"I think we are welcomed. But it was not a peaceful welcome."
G. W. Bush sull'Iraq.
martedì, dicembre 13, 2005
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lunedì, dicembre 12, 2005
Il presepe e la performativa fase mistica
"Papa denuncia materialismo affacciandosi a balcone di edificio di marmo con cupola dorata, attorniato da icone religiose incastonate di gioielli mentre indossa gigantesca croce d'oro."
titolo di Fark, via J-Walk Blog.
C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."
Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.
Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.
Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.
titolo di Fark, via J-Walk Blog.
C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."
Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.
Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.
Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.
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domenica, dicembre 11, 2005
Il numero 3 del quartierino
Leggendo questo pezzo della CNN in cui si dice che i quattro volontari del Christian Peacemaker Team rapiti il 26 novembre stavano raccogliendo informazioni sulle torture in Iraq, mi sono imbattuta nella notizia della cattura a Ramadi di Amir Khalaf Fanus, detto "il macellaio". E ho scoperto che nel suo piccolo anche il macellaio è un numero 3: il numero 3 sulla lista dei ricercati stilata dalla 2nd Brigade Combat Team che pattuglia l'area occidentale di Baghdad. Insomma un numero 3 di riserva, praticamente un caposcala.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.
--------------------
Make-up:
Fondotinta 3-in-1 Inevitable Beauty, Eyeliner e Mascara Catch me if you can n. 1, l'irrinunciabile rossetto rosso estremo Butcher Red.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.
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venerdì, dicembre 09, 2005
Comunicazione di servizio
Mi sono accorta che il blog ha appena compiuto tre anni e mi sono detta: perché lasciare quando posso raddoppiare?
Così d'ora in poi i pezzi lunghi e le traduzioni verranno dapprima pubblicate sia qui, sia su http://mirumir.altervista.org, e in seguito probabilmente finiranno solo lì.
Fatevi coraggio, resta sempre in piedi l'ipotesi di registrarvi delle cassette da ascoltare nel sonno.
Così d'ora in poi i pezzi lunghi e le traduzioni verranno dapprima pubblicate sia qui, sia su http://mirumir.altervista.org, e in seguito probabilmente finiranno solo lì.
Fatevi coraggio, resta sempre in piedi l'ipotesi di registrarvi delle cassette da ascoltare nel sonno.
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giovedì, dicembre 08, 2005
Categorie merceologiche
La chiave di ricerca del giorno è: "water nei negozi di sanitaria". Attenzione, neanche sanitari, ma sanitaria: cioè quel genere di posto dall'aria triste e illuminato al neon dove si comprano le panciere, gli apparecchi per aerosol, certi sandali per infermieri e gli orrendi plantari anatomici che usa mia suocera e che sospetto siano fatti di pelle umana neanche tanto trattata.
(E questa volta non dite che è colpa mia e che me li merito, eccetera eccetera)
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lunedì, dicembre 05, 2005
La regina di picche
"one of [Saddam's] closest aides", "a figure on the US playing card deck of most-wanted Iraqis", "lieutenant", "key role", "Queen of Spades"...
Oh, no, ditemi che non dobbiamo rimetterci a contare anche i vice di Saddam.
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Make-up:
Fondotinta Flexilift Teint n. 3, ombretto Queen of Shades nei toni del grigio e del malva, e per lunghe ciglia stregamaschi il mascara Oh my Lieutenant! n. 1.
Oh, no, ditemi che non dobbiamo rimetterci a contare anche i vice di Saddam.
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Fondotinta Flexilift Teint n. 3, ombretto Queen of Shades nei toni del grigio e del malva, e per lunghe ciglia stregamaschi il mascara Oh my Lieutenant! n. 1.
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domenica, dicembre 04, 2005
Il numero 3 numero 4
Ieri un missile della CIA lanciato da un Predator ha ucciso in Pakistan il numero 3 di Bin Laden, Hamza Rabia. Questo dovrebbe essere almeno il quarto numero 3 di al-Qaeda. Era succeduto al numero 3 che lo precedeva, Abu Faraj al Libbi, a sua volta subentrato a Khalid Sheikh Mohammed, prima del quale c'era Abu Zubaida.
Insomma, il concetto sarebbe che appena il posto numero 3 si libera, il numero 4 sale in classifica.
Riepilogando, siamo a 35 vice di al-Zarqawi e a quattro numeri 3 di Bin Laden.
Insomma, il concetto sarebbe che appena il posto numero 3 si libera, il numero 4 sale in classifica.
Riepilogando, siamo a 35 vice di al-Zarqawi e a quattro numeri 3 di Bin Laden.
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Make-up:
Per un trucco delicato ma impeccabile, fondotinta Aera Teint n. 458, Ombretto Color Intrigue n. 107 o Darling Pink n. 803, rossetto Couleur&Brillance Divinora n. 208, smalto Predator Rose n. 538.
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Per un trucco delicato ma impeccabile, fondotinta Aera Teint n. 458, Ombretto Color Intrigue n. 107 o Darling Pink n. 803, rossetto Couleur&Brillance Divinora n. 208, smalto Predator Rose n. 538.
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venerdì, dicembre 02, 2005
Dove ho sbagliato?
Gli ultimi referrals: "franz ferdinand ferro da stiro", "foto o filmati come annodare la cravatta", "portachiavi all'uncinetto" (questa potrebbe essere mia suocera a corto di idee per i regali), "french kiss lingue" (adesso gli faccio un disegnino), "dove vengono salvate le conversazioni telefoniche" (eh, cari miei), "previsioni da giocare al lotto 1-12-2005", "soffitti sfondati" (no, qui solo esplosivi nei controsoffitti), il sempreverde "zar della steppa" e una grande richiesta di "fonduta bourguignonne". Uno solo che si è applicato e ha cercato "fosforobianco" - tutto attaccato, come nei tag di delicious. E uno "sciti torturano sunniti", che però potrebbe anche essere un sadico.
Chi mi dice qual è il nesso tra i Franz Ferdinand e un ferro da stiro vince una playlist dei quattro di Glasgow o un anticalcare, a scelta.
Chi mi dice qual è il nesso tra i Franz Ferdinand e un ferro da stiro vince una playlist dei quattro di Glasgow o un anticalcare, a scelta.
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giovedì, dicembre 01, 2005
Un incontro costruttivo
Auditorium di Ramadi. Gli arabi sunniti dicono di esser lì per un unico motivo, e cioè sentir parlare di ritiro statunitense. I militari americani invece sono lì per incoraggiare i capi tribali a entrare nell'esercito iracheno.
"Incredibile", commenta il capitano Nash, comandante dei marines a Ramadi, riferendosi ai capi sunniti che affollano la sala. "Sono venuti, e non avevo mai assistito a una cosa del genere." Un giornalista iracheno gli ha risposto: "Ai tempi di Saddam avrebbero sacrificato una pecora per visite come questa. Oggi penso che potrebbero macellare voi."
Frasi notevoli pronunciate dai leader sunniti:
"Vogliamo il ritiro."
"Crediamo che questa sia un'occupazione illegittima, e che la resistenza sia legittima."
"Rendiamo onore al popolo americano perché dopo aver visto la televisione via satellite sappiamo che è pronto ad andarsene."
"La gente di Fallujah ama Cindy Sheehan."
Frasi notevoli pronunciate dagli ufficiali statunitensi e iracheni:
"Siamo coinvolti nel problema del ritiro."
"La cosa migliore che possiate fare è convincere i vostri figli a entrare nell'esercito e nella polizia." Eccetera.
Tradurre è un po' tradire, e il fatto che gli interpreti degli Stati Uniti siano stati accuratamente scelti tra arabi non iracheni accentua il problema e favorisce le incomprensioni: mentre in sala si alzano le grida di insoddisfazione e qualcuno comincia a puntare loro il dito contro, gli americani sono ancora convinti che si tratti "di un incontro molto utile".
Dice il brigadier generale Williams della seconda divisione dei marines:
"Siamo qui per risolvere i problemi. Sono problemi complessi. Non esistono soluzioni facili, ma esistono delle soluzioni."
Traduzione dell'interprete, un libanese ormai stanco dopo cinque ore di estenuanti colloqui: "Non ho tempo da perdere. Anche se voi avete tempo da perdere, non è giornata."
"Può funzionare," ha commentato un generale iracheno, comandante dell'esercito già ai tempi di Saddam, a incontro terminato.
In effetti, i marines non hanno fatto la fine della pecora.
Fonte: "U.S. Debate on Pullout Resonates As Troops Engage Sunnis in Talks", Washington Post.
"Incredibile", commenta il capitano Nash, comandante dei marines a Ramadi, riferendosi ai capi sunniti che affollano la sala. "Sono venuti, e non avevo mai assistito a una cosa del genere." Un giornalista iracheno gli ha risposto: "Ai tempi di Saddam avrebbero sacrificato una pecora per visite come questa. Oggi penso che potrebbero macellare voi."
Frasi notevoli pronunciate dai leader sunniti:
"Vogliamo il ritiro."
"Crediamo che questa sia un'occupazione illegittima, e che la resistenza sia legittima."
"Rendiamo onore al popolo americano perché dopo aver visto la televisione via satellite sappiamo che è pronto ad andarsene."
"La gente di Fallujah ama Cindy Sheehan."
Frasi notevoli pronunciate dagli ufficiali statunitensi e iracheni:
"Siamo coinvolti nel problema del ritiro."
"La cosa migliore che possiate fare è convincere i vostri figli a entrare nell'esercito e nella polizia." Eccetera.
Tradurre è un po' tradire, e il fatto che gli interpreti degli Stati Uniti siano stati accuratamente scelti tra arabi non iracheni accentua il problema e favorisce le incomprensioni: mentre in sala si alzano le grida di insoddisfazione e qualcuno comincia a puntare loro il dito contro, gli americani sono ancora convinti che si tratti "di un incontro molto utile".
Dice il brigadier generale Williams della seconda divisione dei marines:
"Siamo qui per risolvere i problemi. Sono problemi complessi. Non esistono soluzioni facili, ma esistono delle soluzioni."
Traduzione dell'interprete, un libanese ormai stanco dopo cinque ore di estenuanti colloqui: "Non ho tempo da perdere. Anche se voi avete tempo da perdere, non è giornata."
"Può funzionare," ha commentato un generale iracheno, comandante dell'esercito già ai tempi di Saddam, a incontro terminato.
In effetti, i marines non hanno fatto la fine della pecora.
Fonte: "U.S. Debate on Pullout Resonates As Troops Engage Sunnis in Talks", Washington Post.
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mercoledì, novembre 30, 2005
Se non vogliono, non vogliono
Secondo il direttore della CIA Porter Goss, Bin Laden e al-Zarqawi non sono ancora stati trovati "principalmente perché non vogliono che li troviamo, e stanno facendo di tutto per assicurarsi che non li troviamo."
Ha!
--------------------------------------
Make-up:
Per i due di al-Qaeda, Pure Pops Brush-on Color Pure Chameleon e Pure Color Nail Lacquer Chameleon Prism. Per Mr. Goss, un make-up polveroso ed etereo e Vanilla Kiss Body Shimmer (trasforma la pelle in una fonte di luce).
Ha!
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Make-up:
Per i due di al-Qaeda, Pure Pops Brush-on Color Pure Chameleon e Pure Color Nail Lacquer Chameleon Prism. Per Mr. Goss, un make-up polveroso ed etereo e Vanilla Kiss Body Shimmer (trasforma la pelle in una fonte di luce).
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martedì, novembre 29, 2005
I SEALS lo facevano meglio
Questi sono lunghi estratti da una recente intervista di Amy Goodman di Democracy Now a Tony Lagouranis, ex-specialista addetto agli interrogatori dell'esercito americano. Una decina di giorni fa l'ho tradotta velocemente per farla leggere a un amico. Pensavo che presto ne avrebbero parlato giornali e blog, ma non ha ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato (o almeno, non in Italia). Per questo oggi ho deciso di riportarne sul blog alcune parti, soprattutto quelle in cui Lagouranis descrive alcune tecniche di interrogatorio, quello che vide a Fallujah e i metodi usati dai marines Force Recon alla base di North Babel.
GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?
LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.
GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?
LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?
LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.
GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?
LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.
GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?
LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.
GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?
LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.
GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?
LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.
GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?
LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.
[...]
GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?
LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.
[...]
GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Cosa faceva laggiù?
LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.
GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?
LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.
GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?
LAGOURANIS: 500.
GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?
LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.
GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?
LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.
GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?
LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.
GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?
LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...
GOODMAN: E lei cosa diceva?
LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.
GOODMAN: E le donne e i bambini?
LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.
GOODMAN: Ne avete discusso?
LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.
GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?
LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.
GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?
LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.
[...]
A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.
GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?
LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.
GOODMAN: E cosa raccontavano?
LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.
GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?
LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.
GOODMAN: Perché era bollente?
LAGOURANIS: Esatto.
GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?
LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.
GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?
LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...
GOODMAN: Che intende dire?
LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.
GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?
LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.
[...]
GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?
LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.
GOODMAN: Be'..
LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.
GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?
LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.
Fonte: Democracy Now!
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Perché voi valete:
Palette Model'Eyes con quattro ombretti e una base per attenuare le occhiaie e illuminare lo sguardo, mascara Extreme ("extension immediata"), fondotinta Sensual Clone, fard Joues Contrast rosa, sulle labbra Wet Cream Lipgloss n° 13.
GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?
LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.
GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?
LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?
LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.
GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?
LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.
GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?
LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.
GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?
LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.
GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?
LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.
GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?
LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.
[...]
GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?
LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.
[...]
GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Cosa faceva laggiù?
LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.
GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?
LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.
GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?
LAGOURANIS: 500.
GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?
LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.
GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?
LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.
GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?
LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.
GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?
LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...
GOODMAN: E lei cosa diceva?
LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.
GOODMAN: E le donne e i bambini?
LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.
GOODMAN: Ne avete discusso?
LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.
GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?
LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.
GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?
LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.
[...]
A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.
GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?
LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.
GOODMAN: E cosa raccontavano?
LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.
GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?
LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.
GOODMAN: Perché era bollente?
LAGOURANIS: Esatto.
GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?
LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.
GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?
LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...
GOODMAN: Che intende dire?
LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.
GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?
LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.
[...]
GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?
LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.
GOODMAN: Be'..
LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.
GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?
LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.
Fonte: Democracy Now!
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Perché voi valete:
Palette Model'Eyes con quattro ombretti e una base per attenuare le occhiaie e illuminare lo sguardo, mascara Extreme ("extension immediata"), fondotinta Sensual Clone, fard Joues Contrast rosa, sulle labbra Wet Cream Lipgloss n° 13.
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lunedì, novembre 28, 2005
Al-Jazeera, Belgrado 99 e amnesie
Stavo mettendo giù qualche scomposta riflessione (io scrivo riflessione, ma voi leggete pure delirio) sull'indignazione dei media di fronte al caso "BushBlairAl-Jazeera" e la loro mancata reazione al bombardamento NATO della radiotelevisione serba nel 1999 (e per una guerra altrettanto ingiusta), quando ho letto questo splendido articolo di Brendan O'Neill intitolato "Al-Jazeera, Serbia, and Liberal Amnesia. When killing journalists was permissible". Dice quello su cui stavo rimuginando da un paio di giorni - e immagino di non essere la sola - ma lo dice molto meglio.
Eccone alcuni estratti (ci si dilunga un po', procuratevi alcuni generi di conforto):
“Non sorprende che i giornalisti vogliano difendere i colleghi [di Al-Jazeera] da un presidente dal grilletto facile, soprattutto considerando che l’esercito americano ha già colpito gli uffici di Al-Jazeera a Kabul nel novembre del 2001 e i suoi inviati in Iraq. Ma ho una domanda da fare. Perché alcuni giornalisti sembrano più indignati per le presunte minacce e offese del presidente Bush nei confronti di una stazione televisiva di quanto lo siano stati quando un altro presidente giunse a bombardarne una?
Perché danno sfogo a tanta rabbia e indignazione per l’incidente di Bush e Al-Jazeera, mentre finsero di non vedere - e tentarono addirittura di giustificare - il vergognoso bombardamento della televisione serba ne 1999 che provocò la morte e il ferimento di molti dipendenti?
[…]
Quando la NATO - con Clinton e Blair al comando - bombardò la sede della radiotelevisione serba a Belgrado il 23 aprile 1999, non si trattò di uno scherzo. Accadde veramente. Nel mezzo della notte, alle 2.20 del mattino - dei missili Cruise distrussero l’ingresso dell’edificio e ridussero in macerie almeno uno studio. C’erano circa 120 persone al lavoro, in quel momento; almeno 16 rimasero uccise, ed altre 16 furono ferite. Erano tutti civili, per lo più tecnici e operatori. John Simpson della BBC raccontò di aver visto ‘il corpo di una giovane truccatrice… sul pavimento di un camerino.’
Fu un attacco intenzionale ai lavoratori civili del settore dell’informazione. La NATO parlò apertamente e senza vergogna di questi attacchi come di un mezzo per segnar punti nella guerra di propaganda e indebolire ulteriormente il controllo del presidente Milosevic sulla Serbia.
[...]
Oggi i giornalisti si chiedono se Blair abbia o no preso sul serio la battuta di Bush sul bombardamento di Al-Jazeera. Non fateci caso. Ecco quello che disse Blair - in pubblico, ufficialmente - sul bombardamento e l’uccisione dei giornalisti nella campagna del Kosovo: i media ‘sono l’apparato che mantiene [Milosevic] al potere e siamo totalmente giustificati in quanto alleati NATO a danneggiare e a colpire quegli obiettivi.’
Anche l’ex ministro britannico Clare Short - che si è dimessa perché contraria alla guerra in Iraq e adesso posa da guerriera pacifista - giustificò il bombardamento dei giornalisti nel 1999. Disse allora: ‘Questa è una guerra, questo è un grave conflitto, vengono commessi e taciuti degli orrori. La macchina della propaganda sta prolungando la guerra ed è un bersaglio legittimo.’ Raccontatelo alla famiglia della giovane truccatrice.
Gli attacchi erano progettati per causare il massimo danno alla stazione televisiva, e, per citare un ufficiale statunitense, si sperava che i bombardamenti avessero ‘il massimo impatto in termini di propaganda a livello nazionale e internazionale’ per la NATO. La rivista militare Jane’s Defense Weekly riferì nel luglio del 2000 che gli strateghi della NATO avevano stabilito quali parti dell’edificio ospitassero con maggiore probabilità i sistemi di controllo dell’impianto antincendio, e che i missili erano programmati per colpire proprio questi punti, così che l’incendio causato dalle bombe potesse diffondersi più rapidamente e fosse più difficile estinguerlo.
Clinton, Blair e i loro compari della NATO giustificarono questi attacchi come ‘legittimi’ tentativi di indebolire il nemico colpendo la macchina della sua propaganda. Vogliono farci credere che gli operatori, i tecnici del suono e una truccatrice fossero quelli che mantenevano Milosevic al potere? In verità, il bombardamento segnò un nuovo minimo storico nella guerra ‘umanitaria’ privilegiata da Clinton e Blair: fu fatto per colpire i civili; fu progettato per causare il massimo danno; e serviva a dare una mano sul piano nazionale e internazionale a Stati Uniti e Gran Bretagna.
[...]
E tuttavia, l’indignazione tra i giornalisti per questo attacco ai loro colleghi si fece notare per la propria assenza; fu senz’altro più smorzata delle manifestazioni di sdegno che hanno accolto le rivelazioni sull’incidente Bush-Blair. In Gran Bretagna alcuni sindacati della stampa si rifiutarono perfino di condannare il bombardamento della sede della RTS. Il BECTU [Broadcasting Entertainment Cinematograph and Theatre Union] evitò perfino di commentare l’attacco e proibì che il proprio nome figurasse nelle manifestazioni pacifiste.
Ci fu un tono quasi celebrativo nei servizi che il Guardian dedicò al bombardamento della RTS. Nel suo primo pezzo dopo l’attacco, il quotidiano ripeté le giustificazioni della NATO senza metterle in discussione, dichiarando: ‘nel primo mattino la NATO ha attaccato il cuore della base del potere del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic bombardando la sede della televisione di stato serba, interrompendo le trasmissioni nel mezzo di un notiziario.’
[...]
Alcuni giornalisti condannarono il bombardamento, non perché fosse moralmente e politicamente ingiusto, ma perché regalava una ‘vittoria di propaganda’ agli oppositori della guerra. L’editorialista del Guardian Polly Toynbee, che era favorevole ai bombardamenti, disse: ‘è stato un inutile atto di follia bombardare la stazione radiotelevisiva serba,’ poiché non era altro che un ‘regalo ai molti critici della NATO.’
Naturalmente vi furono giornalisti che presero posizione contro il bombardamento della tv serba. In Gran Bretagna, per esempio, il portavoce del Sindacato nazionale dei giornalisti si oppose con forza all’attacco. Ma in generale - in un momento in cui i mezzi di informazione non solo appoggiavano l’intervento ma lo incoraggiavano entusiasticamente - vi fu una certa indifferenza verso questo vergognoso attacco ai lavoratori dell’informazione: più un senso di imbarazzo che una reale opposizione.
Questa disparità tra l’atteggiamento dei media nell’incidente di Al-Jazeera e la loro reazione al bombardamento della TV serba da parte di Clinton è rivelatrice.
Da Clare Short ai giornalisti del Guardian ai rappresentanti sindacali, alcuni di coloro che oggi mettono in ridicolo la guerra illegale di Blair e Bush all’Iraq erano in prima linea nell’appoggiare una guerra altrettanto illegale per il Kosovo (neanche quell’intervento si guadagnò l’appoggio unanime delle Nazioni Unite). Anzi, alcuni degli argomenti che usarono per giustificare gli attacchi alla Jugoslavia - come la necessità di punire un ‘dittatore colpevole di genocidio’, di proteggere una ‘popolazione vulnerabile’ e di adempiere all'‘impegno internazionale’ di diffondere la pace e l’armonia - sono stati ripetuti da Bush e Blair con riferimento all’Iraq.
I giornalisti, specie di convinzioni liberali e di sinistra, hanno atteggiamenti molto contraddittori nei confronti delle guerre d’aggressione occidentali. Questo significa che non sono nella posizione migliore per lamentarsi degli aspetti della guerra in Iraq, visto che il loro supino consenso alla guerra del Kosovo ha preparato la strada ai successivi interventi in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003.”
Eccone alcuni estratti (ci si dilunga un po', procuratevi alcuni generi di conforto):
“Non sorprende che i giornalisti vogliano difendere i colleghi [di Al-Jazeera] da un presidente dal grilletto facile, soprattutto considerando che l’esercito americano ha già colpito gli uffici di Al-Jazeera a Kabul nel novembre del 2001 e i suoi inviati in Iraq. Ma ho una domanda da fare. Perché alcuni giornalisti sembrano più indignati per le presunte minacce e offese del presidente Bush nei confronti di una stazione televisiva di quanto lo siano stati quando un altro presidente giunse a bombardarne una?
Perché danno sfogo a tanta rabbia e indignazione per l’incidente di Bush e Al-Jazeera, mentre finsero di non vedere - e tentarono addirittura di giustificare - il vergognoso bombardamento della televisione serba ne 1999 che provocò la morte e il ferimento di molti dipendenti?
[…]
Quando la NATO - con Clinton e Blair al comando - bombardò la sede della radiotelevisione serba a Belgrado il 23 aprile 1999, non si trattò di uno scherzo. Accadde veramente. Nel mezzo della notte, alle 2.20 del mattino - dei missili Cruise distrussero l’ingresso dell’edificio e ridussero in macerie almeno uno studio. C’erano circa 120 persone al lavoro, in quel momento; almeno 16 rimasero uccise, ed altre 16 furono ferite. Erano tutti civili, per lo più tecnici e operatori. John Simpson della BBC raccontò di aver visto ‘il corpo di una giovane truccatrice… sul pavimento di un camerino.’
Fu un attacco intenzionale ai lavoratori civili del settore dell’informazione. La NATO parlò apertamente e senza vergogna di questi attacchi come di un mezzo per segnar punti nella guerra di propaganda e indebolire ulteriormente il controllo del presidente Milosevic sulla Serbia.
[...]
Oggi i giornalisti si chiedono se Blair abbia o no preso sul serio la battuta di Bush sul bombardamento di Al-Jazeera. Non fateci caso. Ecco quello che disse Blair - in pubblico, ufficialmente - sul bombardamento e l’uccisione dei giornalisti nella campagna del Kosovo: i media ‘sono l’apparato che mantiene [Milosevic] al potere e siamo totalmente giustificati in quanto alleati NATO a danneggiare e a colpire quegli obiettivi.’
Anche l’ex ministro britannico Clare Short - che si è dimessa perché contraria alla guerra in Iraq e adesso posa da guerriera pacifista - giustificò il bombardamento dei giornalisti nel 1999. Disse allora: ‘Questa è una guerra, questo è un grave conflitto, vengono commessi e taciuti degli orrori. La macchina della propaganda sta prolungando la guerra ed è un bersaglio legittimo.’ Raccontatelo alla famiglia della giovane truccatrice.
Gli attacchi erano progettati per causare il massimo danno alla stazione televisiva, e, per citare un ufficiale statunitense, si sperava che i bombardamenti avessero ‘il massimo impatto in termini di propaganda a livello nazionale e internazionale’ per la NATO. La rivista militare Jane’s Defense Weekly riferì nel luglio del 2000 che gli strateghi della NATO avevano stabilito quali parti dell’edificio ospitassero con maggiore probabilità i sistemi di controllo dell’impianto antincendio, e che i missili erano programmati per colpire proprio questi punti, così che l’incendio causato dalle bombe potesse diffondersi più rapidamente e fosse più difficile estinguerlo.
Clinton, Blair e i loro compari della NATO giustificarono questi attacchi come ‘legittimi’ tentativi di indebolire il nemico colpendo la macchina della sua propaganda. Vogliono farci credere che gli operatori, i tecnici del suono e una truccatrice fossero quelli che mantenevano Milosevic al potere? In verità, il bombardamento segnò un nuovo minimo storico nella guerra ‘umanitaria’ privilegiata da Clinton e Blair: fu fatto per colpire i civili; fu progettato per causare il massimo danno; e serviva a dare una mano sul piano nazionale e internazionale a Stati Uniti e Gran Bretagna.
[...]
E tuttavia, l’indignazione tra i giornalisti per questo attacco ai loro colleghi si fece notare per la propria assenza; fu senz’altro più smorzata delle manifestazioni di sdegno che hanno accolto le rivelazioni sull’incidente Bush-Blair. In Gran Bretagna alcuni sindacati della stampa si rifiutarono perfino di condannare il bombardamento della sede della RTS. Il BECTU [Broadcasting Entertainment Cinematograph and Theatre Union] evitò perfino di commentare l’attacco e proibì che il proprio nome figurasse nelle manifestazioni pacifiste.
Ci fu un tono quasi celebrativo nei servizi che il Guardian dedicò al bombardamento della RTS. Nel suo primo pezzo dopo l’attacco, il quotidiano ripeté le giustificazioni della NATO senza metterle in discussione, dichiarando: ‘nel primo mattino la NATO ha attaccato il cuore della base del potere del presidente jugoslavo Slobodan Milosevic bombardando la sede della televisione di stato serba, interrompendo le trasmissioni nel mezzo di un notiziario.’
[...]
Alcuni giornalisti condannarono il bombardamento, non perché fosse moralmente e politicamente ingiusto, ma perché regalava una ‘vittoria di propaganda’ agli oppositori della guerra. L’editorialista del Guardian Polly Toynbee, che era favorevole ai bombardamenti, disse: ‘è stato un inutile atto di follia bombardare la stazione radiotelevisiva serba,’ poiché non era altro che un ‘regalo ai molti critici della NATO.’
Naturalmente vi furono giornalisti che presero posizione contro il bombardamento della tv serba. In Gran Bretagna, per esempio, il portavoce del Sindacato nazionale dei giornalisti si oppose con forza all’attacco. Ma in generale - in un momento in cui i mezzi di informazione non solo appoggiavano l’intervento ma lo incoraggiavano entusiasticamente - vi fu una certa indifferenza verso questo vergognoso attacco ai lavoratori dell’informazione: più un senso di imbarazzo che una reale opposizione.
Questa disparità tra l’atteggiamento dei media nell’incidente di Al-Jazeera e la loro reazione al bombardamento della TV serba da parte di Clinton è rivelatrice.
Da Clare Short ai giornalisti del Guardian ai rappresentanti sindacali, alcuni di coloro che oggi mettono in ridicolo la guerra illegale di Blair e Bush all’Iraq erano in prima linea nell’appoggiare una guerra altrettanto illegale per il Kosovo (neanche quell’intervento si guadagnò l’appoggio unanime delle Nazioni Unite). Anzi, alcuni degli argomenti che usarono per giustificare gli attacchi alla Jugoslavia - come la necessità di punire un ‘dittatore colpevole di genocidio’, di proteggere una ‘popolazione vulnerabile’ e di adempiere all'‘impegno internazionale’ di diffondere la pace e l’armonia - sono stati ripetuti da Bush e Blair con riferimento all’Iraq.
I giornalisti, specie di convinzioni liberali e di sinistra, hanno atteggiamenti molto contraddittori nei confronti delle guerre d’aggressione occidentali. Questo significa che non sono nella posizione migliore per lamentarsi degli aspetti della guerra in Iraq, visto che il loro supino consenso alla guerra del Kosovo ha preparato la strada ai successivi interventi in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003.”
Il cuore e l'anima della compagnia
Su Crooks and Liars, il video dei mercenari che sparano con fucili automatici per le strade di Baghdad (apparentemente si tratta della route Irish, "la strada più pericolosa del mondo", quella che porta all'aeroporto), colpendo macchine di civili iracheni a caso. Ne aveva parlato ieri il Sunday Telegraph: il filmato era apparso per la prima volta su www.aegisIraq.co.uk e in seguito rimosso. Sull'homepage sta scritto: "Questo sito non appartiene alla Aegis Defence Ltd, appartiene agli uomini sul campo che rappresentano il cuore e l'anima della compagnia."
La Aegis nega che si tratti di propri dipendenti; comunque, in almeno uno dei filmati si sentono delle voci con accento scozzese o irlandese.
Certo: aegis significa protezione.
La Aegis nega che si tratti di propri dipendenti; comunque, in almeno uno dei filmati si sentono delle voci con accento scozzese o irlandese.
Certo: aegis significa protezione.
domenica, novembre 27, 2005
Il numero 35
Bilal Mahmud Awad Shebah, noto con il nome di Abu Ubaydah, era confidente, guardiano, messaggero e segretario personale di Al Zarqawi. In breve, il braccio destro numero 35.
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venerdì, novembre 25, 2005
You have to do it with candor
L'ex direttore pasticcione e raccomandato della FEMA, Michael Brown, ha un nuovo lavoro: dirigerà in Colorado una ditta di consulenze nel settore della gestione dei disastri e delle emergenze.
In pratica, insegnerà ai clienti come evitare di commettere i suoi stessi errori.
Quando gli hanno chiesto come intende affrontare questo nuovo compito, ha risposto: "You have to do it with candor".
Fonti: CNN, SHNS.
In pratica, insegnerà ai clienti come evitare di commettere i suoi stessi errori.
Quando gli hanno chiesto come intende affrontare questo nuovo compito, ha risposto: "You have to do it with candor".
Fonti: CNN, SHNS.
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Katrina
mercoledì, novembre 23, 2005
Il cartaro truffaldino
Scrivevano Bonini e D'Avanzo poco tempo fa, a proposito del "cartaro truffaldino" Rocco Martino e del falso dossier sull'uranio del Niger:
"Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, 'di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938'.
Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: 'È vero, c'è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigeriano), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di disinformazione'.
Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell''operazione'. Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.
Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il '77 'allontanato per difetti di comportamento'. Nell'85 arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, 'fino al 1999' collabora ancora con il Sismi. E' un doppiogiochista."
È emerso un particolare che a me sembra nuovo: l'ex-analista della National Security Agency Wayne Madsen (il suo sito non ha i permalink, basta fare una ricerca nel testo con il nome "Martino") ha scritto ieri che Rocco Martino ha lavorato ufficiosamente per George H.W. Bush negli anni Ottanta: "Martino, che ha mantenuto la residenza in Lussemburgo, fa parte di una complessa rete di individui che figurarono come elementi di primo piano nella vicenda Iran-Contra. Tra di essi vi sono Michael Ledeen, Manucher Ghorbanifar, Adnan Khashoggi, e altri protagonisti di quell'operazione segreta che si sarebbe trasformata in uno scandalo di grandi proporzioni per l'amministrazione Reagan." Questa informazione verrebbe da fonti dell'intelligence statunitense.
Che Madsen disponga di molte fonti tra amici ed ex amici all'interno dei servizi segreti americani, si era capito già in questa intervista sulla morte di Nicola Calipari risalente allo scorso mese di maggio, nella quale di fatto anticipava informazioni sul falso dossier sull'uranio nigeriano e il ruolo avuto dagli italiani: "Secondo i miei contatti nel governo americano, le persone coinvolte in incontri segreti che hanno portato alla guerra in Iraq comprendono il neo-conservatore Michael Ledeen, sua figlia Simone Ledeen, il sedicente agente a tempo del SISMI, Rocco Martino, Ghorbanifar, il funzionario del Pentagono Larry Franklin recentemente arrestato come spia israeliana, il suo superiore al Pentagono, Harold Rhode che è anche ufficiale di collegamento con l’attuale Ministro del Petrolio iracheno, Ahmad Chalabi. Penso che molti dettagli emergeranno su questa storia."
Cosmesi:
Prima di dormire, Eau de Soin demaquillante, Lozione detergente pelli intolleranti, maschera nutriente Yellowcake, crema Coherence Rass notte.
"Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco Martino, 'di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro) il 20 settembre 1938'.
Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times) nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: 'È vero, c'è la mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio nigeriano), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono, insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di disinformazione'.
Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell''operazione'. Rocco Martino è a occhio nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso, cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.
Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra il '76 e il '77 'allontanato per difetti di comportamento'. Nell'85 arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero della Difesa, 'fino al 1999' collabora ancora con il Sismi. E' un doppiogiochista."
È emerso un particolare che a me sembra nuovo: l'ex-analista della National Security Agency Wayne Madsen (il suo sito non ha i permalink, basta fare una ricerca nel testo con il nome "Martino") ha scritto ieri che Rocco Martino ha lavorato ufficiosamente per George H.W. Bush negli anni Ottanta: "Martino, che ha mantenuto la residenza in Lussemburgo, fa parte di una complessa rete di individui che figurarono come elementi di primo piano nella vicenda Iran-Contra. Tra di essi vi sono Michael Ledeen, Manucher Ghorbanifar, Adnan Khashoggi, e altri protagonisti di quell'operazione segreta che si sarebbe trasformata in uno scandalo di grandi proporzioni per l'amministrazione Reagan." Questa informazione verrebbe da fonti dell'intelligence statunitense.
Che Madsen disponga di molte fonti tra amici ed ex amici all'interno dei servizi segreti americani, si era capito già in questa intervista sulla morte di Nicola Calipari risalente allo scorso mese di maggio, nella quale di fatto anticipava informazioni sul falso dossier sull'uranio nigeriano e il ruolo avuto dagli italiani: "Secondo i miei contatti nel governo americano, le persone coinvolte in incontri segreti che hanno portato alla guerra in Iraq comprendono il neo-conservatore Michael Ledeen, sua figlia Simone Ledeen, il sedicente agente a tempo del SISMI, Rocco Martino, Ghorbanifar, il funzionario del Pentagono Larry Franklin recentemente arrestato come spia israeliana, il suo superiore al Pentagono, Harold Rhode che è anche ufficiale di collegamento con l’attuale Ministro del Petrolio iracheno, Ahmad Chalabi. Penso che molti dettagli emergeranno su questa storia."
Cosmesi:
Prima di dormire, Eau de Soin demaquillante, Lozione detergente pelli intolleranti, maschera nutriente Yellowcake, crema Coherence Rass notte.
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martedì, novembre 22, 2005
Il fosforo bianco sono gli altri
Per minimizzare l'impatto politico delle rivelazioni sull'uso del fosforo bianco a Fallujah da parte dell'esercito americano, il Pentagono ha sostenuto che le munizioni al fosforo sono legali perché non sono tecnicamente "armi chimiche."
Gabriele Zamparini dà notizia di un documento del Pentagono risalente al 1995 intitolato “Possible Use of Phosphorous Chemical”, che descrive l'uso che Saddam Hussein fece del fosforo bianco contro i curdi. Il documento, ripreso anche da Think Progress, sarebbe questo.
Vi si legge:
"L'Iraq potrebbe aver impiegato armi chimiche al fosforo contro la popolazione curda in aree lungo i confini tra Iraq, Iran e Turchia. […]
Alla fine di febbraio del 1991, dopo la schiacciante vittoria delle forze della coalizione in Iraq, i ribelli curdi intensificarono la loro lotta contro l'esercito iracheno nell'Iraq settentrionale. Durante la brutale repressione che seguì alla sollevazione curda, le forze irachene leali al presidente Saddam (Hussein) potrebbero aver usato arme chimiche al fosforo bianco (WP) contro i ribelli curdi e la popolazione delle province irachene di Erbil (GEOCOORD:3412N/04401E) (nei pressi del confine iraniano) e Dohuk (GEOCOORD:3652N/04301E) (nei pressi del confine iracheno). [sic. qui dovrebbe stare scritto confine turco, credo]"
Se questo documento è autentico, ne possiamo dedurre che il Pentagono definisce il fosforo bianco un'arma chimica quando viene usata dal nemico.
La gente di Fallujah, naturalmente, sarebbe morta comunque, anche usando mezzi convenzionali. È importante, allora, che siano state usate anche armi chimiche? Sì, lo è. Come scrive oggi George Monbiot sul Guardian "chiunque abbia visto le foto di reduci della prima guerra mondiale resi ciechi dalle armi chimiche comprenderà le ragioni della legge internazionale, e i pericoli impliciti nella sua violazione." Ma, aggiunge, "non dobbiamo dimenticare che l'uso di armi chimiche è stato un crimine di guerra all'interno di un crimine di guerra all'interno di un altro crimine di guerra. L'invasione dell'Iraq e l'attacco di Fallujah sono stati atti d'aggressione illegali. Prima di attaccare Fallujah, i marines impedirono di lasciare la città agli uomini in grado di combattere. Anche molte donne e bambini rimasero: il corrispondente del Guardian ha stimato che in città restarono tra i 30.000 e i 50.000 civili. I marines trattarono Fallujah come se i suoi unici abitanti fossero i combattenti. Rasero al suolo migliaia di edifici, negarono illegalmente l'accesso alla Mezzaluna Rossa irachena e secondo lo special rapporteur dell'ONU, usarono 'la fame e la mancanza d'acqua come armi contro la popolazione civile.'"
Monbiot ricorda un'altra cosa importante, e cioè che "su un'arma d'assalto usata dai marines erano montate delle testate contenenti 'circa un 35% di esplosivo termobarico e un 65% di esplosivo standard.'" Le utilizzarono per causare il crollo dei tetti e schiacciare gli insorti asserragliati, e lo fecero ripetutamente: "L'impiego di esplosivo per sgombrare le case fu enorme. Un articolo pubblicato nel 2000 descrive gli effetti che queste armi provocarono quando furono usate dai russi a Grozny. Le armi termobariche o fuel-air, secondo questo articolo, formano una nuvola di gas volatili o di esplosivi finemente polverizzati. 'Questa nuvola successivamente si incendia e risucchia l'ossigeno dell'area circostante. La mancanza d'ossigeno crea un'enorme pressione... chi si trova sotto questa nube muore letteralmente schiacciato. Al di fuori di quest'area l'onda d'urto viaggia a circa 3000 metri al secondo... Di conseguenza, un esplosivo fuel-air può avere gli effetti di un'arma tattica nucleare senza provocare radiazioni... Chi si trova direttamente sotto la nuvola muore incenerito o a causa della pressione. Chi si trova ai margini può riportare ferite molto gravi: ustioni, fratture, contusioni, cecità. La pressione può inoltre causare embolia, commozioni cerebrali, emorragie interne multiple al fegato e alla milza, collasso dei polmoni, rottura dei timpani e spostamento degli occhi dalle orbite.'"
Conclude Monbiot che "è molto difficile capire come si siano potute usare queste armi a Fallujah senza uccidere dei civili."
Dunque il problema diventa: "esiste un crimine che le forze della coalizione non abbiano commesso in Iraq?". Esiste?
Make up
Armi segrete: lucidalabbra Phyto-Lip n. 1, fondotinta mousse Matte Soufflé n. 620, cipria multicolor: Météorites Poudre Pressée, col. Winter Radiance (WR).
Gabriele Zamparini dà notizia di un documento del Pentagono risalente al 1995 intitolato “Possible Use of Phosphorous Chemical”, che descrive l'uso che Saddam Hussein fece del fosforo bianco contro i curdi. Il documento, ripreso anche da Think Progress, sarebbe questo.
Vi si legge:
"L'Iraq potrebbe aver impiegato armi chimiche al fosforo contro la popolazione curda in aree lungo i confini tra Iraq, Iran e Turchia. […]
Alla fine di febbraio del 1991, dopo la schiacciante vittoria delle forze della coalizione in Iraq, i ribelli curdi intensificarono la loro lotta contro l'esercito iracheno nell'Iraq settentrionale. Durante la brutale repressione che seguì alla sollevazione curda, le forze irachene leali al presidente Saddam (Hussein) potrebbero aver usato arme chimiche al fosforo bianco (WP) contro i ribelli curdi e la popolazione delle province irachene di Erbil (GEOCOORD:3412N/04401E) (nei pressi del confine iraniano) e Dohuk (GEOCOORD:3652N/04301E) (nei pressi del confine iracheno). [sic. qui dovrebbe stare scritto confine turco, credo]"
Se questo documento è autentico, ne possiamo dedurre che il Pentagono definisce il fosforo bianco un'arma chimica quando viene usata dal nemico.
La gente di Fallujah, naturalmente, sarebbe morta comunque, anche usando mezzi convenzionali. È importante, allora, che siano state usate anche armi chimiche? Sì, lo è. Come scrive oggi George Monbiot sul Guardian "chiunque abbia visto le foto di reduci della prima guerra mondiale resi ciechi dalle armi chimiche comprenderà le ragioni della legge internazionale, e i pericoli impliciti nella sua violazione." Ma, aggiunge, "non dobbiamo dimenticare che l'uso di armi chimiche è stato un crimine di guerra all'interno di un crimine di guerra all'interno di un altro crimine di guerra. L'invasione dell'Iraq e l'attacco di Fallujah sono stati atti d'aggressione illegali. Prima di attaccare Fallujah, i marines impedirono di lasciare la città agli uomini in grado di combattere. Anche molte donne e bambini rimasero: il corrispondente del Guardian ha stimato che in città restarono tra i 30.000 e i 50.000 civili. I marines trattarono Fallujah come se i suoi unici abitanti fossero i combattenti. Rasero al suolo migliaia di edifici, negarono illegalmente l'accesso alla Mezzaluna Rossa irachena e secondo lo special rapporteur dell'ONU, usarono 'la fame e la mancanza d'acqua come armi contro la popolazione civile.'"
Monbiot ricorda un'altra cosa importante, e cioè che "su un'arma d'assalto usata dai marines erano montate delle testate contenenti 'circa un 35% di esplosivo termobarico e un 65% di esplosivo standard.'" Le utilizzarono per causare il crollo dei tetti e schiacciare gli insorti asserragliati, e lo fecero ripetutamente: "L'impiego di esplosivo per sgombrare le case fu enorme. Un articolo pubblicato nel 2000 descrive gli effetti che queste armi provocarono quando furono usate dai russi a Grozny. Le armi termobariche o fuel-air, secondo questo articolo, formano una nuvola di gas volatili o di esplosivi finemente polverizzati. 'Questa nuvola successivamente si incendia e risucchia l'ossigeno dell'area circostante. La mancanza d'ossigeno crea un'enorme pressione... chi si trova sotto questa nube muore letteralmente schiacciato. Al di fuori di quest'area l'onda d'urto viaggia a circa 3000 metri al secondo... Di conseguenza, un esplosivo fuel-air può avere gli effetti di un'arma tattica nucleare senza provocare radiazioni... Chi si trova direttamente sotto la nuvola muore incenerito o a causa della pressione. Chi si trova ai margini può riportare ferite molto gravi: ustioni, fratture, contusioni, cecità. La pressione può inoltre causare embolia, commozioni cerebrali, emorragie interne multiple al fegato e alla milza, collasso dei polmoni, rottura dei timpani e spostamento degli occhi dalle orbite.'"
Conclude Monbiot che "è molto difficile capire come si siano potute usare queste armi a Fallujah senza uccidere dei civili."
Dunque il problema diventa: "esiste un crimine che le forze della coalizione non abbiano commesso in Iraq?". Esiste?
Make up
Armi segrete: lucidalabbra Phyto-Lip n. 1, fondotinta mousse Matte Soufflé n. 620, cipria multicolor: Météorites Poudre Pressée, col. Winter Radiance (WR).
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domenica, novembre 20, 2005
Due gradi di separazione
(Avvertenza: mi avete concesso democraticamente un po' di teoria del complotto, di tanto in tanto. Sit back and enjoy.)
Allora, gli attentati di Amman. Capisco che i giornalisti italiani in quei giorni scioperavano e che la notizia non è stata seguita benissimo – salvo poi dare grande rilievo alla kamikaze mancata, fotografata con tanto di corpetto esplosivo – ma la versione ufficiale e accettata sembra fatta apposta per un'innocua esercitazione di dietrologia.
Il soffitto
Probabilmente un esperto di esplosioni sarebbe in grado di spiegarmi come mai i soffitti del Radisson erano sfondati mentre le pareti vicine ai luoghi delle esplosioni sono rimaste praticamente intatte, quindi su questo non mi soffermerò più di tanto. Però al dietrologo dilettante verrebbe da dire che c'erano delle bombe sul/nel soffitto, non che si sono fatte saltare in aria delle persone. Ah, dimenticavo: di bombe posizionate nel controsoffitto parlava il primo lancio Reuters (ne parlano Al Jazeera qui, e anche il Daily Star, qui).
La kamikaze mancata
Storia dell'Associated Press: la donna ha detto che lei e il marito indossavano cinture esplosive quando sono entrati nella sala da ballo del Radisson in cui si trovavano centinaia di persone, compresi dei bambini, ospiti di una festa di matrimonio giordano-palestinese. "Mio marito indossava una cintura e ne fece indossare una anche a me. Mi insegnò come usarla, come tirare e farla esplodere," ha detto. "Mio marito fece esplodere la sua bomba. Io cercai di far esplodere la mia cintura, ma non ci riuscii. Me ne andai, c'era gente che scappava e io scappai fuori con loro." Nella versione dell'Associated Press, il vice primo ministro Muasher aggiunge un particolare importante: il marito, vedendo che la donna non riusciva a farsi esplodere, la spinse fuori dalla sala da ballo, e poi si fece saltare in aria.
La stessa storia su Al Jazeera è raccontata così: "Entrammo nell'albergo. Mio marito andò in un angolo e io andai nell'altro. Nell'albergo c'era un matrimonio. C'erano donne e bambini. Mio marito fece esplodere la sua bomba, io cercai di far esplodere la mia, ma non funzionava. La gente scappava e anch'io scappai con loro".
Allora il marito la spinse fuori prima di farsi esplodere o no? E soprattutto, perché avrebbe dovuto farlo?
Parenti serpenti
La donna è stata arrestata la domenica mattina successiva all'attentato in una "casa sicura" che si trova nello stesso quartiere in cui il marito e gli altri avevano affittato un appartamento immobiliato. I servizi giordani si sono basati sul comunicato di rivendicazione dei tre attacchi terroristici firmato dall'Organizzazione di al Qaeda per la Jihad in Giordania, in cui si parlava di una donna tra gli attentatori. Come abbiano fatto a trovare il nascondiglio "sicuro", non si sa. Visto che era, per l'appunto, "sicuro".
Infatti la versione negli ultimi giorni è cambiata ancora una volta: niente più luogo sicuro, la donna si era rifugiata a Salt, chiedendo ospitalità alla famiglia del defunto marito di sua sorella. Il defunto marito della sorella non era uno qualunque, ma Nidal Arabiyat, un alleato di al-Zarqawi che era rimasto ucciso in uno scontro con gli americani in Iraq nel 2003, secondo le fonti ufficiali del governo giordano. E mica solo un alleato: no, addirittura un esperto di esplosivi. Il mondo è piccolo.
Non volevo, uffaQui la storia si fa appassionante, perché al-Zarkawi interpreta il suo solito cameo. Innanzitutto bisogna osservare che le rivendicazioni del fantomatico al-Zarkawi sono sempre precise, tempestive e aggiungono utili dettagli. In questo caso alla rivendicazione è perfino seguita una seconda dichiarazione. O questo signore è un grafomane, o qualcuno stava dando dei ritocchi strategici alla storia. Poi, venerdì scorso è arrivata un'ulteriore precisazione di al-Zarqawi, ovviamente in una registrazione radio diffusa su internet: non voleva colpire i fedeli musulmani intenti a partecipare alle feste nuziali. Da una notizia AGI: "una puntualizzazione che sembra confermare quanto stragi così sanguinose, che hanno provocato nel complesso almeno 58 morti, abbiano messo seriamente in imbarazzo il super-terrorista di origini giordane, luogotenente di Osama bin Laden in Iraq, per lo sdegno che hanno suscitato prima di tutto nello stesso mondo islamico." In imbarazzo.
Insomma, 'sta al Qaeda per la Jihad nella Terra dei Due Fiumi credeva che gli alberghi fossero "covi di agenti dei servizi segreti americani, israeliani e giordani", quando la proprietà del Radisson di Amman è giordano-palestinese. Infatti sono stati fatti fuori i capi dell'intelligence palestinese e alcuni cinesi, oltre ai molti civili giordani, e lasciamo pure perdere l'articolo di Haaretz, poi smentito, secondo cui prima degli attentati alcuni israeliani erano stati fatti uscire dal Radisson dai servizi di sicurezza giordani (nel sito del quotidiano ci sono ancora le due versioni: uno e due). Ma invece no, al Quaeda pensava che lì ci fosse il megaraduno dell'asse del male.
Il soffitto, reloaded
Nella necessità di spiegarsi del "super-terrorista" c'è un altro strano riferimento: "L'idea che si siano fatti esplodere nel mezzo di festeggiamenti per un matrimonio è una bugia del regime giordano... l'obiettivo era un incontro di servizi segreti, solo che a causa dell'esplosione è crollato il soffitto sugli ospiti del ricevimento".
Ci teneva, a spiegare perché fosse crollato il soffitto. E poi uno non deve pensar male.
Due gradi di separazione
Ma se c'è una cosa che mi fa impazzire è che praticamente tutti gli iracheni sembrano essere divisi da non più di due gradi di separazione da al-Zarqawi. In questo caso, Sajida Mubarak Atrous al-Rishawi, la kamikaze mancata, è la sorella del defunto Mubarak Atrous al-Rishawi, già braccio destro (ma non sappiamo quale numero) di al Zarqawi ucciso non si sa quando a Fallujah. E suo cognato - l'esperto di esplosivi, morto anche lui in battaglia - era un altro braccio destro. Naturalmente, in questo modo gli Stati Uniti possono dire che al-Zarqawi è ormai alle corde, perché è costretto a mandare a morire i suoi uomini migliori (e le loro sorelle, e i loro mariti, altri elementi validi dell'organizzazione). Il fatto che quattro iracheni debbano farsi la gita suicida in Giordania non si spiega se non con il fatto che Abu Musab è rimasto senza parenti.
E però
Al-Zarqawi non esiste. Se non esiste, possiamo dire che ha i giorni contati. Può scriversi le letterine con al-Zawahiri. Può telefonarsi con Bin Laden. Può fare dichiarazioni. Può anche essere ripudiato dalla sua famiglia.
Se telefonasse in diretta dalla De Filippi io personalmente mi insospettirei, e anche se improvvisamente cominciasse a dire "voi giornalisti fraintendete tutto quel che dico, uffa", però tutto il resto può reggere ancora per un po'.
Un po' di materiale interessante in:
Xymphora, Another day in the Empire, "Did Al Zarqawi really bomb Amman?", Xiaodong People, Uruknet.
Make up
Il fondotinta adatto a questo post dovrebbe essere molto coprente: diciamo l'Unifiance Lissage Optique, da abbinare alla Poudre Coromandel (che uniforma e scalda). E poi, grande ritorno dell'eyeliner con lo Spectacular nero; per sopracciglia ben definite come quelle di al-Zarqawi, Dual Perfection n. 01. E poi due gocce di Baiser du Dragon.
Allora, gli attentati di Amman. Capisco che i giornalisti italiani in quei giorni scioperavano e che la notizia non è stata seguita benissimo – salvo poi dare grande rilievo alla kamikaze mancata, fotografata con tanto di corpetto esplosivo – ma la versione ufficiale e accettata sembra fatta apposta per un'innocua esercitazione di dietrologia.
Il soffitto
Probabilmente un esperto di esplosioni sarebbe in grado di spiegarmi come mai i soffitti del Radisson erano sfondati mentre le pareti vicine ai luoghi delle esplosioni sono rimaste praticamente intatte, quindi su questo non mi soffermerò più di tanto. Però al dietrologo dilettante verrebbe da dire che c'erano delle bombe sul/nel soffitto, non che si sono fatte saltare in aria delle persone. Ah, dimenticavo: di bombe posizionate nel controsoffitto parlava il primo lancio Reuters (ne parlano Al Jazeera qui, e anche il Daily Star, qui).
La kamikaze mancata
Storia dell'Associated Press: la donna ha detto che lei e il marito indossavano cinture esplosive quando sono entrati nella sala da ballo del Radisson in cui si trovavano centinaia di persone, compresi dei bambini, ospiti di una festa di matrimonio giordano-palestinese. "Mio marito indossava una cintura e ne fece indossare una anche a me. Mi insegnò come usarla, come tirare e farla esplodere," ha detto. "Mio marito fece esplodere la sua bomba. Io cercai di far esplodere la mia cintura, ma non ci riuscii. Me ne andai, c'era gente che scappava e io scappai fuori con loro." Nella versione dell'Associated Press, il vice primo ministro Muasher aggiunge un particolare importante: il marito, vedendo che la donna non riusciva a farsi esplodere, la spinse fuori dalla sala da ballo, e poi si fece saltare in aria.
La stessa storia su Al Jazeera è raccontata così: "Entrammo nell'albergo. Mio marito andò in un angolo e io andai nell'altro. Nell'albergo c'era un matrimonio. C'erano donne e bambini. Mio marito fece esplodere la sua bomba, io cercai di far esplodere la mia, ma non funzionava. La gente scappava e anch'io scappai con loro".
Allora il marito la spinse fuori prima di farsi esplodere o no? E soprattutto, perché avrebbe dovuto farlo?
Parenti serpenti
La donna è stata arrestata la domenica mattina successiva all'attentato in una "casa sicura" che si trova nello stesso quartiere in cui il marito e gli altri avevano affittato un appartamento immobiliato. I servizi giordani si sono basati sul comunicato di rivendicazione dei tre attacchi terroristici firmato dall'Organizzazione di al Qaeda per la Jihad in Giordania, in cui si parlava di una donna tra gli attentatori. Come abbiano fatto a trovare il nascondiglio "sicuro", non si sa. Visto che era, per l'appunto, "sicuro".
Infatti la versione negli ultimi giorni è cambiata ancora una volta: niente più luogo sicuro, la donna si era rifugiata a Salt, chiedendo ospitalità alla famiglia del defunto marito di sua sorella. Il defunto marito della sorella non era uno qualunque, ma Nidal Arabiyat, un alleato di al-Zarqawi che era rimasto ucciso in uno scontro con gli americani in Iraq nel 2003, secondo le fonti ufficiali del governo giordano. E mica solo un alleato: no, addirittura un esperto di esplosivi. Il mondo è piccolo.
Non volevo, uffaQui la storia si fa appassionante, perché al-Zarkawi interpreta il suo solito cameo. Innanzitutto bisogna osservare che le rivendicazioni del fantomatico al-Zarkawi sono sempre precise, tempestive e aggiungono utili dettagli. In questo caso alla rivendicazione è perfino seguita una seconda dichiarazione. O questo signore è un grafomane, o qualcuno stava dando dei ritocchi strategici alla storia. Poi, venerdì scorso è arrivata un'ulteriore precisazione di al-Zarqawi, ovviamente in una registrazione radio diffusa su internet: non voleva colpire i fedeli musulmani intenti a partecipare alle feste nuziali. Da una notizia AGI: "una puntualizzazione che sembra confermare quanto stragi così sanguinose, che hanno provocato nel complesso almeno 58 morti, abbiano messo seriamente in imbarazzo il super-terrorista di origini giordane, luogotenente di Osama bin Laden in Iraq, per lo sdegno che hanno suscitato prima di tutto nello stesso mondo islamico." In imbarazzo.
Insomma, 'sta al Qaeda per la Jihad nella Terra dei Due Fiumi credeva che gli alberghi fossero "covi di agenti dei servizi segreti americani, israeliani e giordani", quando la proprietà del Radisson di Amman è giordano-palestinese. Infatti sono stati fatti fuori i capi dell'intelligence palestinese e alcuni cinesi, oltre ai molti civili giordani, e lasciamo pure perdere l'articolo di Haaretz, poi smentito, secondo cui prima degli attentati alcuni israeliani erano stati fatti uscire dal Radisson dai servizi di sicurezza giordani (nel sito del quotidiano ci sono ancora le due versioni: uno e due). Ma invece no, al Quaeda pensava che lì ci fosse il megaraduno dell'asse del male.
Il soffitto, reloaded
Nella necessità di spiegarsi del "super-terrorista" c'è un altro strano riferimento: "L'idea che si siano fatti esplodere nel mezzo di festeggiamenti per un matrimonio è una bugia del regime giordano... l'obiettivo era un incontro di servizi segreti, solo che a causa dell'esplosione è crollato il soffitto sugli ospiti del ricevimento".
Ci teneva, a spiegare perché fosse crollato il soffitto. E poi uno non deve pensar male.
Due gradi di separazione
Ma se c'è una cosa che mi fa impazzire è che praticamente tutti gli iracheni sembrano essere divisi da non più di due gradi di separazione da al-Zarqawi. In questo caso, Sajida Mubarak Atrous al-Rishawi, la kamikaze mancata, è la sorella del defunto Mubarak Atrous al-Rishawi, già braccio destro (ma non sappiamo quale numero) di al Zarqawi ucciso non si sa quando a Fallujah. E suo cognato - l'esperto di esplosivi, morto anche lui in battaglia - era un altro braccio destro. Naturalmente, in questo modo gli Stati Uniti possono dire che al-Zarqawi è ormai alle corde, perché è costretto a mandare a morire i suoi uomini migliori (e le loro sorelle, e i loro mariti, altri elementi validi dell'organizzazione). Il fatto che quattro iracheni debbano farsi la gita suicida in Giordania non si spiega se non con il fatto che Abu Musab è rimasto senza parenti.
E però
Al-Zarqawi non esiste. Se non esiste, possiamo dire che ha i giorni contati. Può scriversi le letterine con al-Zawahiri. Può telefonarsi con Bin Laden. Può fare dichiarazioni. Può anche essere ripudiato dalla sua famiglia.
Se telefonasse in diretta dalla De Filippi io personalmente mi insospettirei, e anche se improvvisamente cominciasse a dire "voi giornalisti fraintendete tutto quel che dico, uffa", però tutto il resto può reggere ancora per un po'.
Un po' di materiale interessante in:
Xymphora, Another day in the Empire, "Did Al Zarqawi really bomb Amman?", Xiaodong People, Uruknet.
Make up
Il fondotinta adatto a questo post dovrebbe essere molto coprente: diciamo l'Unifiance Lissage Optique, da abbinare alla Poudre Coromandel (che uniforma e scalda). E poi, grande ritorno dell'eyeliner con lo Spectacular nero; per sopracciglia ben definite come quelle di al-Zarqawi, Dual Perfection n. 01. E poi due gocce di Baiser du Dragon.
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sabato, novembre 19, 2005
Pelle e capelli scuri
I soldati americani in Iraq hanno ucciso finora ben 13 giornalisti dall'inizio dell'invasione e ne stanno tenendo cinque in arresto senza che siano stati incriminati.
I militari dicono che è loro intenzione prevenire l'uccisione di civili, ma che la natura della guerra costringe i soldati a reagire rapidamente per proteggersi. Quindi l'atteggiamento trigger happy delle truppe sarebbe giustificato (boh, questa mi ricorda qualcosa).
Nell'agosto del 2003 gli americani uccisero Mazen Dana, un noto cameraman palestinese che lavorava per la Reuters e che aveva ottenuto il permesso di fare delle riprese all'esterno della prigione di Abu Ghraib. L'inchiesta militare che ne seguì giunse alla conclusione che il soldato che aveva sparato aveva agito ragionevolmente: aveva infatti visto un uomo "con pelle e capelli scuri" e aveva scambiato la telecamera per un lanciagranate.
Ragionevole.
Un altro problema è costituito dai giornalisti imprigionati, attualmente cinque. Il tenente colonnello Rudisill, addetto alle pubbliche relazioni della forza multinazionale in Iraq, ha spiegato che la coalizione ha l'autorità di tenere in arresto chiunque sia sospettato di costituire una minaccia per la sicurezza, e che i detenuti non hanno diritto a un avvocato finché non vengono incriminati: cosa che può richiedere dei mesi e anche non verificarsi mai. Quindi, se vieni arrestato e non incriminato non hai diritto a un avvocato. Questi si prendono da 90 a 120 giorni per decidere se incriminarti o meno. Tre-quattro mesi ad Abu Ghraib sono assicurati, in ogni caso. Poi al limite ti rilasciano perché non sei colpevole. Che metodo.
Ali Mashhadani è stato arrestato in agosto: durante una perquisizione le truppe americane hanno trovato nella sua videocamera del materiale sugli insorti. È finito ad Abu Ghraib senza neanche sapere perché, niente avvocati e niente visite. Samir Mohammed Noor, arrestato in circostanze simili dai soldati iracheni, è stato portato ad Abu Ghraib dentro una coperta, per come lo avevano conciato. Se c'è qualcosa che l'esercito iracheno impara in fretta, sono le cattive lezioni.
Fonte: "Journalists' perils in Iraq highlighted", The Boston Globe.
I militari dicono che è loro intenzione prevenire l'uccisione di civili, ma che la natura della guerra costringe i soldati a reagire rapidamente per proteggersi. Quindi l'atteggiamento trigger happy delle truppe sarebbe giustificato (boh, questa mi ricorda qualcosa).
Nell'agosto del 2003 gli americani uccisero Mazen Dana, un noto cameraman palestinese che lavorava per la Reuters e che aveva ottenuto il permesso di fare delle riprese all'esterno della prigione di Abu Ghraib. L'inchiesta militare che ne seguì giunse alla conclusione che il soldato che aveva sparato aveva agito ragionevolmente: aveva infatti visto un uomo "con pelle e capelli scuri" e aveva scambiato la telecamera per un lanciagranate.
Ragionevole.
Un altro problema è costituito dai giornalisti imprigionati, attualmente cinque. Il tenente colonnello Rudisill, addetto alle pubbliche relazioni della forza multinazionale in Iraq, ha spiegato che la coalizione ha l'autorità di tenere in arresto chiunque sia sospettato di costituire una minaccia per la sicurezza, e che i detenuti non hanno diritto a un avvocato finché non vengono incriminati: cosa che può richiedere dei mesi e anche non verificarsi mai. Quindi, se vieni arrestato e non incriminato non hai diritto a un avvocato. Questi si prendono da 90 a 120 giorni per decidere se incriminarti o meno. Tre-quattro mesi ad Abu Ghraib sono assicurati, in ogni caso. Poi al limite ti rilasciano perché non sei colpevole. Che metodo.
Ali Mashhadani è stato arrestato in agosto: durante una perquisizione le truppe americane hanno trovato nella sua videocamera del materiale sugli insorti. È finito ad Abu Ghraib senza neanche sapere perché, niente avvocati e niente visite. Samir Mohammed Noor, arrestato in circostanze simili dai soldati iracheni, è stato portato ad Abu Ghraib dentro una coperta, per come lo avevano conciato. Se c'è qualcosa che l'esercito iracheno impara in fretta, sono le cattive lezioni.
Fonte: "Journalists' perils in Iraq highlighted", The Boston Globe.
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venerdì, novembre 18, 2005
Overheard in Friuli
– Come va?
– Male, male. Di giorno ho sempre sonno, mi addormento in piedi. Poi verso il tardo pomeriggio mi sveglio e la notte ho l'insonnia.
– Ma da quanto tempo soffri di questi disturbi?
– Da sempre! Ho finito a fatica le scuole medie. Per fortuna alle superiori tutto bene, il massimo dei voti.
– Ah, allora stavi meglio.
– No. Ho fatto le serali.
– Male, male. Di giorno ho sempre sonno, mi addormento in piedi. Poi verso il tardo pomeriggio mi sveglio e la notte ho l'insonnia.
– Ma da quanto tempo soffri di questi disturbi?
– Da sempre! Ho finito a fatica le scuole medie. Per fortuna alle superiori tutto bene, il massimo dei voti.
– Ah, allora stavi meglio.
– No. Ho fatto le serali.
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