine. O il fisiatra che mentre esco di casa mi grida dietro "su con quella schiena, e che cazzo". Al dentista non voglio nemmeno pensarci.
Il signor G. domani andrà dai miei con il suo beauty case e la prossima settimana - dopo essere stato pettinato, vezzeggiato, baciato e interrogato senza sosta e dunque fino allo sfinimento da mia madre - sarà depositato in una casa sconosciuta già abitata in precedenza da un gatto obeso e provvista di un divano nuovo di mia scelta e gusto. Marcherà il suo territorio diligentemente e poi stravaccandosi felice sul plaid si guarderà attorno con fare scettico pensando: "sta' a vedere che con tutti questi medici c'è pure un Mengele di veterinario, con la sfiga che gira ultimamente."
Voglio arrivare lì e attaccare il quadro degli anni Sessanta con le due facce della luna, il poster incorniciato di The Great Bear e il ritratto di Peter Sellers di Bill Brandt. Bruciare le erbette dell'amica di Alessandra ("guarda che non si fumano, ma allora lo vedi che sei scema!") e accendere le sue candele magiche perché non si sa mai e magari non farlo porta pegola. Poi mettere via i libri e sperare che il tecnico della Telecom tanto gentile che mi ha detto che mi telefona sul cellulare martedì pomeriggio e mercoledì mi mette la linea non sia un mitomane o uno scappato dal manicomio o un troll padano (un fan, invece, escluderei).
La sera tardi voglio farmi una cioccolata calda, sedermi sul divano e aspettare, chiedendomi per la centesima volta come ho fatto a prestare tutta la serie di Douglas Adams. E poi finalmente sentire un urlo angosciato e le parole "chi ha appeso il ritratto di Tito nell'armadio guardaroba?".
A quel punto, lo sapete voi e lo so anch'io, mi scapperà il primo sorriso della giornata.
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Non ci posso credere
Per mettere fine agli abusi (leggete pure torture), gli Stati Uniti ispezioneranno le carceri gestite dagli iracheni.
New York Times, mica The Onion.
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mercoledì, dicembre 14, 2005
La realtà e la manipolazione dei media
Quello che segue è tratto da un'intervista di Joshua Holland di Alternet a Larry Beinhart, scrittore e saggista interessato all'influenza della politica sui mezzi di informazione di massa. L'ho trovata interessante per come smonta i meccanismi che governano i media statunitensi, facendo riferimento ad alcuni casi specifici.
Beinhart è autore del libro Fog Facts: Searching for Truth in the Land of Spin. E proprio di fog facts (che ho tradotto liberamente come "fatti fumosi", a prendersi qualche altra libertà mi verrebbe da scrivere "nebbia dell'informazione") parla questa intervista.
Cosa sono i "fatti fumosi"?
Sono cose che sono state pubblicate e rese note, ma scomparse poi sullo sfondo in una specie di nebbia. E ci sono molti fatti che dovrebbero scomparire così, le curiosità, le stupidaggini, e tutte quelle cose che non abbiamo bisogno di sapere. Ma ora sto parlando di cose importanti, cose che, se portate in primo piano, sono in grado di cambiare la nostra visione della realtà.
Come diventa “fumoso”, un fatto?
Con alcune eccezioni, le notizie non sono da subito e automaticamente grandi notizie. Le eccezioni sono la morte di un papa, il campionato del mondo, gli tsunami, i vulcani, le guerre, o almeno quelle che ci coinvolgono. Ma la maggioranza delle notizie diventa tale - comprese le guerre - grazie ai comunicati stampa. L'esempio che uso sempre, visto che ci troviamo in una piccola cittadina, è il calendario della serie minore. Se il calendario della serie minore è sul giornale, è solo perché l'allenatore o sua moglie glielo spediscono.
La maggior parte delle notizie nasce come comunicato stampa, conferenza stampa o dichiarazione. E se vuole restare tra le notizie, deve avere nuovi comunicati stampa e nuove storie da raccontare. Ci deve lavorare su qualcuno, che deve investire tempo ed energie per farci su una storia più grossa. E se non lo fa nessuno, può anche non diventare affatto una storia, può restare una notizia isolata. Ha presente, pagina 12 del New York Times, pagina 26.
E in parte ciò che accade è che coloro che lavorano nei media - specialmente nell'ambiente della carta stampata - pensano che se hanno riferito una notizia hanno fatto il loro lavoro. Il loro lavoro non consiste nel determinare quale sarà l'effetto sulla popolazione, come assorbiremo quella notizia, quanto ci colpirà - non è quello, il loro lavoro. Non fanno che prendere un fatto e metterlo in pagina. E hanno finito. Se poi la notizia si ripresenta, con un nuovo comunicato stampa o una nuova svolta, la seguono.
Un ottimo esempio è il denaro di Oil-for-Food. Tutti in America sanno che c'è una specie di scandalo su quello che le Nazioni Unite hanno fatto del denaro di Oil-for-Food. Non sanno esattamente cos'è, ma sanno che è uno scandalo, che Kofi Annan ha fatto qualcosa di sporco. Ora, per quel che si sa, la corruzione e il malaffare hanno riguardato al massimo centinaia di migliaia di dollari, escluso il denaro su cui Saddam Hussein fu in grado di mettere le mani, cosa che fu generalmente approvata e permessa da tutti. Comunque, i torti delle Nazioni Unite si possono definire minori.
Dopo la conquista statunitense dell'Iraq il denaro di Oil-for-Food fu trasferito a una nuova entità, la CPA, l'Autorità provvisoria della coalizione diretta da Paul Bremer. E circa 9 miliardi di dollari di quel petrolio andarono nelle casse della CPA, oltre a circa 10 miliardi di altri fondi. Questo denaro veniva essenzialmente custodito per conto del governo iracheno. Adesso ne sono scomparsi circa 19 miliardi.
Se ricordo bene, dei 20 miliardi ne è rimasto solo mezzo. E la cosa è emersa solo in tre notizie. La ragione è che non esiste un gruppo di potere che influenzi i media americani al quale interessi qualcosa dei soldi iracheni. C'è invece un ampio gruppo di potere che odia l'ONU. E odia l'ONU perché la semplice idea di porre delle restrizioni all'autorità sovrana degli Stati Uniti è una cosa che lo irrita infinitamente. Così questo gruppo di potere non vedeva l'ora di trovare il modo per infangare l'ONU, e dunque lavorarono su quella storia, la spinsero, e di conseguenza ne abbiamo sentito parlare moltissimo.
E così una notizia è rimasta nebulosa e confusa, l'altra è diventata un fatto ben noto.
Un altro esempio si ha quando sono gli stessi mezzi di informazione a decidere di creare un fatto fumoso, perché non vogliono che qualcosa si sappia. Il caso più noto è stato il nuovo conteggio dei voti dopo le elezioni del 2000 in Florida, che fu pagato dai media stessi. Ci furono così tante controversie su quel voto che New York Times, Washington Post, Tribune Company - cioè Chicago Tribune - Los Angeles Times, CNN, Wall Street Journal and St. Petersburg Times si misero insieme e dissero che avremmo ricalcolato quei voti per scoprire chi aveva vinto davvero. Lo fecero e ci spesero un milione di dollari. E il vero vincitore avrebbe fatto notizia.
Era questa la cosa eccitante. Se scoprivano che aveva vinto Al Gore, sarebbe stata una notizia ben più grossa che se avesse vinto Bush. Quella è notizia vecchia, chi se ne frega? E quando contarono tutti i voti da cui si potesse capire con certezza la scelta di voto, vinse Al Gore.
Così i titoli avrebbero dovuto essere "Al Gore ha ricevuto più voti" o "Al Gore avrebbe dovuto diventare presidente" o "Eletto l'uomo sbagliato" o "La Corte Suprema blocca la verifica in tempo per salvare Bush." Non è così? Ma i titoli non furono quelli. I titoli furono "Bush ha vinto comunque" "I nuovi conteggi dimostrano che Bush ha vinto", "I nuovi conteggi dimostrano che l'azione della Corte Suprema era inutile."
E il New York Times fu il peggiore di tutti. A meno che non si leggesse la storia con attenzione ragionieristica, era letteralmente impossibile decifrare che Al Gore aveva ricevuto più voti. La verità è che io non ci riuscii. Lessi la storia e pensai, "oh, merda, che delusione." Due anni dopo lessi una storia dell'altro Gore, Vidal, e lui ne parlò. Allora andai a rileggermi il Times. E pensai: "Oh, mio Dio. Al Gore ha preso più voti di George Bush. Incredibile."
E poi lessi tutti gli altri giornali e dissi: "Questo è uno dei più sorprendenti eventi mediatici che io abbia mai visto." Voglio scoprire come tutti e sette hanno preso la stessa decisione di affossare la storia. Non di negarla, ma di affossarla così da poter dire con la coscienza pulita: "abbiamo riferito la verità." E l'hanno fatto. Ma l'hanno manipolata così pesantemente che perfino i più impegnati, le persone di sinistra e i blogger se la sono persa.
[Questa è solo una parte. L'intervista, in cui si parla di 11 settembre, di manipolazione dell'opinione pubblica utilizzando i metodi delle pubbliche relazioni e del futuro del giornalismo oggettivo, è per intero sul miro 2.0.]
Beinhart è autore del libro Fog Facts: Searching for Truth in the Land of Spin. E proprio di fog facts (che ho tradotto liberamente come "fatti fumosi", a prendersi qualche altra libertà mi verrebbe da scrivere "nebbia dell'informazione") parla questa intervista.
Cosa sono i "fatti fumosi"?
Sono cose che sono state pubblicate e rese note, ma scomparse poi sullo sfondo in una specie di nebbia. E ci sono molti fatti che dovrebbero scomparire così, le curiosità, le stupidaggini, e tutte quelle cose che non abbiamo bisogno di sapere. Ma ora sto parlando di cose importanti, cose che, se portate in primo piano, sono in grado di cambiare la nostra visione della realtà.
Come diventa “fumoso”, un fatto?
Con alcune eccezioni, le notizie non sono da subito e automaticamente grandi notizie. Le eccezioni sono la morte di un papa, il campionato del mondo, gli tsunami, i vulcani, le guerre, o almeno quelle che ci coinvolgono. Ma la maggioranza delle notizie diventa tale - comprese le guerre - grazie ai comunicati stampa. L'esempio che uso sempre, visto che ci troviamo in una piccola cittadina, è il calendario della serie minore. Se il calendario della serie minore è sul giornale, è solo perché l'allenatore o sua moglie glielo spediscono.
La maggior parte delle notizie nasce come comunicato stampa, conferenza stampa o dichiarazione. E se vuole restare tra le notizie, deve avere nuovi comunicati stampa e nuove storie da raccontare. Ci deve lavorare su qualcuno, che deve investire tempo ed energie per farci su una storia più grossa. E se non lo fa nessuno, può anche non diventare affatto una storia, può restare una notizia isolata. Ha presente, pagina 12 del New York Times, pagina 26.
E in parte ciò che accade è che coloro che lavorano nei media - specialmente nell'ambiente della carta stampata - pensano che se hanno riferito una notizia hanno fatto il loro lavoro. Il loro lavoro non consiste nel determinare quale sarà l'effetto sulla popolazione, come assorbiremo quella notizia, quanto ci colpirà - non è quello, il loro lavoro. Non fanno che prendere un fatto e metterlo in pagina. E hanno finito. Se poi la notizia si ripresenta, con un nuovo comunicato stampa o una nuova svolta, la seguono.
Un ottimo esempio è il denaro di Oil-for-Food. Tutti in America sanno che c'è una specie di scandalo su quello che le Nazioni Unite hanno fatto del denaro di Oil-for-Food. Non sanno esattamente cos'è, ma sanno che è uno scandalo, che Kofi Annan ha fatto qualcosa di sporco. Ora, per quel che si sa, la corruzione e il malaffare hanno riguardato al massimo centinaia di migliaia di dollari, escluso il denaro su cui Saddam Hussein fu in grado di mettere le mani, cosa che fu generalmente approvata e permessa da tutti. Comunque, i torti delle Nazioni Unite si possono definire minori.
Dopo la conquista statunitense dell'Iraq il denaro di Oil-for-Food fu trasferito a una nuova entità, la CPA, l'Autorità provvisoria della coalizione diretta da Paul Bremer. E circa 9 miliardi di dollari di quel petrolio andarono nelle casse della CPA, oltre a circa 10 miliardi di altri fondi. Questo denaro veniva essenzialmente custodito per conto del governo iracheno. Adesso ne sono scomparsi circa 19 miliardi.
Se ricordo bene, dei 20 miliardi ne è rimasto solo mezzo. E la cosa è emersa solo in tre notizie. La ragione è che non esiste un gruppo di potere che influenzi i media americani al quale interessi qualcosa dei soldi iracheni. C'è invece un ampio gruppo di potere che odia l'ONU. E odia l'ONU perché la semplice idea di porre delle restrizioni all'autorità sovrana degli Stati Uniti è una cosa che lo irrita infinitamente. Così questo gruppo di potere non vedeva l'ora di trovare il modo per infangare l'ONU, e dunque lavorarono su quella storia, la spinsero, e di conseguenza ne abbiamo sentito parlare moltissimo.
E così una notizia è rimasta nebulosa e confusa, l'altra è diventata un fatto ben noto.
Un altro esempio si ha quando sono gli stessi mezzi di informazione a decidere di creare un fatto fumoso, perché non vogliono che qualcosa si sappia. Il caso più noto è stato il nuovo conteggio dei voti dopo le elezioni del 2000 in Florida, che fu pagato dai media stessi. Ci furono così tante controversie su quel voto che New York Times, Washington Post, Tribune Company - cioè Chicago Tribune - Los Angeles Times, CNN, Wall Street Journal and St. Petersburg Times si misero insieme e dissero che avremmo ricalcolato quei voti per scoprire chi aveva vinto davvero. Lo fecero e ci spesero un milione di dollari. E il vero vincitore avrebbe fatto notizia.
Era questa la cosa eccitante. Se scoprivano che aveva vinto Al Gore, sarebbe stata una notizia ben più grossa che se avesse vinto Bush. Quella è notizia vecchia, chi se ne frega? E quando contarono tutti i voti da cui si potesse capire con certezza la scelta di voto, vinse Al Gore.
Così i titoli avrebbero dovuto essere "Al Gore ha ricevuto più voti" o "Al Gore avrebbe dovuto diventare presidente" o "Eletto l'uomo sbagliato" o "La Corte Suprema blocca la verifica in tempo per salvare Bush." Non è così? Ma i titoli non furono quelli. I titoli furono "Bush ha vinto comunque" "I nuovi conteggi dimostrano che Bush ha vinto", "I nuovi conteggi dimostrano che l'azione della Corte Suprema era inutile."
E il New York Times fu il peggiore di tutti. A meno che non si leggesse la storia con attenzione ragionieristica, era letteralmente impossibile decifrare che Al Gore aveva ricevuto più voti. La verità è che io non ci riuscii. Lessi la storia e pensai, "oh, merda, che delusione." Due anni dopo lessi una storia dell'altro Gore, Vidal, e lui ne parlò. Allora andai a rileggermi il Times. E pensai: "Oh, mio Dio. Al Gore ha preso più voti di George Bush. Incredibile."
E poi lessi tutti gli altri giornali e dissi: "Questo è uno dei più sorprendenti eventi mediatici che io abbia mai visto." Voglio scoprire come tutti e sette hanno preso la stessa decisione di affossare la storia. Non di negarla, ma di affossarla così da poter dire con la coscienza pulita: "abbiamo riferito la verità." E l'hanno fatto. Ma l'hanno manipolata così pesantemente che perfino i più impegnati, le persone di sinistra e i blogger se la sono persa.
[Questa è solo una parte. L'intervista, in cui si parla di 11 settembre, di manipolazione dell'opinione pubblica utilizzando i metodi delle pubbliche relazioni e del futuro del giornalismo oggettivo, è per intero sul miro 2.0.]
martedì, dicembre 13, 2005
Lui ha un piano (ce l'ha?)
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Benvenuti
"I think we are welcomed. But it was not a peaceful welcome."
G. W. Bush sull'Iraq.
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lunedì, dicembre 12, 2005
Il presepe e la performativa fase mistica
"Papa denuncia materialismo affacciandosi a balcone di edificio di marmo con cupola dorata, attorniato da icone religiose incastonate di gioielli mentre indossa gigantesca croce d'oro."
titolo di Fark, via J-Walk Blog.
C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."
Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.
Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.
Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.
titolo di Fark, via J-Walk Blog.
C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."
Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.
Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.
Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.
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domenica, dicembre 11, 2005
Il numero 3 del quartierino
Leggendo questo pezzo della CNN in cui si dice che i quattro volontari del Christian Peacemaker Team rapiti il 26 novembre stavano raccogliendo informazioni sulle torture in Iraq, mi sono imbattuta nella notizia della cattura a Ramadi di Amir Khalaf Fanus, detto "il macellaio". E ho scoperto che nel suo piccolo anche il macellaio è un numero 3: il numero 3 sulla lista dei ricercati stilata dalla 2nd Brigade Combat Team che pattuglia l'area occidentale di Baghdad. Insomma un numero 3 di riserva, praticamente un caposcala.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.
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Make-up:
Fondotinta 3-in-1 Inevitable Beauty, Eyeliner e Mascara Catch me if you can n. 1, l'irrinunciabile rossetto rosso estremo Butcher Red.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.
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