Putin presenta al pubblico il suo regalo
di Andrej Kolesnikov
Nel pomeriggio di giovedì si è saputo che i giornalisti del “pool governativo” erano attesi a Novo-Ogarevo per le otto di sera. Su cosa sarebbe successo neanche una parola, il che ha fatto crescere enormemente le aspettative e le ipotesi. Abbiamo ricevuto in risposta solo vaghi accenni. Ci hanno assicurato che si sarebbe trattato di un incontro informale del premier con i giornalisti, e che non si sarebbe parlato di economia. Ovviamente dopo queste parole nessuno credeva che il premier non avrebbe fatto alcuna dichiarazione su questioni economiche.
Già si sapeva che il primo ministro quella sera era atteso alla Casa Bianca per discutere della crisi finanziaria. E più il tempo passava, tanto più si rafforzava la certezza che ci aspettasse una grossa sorpresa, tanto per cambiare sgradita.
E il tempo passava sì. Siamo arrivati a Novo-Ogarevo alle sette di sera. L'incontro, come si sa, era stato fissato per le otto. Ma né alle nove né alle dieci c'era alcun indizio del fatto che il premier stesse lasciando la Casa Bianca per tornare a Novo-Ogarevo.
A quel punto le opinioni dei giornalisti, per usare un eufemismo, divergevano ormai ampiamente. Si era già formata una scuola di pensiero secondo la quale per parlare di economia era effettivamente troppo tardi, perché a quell'ora nessuno guarda più la televisione e i giornali hanno già chiuso le pagine. Dunque si sarebbe parlato di altro.
C'è stato chi ha ipotizzato che il labrador Koni avesse partorito. Ho parlato con un tizio che non si vantava delle sue informazioni e anzi sembrava volerle tenere più o meno per sé, ma che ha comunque raccontato che secondo lui il premier per il suo compleanno (che si festeggia il 7 ottobre) aveva ricevuto in regalo un'automobile e che voleva presentarla alla stampa. Quel giornalista ha perfino scritto sul suo bloc notes “auto” e “regalo” e ci ha aggiunto l'ora in cui aveva espresso quella geniale ipotesi, così che poi, quando si fosse avverata, nessuno potesse incolparlo di non aver detto nulla.
Mi sorprendeva soprattuto la sicurezza con la quale il giornalista, che pretendeva di conoscere e perfino di sapere cosa pensasse il premier, si è messo a scommettere “qualsiasi cosa” con un altro giornalista: se Vladimir Putin ci avesse mostrato un'automobile lui avrebbe vinto, in tutti gli altri casi avrebbe perso. Insomma, era disposto a mettersi in una posizione scomoda a priori, tanto era convinto di averci azzeccato.
Si è sparsa la voce che il premier ci avrebbe aspettati sulla piattaforma di atterraggio per gli elicotteri. Così è spuntata la convinzione che gli avessero regalato un elicottero.
Ma alle undici di sera l'ottimismo era ormai svanito. È prevalsa nuovamente l'ipotesi di qualche importante dichiarazione. Ci avevano assicurato già due volte che il premier stava arrivando, e due volte che era ancora alla Casa Bianca. Di certo stava limando il discorso.
Pochi pensavano che ci avrebbe comunicato le sue dimissioni. Un primo ministro non può mica lasciare in balia del fato il suo paese in un momento di crisi. Ma a mezzanotte ormai non si poteva più escludere nulla.
Tanto più che l'incontro è stato a un tratto spostato in un altro edificio della residenza, e quando sono state sistemate le telecamere, i fotografi si sono inginocchiati sul pavimento e i giornalisti della carta stampata si sono stretti nello spazio restante, nella stanza si è imposta un'atmosfera di tale solennità che sotto il suo peso solo una cosa si desiderava: sapere che anche tu eri una piccola parte di quel grande paese, la Federazione Russia, e che proprio tu saresti stato tra i pochi a sapere quello che sarebbe successo a questo paese ormai il mattino dopo. E tutti noi eravamo spossati da questa consapevolezza, o non consapevolezza. E resistevamo come potevamo.
Il premier ha fatto il suo ingresso nella stanza a mezzanotte e mezza. Indossava una giacca marrone e dei jeans, e io ho pensato: non si fanno discorsi sullo stato della nazione vestiti così (a meno che non si tratti in effetti di annunciare le proprie dimissioni).
Ha cominciato a parlare, e io mi sono detto: no, comunque non ne verrà niente di buono.
- Non mi aspettavo, - ha detto Vladimir Putin, - che ci fossero tante telecamere. Ma vabbe'... Con alcuni di voi lavoro ormai da molto tempo, con altri da meno... Comunque voglio dire...
Io già mi immaginavo i titoli dei giornali: russi, occidentali, orientali... Mi è sembrato che il paese stesse già sussultando.
Almeno ero presente a un fatto di portata storica.
- Vi prego di non fare rumore, di non urlare, di non strillare... - il premier ha poi continuato dopo una breve pausa. - È una misura di carattere personale. Prego, accomodiamoci nella stanza accanto.
Per qualche motivo aveva deciso di continuare il suo discorso nella stanza accanto. Perché? Come saperlo? Avrà avuto le sue ragioni. Siamo entrati nella stanza accanto. E ho visto il tigrotto. Se ne stava così, dentro due ceste col fondo piatto. Era piccolo. Ha voltato il capo nella nostra direzione e io ho pensato: Vladimir Putin resta.
Si è inginocchiato accanto al tigrotto (che poi si è rivelata una tigrotta) e ha cominciato ad accarezzarlo. Lo faceva con grande attenzione e ha consigliato a tutti di fare lo stesso. Non ce n'erano tanti, che avevano voglia di accarezzare la bestiola. Si è saputo che aveva due mesi e mezzo, che era un regalo (comunque un regalo, allora) di compleanno e che aveva appena mangiato due chili di carne e per questo era così tranquilla. Tutti i tentativi di sapere chi fosse l'autore del regalo si sono infranti contro la sua sovrumana benevolenza...
- Da dove viene? - ha ripetuto la domanda Vladimir Putin.- Dalla Russia. È cittadina russa.
- Vivrà con lei?
- Deve vivere in condizioni normali. Così la metteremo in un ottimo zoo.
Ho pensato che per un tigrotto difficilmente uno zoo rappresenta delle condizioni normali. A meno che non sia nato in uno zoo.
La tigrotta è rimasta sorprendentemente tranquilla. Mi sono chiesto se non l'avessero un po' sedata. Ma il signor Putin ha reagito con indignazione alla domanda.
A quel punto le luci delle telecamere hanno abbagliato la tigre, che ha cominciato a soffiare.
- Un po' più attenti, - ha detto il premier.
Ho pensato che si preoccupasse per i giornalisti.
- Poi si spaventa e scappa, - ha continuato Vladimir Putin.
- Se si spaventa, noi scappiamo più veloci di lei, - ho buttato lì io.
I giornalisti hanno cominciato a suggerire nomi per la tigrotta, tra cui Mašen'ka e Alenka.
- Sì, Mašen'ka, - si è rallegrato il signor Putin. - Ieri mi hanno suggerito proprio questo nome!
Non riusciva a staccarsi da lei e continuava ad accarezzarla e accarezzarla...
In quelle sei ore uno di noi aveva fatto una scommessa e adesso pensava che doveva pagarla, e ha perfino detto che era pronto ad andare fino in fondo.
Gli altri semplicemente guardavano la tigre. Vladimir Putin voleva semplicemente mostrarla al pubblico. Tutto lì. Non c'erano stati grandi sconvolgimenti. Ma avrebbero potuto essercene. Di ogni tipo. E soprattutto nessuno se ne sarebbe meravigliato. L'attuale momento politico ed economico è tale che tutti sono pronti a qualsiasi svolta degli eventi.
Tranne, forse, che a vedere in uno degli uffici di Vladimir Putin una tigre dell'Amur.
Fonte: Kommersant' (RUS)
Originale pubblicato l'11 ottobre 2008
lunedì, ottobre 13, 2008
giovedì, ottobre 09, 2008
Lo spelling
mercoledì, ottobre 08, 2008
Però qualcuno può comprarsi a rate la Georgia uffa
Questo articolo di Joshua Kucera tradotto su 2.0 informa che a fine settembre il Congresso degli Stati Uniti ha stanziato un generoso pacchetto di aiuti per la Georgia. Generoso nel senso di un miliardo di dollari nei prossimi due anni.
Insomma, di lì a poco sarebbe stato varato un piano di bailout da 700 miliardi di dollari e gli Stati Uniti stanziavano 365 milioni per la Georgia (con la prospettiva di assegnarle complessivamente un miliardo di qui al 2010)? Viene voglia di saperne di più e di rintracciare questo decreto promosso da Bush e fortemente voluto da entrambi i principali candidati alla presidenza.
In risposta a un post (giustamente) dubbioso e sorpreso di Sean Guillory, l'autore dell'articolo offre ulteriori dettagli: la legge passata è l'HR2638, cioè il Consolidated Security, Disaster Assistance, and Continuing Appropriations Act, 2009, che comprende stanziamenti per FDA, FBI, ministero del Lavoro, ambasciate degli Stati Uniti, ministero degli Interni, affari dei reduci. Ma, classificata con discrezione alla voce Assistenza Economica Bilaterale, ecco la parte che ci interessa (chiedo scusa per la traduzione, sempre goffa quando si tratta di leggi e affini):
Se adesso nei commenti spunta qualcuno che mi dice eh ma guarda che 365 milioni di dollari non sono mica tanto lo mangio.
Insomma, di lì a poco sarebbe stato varato un piano di bailout da 700 miliardi di dollari e gli Stati Uniti stanziavano 365 milioni per la Georgia (con la prospettiva di assegnarle complessivamente un miliardo di qui al 2010)? Viene voglia di saperne di più e di rintracciare questo decreto promosso da Bush e fortemente voluto da entrambi i principali candidati alla presidenza.
In risposta a un post (giustamente) dubbioso e sorpreso di Sean Guillory, l'autore dell'articolo offre ulteriori dettagli: la legge passata è l'HR2638, cioè il Consolidated Security, Disaster Assistance, and Continuing Appropriations Act, 2009, che comprende stanziamenti per FDA, FBI, ministero del Lavoro, ambasciate degli Stati Uniti, ministero degli Interni, affari dei reduci. Ma, classificata con discrezione alla voce Assistenza Economica Bilaterale, ecco la parte che ci interessa (chiedo scusa per la traduzione, sempre goffa quando si tratta di leggi e affini):
[...] Una somma aggiuntiva riservata al 'Finanziamento di Sostegno Economico', $465.000.000 da rendere disponibili fino al 30 settembre 2010, dei quali fino a $5.000.000 possono essere messi a disposizione per spese amministrative dell'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, in aggiunta a somme altrimenti rese disponibili a tali scopi: Si stabilisce che dei finanziamenti stanziati sotto questa voce $365.000.000 saranno resi disponibili per l'assistenza alla Georgia e alla regione per aiuti umanitari ed economici, ricostruzione, programmi energetici e attività democratiche, e potranno essere trasferiti e uniti a finanziamenti stanziati alla voce 'Assistenza per gli Stati Indipendenti dell'ex-Unione Sovietica' e 'Assistenza Internazionale ai Disastri', dei quali fino a $8.000.000 possono essere trasferiti e uniti a finanziamenti messi a disposizione per 'Operazioni internazionali di tele e radiodiffusione' per attività di tele e radiodiffusione in Georgia, in Russia e nella regione.Passato alla Camera dei Rappresentanti (268/150), al Senato (89/4) e il 30 settembre 2008 firmato dal presidente Bush.
Se adesso nei commenti spunta qualcuno che mi dice eh ma guarda che 365 milioni di dollari non sono mica tanto lo mangio.
martedì, ottobre 07, 2008
Adesso uno non può neanche prestare soldi all'Islanda uffa
Da Siberian Light:
"Quando oggi ho sentito che la Russia sta per prestare all'Islanda 5,4 miliardi di dollari (l'equivalente di 1/3 del PIL dell'Islanda) per salvare le banche del paese in affanno finanziario, ho pensato:
Poi ho letto questo editoriale, pubblicato sul giornale britannico The Daily Telegraph:
Doppio sigh.
Eccone qui un'altra, che stasera voleva fare la spiritosa su un blog.
"Quando oggi ho sentito che la Russia sta per prestare all'Islanda 5,4 miliardi di dollari (l'equivalente di 1/3 del PIL dell'Islanda) per salvare le banche del paese in affanno finanziario, ho pensato:
'Hmm, stasera quando torno a casa scrivo un bel post ironico in cui mi chiedo quanto bisognerà aspettare perché i media condannino l'accordo ed evochino lo spettro della malvagia Russia che conquista la piccola indifesa Islanda'.Ero sinceramente convinto che sarebbe stato un post un po' sgangherato che nessuno avrebbe preso sul serio.
Poi ho letto questo editoriale, pubblicato sul giornale britannico The Daily Telegraph:
'[Il prestito] creerebbe tumulti strategici. L'Islanda è un membro della NATO, ma la Russia vorrebbe qualcosa in cambio di un prestito che corrisponde a quasi un terzo del PIL del piccolo stato. Gli Stati Uniti sarebbero irritati e contrariati dall'idea che ciò possa significare una presenza militare russa nel Nord Atlantico'.Sigh".
Doppio sigh.
Eccone qui un'altra, che stasera voleva fare la spiritosa su un blog.
Sed magis amica veritas: a due anni dalla morte di Anna Politkovskaja
[file Word qui]
È possibile smascherare una bugia, ma quando ce ne sono milioni, quando vengono scelte e ricombinate anno dopo anno, decennio dopo decennio, quando milioni di persone abilmente addestrate partecipano a questa falsificazione con l'impiego di enormi risorse e tecnologie sofisticate e miliardi di persone subiscono un lavaggio del cervello ideologico generazione dopo generazione, non c'è alcuna possibilità di scavalcare quella serie ininterrotta di bugie e ristabilire la verità. Non è improbabile che secoli dopo si possa scoprire un barlume di quella verità, ma quale differenza potrà mai fare? Sarà solo un debole e distorto riflesso della storia.
Aleksandr Zinov'ev, Global'noe Sverchobščestvo i Rossija, Mosca, Labirint, 2000.
Il russo ha due parole per dire verità: pravda e istina. La prima fa parte di un gruppo di vocaboli che ha per radice “vero”, “giusto” ed è anche “franchezza”, verso se stessi e verso gli altri; la giustizia per esempio è pravosudie, il processo con cui si cerca e si trova la verità. La seconda è la Verità con la V maiuscola, l'unica, quella che rende liberi e con la quale è meglio non scherzare.
Io qui sarò semplicemente sincera. Nei giorni successivi alla morte di Anna Politkovskaja, che conoscevo grazie al libro La Russia di Putin pubblicato in Italia da Adelphi e ad alcuni articoli letti in rete, ho deciso di mettermi a tradurre dal russo un po' di materiale scritto da lei e su di lei: articoli, ricordi, commenti, reazioni, dinamica dell'omicidio, primi passi delle indagini. Il motivo è semplice: mi interessava. Per anni avevo continuato a seguire le vicende russe, senza mai scriverne e con un certo distacco. Però l'omicidio Politkovskaja per me ha rappresentato una svolta, e non nel senso più immaginabile o prevedibile: basti qui dire che mi sono resa conto quanto fosse drammatica la differenza di percezione tra Russia e Occidente e quanto bisognasse lavorare per spiegare, distinguere, mediare, contestualizzare, mettendoci di volta in volta e a seconda dei casi serietà, ironia, pedanteria, leggerezza.
Mai la differenza tra il punto di vista russo e le proiezioni occidentali mi era sembrata più grande e più difficile da gestire come in quell'ottobre 2006: di qui la scelta a un certo punto di smettere di scriverne e di occuparmi più seriamente della Russia e soprattutto di quello che la Russia non è.
Oggi, a due anni di distanza, è il momento di riparlarne. Credo che l'omicidio Politkovskaja sia stato capace di tirar fuori il peggio di ciascuno, di innescare isteriche reazioni a catena di malintesi, generalizzazioni e approssimazioni. È stata una gara di dilettantismo, opportunismo, insensibilità, mancanza di tatto, meschine vendette, cialtroneria, ipocrisia, sentimentalismo, pelosa compassione.
Da una parte, la Russia. Putin che fece quello che fa di solito quando viene messo sotto pressione e si infastidisce per le domande sbagliate: invece di strapparsi i pochi capelli superstiti e spargere lacrime di coccodrillo uscì dal protocollo e offrì a tutti noi occidentali quello che volevamo vedere, il demone meschino con un passato nei Servizi, KGB a Dresda. Ricordate? Cosa è successo al Kursk? È affondato. E Anna Politkovskaja? La sua influenza nella vita politica del paese era minima, no?
Forma sbagliata, contenuti tecnicamente corretti.
Come è stato spiegato da giornalisti e addetti ai lavori che non possono in alcun modo essere sospettati di connivenza con il Cremlino, non credo di fare un torto ad Anna Politkovskaja confermando che non era molto letta né molto conosciuta nel suo paese. Ma non perché particolarmente scomoda: semplicemente perché l'informazione russa, fuori e dentro la rete, è complessa, stratificata e dispersiva, con numeri, proporzioni, livello di interattività e capacità di influire sulla situazione del paese molto diversi da quelli a cui siamo abituati.
E forse anche perché scriveva per un bisettimanale, la Novaja Gazeta, che non è un faro della libera informazione e del giornalismo investigativo in un paese altrimenti barbaro: è un giornale politicamente orientato in senso “liberale” al quale, come ha ben ricordato John Laughland, [1] collaborano e hanno collaborato commentatori filo-americani vicini alla Jamestown Foundation, il centro studi neo-conservatore interessato alla democratizzazione (o “destabilizzazione”, dipende dai punti di vista) dei paesi dell'ex-blocco comunista. Dal 2006 il 49% della Novaja Gazeta è nelle mani di Michail Gorbačëv (10%) e di Aleksandr Lebedev (39%), politico e uomo d'affari milionario nonché ex funzionario del KGB e poi dell'SVD (i servizi segreti internazionali russi). Incidentalmente, i due hanno appena deciso di fondare un nuovo partito, il Partito Democratico Indipendente. [2] Sia chiaro: non è che Gorbačëv stia proprio simpatico a tutti, in Russia.
Infine, tanto per farci un'idea delle proporzioni, una circolazione di 250.000 copie in un paese di 145 milioni di persone non è molto.
Potremmo anche aggiungere a tutto questo il fatto che alla Politkovskaja non veniva perdonato di essersi associata a Boris Berezovskij nel comune interesse per il Caucaso Settentrionale e la causa dei profughi ceceni, che in quegli anni riceveva l'attenzione dei media occidentali e i soldi delle cosiddette fondazioni umanitarie e delle organizzazioni non governative. Intendiamoci: non c'è niente di male nell'abbinare al giornalismo la difesa dei diritti umani, a patto che non si considerino alcuni più umani di altri.
Come reagì l'opinione pubblica russa alla morte di Anna Politkovskaja? Con un misto di pena e indifferenza. In rete le cose stavano diversamente: opinioni tendenzialmente molto critiche e distaccate, con picchi di livore nei confronti della giornalista e del suo lavoro, e quei primi sintomi di rabbia e delusione nei confronti dell'opinione pubblica e dei media occidentali destinati a esasperarsi negli anni successivi.
Come reagì l'Occidente? Ma figuriamoci, il cadavere della povera Politkovskaja era il grande sogno trasversale: ci si buttarono tutti, giornalisti, politici, opinionisti, difensori della libertà di stampa, associazioni per la difesa dei diritti umani, sindaci, assessori, poeti, cantanti, registi, comitati di signore bene. E poi i premi, i premi: postumi, intitolati alla defunta, inutili. Che momenti.
Naturalmente parte di questi singoli e organizzazioni era in perfetta buona fede, e non lo dico solo perché l'ultima cosa che vorrei è un picchetto di signore sotto casa che protesta contro gli abusi in Russia. Ma di fatto i media occidentali (i nostri sulla scia di quelli britannici e statunitensi) avevano consacrato e diffuso una versione unica: in Russia era stata assassinata una giornalista coraggiosa che si opponeva a Putin; se ne deduceva che Putin doveva avere commissionato l'omicidio.
La vecchia sindrome del rosso sotto il letto è dura a morire, e l'avrebbe dimostrato di lì a poco l'opera buffa mediatica rappresentata dalla morte di Aleksandr Litvinenko (a proposito del quale, lo ammetto, mi sono fatta meno scrupoli: ma lui non era né giornalista, né donna, e del resto neanche tanto coraggioso).
Il Financial Times sottolineava che Putin era responsabile della creazione di un clima politico e sociale che rendeva possibili omicidi come questo. Anne Applebaum sul Washington Post attribuiva direttamente a Putin gli omicidi di giornalisti avvenuti in Russia dopo il 2000 (non che prima non ce ne fossero stati, solo che prima c'era El'cin). Olga Craig sul Sunday Telegraph titolava un suo articolo “Incrocia Putin e muori”, nel quale raccontava la fantasmatica storia di un povero giornalista russo perseguitato dai servizi segreti assassini. L'Economist ne approfittava per evocare le ombre del Reich e osservava che “a volte la Russia sembra orientarsi verso il fascismo”. [3]
La demonizzazione della Russia a questo punto era completa, potevamo rilassarci in questa certezza che non aveva bisogno di ulteriori conferme e dimenticarci della vera Politkovskaja. Tanto la vera Politkovskaja non esisteva già più: esisteva invece il fantasma di “una delle giornaliste più brillanti e coraggiose” (The Guardian), “una delle poche voci che osassero contraddire la linea di partito” (The Daily Telegraph), “scomoda in nome della libertà” (The Independent), “la più famosa giornalista investigativa russa” (The Times), “una delle giornaliste più coraggiose” (The New York Times), “vittima di raro coraggio” (The Washington Post). [4]
Anna Politkovskaja svolgeva il proprio lavoro in una posizione di estrema vulnerabilità, con i suoi reportage dal Caucaso ha documentato e testimoniato sofferenze, torture e abusi ed è stata vicina a tante vittime della guerra, anche se solo di una parte coinvolta in quella guerra. Per farlo e per combattere contro quello che considerava un sistema spietato ha scelto di schierarsi, e questo non l'ha resa più amata (basti leggere la testimonianza di uno degli ostaggi dell'assedio al Teatro Nord-Ost: non contiene parole di perdono o di riconciliazione ma accuse feroci e dolorose che non è difficile comprendere). [5] Ha corso rischi intollerabili e si è fatta molti nemici, ma forse non per le storie che scriveva (come ricordò il giornalista e commentatore politico Oleg Kašin in un bell'articolo su Vzgljad, più che una giornalista era una newsmaker: tendeva a stare davanti e non dietro alle telecamere, a fare notizia più che a scriverne). [6] Tra questi nemici c'erano persone capaci di farla uccidere praticamente alla luce del sole, o almeno nell'ingresso di un tranquillo condominio, vicino all'ascensore, un pomeriggio di ottobre: quattro colpi di Makarov, compreso quello finale “di controllo” (kontrol'nyj), che serve a verificare che la vittima sia morta ed è considerato indizio di un assassinio su commissione.
Per concludere: non so se Anna Politkovskaja sia stata in qualche modo strumentalizzata quando era in vita, e se ne fosse consapevole. So però che lo è stata, e molto, dopo la sua morte.
Ma veniamo al punto sulle indagini, che sono ora giunte a una svolta.
Inizialmente circolano varie ipotesi, tutte più o meno collegate all'attività professionale della Politkovskaja: vendetta di poliziotti corrotti che erano finiti nei guai per i suoi articoli; vendetta di militanti ceceni; azione dei nazionalisti russi (il suo nome era sulla lista di morte di vari gruppi neonazisti); provocazione politica per screditare le autorità russe e cecene o innescare conflitti nel Caucaso.
Poi la Procura Generale chiede il silenzio stampa, che viene rispettato. La Novaja Gazeta annuncia che avvierà una propria indagine e collaborerà con gli inquirenti; Aleksandr Lebedev offre una ricompensa pari a 1 milione di dollari a chi contribuirà alla soluzione del caso.
Segue dunque un silenzio stampa che dura dieci mesi.
Il 28 agosto 2007 il Procuratore Generale Jurij Čajka annuncia in una conferenza stampa l'arresto di dieci sospetti in relazione all'omicidio. Tra questi, un ufficiale di polizia, un colonnello dell'FSB (Servizio di sicurezza federale, i servizi segreti russi) e tre ex poliziotti; gli altri cinque sono ceceni, uno di loro avvocato a Mosca, e farebbero parte di una banda specializzata in omicidi su commissione. Gli inquirenti pensano che i ceceni possano avere a che fare anche con gli omicidi del vice presidente della Banca Centrale russa Kozlov e del giornalista di Forbes Russia Paul Klebnikov.
La Novaja Gazeta, impegnata nella sua indagine parallela, scrive che gli arresti sono stati fatti dal 15 al 23 agosto. Il direttore del giornale definisce le conclusioni degli inquirenti “convincenti”, il figlio della Politkovskaja, Il'ja, si dice “non sorpreso”.
“I nostri nomi coincidono con quelli dell'indagine ufficiale”, dice il vice direttore del giornale, Sergej Sokolov. “Ma l'identità del mandante non coincide”.
Nella sua conferenza stampa il Procuratore Generale fa anche una dichiarazione politica, puntando il dito contro le “forze esterne” di putiniana memoria che mirano a offuscare la reputazione internazionale della Russia e a destabilizzare la situazione interna del paese, e aggiunge che i responsabili vogliono “un ritorno al vecchio sistema di governo nel quale erano i soldi e gli oligarchi a decidere tutto”. Non si fanno nomi, ma tutti colgono il riferimento agli oligarchi in esilio (rispettivamente nel Regno Unito e in Israele) Berezovskij e Nevzlin; non a caso nel corso della conferenza stampa Čajka ribadisce che la Russia continuerà a chiedere l'estradizione di Berezovskij, ricercato per reati finanziari.
Nel frattempo anche l'FSB tiene una conferenza stampa in cui comunica che un suo ufficiale, Pavel Rjaguzov, è tra gli arrestati.
Gli altri nomi non si sanno, ma appaiono sulla stampa il giorno successivo, completi di foto e generalità dei sospettati: Aleksej Berkin, Dmitrij Lebedev, Tamerlan Machmudov, Džabrail Machmudov, Oleg Alimov, Achmed Isaev, Sergej Chadžikurbanov, Dmitrij Gračev, Pavel Rjaguzov. Il Moskovskij Komsomolec aggiunge un bel po' di dettagli. [7] Si sa così che Rjaguzov, il colonnello dell'FSB, ha 37 anni ed era già tenuto d'occhio da tempo per presunti collegamenti con il crimine organizzato. Rjaguzov è specializzato in compiti di sorveglianza, dunque potrebbe avere messo sotto controllo il telefono della Politkovskaja. Dmitrij Lebedev, Dmitrij Gračev, Oleg Alimov e Aleksej Berkin sono ex poliziotti: alcuni hanno lasciato il servizio tra i 5 e gli 8 anni fa. Avrebbero avuto l'incarico di sorvegliare la Politkovskaja quando usciva di casa. Sergej Chadžikurbanov, ufficiale di polizia, 40 anni, quattro anni prima ha organizzato una trappola che ha portato alla cattura di Frank Alcapone (alias Fizuli Mamedov), arrestato per il possesso di un chilo di eroina. Secondo le guardie del corpo del boss l'eroina gli era stata messa addosso dai poliziotti. Alcapone viene rimesso in libertà e i poliziotti accusati di abuso d'ufficio.
Poi ci sono i tre fratelli Machmudov, di origine cecena: Tamerlan, 36 anni, Džabrail, 49, e Ibrahim, 25. Tamerlan e Ibrahim risiedono a Mosca, Džabrail a Zarajsk, nel distretto di Mosca. Secondo le autorità questi tre non avevano rancori personali nei confronti della giornalista, e hanno partecipato all'omicidio in cambio di un'ingente somma di denaro.
Infine ci sarebbe l'autista, Achmed Isaev: avrebbe portato i fratelli Machmudov sul luogo del crimine e li avrebbe aiutati a ottenere la documentazione per acquistare la macchina.
Forse anche a causa di questa fuga di notizie, nei giorni successivi le prove contro alcuni degli accusati cadono una dopo l'altra. Viene rilasciato per insufficienza di prove Berkin (gli inquirenti pensavano facesse parte della banda di criminali ceceni chiamata “Lasagna”, dal nome di un ristorante in cui erano soliti incontrarsi, e ritenuta responsabile dell'omicidio); e viene rilasciato anche Chadžikurbanov, perché il giorno dell'assassinio era in carcere (quello che si dice un alibi di ferro). [8] Poi è la volta di Alimov, mentre emerge che Rjaguzov è accusato di abuso di potere per un caso che risale al 2002. [9]
A una settimana dagli arresti, un altro colpo di scena: la Procura Generale toglie il caso alla squadra di inquirenti che se ne era occupata fino a quel momento e al suo capo Pëtr Garibjan. [10] Il direttore della Novaja Gazeta Muratov dice in un'intervista a Echo Moskvy che la decisione è frutto di pressioni dei siloviki (uomini dei servizi) per sabotare le indagini. La Procura Generale nega l'accusa dicendo che la squadra è stata invece rafforzata con l'aggiunta di nuovi elementi. La Novaja Gazeta fa sapere che continuerà a lavorare con Garibjan, che sono in corso nuovi arresti e che l'indagine si è fatta estremamente complicata.
La Procura apre un'indagine sulla fuga di notizie.
A metà settembre viene arrestato Šamil Buraev, ex capo del distretto ceceno di Ačhoj-Martanov, accusato di aver ottenuto l'indirizzo della giornalista da Rjaguzov e di averlo passato agli assassini.
Una notizia RIA Novosti del 24 ottobre conferma che Buraev rimane in arresto e che i detenuti al momento sono nove, compresi i fratelli Machmudov. [11]
Nell'intervista a Time del dicembre 2007 Putin dice che le autorità faranno il possibile per risolvere il caso, ma che ci sono dei “problemi con le prove”. [12]
Alla fine di marzo 2008 la Procura Generale fa sapere che il killer è stato identificato ed è attualmente ricercato. Gli accusati in quel momento sono nove, compreso l'ufficiale dell'FSB. [13]
Agli inizi di aprile un investigatore capo incaricato delle indagini, Dmitrij Dovgij, rilascia un'intervista a Izvestija nella quale afferma che Boris Berezovskij è il mandante dell'omicidio. Dovgy è stato sospeso per corruzione (avrebbe preso tangenti per 4 milioni e mezzo di dollari), ma secondo Izvestija l'intervista è stata fatta quando era ancora in servizio. [14] Dovgij non ha in mano prove concrete, ma si dice convinto che l'omicidio sia stato ordinato da Boris Berezovskij attraverso Chož-Achmed Nuchaev, il criminale ceceno fuggiasco ufficialmente sospettato dell'omicidio di Paul Klebnikov. Appare abbastanza evidente che Dovgij, che pochi mesi prima in un'intervista alla Rossijskaja Gazeta era stato estremamente cauto, ha tentato una mossa disperata dimostrando la sua lealtà e accreditando una pista politica che poteva supporre molto gradita ai suoi superiori.
Il 16 aprile altra fuga di notizie: il sito russo Life.ru pubblica la foto di Rustam Machmudov, sospettato di essere l'esecutore materiale dell'omicidio. [15]
Il 12 maggio viene rilasciato un altro sospetto, Magomed Dimelchanov. Gli arrestati scendono a sette. Contro Rustam Machmudov è stato emesso un mandato di cattura internazionale.
Agli inizi di giugno viene rilasciato anche Buraev, in attesa di processo.
Il 18 giugno gli inquirenti russi dichiarano di avere concluso l'indagine e di avere formalizzato le accuse contro quattro sospetti: tre per coinvolgimento nell'omicidio e uno per abuso d'ufficio. [16] Un'indagine distinta è stata avviata nei confronti dell'esecutore materiale dell'omicidio, Rustam Machmudov, latitante. Le accuse contro Buraev sono invece cadute per insufficienza di prove.
Agli inizi di luglio fonti della Procura Generale dichiarano di sapere in quale paese dell'Europa Occidentale si nasconda Machmudov. [17]
Arriviamo infine al 2 ottobre 2008, quando la Procura Generale della Federazione Russa comunica di avere rinviato a giudizio per l'omicidio di Anna Politkovskaja tre persone: Sergej Chadžikurbanov e i fratelli Džabrail e Ibrahim Machmudov. L'ex ufficiale dei servizi Pavel Rjaguzov è accusato di abuso di ufficio. Un distinto procedimento penale è stato avviato a carico di Rustam Machmudov. [18]
Il figlio della giornalista, Il'ja Politkovskij, ha sostenuto in una conferenza stampa che il caso è stato trasferito non a un tribunale civile, ma a un tribunale militare, in quanto uno degli imputati è un agente dei servizi. “Vorrei sottolineare che non accuso dell'organizzazione diretta di questo omicidio le autorità, perché niente fa pensare a questo. All'omicidio hanno preso parte elementi isolati dei servizi segreti e loro agenti”, ha aggiunto il figlio della giornalista. [19]
Dunque si va al processo, probabilmente in tempi brevi. Mancano il killer, il mandante e il movente.
La ricompensa da un milione di dollari non è stata incassata da nessuno.
È una storia fatta di voci e fughe di notizie, di avvertimenti, di “io so”, di sassi lanciati e mani nascoste, di rivelazioni frettolose e premature, di gang Lasagna e soldi, di criminalità, connivenze e coperture, probabilmente non di massimi poteri, o folli regali di compleanno, o premier ceceni capricciosi, o maligni oligarchi con l'hobby del colpo di stato. Ma chi può dirlo con certezza.
Quando è stata diffusa la notizia del rinvio a giudizio la stampa occidentale e quella russa hanno reagito pigramente. La ricerca su Google e Yandex dà pochi e ripetitivi risultati, le discussioni sui blog si limitano a rilanciare la notizia (che è stata riportata già a settembre [20] e non fa che confermare fatti noti già a giugno), nessun commento sui giornali.
Forse si aspetta il 7 ottobre per far scattare i riti del ricordo, più appaganti della ricerca di un tenue e distorto riflesso di verità.
Note
[1] “Who killed Anna Politkovskaya?”, John Laughland, Sanders Research Associates, 19 ottobre 2006
[2] “Russia: Gorbaciov- Lebedev, partito”, ANSA, 30 settembre 2008
[3] “Where is America's Politkovskaya?”, Mark Ames, The eXile, 20 ottobre 2006
[4] John Laughland, op. cit.
[5] СВИНСТВО!!!, http://al-stal.livejournal.com/, 20 ottobre 2006
[6] “Kto ubil Annu Politkovskuju?”, Oleg Kašin, Vzgljad, 9 ottobre 2006
[7] “Sodejstvujuščie lica i ispolniteli – V spiske ubijc Politkovskoj – torgovcy ryboj, čekisty i milicionery”, Moskovskij Komsomolec, 29 agosto 2007
[8] “Mera Otsečenija”, Kommersant', 30 agosto 2007
[9] “Genprokuror sdaet po delu”, Kommersant', 31 agosto 2007
[10] “Investigator out in Politkovskaya case”, The Moscow Times, 5 ottobre 2007
[11] “Court remands Politkovskaya murder suspect Burayev in custody”, RIA Novosti, 24 ottobre 2007
[12] “Putin promises to complete probe into Politkovskaya's murder”, RIA Novosti, 19 dicembre 2007
[13] “Politkovskaya's killer identified, being sought - top prosecutors”, RIA Novosti, 28 marzo 2008
[14] “Načalnik Glavnogo sledstvennogo upravlenija Dmitrij Dovgij: 'Čeloveku dolžno byt' vygodno ne brat' vzjatok'”, Izvestija, 3 aprile 2008
[15] “Ubijstvo izvestnoj žurnalistki. Killer sbežal iz Rossii”, Life.ru, 15 aprile 2008
[16] “Russian prosecutors finish probe into Politkovskaya murder”, RIA Novosti, 18 giugno 2008
[17] “Russian reporter Politkovskaya's killer hiding in Western Europe”, RIA Novosti, 1° luglio 2008
[18] “Russian prosecutors refer Politkovskaya murder case to court”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[19] “Delo ob ubijstve Politkovskoj peredano v voennyj sud”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[20] “Delo Politkovskoj v Genprokurature”, Rossijskaja Gazeta, 20 settembre 2008
La traduzione francese, a cura di Fausto Giudice, è a questo indirizzo.
È possibile smascherare una bugia, ma quando ce ne sono milioni, quando vengono scelte e ricombinate anno dopo anno, decennio dopo decennio, quando milioni di persone abilmente addestrate partecipano a questa falsificazione con l'impiego di enormi risorse e tecnologie sofisticate e miliardi di persone subiscono un lavaggio del cervello ideologico generazione dopo generazione, non c'è alcuna possibilità di scavalcare quella serie ininterrotta di bugie e ristabilire la verità. Non è improbabile che secoli dopo si possa scoprire un barlume di quella verità, ma quale differenza potrà mai fare? Sarà solo un debole e distorto riflesso della storia.
Aleksandr Zinov'ev, Global'noe Sverchobščestvo i Rossija, Mosca, Labirint, 2000.
Il russo ha due parole per dire verità: pravda e istina. La prima fa parte di un gruppo di vocaboli che ha per radice “vero”, “giusto” ed è anche “franchezza”, verso se stessi e verso gli altri; la giustizia per esempio è pravosudie, il processo con cui si cerca e si trova la verità. La seconda è la Verità con la V maiuscola, l'unica, quella che rende liberi e con la quale è meglio non scherzare.
Io qui sarò semplicemente sincera. Nei giorni successivi alla morte di Anna Politkovskaja, che conoscevo grazie al libro La Russia di Putin pubblicato in Italia da Adelphi e ad alcuni articoli letti in rete, ho deciso di mettermi a tradurre dal russo un po' di materiale scritto da lei e su di lei: articoli, ricordi, commenti, reazioni, dinamica dell'omicidio, primi passi delle indagini. Il motivo è semplice: mi interessava. Per anni avevo continuato a seguire le vicende russe, senza mai scriverne e con un certo distacco. Però l'omicidio Politkovskaja per me ha rappresentato una svolta, e non nel senso più immaginabile o prevedibile: basti qui dire che mi sono resa conto quanto fosse drammatica la differenza di percezione tra Russia e Occidente e quanto bisognasse lavorare per spiegare, distinguere, mediare, contestualizzare, mettendoci di volta in volta e a seconda dei casi serietà, ironia, pedanteria, leggerezza.
Mai la differenza tra il punto di vista russo e le proiezioni occidentali mi era sembrata più grande e più difficile da gestire come in quell'ottobre 2006: di qui la scelta a un certo punto di smettere di scriverne e di occuparmi più seriamente della Russia e soprattutto di quello che la Russia non è.
Oggi, a due anni di distanza, è il momento di riparlarne. Credo che l'omicidio Politkovskaja sia stato capace di tirar fuori il peggio di ciascuno, di innescare isteriche reazioni a catena di malintesi, generalizzazioni e approssimazioni. È stata una gara di dilettantismo, opportunismo, insensibilità, mancanza di tatto, meschine vendette, cialtroneria, ipocrisia, sentimentalismo, pelosa compassione.
Da una parte, la Russia. Putin che fece quello che fa di solito quando viene messo sotto pressione e si infastidisce per le domande sbagliate: invece di strapparsi i pochi capelli superstiti e spargere lacrime di coccodrillo uscì dal protocollo e offrì a tutti noi occidentali quello che volevamo vedere, il demone meschino con un passato nei Servizi, KGB a Dresda. Ricordate? Cosa è successo al Kursk? È affondato. E Anna Politkovskaja? La sua influenza nella vita politica del paese era minima, no?
Forma sbagliata, contenuti tecnicamente corretti.
Come è stato spiegato da giornalisti e addetti ai lavori che non possono in alcun modo essere sospettati di connivenza con il Cremlino, non credo di fare un torto ad Anna Politkovskaja confermando che non era molto letta né molto conosciuta nel suo paese. Ma non perché particolarmente scomoda: semplicemente perché l'informazione russa, fuori e dentro la rete, è complessa, stratificata e dispersiva, con numeri, proporzioni, livello di interattività e capacità di influire sulla situazione del paese molto diversi da quelli a cui siamo abituati.
E forse anche perché scriveva per un bisettimanale, la Novaja Gazeta, che non è un faro della libera informazione e del giornalismo investigativo in un paese altrimenti barbaro: è un giornale politicamente orientato in senso “liberale” al quale, come ha ben ricordato John Laughland, [1] collaborano e hanno collaborato commentatori filo-americani vicini alla Jamestown Foundation, il centro studi neo-conservatore interessato alla democratizzazione (o “destabilizzazione”, dipende dai punti di vista) dei paesi dell'ex-blocco comunista. Dal 2006 il 49% della Novaja Gazeta è nelle mani di Michail Gorbačëv (10%) e di Aleksandr Lebedev (39%), politico e uomo d'affari milionario nonché ex funzionario del KGB e poi dell'SVD (i servizi segreti internazionali russi). Incidentalmente, i due hanno appena deciso di fondare un nuovo partito, il Partito Democratico Indipendente. [2] Sia chiaro: non è che Gorbačëv stia proprio simpatico a tutti, in Russia.
Infine, tanto per farci un'idea delle proporzioni, una circolazione di 250.000 copie in un paese di 145 milioni di persone non è molto.
Potremmo anche aggiungere a tutto questo il fatto che alla Politkovskaja non veniva perdonato di essersi associata a Boris Berezovskij nel comune interesse per il Caucaso Settentrionale e la causa dei profughi ceceni, che in quegli anni riceveva l'attenzione dei media occidentali e i soldi delle cosiddette fondazioni umanitarie e delle organizzazioni non governative. Intendiamoci: non c'è niente di male nell'abbinare al giornalismo la difesa dei diritti umani, a patto che non si considerino alcuni più umani di altri.
Come reagì l'opinione pubblica russa alla morte di Anna Politkovskaja? Con un misto di pena e indifferenza. In rete le cose stavano diversamente: opinioni tendenzialmente molto critiche e distaccate, con picchi di livore nei confronti della giornalista e del suo lavoro, e quei primi sintomi di rabbia e delusione nei confronti dell'opinione pubblica e dei media occidentali destinati a esasperarsi negli anni successivi.
Come reagì l'Occidente? Ma figuriamoci, il cadavere della povera Politkovskaja era il grande sogno trasversale: ci si buttarono tutti, giornalisti, politici, opinionisti, difensori della libertà di stampa, associazioni per la difesa dei diritti umani, sindaci, assessori, poeti, cantanti, registi, comitati di signore bene. E poi i premi, i premi: postumi, intitolati alla defunta, inutili. Che momenti.
Naturalmente parte di questi singoli e organizzazioni era in perfetta buona fede, e non lo dico solo perché l'ultima cosa che vorrei è un picchetto di signore sotto casa che protesta contro gli abusi in Russia. Ma di fatto i media occidentali (i nostri sulla scia di quelli britannici e statunitensi) avevano consacrato e diffuso una versione unica: in Russia era stata assassinata una giornalista coraggiosa che si opponeva a Putin; se ne deduceva che Putin doveva avere commissionato l'omicidio.
La vecchia sindrome del rosso sotto il letto è dura a morire, e l'avrebbe dimostrato di lì a poco l'opera buffa mediatica rappresentata dalla morte di Aleksandr Litvinenko (a proposito del quale, lo ammetto, mi sono fatta meno scrupoli: ma lui non era né giornalista, né donna, e del resto neanche tanto coraggioso).
Il Financial Times sottolineava che Putin era responsabile della creazione di un clima politico e sociale che rendeva possibili omicidi come questo. Anne Applebaum sul Washington Post attribuiva direttamente a Putin gli omicidi di giornalisti avvenuti in Russia dopo il 2000 (non che prima non ce ne fossero stati, solo che prima c'era El'cin). Olga Craig sul Sunday Telegraph titolava un suo articolo “Incrocia Putin e muori”, nel quale raccontava la fantasmatica storia di un povero giornalista russo perseguitato dai servizi segreti assassini. L'Economist ne approfittava per evocare le ombre del Reich e osservava che “a volte la Russia sembra orientarsi verso il fascismo”. [3]
La demonizzazione della Russia a questo punto era completa, potevamo rilassarci in questa certezza che non aveva bisogno di ulteriori conferme e dimenticarci della vera Politkovskaja. Tanto la vera Politkovskaja non esisteva già più: esisteva invece il fantasma di “una delle giornaliste più brillanti e coraggiose” (The Guardian), “una delle poche voci che osassero contraddire la linea di partito” (The Daily Telegraph), “scomoda in nome della libertà” (The Independent), “la più famosa giornalista investigativa russa” (The Times), “una delle giornaliste più coraggiose” (The New York Times), “vittima di raro coraggio” (The Washington Post). [4]
Anna Politkovskaja svolgeva il proprio lavoro in una posizione di estrema vulnerabilità, con i suoi reportage dal Caucaso ha documentato e testimoniato sofferenze, torture e abusi ed è stata vicina a tante vittime della guerra, anche se solo di una parte coinvolta in quella guerra. Per farlo e per combattere contro quello che considerava un sistema spietato ha scelto di schierarsi, e questo non l'ha resa più amata (basti leggere la testimonianza di uno degli ostaggi dell'assedio al Teatro Nord-Ost: non contiene parole di perdono o di riconciliazione ma accuse feroci e dolorose che non è difficile comprendere). [5] Ha corso rischi intollerabili e si è fatta molti nemici, ma forse non per le storie che scriveva (come ricordò il giornalista e commentatore politico Oleg Kašin in un bell'articolo su Vzgljad, più che una giornalista era una newsmaker: tendeva a stare davanti e non dietro alle telecamere, a fare notizia più che a scriverne). [6] Tra questi nemici c'erano persone capaci di farla uccidere praticamente alla luce del sole, o almeno nell'ingresso di un tranquillo condominio, vicino all'ascensore, un pomeriggio di ottobre: quattro colpi di Makarov, compreso quello finale “di controllo” (kontrol'nyj), che serve a verificare che la vittima sia morta ed è considerato indizio di un assassinio su commissione.
Per concludere: non so se Anna Politkovskaja sia stata in qualche modo strumentalizzata quando era in vita, e se ne fosse consapevole. So però che lo è stata, e molto, dopo la sua morte.
Ma veniamo al punto sulle indagini, che sono ora giunte a una svolta.
Inizialmente circolano varie ipotesi, tutte più o meno collegate all'attività professionale della Politkovskaja: vendetta di poliziotti corrotti che erano finiti nei guai per i suoi articoli; vendetta di militanti ceceni; azione dei nazionalisti russi (il suo nome era sulla lista di morte di vari gruppi neonazisti); provocazione politica per screditare le autorità russe e cecene o innescare conflitti nel Caucaso.
Poi la Procura Generale chiede il silenzio stampa, che viene rispettato. La Novaja Gazeta annuncia che avvierà una propria indagine e collaborerà con gli inquirenti; Aleksandr Lebedev offre una ricompensa pari a 1 milione di dollari a chi contribuirà alla soluzione del caso.
Segue dunque un silenzio stampa che dura dieci mesi.
Il 28 agosto 2007 il Procuratore Generale Jurij Čajka annuncia in una conferenza stampa l'arresto di dieci sospetti in relazione all'omicidio. Tra questi, un ufficiale di polizia, un colonnello dell'FSB (Servizio di sicurezza federale, i servizi segreti russi) e tre ex poliziotti; gli altri cinque sono ceceni, uno di loro avvocato a Mosca, e farebbero parte di una banda specializzata in omicidi su commissione. Gli inquirenti pensano che i ceceni possano avere a che fare anche con gli omicidi del vice presidente della Banca Centrale russa Kozlov e del giornalista di Forbes Russia Paul Klebnikov.
La Novaja Gazeta, impegnata nella sua indagine parallela, scrive che gli arresti sono stati fatti dal 15 al 23 agosto. Il direttore del giornale definisce le conclusioni degli inquirenti “convincenti”, il figlio della Politkovskaja, Il'ja, si dice “non sorpreso”.
“I nostri nomi coincidono con quelli dell'indagine ufficiale”, dice il vice direttore del giornale, Sergej Sokolov. “Ma l'identità del mandante non coincide”.
Nella sua conferenza stampa il Procuratore Generale fa anche una dichiarazione politica, puntando il dito contro le “forze esterne” di putiniana memoria che mirano a offuscare la reputazione internazionale della Russia e a destabilizzare la situazione interna del paese, e aggiunge che i responsabili vogliono “un ritorno al vecchio sistema di governo nel quale erano i soldi e gli oligarchi a decidere tutto”. Non si fanno nomi, ma tutti colgono il riferimento agli oligarchi in esilio (rispettivamente nel Regno Unito e in Israele) Berezovskij e Nevzlin; non a caso nel corso della conferenza stampa Čajka ribadisce che la Russia continuerà a chiedere l'estradizione di Berezovskij, ricercato per reati finanziari.
Nel frattempo anche l'FSB tiene una conferenza stampa in cui comunica che un suo ufficiale, Pavel Rjaguzov, è tra gli arrestati.
Gli altri nomi non si sanno, ma appaiono sulla stampa il giorno successivo, completi di foto e generalità dei sospettati: Aleksej Berkin, Dmitrij Lebedev, Tamerlan Machmudov, Džabrail Machmudov, Oleg Alimov, Achmed Isaev, Sergej Chadžikurbanov, Dmitrij Gračev, Pavel Rjaguzov. Il Moskovskij Komsomolec aggiunge un bel po' di dettagli. [7] Si sa così che Rjaguzov, il colonnello dell'FSB, ha 37 anni ed era già tenuto d'occhio da tempo per presunti collegamenti con il crimine organizzato. Rjaguzov è specializzato in compiti di sorveglianza, dunque potrebbe avere messo sotto controllo il telefono della Politkovskaja. Dmitrij Lebedev, Dmitrij Gračev, Oleg Alimov e Aleksej Berkin sono ex poliziotti: alcuni hanno lasciato il servizio tra i 5 e gli 8 anni fa. Avrebbero avuto l'incarico di sorvegliare la Politkovskaja quando usciva di casa. Sergej Chadžikurbanov, ufficiale di polizia, 40 anni, quattro anni prima ha organizzato una trappola che ha portato alla cattura di Frank Alcapone (alias Fizuli Mamedov), arrestato per il possesso di un chilo di eroina. Secondo le guardie del corpo del boss l'eroina gli era stata messa addosso dai poliziotti. Alcapone viene rimesso in libertà e i poliziotti accusati di abuso d'ufficio.
Poi ci sono i tre fratelli Machmudov, di origine cecena: Tamerlan, 36 anni, Džabrail, 49, e Ibrahim, 25. Tamerlan e Ibrahim risiedono a Mosca, Džabrail a Zarajsk, nel distretto di Mosca. Secondo le autorità questi tre non avevano rancori personali nei confronti della giornalista, e hanno partecipato all'omicidio in cambio di un'ingente somma di denaro.
Infine ci sarebbe l'autista, Achmed Isaev: avrebbe portato i fratelli Machmudov sul luogo del crimine e li avrebbe aiutati a ottenere la documentazione per acquistare la macchina.
Forse anche a causa di questa fuga di notizie, nei giorni successivi le prove contro alcuni degli accusati cadono una dopo l'altra. Viene rilasciato per insufficienza di prove Berkin (gli inquirenti pensavano facesse parte della banda di criminali ceceni chiamata “Lasagna”, dal nome di un ristorante in cui erano soliti incontrarsi, e ritenuta responsabile dell'omicidio); e viene rilasciato anche Chadžikurbanov, perché il giorno dell'assassinio era in carcere (quello che si dice un alibi di ferro). [8] Poi è la volta di Alimov, mentre emerge che Rjaguzov è accusato di abuso di potere per un caso che risale al 2002. [9]
A una settimana dagli arresti, un altro colpo di scena: la Procura Generale toglie il caso alla squadra di inquirenti che se ne era occupata fino a quel momento e al suo capo Pëtr Garibjan. [10] Il direttore della Novaja Gazeta Muratov dice in un'intervista a Echo Moskvy che la decisione è frutto di pressioni dei siloviki (uomini dei servizi) per sabotare le indagini. La Procura Generale nega l'accusa dicendo che la squadra è stata invece rafforzata con l'aggiunta di nuovi elementi. La Novaja Gazeta fa sapere che continuerà a lavorare con Garibjan, che sono in corso nuovi arresti e che l'indagine si è fatta estremamente complicata.
La Procura apre un'indagine sulla fuga di notizie.
A metà settembre viene arrestato Šamil Buraev, ex capo del distretto ceceno di Ačhoj-Martanov, accusato di aver ottenuto l'indirizzo della giornalista da Rjaguzov e di averlo passato agli assassini.
Una notizia RIA Novosti del 24 ottobre conferma che Buraev rimane in arresto e che i detenuti al momento sono nove, compresi i fratelli Machmudov. [11]
Nell'intervista a Time del dicembre 2007 Putin dice che le autorità faranno il possibile per risolvere il caso, ma che ci sono dei “problemi con le prove”. [12]
Alla fine di marzo 2008 la Procura Generale fa sapere che il killer è stato identificato ed è attualmente ricercato. Gli accusati in quel momento sono nove, compreso l'ufficiale dell'FSB. [13]
Agli inizi di aprile un investigatore capo incaricato delle indagini, Dmitrij Dovgij, rilascia un'intervista a Izvestija nella quale afferma che Boris Berezovskij è il mandante dell'omicidio. Dovgy è stato sospeso per corruzione (avrebbe preso tangenti per 4 milioni e mezzo di dollari), ma secondo Izvestija l'intervista è stata fatta quando era ancora in servizio. [14] Dovgij non ha in mano prove concrete, ma si dice convinto che l'omicidio sia stato ordinato da Boris Berezovskij attraverso Chož-Achmed Nuchaev, il criminale ceceno fuggiasco ufficialmente sospettato dell'omicidio di Paul Klebnikov. Appare abbastanza evidente che Dovgij, che pochi mesi prima in un'intervista alla Rossijskaja Gazeta era stato estremamente cauto, ha tentato una mossa disperata dimostrando la sua lealtà e accreditando una pista politica che poteva supporre molto gradita ai suoi superiori.
Il 16 aprile altra fuga di notizie: il sito russo Life.ru pubblica la foto di Rustam Machmudov, sospettato di essere l'esecutore materiale dell'omicidio. [15]
Il 12 maggio viene rilasciato un altro sospetto, Magomed Dimelchanov. Gli arrestati scendono a sette. Contro Rustam Machmudov è stato emesso un mandato di cattura internazionale.
Agli inizi di giugno viene rilasciato anche Buraev, in attesa di processo.
Il 18 giugno gli inquirenti russi dichiarano di avere concluso l'indagine e di avere formalizzato le accuse contro quattro sospetti: tre per coinvolgimento nell'omicidio e uno per abuso d'ufficio. [16] Un'indagine distinta è stata avviata nei confronti dell'esecutore materiale dell'omicidio, Rustam Machmudov, latitante. Le accuse contro Buraev sono invece cadute per insufficienza di prove.
Agli inizi di luglio fonti della Procura Generale dichiarano di sapere in quale paese dell'Europa Occidentale si nasconda Machmudov. [17]
Arriviamo infine al 2 ottobre 2008, quando la Procura Generale della Federazione Russa comunica di avere rinviato a giudizio per l'omicidio di Anna Politkovskaja tre persone: Sergej Chadžikurbanov e i fratelli Džabrail e Ibrahim Machmudov. L'ex ufficiale dei servizi Pavel Rjaguzov è accusato di abuso di ufficio. Un distinto procedimento penale è stato avviato a carico di Rustam Machmudov. [18]
Il figlio della giornalista, Il'ja Politkovskij, ha sostenuto in una conferenza stampa che il caso è stato trasferito non a un tribunale civile, ma a un tribunale militare, in quanto uno degli imputati è un agente dei servizi. “Vorrei sottolineare che non accuso dell'organizzazione diretta di questo omicidio le autorità, perché niente fa pensare a questo. All'omicidio hanno preso parte elementi isolati dei servizi segreti e loro agenti”, ha aggiunto il figlio della giornalista. [19]
Dunque si va al processo, probabilmente in tempi brevi. Mancano il killer, il mandante e il movente.
La ricompensa da un milione di dollari non è stata incassata da nessuno.
È una storia fatta di voci e fughe di notizie, di avvertimenti, di “io so”, di sassi lanciati e mani nascoste, di rivelazioni frettolose e premature, di gang Lasagna e soldi, di criminalità, connivenze e coperture, probabilmente non di massimi poteri, o folli regali di compleanno, o premier ceceni capricciosi, o maligni oligarchi con l'hobby del colpo di stato. Ma chi può dirlo con certezza.
Quando è stata diffusa la notizia del rinvio a giudizio la stampa occidentale e quella russa hanno reagito pigramente. La ricerca su Google e Yandex dà pochi e ripetitivi risultati, le discussioni sui blog si limitano a rilanciare la notizia (che è stata riportata già a settembre [20] e non fa che confermare fatti noti già a giugno), nessun commento sui giornali.
Forse si aspetta il 7 ottobre per far scattare i riti del ricordo, più appaganti della ricerca di un tenue e distorto riflesso di verità.
Note
[1] “Who killed Anna Politkovskaya?”, John Laughland, Sanders Research Associates, 19 ottobre 2006
[2] “Russia: Gorbaciov- Lebedev, partito”, ANSA, 30 settembre 2008
[3] “Where is America's Politkovskaya?”, Mark Ames, The eXile, 20 ottobre 2006
[4] John Laughland, op. cit.
[5] СВИНСТВО!!!, http://al-stal.livejournal.com/, 20 ottobre 2006
[6] “Kto ubil Annu Politkovskuju?”, Oleg Kašin, Vzgljad, 9 ottobre 2006
[7] “Sodejstvujuščie lica i ispolniteli – V spiske ubijc Politkovskoj – torgovcy ryboj, čekisty i milicionery”, Moskovskij Komsomolec, 29 agosto 2007
[8] “Mera Otsečenija”, Kommersant', 30 agosto 2007
[9] “Genprokuror sdaet po delu”, Kommersant', 31 agosto 2007
[10] “Investigator out in Politkovskaya case”, The Moscow Times, 5 ottobre 2007
[11] “Court remands Politkovskaya murder suspect Burayev in custody”, RIA Novosti, 24 ottobre 2007
[12] “Putin promises to complete probe into Politkovskaya's murder”, RIA Novosti, 19 dicembre 2007
[13] “Politkovskaya's killer identified, being sought - top prosecutors”, RIA Novosti, 28 marzo 2008
[14] “Načalnik Glavnogo sledstvennogo upravlenija Dmitrij Dovgij: 'Čeloveku dolžno byt' vygodno ne brat' vzjatok'”, Izvestija, 3 aprile 2008
[15] “Ubijstvo izvestnoj žurnalistki. Killer sbežal iz Rossii”, Life.ru, 15 aprile 2008
[16] “Russian prosecutors finish probe into Politkovskaya murder”, RIA Novosti, 18 giugno 2008
[17] “Russian reporter Politkovskaya's killer hiding in Western Europe”, RIA Novosti, 1° luglio 2008
[18] “Russian prosecutors refer Politkovskaya murder case to court”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[19] “Delo ob ubijstve Politkovskoj peredano v voennyj sud”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[20] “Delo Politkovskoj v Genprokurature”, Rossijskaja Gazeta, 20 settembre 2008
La traduzione francese, a cura di Fausto Giudice, è a questo indirizzo.
lunedì, ottobre 06, 2008
Da piazza Kadyrov sempre dritto poi magari chiedi
Ah, a Bush hanno intitolato la via per l'aeroporto a Tbilisi?
Da ieri Putin c'ha il Prospekt Putina a Groznyj. Mica vicolo Corto o vicolo Stretto, no: hanno tipo cambiato nome al ricostruito corso della Vittoria (Prospekt Pobedy).
Quel Ramzan soffre di turbe psichiche mascherate da incontenibile affetto*, ve lo dico io.
Foto © Reuters.
*Questa ha il copyright, e non è neanche mio.
Apdeit:
Putin chiede che per favore non gli vengano dedicate altre vie (ma neanche monumenti, né ritratti da appendere nelle aule scolastiche), grazie.
Da ieri Putin c'ha il Prospekt Putina a Groznyj. Mica vicolo Corto o vicolo Stretto, no: hanno tipo cambiato nome al ricostruito corso della Vittoria (Prospekt Pobedy).
Quel Ramzan soffre di turbe psichiche mascherate da incontenibile affetto*, ve lo dico io.
Foto © Reuters.
*Questa ha il copyright, e non è neanche mio.
Apdeit:
Putin chiede che per favore non gli vengano dedicate altre vie (ma neanche monumenti, né ritratti da appendere nelle aule scolastiche), grazie.
Avverbialmente
I'm glad you like adverbs — I adore them;
they are the only qualifications I really much respect.
Henry James, The Letters of Henry James, 1912
they are the only qualifications I really much respect.
Henry James, The Letters of Henry James, 1912
- I nostri settori energetici prima dei negoziati hanno lavorato energicamente, - ha aggiunto Vladimir Putin, - hanno lavorato anche a livello corporativo (cioè le corporazioni hanno lavorato corporativamente).
Ai due premier non restava che mettersi a lavorare premieralmente.
Dal servizio di Andrej Kolesnikov sull'incontro Timošenko-Putin, Kommersant'.
venerdì, ottobre 03, 2008
VVP, Medvedev e il sistema americano
Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin, il Presidente della Federazione Russa Dmitrij Anatol'evič Medvedev e il Primo vice capo della sua Amministrazione Vladislav Jur'evič Surkov sedevano in uno studio all'interno del Cremlino e guardavano alla televisione i dibattiti pre-elettorali dei candidati alla Presidenza degli Stati Uniti d'America.
- Bratellos, - disse Dmitrij Anatol'evič. - Guardate come sono organizzati bene. Ecco un candidato, ed ecco un secondo candidato. E nessun altro. Ecco i democratici, ed ecco i repubblicani. Ordine, civiltà... Magari così fosse anche da noi.
- Lo sarà, - disse convinto Vladislav Jur'evič.
- E quando? - domandò con interesse Vladimir Vladimirovič™.
- Alle prossime elezioni, - disse Vladislav Jur'evič, - Ecco un candidato.
E Vladislav Jur'evič indicò Vladimir Vladimirovič™.
- E il secondo? - domandò Dmitrij Anatol'evič, - Ancora Zjuganov?
- Perché Ziuganov? - si strinse nelle spalle Vladislav Jur'evič, - Tu.
- Io?! - esclamò allibito Dmitrij Anatol'evič.
- Lui?! - Vladimir Vladimirovič™ fece quasi un salto sulla poltrona, - E... bratello, siamo già d'accordo, lui se ne va! Io torno!
- E che differenza fa? - sorrise Vladislav Jur'evič, - Che importa chi di voi due vince? L'importante è che le cose da noi vadano come si deve. Due partiti, due candidati. Allora la struttura che ho costruito diventerà sovrana.
- Ma 'scolta… - borbottò Dmitrij Anatol'evič, - Di quale partito sarò, io, se il bratello è già di Russia Unita?
- Russia Unita sono i repubblicani, - spiegò Vladislav Jur'evič, - Vuol dire che tu starai con i democratici.
- E quali democratici? - Dmitrij Anatol'evič non capiva, - Noi non ce li abbiamo, i democratici.
- Li facciamo noi, - disse Vladislav Jur'evič, - Adesso mettiamo insieme Barščevskij e Gozman e ti facciamo il partito democratico.
- Mi fa un po' strano, però… - si strinse nelle spalle Dmitrij Anatol'evič.
- E cosa c'è di strano? - disse Vladislav Jur'evič, - O vuoi stare con i comunisti? O con Russia Giusta? O con i liberal-democratici?
- No no, - scosse il capo Dmitrij Anatol'evič, - A questo punto meglio con i democratici.
Vladimir Vladimirovič™ guardò Vladislav Jur'evič con ammirazione.
Originale: vladimir.vladimirovich.ru
- Bratellos, - disse Dmitrij Anatol'evič. - Guardate come sono organizzati bene. Ecco un candidato, ed ecco un secondo candidato. E nessun altro. Ecco i democratici, ed ecco i repubblicani. Ordine, civiltà... Magari così fosse anche da noi.
- Lo sarà, - disse convinto Vladislav Jur'evič.
- E quando? - domandò con interesse Vladimir Vladimirovič™.
- Alle prossime elezioni, - disse Vladislav Jur'evič, - Ecco un candidato.
E Vladislav Jur'evič indicò Vladimir Vladimirovič™.
- E il secondo? - domandò Dmitrij Anatol'evič, - Ancora Zjuganov?
- Perché Ziuganov? - si strinse nelle spalle Vladislav Jur'evič, - Tu.
- Io?! - esclamò allibito Dmitrij Anatol'evič.
- Lui?! - Vladimir Vladimirovič™ fece quasi un salto sulla poltrona, - E... bratello, siamo già d'accordo, lui se ne va! Io torno!
- E che differenza fa? - sorrise Vladislav Jur'evič, - Che importa chi di voi due vince? L'importante è che le cose da noi vadano come si deve. Due partiti, due candidati. Allora la struttura che ho costruito diventerà sovrana.
- Ma 'scolta… - borbottò Dmitrij Anatol'evič, - Di quale partito sarò, io, se il bratello è già di Russia Unita?
- Russia Unita sono i repubblicani, - spiegò Vladislav Jur'evič, - Vuol dire che tu starai con i democratici.
- E quali democratici? - Dmitrij Anatol'evič non capiva, - Noi non ce li abbiamo, i democratici.
- Li facciamo noi, - disse Vladislav Jur'evič, - Adesso mettiamo insieme Barščevskij e Gozman e ti facciamo il partito democratico.
- Mi fa un po' strano, però… - si strinse nelle spalle Dmitrij Anatol'evič.
- E cosa c'è di strano? - disse Vladislav Jur'evič, - O vuoi stare con i comunisti? O con Russia Giusta? O con i liberal-democratici?
- No no, - scosse il capo Dmitrij Anatol'evič, - A questo punto meglio con i democratici.
Vladimir Vladimirovič™ guardò Vladislav Jur'evič con ammirazione.
Originale: vladimir.vladimirovich.ru
mercoledì, ottobre 01, 2008
La festa è finita, gli amici non se ne vanno
"Signore,
immagini una festa sfrenata, una festa molto lunga. Ogni volta che finiscono gli alcolici arriva la banca centrale, così la festa può continuare e la gente diventa sempre più dipendente dai festeggiamenti e dall'alcol. A un certo punto la folla ubriaca distrugge la sala e la festa finisce.
Arrivano Hank e Ben e chiedono chi è stato a fare più danni. John, dice la gente, ha rotto quattro finestre e fatto a pezzi il tavolo. Bene, dice Hank, diamo a John 300 dollari; chi altri ha fatto più danni? Tim, grida la folla, ha spruzzato vernice dappertutto e ha bruciato il divano. Eccellente, dice Hank, Tim prenderà 250 dollari. Chi è il prossimo?
Nel giro di pochi giorni ci sarà un'altra festa, e vorranno esserci tutti. Non solo potranno divertirsi alla grande (mentre gli altri, ovviamente i più scemi, continueranno ad alzarsi presto la mattina per andare al lavoro) e bere gratis, ma intascheranno anche dei bei soldi a festa finita. Che ne dice del piano Paulson?"
Krzysztof Rybinski,
ex vice governatore della Banca Nazionale della Polonia.
immagini una festa sfrenata, una festa molto lunga. Ogni volta che finiscono gli alcolici arriva la banca centrale, così la festa può continuare e la gente diventa sempre più dipendente dai festeggiamenti e dall'alcol. A un certo punto la folla ubriaca distrugge la sala e la festa finisce.
Arrivano Hank e Ben e chiedono chi è stato a fare più danni. John, dice la gente, ha rotto quattro finestre e fatto a pezzi il tavolo. Bene, dice Hank, diamo a John 300 dollari; chi altri ha fatto più danni? Tim, grida la folla, ha spruzzato vernice dappertutto e ha bruciato il divano. Eccellente, dice Hank, Tim prenderà 250 dollari. Chi è il prossimo?
Nel giro di pochi giorni ci sarà un'altra festa, e vorranno esserci tutti. Non solo potranno divertirsi alla grande (mentre gli altri, ovviamente i più scemi, continueranno ad alzarsi presto la mattina per andare al lavoro) e bere gratis, ma intascheranno anche dei bei soldi a festa finita. Che ne dice del piano Paulson?"
Krzysztof Rybinski,
ex vice governatore della Banca Nazionale della Polonia.
Fonte: Financial Times
Io comunque il dottor Rybinski ce lo inviterei, a una festa.Spevpeviamo gli Ultimi Euvi/U a iu tu fachin lekcia mi?©
Proposte per una futbòločka su Advertka.ru.
Antefatto.
Strascichi (conferenza stampa dell'assistente segretario di stato americano Daniel Fried per l'Europa e l'Eurasia, dopo un incontro con Lavov):
FRIED: Sì, ho sentito questa storia... non so se è vera, ma ho sentito questa storia della conversazione tra i ministri Miliband e Lavrov. Ma la conversazione di oggi è stata educata, perfettamente professionale. Non c'è stato niente di... niente di tutto questo.
DOMANDA: Niente parolacce?
FRIED: È stata una conversazione perfettamente professionale dall'inizio alla fine.
L'idea di questo ministro alfa che si aggira furibondo e pronto a insultare qualsiasi segretario o sottosegretario degli esteri atlantista gli capiti a tiro è ampiamente distorta ed esagerata.
Però.
Se volete spevpevave gli ultimi euvi dalle parti di Cafepress, su advertka ci sono anche i link ai formati vettoriali.
martedì, settembre 30, 2008
Spevpeviamo gli Ultimi Euvi/Mwahahahaha!
"Gratis un carro delle forze del male se si acquista un castello delle forze del male".
(per 4998 rubli, cioè 138 euro, io pretenderei anche qualche ettaro di terrapieno avvelenato).
Fonte: vse interesno (RUS)
lunedì, settembre 29, 2008
Piccola Berlino Democratica, domenica pomeriggio
Sì mamma è finita da un pezzo no non ci ho ripensato ma quale ricaduta il mio è solo un interesse storico-scientifico certo che mi piacciono ancora i ragazzetti sì e anche i pupazzetti adesso cosa c'entrano i capelli guarda papà d'accordo ma sai il sogno rivoluzionario e poi va là che è proprio bello con il taglio di luce giusto fa ancora la sua porca figura nonostante l'età e in fondo sto attraversando una fase di cambiamento e la sola idea di poterlo vedere ogni tanto non sempre ma solo ogni tanto mi fa felice e bada in senso esclusivamente estetico ma no giuro che non gli parlo per chi mi prendi no che adesso non mi verrà qualche strano tic.
Scusa ecco non è che me lo terresti un momento?
Grazie.
Scusa ecco non è che me lo terresti un momento?
Grazie.
domenica, settembre 28, 2008
Overheard in Portogruaro
- E aeòra, son nonna. Tutto bene tutto bene, solo che mia nuora no lo vol batezàr.
- Xe sielte anca quèe.
- Mi rispetto la sielta, no son invadente. Se ben che son credente. Vol dir che quando che sarà ora il dessiderà lù.
- Ogigiorno.
- Dopo tuto. Nostro Signor Gisù Cristo i lo gà batezà a quanti ani?
- Trenta.
- Trenta. E aeòra.
- ...
- ...
- Sì, ma 'l xe morto a trentatré.
- Xe anca vero.
- Xe sielte anca quèe.
- Mi rispetto la sielta, no son invadente. Se ben che son credente. Vol dir che quando che sarà ora il dessiderà lù.
- Ogigiorno.
- Dopo tuto. Nostro Signor Gisù Cristo i lo gà batezà a quanti ani?
- Trenta.
- Trenta. E aeòra.
- ...
- ...
- Sì, ma 'l xe morto a trentatré.
- Xe anca vero.
venerdì, settembre 26, 2008
Semplice barra complicato
Porquoi faire simple quand on peut faire compliqué!
F., email
Io alle dieci del mattino non sono ancora pronta a pronunciare polisillabi come frammentazione e multipolarismo. Riesco a dire Uno. Grazie. Buongiorno. Dove. Prego. Non c'è male. Quello che i dizionari tascabili chiamano conversazione generica.
Vabbe'.
Mi faccio viva io.
F., email
Io alle dieci del mattino non sono ancora pronta a pronunciare polisillabi come frammentazione e multipolarismo. Riesco a dire Uno. Grazie. Buongiorno. Dove. Prego. Non c'è male. Quello che i dizionari tascabili chiamano conversazione generica.
Vabbe'.
Mi faccio viva io.
Un altro giorno, che sventura, un altro giorno, che fortuna
Mauro Rostagno veniva assassinato alle 8 di sera del 26 settembre 1988 a Lenzi, nei pressi di Trapani, con quattro colpi di fucile calibro 12 e due colpi di rivoltella calibro 38 special.
Della vita e delle scelte di Rostagno si sanno tante cose: gli studi di sociologia a Trento, il movimento studentesco, Lotta Continua, Democrazia Proletaria, poi gli anni in India, la Sicilia, la fondazione di una comunità di arancioni poi trasformatasi in comunità di recupero per tossicodipendenti, infine la collaborazione con l'emittente televisiva di Trapani RTC, il lavoro di denuncia che non guardava in faccia a nessuno.
Una vita limpida e generosa, così continua a sembrarmi quando ci penso e ne sento raccontare.
Gli anni delle indagini sull'omicidio, invece, a partire da quella sera di settembre di vent'anni fa, limpidi non lo sono stati mai.
Pista mafiosa, pista Calabresi, pista interna, oppure gli è stata fatale la scoperta e la documentazione di un traffico d'armi su velivoli militari italiani diretti in Somalia?
Oggi ci si orienta, pare, su quest'ultima ipotesi, intrecciata alla pista mafiosa.
In tutti questi anni però sono scomparsi faldoni, sono morti testimoni, dai verbali si sono volatilizzate prove importanti, perizie balistiche sono state successivamente smentite. Tanto per cambiare, nella prima fase delle indagini Polizia e Carabinieri hanno condotto due indagini parallele e discordanti.
Ora (si veda Left n. 37 12-09-2008) riprende quota l'ipotesi legata al traffico d'armi tra Italia e Somalia ed ex-Jugoslavia (Rostagno avrebbe filmato certi atterraggi negli aereoporti trapanesi di Gladio, dove si scaricavano aiuti umanitari e caricavano armi): si sa che si era procurato un'handycam e aveva imparato a usarla; aveva delle video cassette, sparite dopo l'omicidio, con su scritto "non toccare", e pare che intendesse mandare in onda quel materiale; aveva cominciato a registrare le telefonate (sul comodino della sua stanza c'era un'audiocassetta, anch'essa con su scritto "non toccare", anch'essa sparita); aveva appena parlato con Falcone.
E certo magari magari la mafia c'entra.
Forse c'entra pure la pista interna, persone che possono essere state usate e strumentalizzate per l'esecuzione pratica dell'omicidio.
Convergenza di interessi, allora, come dice il procuratore di Palermo Antonio Ingroia: leggendo quello che si sa della vita di Rostagno mi sono chiesta come abbia fatto a restare vivo così bene fino a 46 anni.
Sul resto, su quella vicenda di arditi gossip, depistaggi e disinformazione che è seguita alla sua morte non sono neanche in grado di fare un lavoro decente da nerd.
E però: "un altro giorno, che sventura, un altro giorno, che fortuna".
Perché qua stiamo, non tutti ma almeno alcuni, e prima o poi ci piacerebbe saperlo, se sono stati gli ufi.
Link a video su YouTube.
[Il signor Marías, Javier, è stato preso brevemente in ostaggio per la stesura di questo post e poi rilasciato, confuso ma incolume].
Della vita e delle scelte di Rostagno si sanno tante cose: gli studi di sociologia a Trento, il movimento studentesco, Lotta Continua, Democrazia Proletaria, poi gli anni in India, la Sicilia, la fondazione di una comunità di arancioni poi trasformatasi in comunità di recupero per tossicodipendenti, infine la collaborazione con l'emittente televisiva di Trapani RTC, il lavoro di denuncia che non guardava in faccia a nessuno.
Una vita limpida e generosa, così continua a sembrarmi quando ci penso e ne sento raccontare.
Gli anni delle indagini sull'omicidio, invece, a partire da quella sera di settembre di vent'anni fa, limpidi non lo sono stati mai.
Pista mafiosa, pista Calabresi, pista interna, oppure gli è stata fatale la scoperta e la documentazione di un traffico d'armi su velivoli militari italiani diretti in Somalia?
Oggi ci si orienta, pare, su quest'ultima ipotesi, intrecciata alla pista mafiosa.
In tutti questi anni però sono scomparsi faldoni, sono morti testimoni, dai verbali si sono volatilizzate prove importanti, perizie balistiche sono state successivamente smentite. Tanto per cambiare, nella prima fase delle indagini Polizia e Carabinieri hanno condotto due indagini parallele e discordanti.
Ora (si veda Left n. 37 12-09-2008) riprende quota l'ipotesi legata al traffico d'armi tra Italia e Somalia ed ex-Jugoslavia (Rostagno avrebbe filmato certi atterraggi negli aereoporti trapanesi di Gladio, dove si scaricavano aiuti umanitari e caricavano armi): si sa che si era procurato un'handycam e aveva imparato a usarla; aveva delle video cassette, sparite dopo l'omicidio, con su scritto "non toccare", e pare che intendesse mandare in onda quel materiale; aveva cominciato a registrare le telefonate (sul comodino della sua stanza c'era un'audiocassetta, anch'essa con su scritto "non toccare", anch'essa sparita); aveva appena parlato con Falcone.
E certo magari magari la mafia c'entra.
Forse c'entra pure la pista interna, persone che possono essere state usate e strumentalizzate per l'esecuzione pratica dell'omicidio.
Convergenza di interessi, allora, come dice il procuratore di Palermo Antonio Ingroia: leggendo quello che si sa della vita di Rostagno mi sono chiesta come abbia fatto a restare vivo così bene fino a 46 anni.
Sul resto, su quella vicenda di arditi gossip, depistaggi e disinformazione che è seguita alla sua morte non sono neanche in grado di fare un lavoro decente da nerd.
E però: "un altro giorno, che sventura, un altro giorno, che fortuna".
Perché qua stiamo, non tutti ma almeno alcuni, e prima o poi ci piacerebbe saperlo, se sono stati gli ufi.
Link a video su YouTube.
[Il signor Marías, Javier, è stato preso brevemente in ostaggio per la stesura di questo post e poi rilasciato, confuso ma incolume].
giovedì, settembre 25, 2008
Anime
- Vediamolo, un centro abitato tipico del Collio sloveno, - dice lui.
E così passiamo accanto a un monumento partigiano in cemento armato.
Una chiesa con campanile in cemento armato.
Orti.
Fiori di topinambur.
Girandole e banderuole cigolanti.
Case, sì.
Tettoie.
Cani che zampettano al centro della carreggiata.
Sarà anche colpa della natura del legame, ma in mezzo a tanti audaci elementi costruttivi finiamo per parlare di un ponte ferroviario che unisce il Nord dell'Argentina al Cile.
- E indovina chi l'ha assemblato.
- Come faccio.
- Tito. Josip Broz.
- Ma no.
- Sì.
- O quante cose che sai!
- Scema.
Un cane si avvicina, scodinzola, si lascia accarezzare, si allontana.
Fermo sul ciglio della strada ci osserva un altro meticcio. Mai viste tante sfumature di marrone su un unico cane di piccola taglia. Non scodinzola, lui.
- No morde, že bon!
Sono in due, stanno seduti a un tavolino nel cortile di casa e indossano i vestiti grigi della festa. Lui porta anche il cappello. Oggi si è votato.
- Kam greste, dušice? - chiede lei. - Dove andate?
Ci sbracciamo confusamente per un po', ci fissiamo in silenzio, infine:
- Passeggiamo.
- Guardiamo.
- Ci piace.
- Guardate! - ci sorridono la dentiera di lei e la bocca sdentata di lui. - Non si è mai visto tutto, nel mondo, vero?
Intanto ha giunto le mani e si è messa a dondolarle avanti e indietro in un gesto sorpreso e divertito.
- Anime, il mondo è grande, non si è mai visto tutto.
E non sapremmo dire se si riferisca a noi o a loro.
Ci allontaniamo sorridendo e salutando, sorridendo e salutando.
- Ho avuto l'impressione che stessero per tirar fuori la grappa.
- Gli siamo spuntati fuori così, Tito qua Tito là. Sulle prime ci avranno preso per due emigranti venuti a votare.
- O due cosmopoliti sprovveduti, due gitanti assorti che hanno ormai catalogato ogni angolo del pianeta.
- Ci restavano solo Hum e... Kojsko, no? A parte quel ponte in Argentina - dice lui, voltandosi. - Saluta ancora, su. Anima.
L'unico che ci guarda storto, con l'aria di quello che non se l'è bevuta, è il meticcio marrone.
E così passiamo accanto a un monumento partigiano in cemento armato.
Una chiesa con campanile in cemento armato.
Orti.
Fiori di topinambur.
Girandole e banderuole cigolanti.
Case, sì.
Tettoie.
Cani che zampettano al centro della carreggiata.
Sarà anche colpa della natura del legame, ma in mezzo a tanti audaci elementi costruttivi finiamo per parlare di un ponte ferroviario che unisce il Nord dell'Argentina al Cile.
- E indovina chi l'ha assemblato.
- Come faccio.
- Tito. Josip Broz.
- Ma no.
- Sì.
- O quante cose che sai!
- Scema.
Un cane si avvicina, scodinzola, si lascia accarezzare, si allontana.
Fermo sul ciglio della strada ci osserva un altro meticcio. Mai viste tante sfumature di marrone su un unico cane di piccola taglia. Non scodinzola, lui.
- No morde, že bon!
Sono in due, stanno seduti a un tavolino nel cortile di casa e indossano i vestiti grigi della festa. Lui porta anche il cappello. Oggi si è votato.
- Kam greste, dušice? - chiede lei. - Dove andate?
Ci sbracciamo confusamente per un po', ci fissiamo in silenzio, infine:
- Passeggiamo.
- Guardiamo.
- Ci piace.
- Guardate! - ci sorridono la dentiera di lei e la bocca sdentata di lui. - Non si è mai visto tutto, nel mondo, vero?
Intanto ha giunto le mani e si è messa a dondolarle avanti e indietro in un gesto sorpreso e divertito.
- Anime, il mondo è grande, non si è mai visto tutto.
E non sapremmo dire se si riferisca a noi o a loro.
Ci allontaniamo sorridendo e salutando, sorridendo e salutando.
- Ho avuto l'impressione che stessero per tirar fuori la grappa.
- Gli siamo spuntati fuori così, Tito qua Tito là. Sulle prime ci avranno preso per due emigranti venuti a votare.
- O due cosmopoliti sprovveduti, due gitanti assorti che hanno ormai catalogato ogni angolo del pianeta.
- Ci restavano solo Hum e... Kojsko, no? A parte quel ponte in Argentina - dice lui, voltandosi. - Saluta ancora, su. Anima.
L'unico che ci guarda storto, con l'aria di quello che non se l'è bevuta, è il meticcio marrone.
martedì, settembre 23, 2008
War Nerd Islamablog: giorno 3
War Nerd Islamablog: giorno 3
di Gary Brecher
Questo è il mio terzo post sulla grande esplosione al Marriott Islamabad. Dio, il nome dice tutto: "Marriott Islamabad". Due parole che non stanno tanto bene insieme. La città non era abbastanza grande per "Marriott" e "Islamabad", lo si capisce guardando le foto della grande insegna del Marriott, con quei caratteri disneyani. Si può avere un'Islamabad oppure un Marriott, ma non entrambi, non per molto tempo.
Ecco una teoria che è rimbalzata oggi sul motivo per cui è stato colpito il Marriott: "questo simbolo dell'influenza occidentale" era semplicemente un affronto per i talebani e Al Qaeda. Ma nella rete circolano molte altre teorie. È la grande lezione del War Nerding del XXI secolo: un computer si trasforma in un grande mezzo per affrontare la vecchia Nebbia della Guerra di cui Keegan ama parlare. Ma 'sta storia della Nebbia non mi appassiona così tanto, perché (a) chiunque abbia un po' di buon senso sa già che la guerra è una faccenda confusa e incasinata; e (b) serve soltanto a dare agli editorialisti a casa una scusa da tirar fuori quando le loro truppe massacrano un po' di gente. Ma per un War Nerd che si rispetti la Nebbia è quello che si ha il Giorno 3 dopo un fatto come questo. Tutti hanno una teoria, e tu devi sorbirtele tutte senza credere troppo a nessuna. Questa è la parte più difficile.
Tipo che ieri ho ricevuto una dritta molto interessante da un fan indiano, che diceva che nel subcontinente tutti sanno che quando per un attentato viene usato "esplosivo commerciale di alta qualità", come questo, è segno sicuro che l'attentato è opera dell'ISI, i Servizi Segreti Pakistani. Ho controllato e di certo ci sono un po' di buone storie (storia uno, storia due) su agenti dell'ISI beccati con dell'RDX, il loro plastico preferito.
E adesso ecco a voi un'altra dritta sul War Nerding: quando ricevete facile accesso a informazioni di alta qualità come questa in un conflitto in cui c'è molta propaganda da entrambe le parti, non montatevi troppo la testa. Pensate invece se queste informazioni non vi stiano arrivando TROPPO facilmente. Voglio dire, mi sa che i servizi indiani non vedono l'ora di attribuire all'ISI tutto il plastico trovato da Lahore all'Assam. Ovvio che può anche essere vero: può trattarsi davvero dell'ISI. Sono maledetti bastardi, non ci sono dubbi. Però voi dovete solo stare calmi, non fidarvi di nessuno e schifare tutti, proprio come un poliziotto.
Dopo aver setacciato queste informazioni per un po', sono propenso ad affermare che anche se vengono dai servizi indiani sono fondamentalmente vere: l'ISI ha effettivamente dei trascorsi, ha fatto circolare quel pongo tra i suoi amichetti nel Kashmir, nell'Assam e in ogni altra regione indiana che voglia far saltare in aria un po' di gente del governo.
E l'ISI adesso ha motivo di essere preoccupato a casa sua in Pakistan. Il nuovo Primo Ministro, Zardari, si sta opponendo ai mandatari dell'ISI in Waziristan, compresi i capi talebani pachistani che gli hanno ammazzato la moglie. Ve lo ricordate, l'assassinio di Benazir Bhutto? Io me lo ricordo soprattutto per la bugia ufficiale più idiota mai fornita dopo un omicidio: la gente della sicurezza pakistana disse che era morta per aver sbattuto la testa contro la portiera della macchina. Sul serio. "Quel cecchino non c'entrava niente! La poveretta è morta per il colpo fatale contro la crudele maniglia della portiera di un SUV!" Sì, come no. Quello e una pallottola in testa sparata da uno o due cecchini talebani.
Quindi Zardari ha motivo di odiare i talebani, e i talebani sono l'esercito dell'ISI per procura. Un esercito per procura è una cosa comodissima, sapete? L'ISI può usare il Waziristan, laggiù sul confine afghano, come i siriani usano la Valle della Bekaa in Libano, come un campo estivo per tutti gli insorti che stanno finanziando. L'ISI addestra lì i suoi gruppi kashmiri preferiti e i suoi ragazzi in Afghanistan.
Quando dico che Zardari ha motivo di odiarli, non intendo perché gli hanno ammazzato la moglie. Dovete superare il principio che i grossi calibri siano personalmente legati a qualcuno oltre a se stessi e al loro clan. Zardari si chiama Zardari perché è il capo della tribù Zardari, proprio come i capi dei clan scozzesi si chiamavano "IL Mc-Questo" o "IL Mc-Quello". Il suo rancore è tribale, non personale. Magari lui e la defunta Benazir anche si piacevano, non lo so. Lo dubito, ma chi può saperlo? Era un matrimonio dinastico, come nell'Europa del passato. Non una commedia romantica. (Idea simpatica, una commedia romantica nell'élite pakistana. Forse riesco a venderla, questa sceneggiatura).
Zardari aveva promesso di "usare la mano pesante con il terrorismo": dunque alcuni giornalisti creduloni adesso dicono che è per questo che Al Qaeda e talebani hanno colpito Islamabad. Ma gente, queste cose le ha dette ogni Primo Ministro pachistano per continuare a ricevere i soldi degli Stati Uniti, e ogni tassista pakistano si è fatto una bella risata quando ha sentito la notizia alla radio tra due ballabili di Bollywood. Non significa niente. Il compito di Zardari consiste nel fare affermazioni contraddittorie, nel dire una cosa e il suo contrario; ha anche detto che il Pakistan attaccherà i soldati statunitensi che attraverseranno il confine per combattere i talebani dal Pakistan. Questo serviva per l'opinione pubblica interna; invece le chiacchiere sulla "lotta al terrorismo" servivano per la gente che manda gli aiuti dall'estero. Nessuna delle due cose vuole dire un cavolo.
Può avere invece un fondo di verità la voce secondo cui la leadership pakistana avrebbe dovuto inizialmente partecipare a una cena di gala al Marriott proprio la sera dell'attentato. Le voci sono diventate così credibili che la direzione del Marriott ha diffuso una smentita ufficiale.
E se seguite attentamente le notizie sapete che non c'è conferma più solida di una smentita ufficiale. E dunque pare proprio che sì, la nuova cricca di Zardari stesse per cenare all'hotel, poi si sia innervosita e abbia ripiegato sul Palazzo. E rieccoci qua al nostro piccolo e triste attentatore suicida che deve ricorrere al piano B: ormai è tutto pronto e non c'è niente di meglio da far saltare in aria di qualche pezzo grosso della CIA. Lo sapevo che stavano mirando a qualcosa di più.
Dunque, se Zardari era l'obiettivo, significa che ad Al Q pensavano che intendesse agire contro gli amici dell'ISI, e probabilmente lo pensavano perché l'ISI aveva passato loro l'informazione: dunque hanno deciso di toglierlo di mezzo prima che cominciasse a prenderci gusto. Poi la cena è stata spostata e... e poi? Momento interessante, un po' alla Kiefer Sutherland in 24: sei un funzionario dell'ISI e hai appena scoperto che la sede della cena del Primo Ministro è stata spostata dal Marriott al Palazzo. Intanto i tuoi amici talebani stanno mandando un jihadista kamikaze (bel nome per un gruppo, no?) al Marriott. Cosa fai, blocchi tutto? Pare di no, a giudicare da quel cratere nel parcheggio.
E allora perché no? Be', il terrorismo non è necessariamente uccidere il nemico, o anche solo "un nemico". In Pakistan si usa una bomba per mandare un messaggio. Dunque, anche se il Primo Ministro non sarà al Marriott, il solo pensiero che avrebbe potuto esserci, che avrebbe potuto stare al centro di quella voragine, ha un potente effetto che potremmo definire "deterrente". Adesso ci penserà due volte prima di calcare troppo la mano.
C'è questa bella storia di Saladino che stava per fare una campagna per eliminare gli assassini ismailiti nei loro impervi villaggi di montagna e si svegliò con un coltello conficcato vicino alla testa e un biglietto: "Egregio signor Saladino, la preghiamo di riconsiderare la campagna contro di noi, firmato I Suoi Amici Assassini". La campagna fu cancellata.
Ecco la mia ipotesi sul perché abbiano deciso di andare avanti con il piano: anche se Zardari non era al Marriott, è il pensiero che conta. La bomba era come quel coltello conficcato nel cuscino di Saladino.
Ma tutto questo è, come si suol dire, "soggetto a cambiamenti". Adesso mi vedete circa a metà del lavoro. In un normale articolo del War Nerd vi risparmierei tutti i "forse" e i "si dice", ma questi Islamablog servono a questo, a mostrare il processo. Come disse un tizio che teneva un seminario dove lavoro: "il processo è la chiave". Non so cosa volesse dire, e del resto nessuno lo stava ascoltando, ma io nella vita voglio provare tutto almeno una volta.
Fonte: exiledonline.com
Originale pubblicato il 22 settembre 2008
di Gary Brecher
Questo è il mio terzo post sulla grande esplosione al Marriott Islamabad. Dio, il nome dice tutto: "Marriott Islamabad". Due parole che non stanno tanto bene insieme. La città non era abbastanza grande per "Marriott" e "Islamabad", lo si capisce guardando le foto della grande insegna del Marriott, con quei caratteri disneyani. Si può avere un'Islamabad oppure un Marriott, ma non entrambi, non per molto tempo.
Ecco una teoria che è rimbalzata oggi sul motivo per cui è stato colpito il Marriott: "questo simbolo dell'influenza occidentale" era semplicemente un affronto per i talebani e Al Qaeda. Ma nella rete circolano molte altre teorie. È la grande lezione del War Nerding del XXI secolo: un computer si trasforma in un grande mezzo per affrontare la vecchia Nebbia della Guerra di cui Keegan ama parlare. Ma 'sta storia della Nebbia non mi appassiona così tanto, perché (a) chiunque abbia un po' di buon senso sa già che la guerra è una faccenda confusa e incasinata; e (b) serve soltanto a dare agli editorialisti a casa una scusa da tirar fuori quando le loro truppe massacrano un po' di gente. Ma per un War Nerd che si rispetti la Nebbia è quello che si ha il Giorno 3 dopo un fatto come questo. Tutti hanno una teoria, e tu devi sorbirtele tutte senza credere troppo a nessuna. Questa è la parte più difficile.
Tipo che ieri ho ricevuto una dritta molto interessante da un fan indiano, che diceva che nel subcontinente tutti sanno che quando per un attentato viene usato "esplosivo commerciale di alta qualità", come questo, è segno sicuro che l'attentato è opera dell'ISI, i Servizi Segreti Pakistani. Ho controllato e di certo ci sono un po' di buone storie (storia uno, storia due) su agenti dell'ISI beccati con dell'RDX, il loro plastico preferito.
E adesso ecco a voi un'altra dritta sul War Nerding: quando ricevete facile accesso a informazioni di alta qualità come questa in un conflitto in cui c'è molta propaganda da entrambe le parti, non montatevi troppo la testa. Pensate invece se queste informazioni non vi stiano arrivando TROPPO facilmente. Voglio dire, mi sa che i servizi indiani non vedono l'ora di attribuire all'ISI tutto il plastico trovato da Lahore all'Assam. Ovvio che può anche essere vero: può trattarsi davvero dell'ISI. Sono maledetti bastardi, non ci sono dubbi. Però voi dovete solo stare calmi, non fidarvi di nessuno e schifare tutti, proprio come un poliziotto.
Dopo aver setacciato queste informazioni per un po', sono propenso ad affermare che anche se vengono dai servizi indiani sono fondamentalmente vere: l'ISI ha effettivamente dei trascorsi, ha fatto circolare quel pongo tra i suoi amichetti nel Kashmir, nell'Assam e in ogni altra regione indiana che voglia far saltare in aria un po' di gente del governo.
E l'ISI adesso ha motivo di essere preoccupato a casa sua in Pakistan. Il nuovo Primo Ministro, Zardari, si sta opponendo ai mandatari dell'ISI in Waziristan, compresi i capi talebani pachistani che gli hanno ammazzato la moglie. Ve lo ricordate, l'assassinio di Benazir Bhutto? Io me lo ricordo soprattutto per la bugia ufficiale più idiota mai fornita dopo un omicidio: la gente della sicurezza pakistana disse che era morta per aver sbattuto la testa contro la portiera della macchina. Sul serio. "Quel cecchino non c'entrava niente! La poveretta è morta per il colpo fatale contro la crudele maniglia della portiera di un SUV!" Sì, come no. Quello e una pallottola in testa sparata da uno o due cecchini talebani.
Quindi Zardari ha motivo di odiare i talebani, e i talebani sono l'esercito dell'ISI per procura. Un esercito per procura è una cosa comodissima, sapete? L'ISI può usare il Waziristan, laggiù sul confine afghano, come i siriani usano la Valle della Bekaa in Libano, come un campo estivo per tutti gli insorti che stanno finanziando. L'ISI addestra lì i suoi gruppi kashmiri preferiti e i suoi ragazzi in Afghanistan.
Quando dico che Zardari ha motivo di odiarli, non intendo perché gli hanno ammazzato la moglie. Dovete superare il principio che i grossi calibri siano personalmente legati a qualcuno oltre a se stessi e al loro clan. Zardari si chiama Zardari perché è il capo della tribù Zardari, proprio come i capi dei clan scozzesi si chiamavano "IL Mc-Questo" o "IL Mc-Quello". Il suo rancore è tribale, non personale. Magari lui e la defunta Benazir anche si piacevano, non lo so. Lo dubito, ma chi può saperlo? Era un matrimonio dinastico, come nell'Europa del passato. Non una commedia romantica. (Idea simpatica, una commedia romantica nell'élite pakistana. Forse riesco a venderla, questa sceneggiatura).
Zardari aveva promesso di "usare la mano pesante con il terrorismo": dunque alcuni giornalisti creduloni adesso dicono che è per questo che Al Qaeda e talebani hanno colpito Islamabad. Ma gente, queste cose le ha dette ogni Primo Ministro pachistano per continuare a ricevere i soldi degli Stati Uniti, e ogni tassista pakistano si è fatto una bella risata quando ha sentito la notizia alla radio tra due ballabili di Bollywood. Non significa niente. Il compito di Zardari consiste nel fare affermazioni contraddittorie, nel dire una cosa e il suo contrario; ha anche detto che il Pakistan attaccherà i soldati statunitensi che attraverseranno il confine per combattere i talebani dal Pakistan. Questo serviva per l'opinione pubblica interna; invece le chiacchiere sulla "lotta al terrorismo" servivano per la gente che manda gli aiuti dall'estero. Nessuna delle due cose vuole dire un cavolo.
Può avere invece un fondo di verità la voce secondo cui la leadership pakistana avrebbe dovuto inizialmente partecipare a una cena di gala al Marriott proprio la sera dell'attentato. Le voci sono diventate così credibili che la direzione del Marriott ha diffuso una smentita ufficiale.
E se seguite attentamente le notizie sapete che non c'è conferma più solida di una smentita ufficiale. E dunque pare proprio che sì, la nuova cricca di Zardari stesse per cenare all'hotel, poi si sia innervosita e abbia ripiegato sul Palazzo. E rieccoci qua al nostro piccolo e triste attentatore suicida che deve ricorrere al piano B: ormai è tutto pronto e non c'è niente di meglio da far saltare in aria di qualche pezzo grosso della CIA. Lo sapevo che stavano mirando a qualcosa di più.
Dunque, se Zardari era l'obiettivo, significa che ad Al Q pensavano che intendesse agire contro gli amici dell'ISI, e probabilmente lo pensavano perché l'ISI aveva passato loro l'informazione: dunque hanno deciso di toglierlo di mezzo prima che cominciasse a prenderci gusto. Poi la cena è stata spostata e... e poi? Momento interessante, un po' alla Kiefer Sutherland in 24: sei un funzionario dell'ISI e hai appena scoperto che la sede della cena del Primo Ministro è stata spostata dal Marriott al Palazzo. Intanto i tuoi amici talebani stanno mandando un jihadista kamikaze (bel nome per un gruppo, no?) al Marriott. Cosa fai, blocchi tutto? Pare di no, a giudicare da quel cratere nel parcheggio.
E allora perché no? Be', il terrorismo non è necessariamente uccidere il nemico, o anche solo "un nemico". In Pakistan si usa una bomba per mandare un messaggio. Dunque, anche se il Primo Ministro non sarà al Marriott, il solo pensiero che avrebbe potuto esserci, che avrebbe potuto stare al centro di quella voragine, ha un potente effetto che potremmo definire "deterrente". Adesso ci penserà due volte prima di calcare troppo la mano.
C'è questa bella storia di Saladino che stava per fare una campagna per eliminare gli assassini ismailiti nei loro impervi villaggi di montagna e si svegliò con un coltello conficcato vicino alla testa e un biglietto: "Egregio signor Saladino, la preghiamo di riconsiderare la campagna contro di noi, firmato I Suoi Amici Assassini". La campagna fu cancellata.
Ecco la mia ipotesi sul perché abbiano deciso di andare avanti con il piano: anche se Zardari non era al Marriott, è il pensiero che conta. La bomba era come quel coltello conficcato nel cuscino di Saladino.
Ma tutto questo è, come si suol dire, "soggetto a cambiamenti". Adesso mi vedete circa a metà del lavoro. In un normale articolo del War Nerd vi risparmierei tutti i "forse" e i "si dice", ma questi Islamablog servono a questo, a mostrare il processo. Come disse un tizio che teneva un seminario dove lavoro: "il processo è la chiave". Non so cosa volesse dire, e del resto nessuno lo stava ascoltando, ma io nella vita voglio provare tutto almeno una volta.
Fonte: exiledonline.com
Originale pubblicato il 22 settembre 2008
lunedì, settembre 22, 2008
War Nerd Islamablog: giorno 2
[Visto che qua siamo sempre stati un po' da esplosivi nei camion e nei controsoffitti, che l'attentato di Islamabad ha le sue stranezze e che l'adorabile ciccione di Fresno lo sta seguendo per noi nel moltiplicarsi incontrollabile di notizie non confermate e di false piste, io dico: teniamoli d'occhio, questi post].
War Nerd Islamablog: giorno 2
di Gary Brecher
L'idea è questa: per un po' posterò tutti i giorni sull'attentato di Islamabad, cercando onestamente di vedere come filtrare le cazzate e capire cosa sta succedendo.
Dovrebbe essere un buon caso di studio, perché ne girano di tutti i colori, ho già saputo cose sorprendenti e ho scoperto che mi sono sbagliato nelle deduzioni basate sui primi lanci d'agenzia.
Chiaro, se sei duro di comprendorio qualsiasi cosa è una sorpresa. Ho letto un titolo, oggi: "Sospetti su Al Qaeda per l'attentato di Islamabad". No, ma pensa? Sicuri che non siano stati i baschi? O il fronte di liberazione della Corsica?
Quello che mi ha sorpreso è la notizia che il camion non era imbottito di esplosivo a base di fertilizzante, ma di esplosivo commerciale di alta qualità. Visto che è più efficace, ne basta meno. Le ultime notizie dicono che si trattava di circa mezza tonnellata di esplosivo commerciale e non di una tonnellata di fertilizzante. Questo solleva tutta una serie di domande. Tipo, perché preoccuparsi? Voglio dire, se una tonnellata di fertilizzante con una piccola carica molto potente collegata a una o due capsule detonanti può bastare, perché sprecare esplosivo di alta qualità? Per ora non ho risposte brillanti a questo tipo di domanda. Ma il punto qui è cercare di vedere quello che NON ha senso. È il primo errore dei war nerd principianti: ipotizzare che la storia messa in giro dalla stampa abbia senso. Un sacco di volte la cosa importante è vedere quello che non quadra, non far quadrare tutto troppo presto.
Sono tante le possibili ragioni per l'uso di esplosivo di alta qualità: tipo lo spazio. Esplosivo più potente significa che puoi farlo stare in un veicolo più piccolo. Ho guardato i video delle telecamere a circuito chiuso (video 1, video 2) per farmi un'idea del camion che hanno usato, ma per ora non riesco a capire quali dimensioni avesse, né se questo sia importante.
Poi c'è la questione della domanda e dell'offerta: se hai un'offerta infinita di esplosivo di alta qualità non devi star lì a maneggiare grandi mucchi di fertilizzante puzzolente. Forse hanno pensato che i cani all'ingresso dell'albergo avrebbero fiutato il fertilizzante e non l'esplosivo commerciale. E qui c'è un altro fatto per il quale ho zero informazioni di partenza, e cioè: questi cani fiutano una vasta gamma di esplosivi o solo un tipo, come il nitrato d'ammonio o la dinamite? Qualcuno lo sa?
Al Q probabilmente in questo caso non deve preoccuparsi per l'offerta, perché in Pakistan è molto potente: voglio dire, se la CIA non riesce a trovare Osama dopo sette anni di tentativi, anche se sa che sta da qualche parte in Pakistan, se ne deduce che i jihadisti lì sono piuttosto forti.
In effetti per Al Q il Pakistan è più sicuro dell'Afghanistan. Ecco il perché di tutto questo parlare degli Stati Uniti che invadono il Pakistan dall'Afghanistan: perché il Pakistan è zona sicura per le milizie talebane e di Al Qaeda in fuga dalle forze ISAF/NATO in Afghanistan. Il Waziristan è quello che era la Cambogia per l'esercito nordvietnamita, un grande deposito dove tengono scorte e ospedali.
Con un controllo effettivo del territorio come quello che hanno su intere zone del Pakistan possono immagazzinare parecchio materiale, compresi tutti i tipi di esplosivi, il che - per tornare all'attentato di Islamabad - significa che possono fare a meno di preoccuparsi del fertilizzante.
In questo attentato hanno impiegato una grande quantità di roba di alta qualità, basta vedere il cratere che hanno lasciato davanti all'hotel. Qualcuno ha bisogno di un bella fossa? Servizio Osama, scaviamo mentre ispezionate il nostro camion, risultati garantiti.
Un'operazione come questa comporta parecchi calcoli. Per esempio si deve valutare a mente fredda quanto bisogna essere vicini al bersaglio al momento della detonazione. L'ideale è trovarsi all'interno dell'edificio, perché quasi tutta l'energia dell'esplosione va verso l'alto. Mi fa ancora male anche solo nominarlo, ma l'attentato suicida più efficace è stato quello che ha ammazzato 241 Marines a Beirut, dove qualche idiota aveva pensato bene di alloggiarli in un piccolo grattacielo. Gli sciiti hanno guidato un camion letteralmente dentro l'edificio, si sono fermati e sono esplosi, e il palazzone è venuto giù.
Ma è stato molto tempo fa, prima che la sapessimo lunga sui camion bomba. È una cosa che ha fatto strage nella mentalità della gente (se mi perdonate il doppio senso), dunque non è più probabile che un camion riesca ad arrivare così vicino. Non si può dare per scontato che riesca ad arrivare neanche alla zona di scarico e carico dell'albergo; bisogna calibrare la quantità di esplosivo pensando a quanto lontano dal bersaglio ti fermeranno. Forse chi ha progettato la bomba ha ipotizzato che il camion non avrebbe oltrepassato l'ingresso dove i cani si sarebbero messi ad abbaiare. (A proposito, nessuno ha trovato pezzi di cane in cortile, tipo a Delhi o ad Ankara? Se sì, teneteli, valgono qualcosa per i cacciatori di macabri souvenir perché probabilmente sono volati lì da Islamabad). Il cratere si troverà forse a una ventina di metri dall'hotel, ma quando quelli di Al Q hanno fatto il sopralluogo avranno notato che non c'è niente tra l'ingresso e la facciata dell'hotel, e il design è semplicissimo, cinque piani che praticamente si affacciano sul parcheggio. È il sogno del bombarolo, perché anche se il camion viene fermato lontano dall'albergo l'esplosione andrà verso l'altro e verso l'esterno, dritta in quei balconi. E l'ha fatto.
Un'altra cosa che mi sto chiedendo è come l'hanno fatto detonare. Nei video delle telecamere a circuito chiuso si vede il camion che prende fuoco: non esplode, ma semplicemente brucia per un casino di tempo prima di esplodere. Questo non dovrebbe succedere. Molto strano. Lo schema classico prevede qui un autista e un passeggero, con il passeggero che tiene in mano il cosiddetto "pulsante del morto", che fa detonare la bomba quando si smette di premerlo: così, se i due vengono ammazzati, le dita del morto si rilassano e la bomba scoppia. E quando lo fa c'è prima la piccola esplosione della carica seguita un nanosecondo dopo dalla grande esplosione. Non dovrebbe esserci un camion che prende fuoco in un parcheggio, che è quello che invece si vede. Si possono perfino osservare alcuni dipendenti dell'hotel che si danno da fare come idioti attorno a una macchina incendiata a Fresno: "Ce l'ha un estintore?" "Una volta mi è successo anche a me!" "È assicurato?"
Guardo il video in attesa che 'sta roba salti in aria e continuo a sorprendermi della stupidità di questi tizi. Uno di loro perfino si avvicina con un piccolo estintore e comincia a spruzzare questo camion imbottito di esplosivo potentissimo. Voglio dire, l'autista in quel momento stava baciando il Corano e dondolando avanti indietro come Stevie Wonder, singhiozzando "Ciao mamma! Ciao sorellina! Mi mancherai, babbo!" oppure "Sto arrivando, 76 vergini!", e questo cittadino servizievole pensa che sia una buona idea avvicinarsi con un mini-estintore di WalMart. E tenete presente che questa è Islamabad, un posto dove anche i ritorni di fiamma dicono "Allah al lavoro!" Ci sono persone stupide e coraggiose, laggiù. Io dal primo secondo in cui vedessi quel camion incendiarsi non farei che pensare quanto veloce può correre da Islamabad a Ovunque un ciccione come me.
E poi c'è la questione del perché abbiano scelto il Marriott. Non nel senso che l'Hilton ha più classe: voglio dire, perché colpire un hotel quando il Primo Ministro dava una festa poco più in là? Nel mio primo post citavo lanci d'agenzia secondo cui le forze di sicurezza attorno alla casa del Primo Ministro sarebbero state eccessive, e allora Al Q, come un bravo quarterback, si è guardata attorno e ha lanciato al secondo ricevitore. Per così dire. È possibile. Voglio dire, fare questa cosa del terrorismo non è facile come pensa la gente: non si può mica riportare il camion in garage e rimandare. Sono destinati a esplodere, non piace a nessuno l'idea di lasciarli in deposito. E tra l'altro anche l'autista suicida è destinato a saltare in aria, si è già preparato a vedere Allah: non puoi mica dire a un kamikaze di rientrare alla base e farsi una bella dormita, che la prossima settimana ci riproviamo. Sta già sotto pressione, e dunque bisogna avere pronto un secondo bersaglio se il primo risulta impraticabile. Perciò potrebbe essere andata così; non lo so ancora.
Ma oggi è saltata fuori un'altra teoria: pare che quella sera al Marriott ci fosse una decina di pezzi grossi della CIA, e forse Al Q ha deciso che valevano lo sforzo. Fosse stato per me, li avrei lasciati stare, come avevano fatto i vietcong con gli ufficiali incompetenti o corrotti dell'esercito della repubblica del Vietnam: meglio lasciare quegli idioti ai loro compiti che ucciderli e rischiare che vengano sostituiti da gente in gamba. Ho un bel po' di talpe nell'esercito e nelle basi degli Stati Uniti in giro per il mondo, e dicono tutte la stessa cosa: "Gary, ho smesso di credere nella CIA molto ma molto tempo fa". Le voci dicono che quelli veri sono i SEAL, e che la CIA è solo uno scherzo. Ricordo di aver letto un libro sulle gloriose passate attività dell'Agenzia, e il loro esempio di traffici della CIA era costituito da un agente che fingeva di essere un dipendente aeroportuale nello Yemen per rubare il contenitore della pipì da un aereo russo su cui volava un pezzo grosso del Cremlino. Secondo quel libro, analizzando la pipì segreta scoprirono che uno dei compagnucci di Brežnev aveva il diabete. Ecco a voi la CIA: fiutare l'urina stantia di un vecchio burocrate e chiamarlo lavoro top secret.
Il loro compito principale è tenere alle stelle il mercato immobiliare di Langley e assicurarsi che tizi loschi del terzo mondo abbiano i soldi per farsi la villa in Francia. Tutto qui. E allora perché sprecare per la CIA un buon kamikaze e tutto quell'esplosivo di alta qualità? Forse semplicemente si trovavano lì. Non ci sono tanti americani in visita a Islamabad in questo periodo dell'anno, per i turisti è bassa stagione da quando hanno dato fuoco all'ambasciata degli Stati Uniti e si sono messi a dare addosso agli occidentali perché un pazzerello saudita e i suoi seguaci hanno attaccato la Mecca nel 1979. Se vi state chiedendo "Cosa c'entravano gli americani?" la risposta è "Niente di niente". Ma è così che vanno le cose con la gente di Islamabad: tende a prendere di mira gli stessi bersagli. Sono creature abitudinarie. Così forse hanno semplicemente visto rosso come tori islamici quando hanno saputo che la CIA era scesa in città, e non si sono fermati a pensare se ne valesse davvero la pena. Come dicevo, non lo so ancora.
Ma quello che voglio dire in questo articolo è quanto sia importante a questo punto NON essere sicuri di niente e non credere a ciò che si legge. Adesso tutte le questioni sono aperte: perché il camion è bruciato? Perché colpire il Marriott? E, soprattutto: quanto sono coinvolti i servizi segreti pakistani, l'ISI? Questa è gente che fa paura, l'unica parte del paese che funzioni davvero bene, ma anche troppo bene, e c'è da star sicuri che alcuni di loro almeno sapessero che stava per succedere. E sottolineo "almeno". Potrebbero aver fatto ben più che sapere.
Lo scopriremo, e io ho intenzione di stare sulla notizia: sbagliandomi e cercando di dirvi la verità, portandovi con me a tentare di vederci chiaro.
Fonte: exiledonline
Originale pubblicato il 21 settembre 2008
War Nerd Islamablog: giorno 2
di Gary Brecher
L'idea è questa: per un po' posterò tutti i giorni sull'attentato di Islamabad, cercando onestamente di vedere come filtrare le cazzate e capire cosa sta succedendo.
Dovrebbe essere un buon caso di studio, perché ne girano di tutti i colori, ho già saputo cose sorprendenti e ho scoperto che mi sono sbagliato nelle deduzioni basate sui primi lanci d'agenzia.
Chiaro, se sei duro di comprendorio qualsiasi cosa è una sorpresa. Ho letto un titolo, oggi: "Sospetti su Al Qaeda per l'attentato di Islamabad". No, ma pensa? Sicuri che non siano stati i baschi? O il fronte di liberazione della Corsica?
Quello che mi ha sorpreso è la notizia che il camion non era imbottito di esplosivo a base di fertilizzante, ma di esplosivo commerciale di alta qualità. Visto che è più efficace, ne basta meno. Le ultime notizie dicono che si trattava di circa mezza tonnellata di esplosivo commerciale e non di una tonnellata di fertilizzante. Questo solleva tutta una serie di domande. Tipo, perché preoccuparsi? Voglio dire, se una tonnellata di fertilizzante con una piccola carica molto potente collegata a una o due capsule detonanti può bastare, perché sprecare esplosivo di alta qualità? Per ora non ho risposte brillanti a questo tipo di domanda. Ma il punto qui è cercare di vedere quello che NON ha senso. È il primo errore dei war nerd principianti: ipotizzare che la storia messa in giro dalla stampa abbia senso. Un sacco di volte la cosa importante è vedere quello che non quadra, non far quadrare tutto troppo presto.
Sono tante le possibili ragioni per l'uso di esplosivo di alta qualità: tipo lo spazio. Esplosivo più potente significa che puoi farlo stare in un veicolo più piccolo. Ho guardato i video delle telecamere a circuito chiuso (video 1, video 2) per farmi un'idea del camion che hanno usato, ma per ora non riesco a capire quali dimensioni avesse, né se questo sia importante.
Poi c'è la questione della domanda e dell'offerta: se hai un'offerta infinita di esplosivo di alta qualità non devi star lì a maneggiare grandi mucchi di fertilizzante puzzolente. Forse hanno pensato che i cani all'ingresso dell'albergo avrebbero fiutato il fertilizzante e non l'esplosivo commerciale. E qui c'è un altro fatto per il quale ho zero informazioni di partenza, e cioè: questi cani fiutano una vasta gamma di esplosivi o solo un tipo, come il nitrato d'ammonio o la dinamite? Qualcuno lo sa?
Al Q probabilmente in questo caso non deve preoccuparsi per l'offerta, perché in Pakistan è molto potente: voglio dire, se la CIA non riesce a trovare Osama dopo sette anni di tentativi, anche se sa che sta da qualche parte in Pakistan, se ne deduce che i jihadisti lì sono piuttosto forti.
In effetti per Al Q il Pakistan è più sicuro dell'Afghanistan. Ecco il perché di tutto questo parlare degli Stati Uniti che invadono il Pakistan dall'Afghanistan: perché il Pakistan è zona sicura per le milizie talebane e di Al Qaeda in fuga dalle forze ISAF/NATO in Afghanistan. Il Waziristan è quello che era la Cambogia per l'esercito nordvietnamita, un grande deposito dove tengono scorte e ospedali.
Con un controllo effettivo del territorio come quello che hanno su intere zone del Pakistan possono immagazzinare parecchio materiale, compresi tutti i tipi di esplosivi, il che - per tornare all'attentato di Islamabad - significa che possono fare a meno di preoccuparsi del fertilizzante.
In questo attentato hanno impiegato una grande quantità di roba di alta qualità, basta vedere il cratere che hanno lasciato davanti all'hotel. Qualcuno ha bisogno di un bella fossa? Servizio Osama, scaviamo mentre ispezionate il nostro camion, risultati garantiti.
Un'operazione come questa comporta parecchi calcoli. Per esempio si deve valutare a mente fredda quanto bisogna essere vicini al bersaglio al momento della detonazione. L'ideale è trovarsi all'interno dell'edificio, perché quasi tutta l'energia dell'esplosione va verso l'alto. Mi fa ancora male anche solo nominarlo, ma l'attentato suicida più efficace è stato quello che ha ammazzato 241 Marines a Beirut, dove qualche idiota aveva pensato bene di alloggiarli in un piccolo grattacielo. Gli sciiti hanno guidato un camion letteralmente dentro l'edificio, si sono fermati e sono esplosi, e il palazzone è venuto giù.
Ma è stato molto tempo fa, prima che la sapessimo lunga sui camion bomba. È una cosa che ha fatto strage nella mentalità della gente (se mi perdonate il doppio senso), dunque non è più probabile che un camion riesca ad arrivare così vicino. Non si può dare per scontato che riesca ad arrivare neanche alla zona di scarico e carico dell'albergo; bisogna calibrare la quantità di esplosivo pensando a quanto lontano dal bersaglio ti fermeranno. Forse chi ha progettato la bomba ha ipotizzato che il camion non avrebbe oltrepassato l'ingresso dove i cani si sarebbero messi ad abbaiare. (A proposito, nessuno ha trovato pezzi di cane in cortile, tipo a Delhi o ad Ankara? Se sì, teneteli, valgono qualcosa per i cacciatori di macabri souvenir perché probabilmente sono volati lì da Islamabad). Il cratere si troverà forse a una ventina di metri dall'hotel, ma quando quelli di Al Q hanno fatto il sopralluogo avranno notato che non c'è niente tra l'ingresso e la facciata dell'hotel, e il design è semplicissimo, cinque piani che praticamente si affacciano sul parcheggio. È il sogno del bombarolo, perché anche se il camion viene fermato lontano dall'albergo l'esplosione andrà verso l'altro e verso l'esterno, dritta in quei balconi. E l'ha fatto.
Un'altra cosa che mi sto chiedendo è come l'hanno fatto detonare. Nei video delle telecamere a circuito chiuso si vede il camion che prende fuoco: non esplode, ma semplicemente brucia per un casino di tempo prima di esplodere. Questo non dovrebbe succedere. Molto strano. Lo schema classico prevede qui un autista e un passeggero, con il passeggero che tiene in mano il cosiddetto "pulsante del morto", che fa detonare la bomba quando si smette di premerlo: così, se i due vengono ammazzati, le dita del morto si rilassano e la bomba scoppia. E quando lo fa c'è prima la piccola esplosione della carica seguita un nanosecondo dopo dalla grande esplosione. Non dovrebbe esserci un camion che prende fuoco in un parcheggio, che è quello che invece si vede. Si possono perfino osservare alcuni dipendenti dell'hotel che si danno da fare come idioti attorno a una macchina incendiata a Fresno: "Ce l'ha un estintore?" "Una volta mi è successo anche a me!" "È assicurato?"
Guardo il video in attesa che 'sta roba salti in aria e continuo a sorprendermi della stupidità di questi tizi. Uno di loro perfino si avvicina con un piccolo estintore e comincia a spruzzare questo camion imbottito di esplosivo potentissimo. Voglio dire, l'autista in quel momento stava baciando il Corano e dondolando avanti indietro come Stevie Wonder, singhiozzando "Ciao mamma! Ciao sorellina! Mi mancherai, babbo!" oppure "Sto arrivando, 76 vergini!", e questo cittadino servizievole pensa che sia una buona idea avvicinarsi con un mini-estintore di WalMart. E tenete presente che questa è Islamabad, un posto dove anche i ritorni di fiamma dicono "Allah al lavoro!" Ci sono persone stupide e coraggiose, laggiù. Io dal primo secondo in cui vedessi quel camion incendiarsi non farei che pensare quanto veloce può correre da Islamabad a Ovunque un ciccione come me.
E poi c'è la questione del perché abbiano scelto il Marriott. Non nel senso che l'Hilton ha più classe: voglio dire, perché colpire un hotel quando il Primo Ministro dava una festa poco più in là? Nel mio primo post citavo lanci d'agenzia secondo cui le forze di sicurezza attorno alla casa del Primo Ministro sarebbero state eccessive, e allora Al Q, come un bravo quarterback, si è guardata attorno e ha lanciato al secondo ricevitore. Per così dire. È possibile. Voglio dire, fare questa cosa del terrorismo non è facile come pensa la gente: non si può mica riportare il camion in garage e rimandare. Sono destinati a esplodere, non piace a nessuno l'idea di lasciarli in deposito. E tra l'altro anche l'autista suicida è destinato a saltare in aria, si è già preparato a vedere Allah: non puoi mica dire a un kamikaze di rientrare alla base e farsi una bella dormita, che la prossima settimana ci riproviamo. Sta già sotto pressione, e dunque bisogna avere pronto un secondo bersaglio se il primo risulta impraticabile. Perciò potrebbe essere andata così; non lo so ancora.
Ma oggi è saltata fuori un'altra teoria: pare che quella sera al Marriott ci fosse una decina di pezzi grossi della CIA, e forse Al Q ha deciso che valevano lo sforzo. Fosse stato per me, li avrei lasciati stare, come avevano fatto i vietcong con gli ufficiali incompetenti o corrotti dell'esercito della repubblica del Vietnam: meglio lasciare quegli idioti ai loro compiti che ucciderli e rischiare che vengano sostituiti da gente in gamba. Ho un bel po' di talpe nell'esercito e nelle basi degli Stati Uniti in giro per il mondo, e dicono tutte la stessa cosa: "Gary, ho smesso di credere nella CIA molto ma molto tempo fa". Le voci dicono che quelli veri sono i SEAL, e che la CIA è solo uno scherzo. Ricordo di aver letto un libro sulle gloriose passate attività dell'Agenzia, e il loro esempio di traffici della CIA era costituito da un agente che fingeva di essere un dipendente aeroportuale nello Yemen per rubare il contenitore della pipì da un aereo russo su cui volava un pezzo grosso del Cremlino. Secondo quel libro, analizzando la pipì segreta scoprirono che uno dei compagnucci di Brežnev aveva il diabete. Ecco a voi la CIA: fiutare l'urina stantia di un vecchio burocrate e chiamarlo lavoro top secret.
Il loro compito principale è tenere alle stelle il mercato immobiliare di Langley e assicurarsi che tizi loschi del terzo mondo abbiano i soldi per farsi la villa in Francia. Tutto qui. E allora perché sprecare per la CIA un buon kamikaze e tutto quell'esplosivo di alta qualità? Forse semplicemente si trovavano lì. Non ci sono tanti americani in visita a Islamabad in questo periodo dell'anno, per i turisti è bassa stagione da quando hanno dato fuoco all'ambasciata degli Stati Uniti e si sono messi a dare addosso agli occidentali perché un pazzerello saudita e i suoi seguaci hanno attaccato la Mecca nel 1979. Se vi state chiedendo "Cosa c'entravano gli americani?" la risposta è "Niente di niente". Ma è così che vanno le cose con la gente di Islamabad: tende a prendere di mira gli stessi bersagli. Sono creature abitudinarie. Così forse hanno semplicemente visto rosso come tori islamici quando hanno saputo che la CIA era scesa in città, e non si sono fermati a pensare se ne valesse davvero la pena. Come dicevo, non lo so ancora.
Ma quello che voglio dire in questo articolo è quanto sia importante a questo punto NON essere sicuri di niente e non credere a ciò che si legge. Adesso tutte le questioni sono aperte: perché il camion è bruciato? Perché colpire il Marriott? E, soprattutto: quanto sono coinvolti i servizi segreti pakistani, l'ISI? Questa è gente che fa paura, l'unica parte del paese che funzioni davvero bene, ma anche troppo bene, e c'è da star sicuri che alcuni di loro almeno sapessero che stava per succedere. E sottolineo "almeno". Potrebbero aver fatto ben più che sapere.
Lo scopriremo, e io ho intenzione di stare sulla notizia: sbagliandomi e cercando di dirvi la verità, portandovi con me a tentare di vederci chiaro.
Fonte: exiledonline
Originale pubblicato il 21 settembre 2008
War Nerd: si sono liberate delle stanze al Marriott di Islamabad
[Questo è il post iniziale dell'Islamablog del War Nerd: tradotto per seguirlo dall'inizio (e anche perché è breve, via)].
Marriott di Islamabad: ci sono stanze disponibili
di Gary Brecher
Secondo le prime notizie questi jihadisti camionisti cercavano la casa del Primo Ministro, dove i pezzi grossi del Pakistan partecipavano a una grande festa. Ma sono stati "scoraggiati" dai massicci controlli di sicurezza attorno alla villa e hanno deciso di puntare sul Marriott. È quella parola, "scoraggiati", e l'idea del ripiego, che mi confonde quando cerco di immaginarmi i dialoghi tra questi tizi nelle loro vesti funebri mentre stanno per piazzare una tonnellata di nitrato d'ammonio al Marriott. Devono essersi sforzati di fare buon viso a cattivo gioco: "Voglio dire, su, Rashid, anche il Marriott va bene!" "Oh cavoli sì, Tariq, niente da dire sul Marriott! Gran posto! Ti ricordi quando ci abbiamo fatto un sopralluogo, in primavera, e vestiti da infedeli occidentali abbiamo fatto un po' di foto dell'ingresso con il telefonino, e per sembrare disinvolti ci siamo presi quei frappè al bar della piscina? Incredibile!" "Oooo, siii, dimenticavo: il banana-mango? Paradisiaco!" "E sai quanti buoni bersagli ci saranno, anche lì? Magari non buoni come il Primo Ministro ma ci rifaremo con i numeri: quante stanze hanno, già?" “Miii, almeno 400. Niente niente ci sarà una decina di amministratori delegati. Quanti amministratori delegati fanno un Primo Ministro?"
Scommetto che erano già tutti allegri quando i cani hanno cominciato ad abbaiare. Ecco cosa rende così buffi gli attentatori suicidi, che lo ammettiate o no: nessuno può cambiarli, restano lagnosi e contegnosi e ridicoli anche quando stanno per vaporizzare un camion nella suite di lusso di un magnate del petrolio. Probabilmente la dinamica coppia nel camion (di solito sono due, ma questa volta non posso giurarci) ha passato gli ultimi minuti a discutere su chi dovesse premere il pulsante del detonatore. È la vita: cerchi il dramma e ti ritrovi con un paio di battutisti islamici nella cabina di un Ryder, che litigano sulla strada per arrivare al Marriott.
Fonte: exiledonline
Originale pubblicato il 20 settembre 2008
venerdì, settembre 19, 2008
Zapatero chi?
Segue la traduzione di parte dell'intervista con John McCain di Radio Caracol Miami (il nome ricorda le radio di Grand Thefth Auto Vice City, se non avete presente non importa), in cui alcuni (i più maliziosi e incattiviti) hanno notato la stana vaghezza del candidato repubblicano alla presidenza quando si comincia a parlare di Spagna e Zapatero. Anzi, con tutto quel parlare di "emisfero", "regione" e "quei leader lì", ai tendenziosi maliziosi e incattiviti (diciamolo: questa faccenda è piaciuta molto a quegli impresentabili, irrilevanti russi) è sorto un sospetto.
Dunque la domanda del venerdì è: McCain sa che la Spagna sta in Europa e non in America Latina o fa il biondo perché vuole scansare la domanda? In questo caso, davvero non c'erano strumenti dialettici geograficamente più eleganti?
Intervistatore: Parliamo della Spagna. Se verrà eletto presidente sarà disposto a invitare il presidente José Luis Rodríguez Zapatero a un incontro alla Casa Bianca?
McCain: Sarò disposto a incontrare quei leader che sono nostri amici e che vogliono lavorare con noi in modo collaborativo. E, a tale proposito, il presidente messicano Calderon sta combattendo un'aspra lotta contro i cartelli della droga. Sono felice che ora stiamo cooperando con il governo messicano sul piano Merida, e intendo incentivare queste relazioni e invitarne quanti posso, di quei leader alla Casa Bianca.
Intervistatore: Quell'invito verrebbe esteso al governo Zapatero, al presidente in persona?
McCain: Non... Sa, onestamente devo dare un'occhiata alle relazioni e alle situazioni e alle priorità, ma posso assicurarle che instaurerò legami più stretti con i nostri amici e mi opporrò a coloro che vogliono fare del male agli Stati Uniti d'America. So fare entrambe le cose.
Intervistatore: Dunque deve capire se è disposto a incontrarla, o potrà farlo alla Casa Bianca?
McCain: Ancora una volta, non... tutto quello che posso dirle è che ho chiari trascorsi di collaborazione con i leader dell'emisfero che sono nostri amici e di capacità di oppormi a quelli che non lo sono, e questo si giudica sulla base delle nostre relazioni con l'America Latina e con l'intera regione.
Intervistatore: Va bene, ma per quanto riguarda l'Europa? Parlo del presidente della Spagna.
McCain: Per quanto riguarda me, cosa?
Intervistatore: È disposto a incontrarlo se verrà eletto presidente?
McCain: Sono disposto a incontrare qualsiasi leader devoto agli stessi nostri principi e filosofia sui diritti umani, la democrazia e la libertà, e mi opporrò a quelli che non lo fanno.
Fonte: http://blog.foreignpolicy.com/node/9824
Dunque la domanda del venerdì è: McCain sa che la Spagna sta in Europa e non in America Latina o fa il biondo perché vuole scansare la domanda? In questo caso, davvero non c'erano strumenti dialettici geograficamente più eleganti?
Intervistatore: Parliamo della Spagna. Se verrà eletto presidente sarà disposto a invitare il presidente José Luis Rodríguez Zapatero a un incontro alla Casa Bianca?
McCain: Sarò disposto a incontrare quei leader che sono nostri amici e che vogliono lavorare con noi in modo collaborativo. E, a tale proposito, il presidente messicano Calderon sta combattendo un'aspra lotta contro i cartelli della droga. Sono felice che ora stiamo cooperando con il governo messicano sul piano Merida, e intendo incentivare queste relazioni e invitarne quanti posso, di quei leader alla Casa Bianca.
Intervistatore: Quell'invito verrebbe esteso al governo Zapatero, al presidente in persona?
McCain: Non... Sa, onestamente devo dare un'occhiata alle relazioni e alle situazioni e alle priorità, ma posso assicurarle che instaurerò legami più stretti con i nostri amici e mi opporrò a coloro che vogliono fare del male agli Stati Uniti d'America. So fare entrambe le cose.
Intervistatore: Dunque deve capire se è disposto a incontrarla, o potrà farlo alla Casa Bianca?
McCain: Ancora una volta, non... tutto quello che posso dirle è che ho chiari trascorsi di collaborazione con i leader dell'emisfero che sono nostri amici e di capacità di oppormi a quelli che non lo sono, e questo si giudica sulla base delle nostre relazioni con l'America Latina e con l'intera regione.
Intervistatore: Va bene, ma per quanto riguarda l'Europa? Parlo del presidente della Spagna.
McCain: Per quanto riguarda me, cosa?
Intervistatore: È disposto a incontrarlo se verrà eletto presidente?
McCain: Sono disposto a incontrare qualsiasi leader devoto agli stessi nostri principi e filosofia sui diritti umani, la democrazia e la libertà, e mi opporrò a quelli che non lo fanno.
Fonte: http://blog.foreignpolicy.com/node/9824
giovedì, settembre 18, 2008
La mentalità russa e il "chesc"
[Un po' di Gogol', un po' di Bulgakov, qualche traccia di VVP e siparietto finale all'italiana: ecco come Andrej Kolesnikov del Kommersant' racconta la visita di Medvedev ai magazzini GUM, qualche giorno fa, dopo l'incontro del club Valdaj]. Una visita gastronomica
di Andrej Kolesnikov
Un'ora prima dell'inizio dell'incontro [del club Valdaj, nel salone delle feste dei grandi magazzini GUM] gli uomini del servizio di sicurezza del presidente si erano rivolti ansiosi al signor Kusnirovič, presidente della compagnia "Bosco dei Ciliegi" alla quale appartengono i magazzini GUM: erano preoccupati per le intenzioni del direttore del Gastronom N. 1, Konstantin Starikov, il quale pareva deciso a preparare una pagnotta al sale da porgere al presidente al suo ingresso nel negozio, proprio sulla Piazza Rossa. Si è infine riusciti a neutralizzare il signor Starikov, e il presidente è stato accolto senza pagnotta. Il gruppo del presidente era costituito dalla direttrice di RIA Novosti Svetlana Mironjuk, dal copresidente del club Valdaj e dal signor Kusnirovič. Prima dell'inizio dell'incontro il presidente ha promesso a quest'ultimo di visitare il negozio non appena la riunione si fosse conclusa.
Durante la riunione Dmitrij Medvedev, tra le altre cose, ha detto che "mentalmente il russo deve fare un salto enorme. Per lui finora la violazione dei contratti d'affari non sembra costituire un problema".
- Qando si chiude un contratto alla fine si propone il pagamento in contanti, cash - , ha raccontato il signor Medvedev ai politologi occidentali. - In qualsiasi altro paese civile questo suscita subito dubbi e domande: e le tasse, e i controlli? E gli accertamenti fiscali? Ma in Russia sono cose normali: fanno così semplicemente perché costa meno, e perché versare tutti quei soldi allo stato?
Quando i membri del club si sono fatti fotografare con Dmitrij Medvedev e si sono congedati, il signor Kusnirovič e il signor Medvedev sono andati a visitare i grandi magazzini GUM.
- Sono cinque anni che non vengo qui, - ha ammesso il signor Medvedev. - Ma prima mi piaceva tanto andare per negozi, riempivo il carrello anche se non ne avevo bisogno. Mi piaceva comprare questo e quello.
- E per noi, tra l'altro, da molto tempo è diventato inutilmente lungo e scomodo fare contratti in "chesc", - ha detto il signor Kusnirovič al presidente.
- Ma io non parlo di cose al nostro livello, – ha replicato Medvedev, – è che nel paese succede...
Nella situazione del signor Kusnirovič sarebbe stato stupido mettersi a discutere.
- La mentalità, - ha detto, - si può superare, dando al business la sicurezza nel domani. Il "chesc" serve a chiudere un contratto e chi si è visto si è visto... Ma se si lavora per i figli è tutta un'altra cosa...
È stata la volta del presidente di non mettersi a discutere. Sono entrati nel negozio.
- Ma qui è cambiato tutto... - ha detto il presidente guardandosi attorno. - Cinque anni fa era così diverso...
- Be', allora non era ancora nostro, il GUM, - ha precisato il signor Kusnirovič abbassando lo sguardo.
- Gli affari dovrebbero portare soddisfazione, non solo utili, - ha detto Medvedev pensoso. - Certo, sia utili che soddisfazione, - ha sottolineato abbassando nuovamente lo sguardo Kusnirovič. - Ma quando facciamo un investimento gli utili sono fondamentali... - ha aggiunto tentando di cavarsi da questa delicata situazione.
Sono entrati nel Gastronom N. 1.
- Molto caretto, qui? - ha domandato il presidente guardandosi attorno.
- Ma no, - il signor Kusnirovič si è stretto nelle spalle. - Il sale sta a 15 rubli...
La prima cosa su cui il presidente ha posato gli occhi erano delle mele a 65 rubli.
- Ah, buon prezzo, - ha concordato il presidente. - Oh, il passato di zucchini. Da dove?
- Da Černigov.
- Molto bene, che venga da Černigov, - ha detto chissà per quale motivo il signor Medvedev.
In quel momento è passato accanto al banco dei formaggi.
- Abbiamo perfino il matsoni [yogurt georgiano simile al kefir, N.d.T.], - non ha saputo trattenersi Kusnirovič, - e un direttore del GUM che di cognome fa Guguberidze.
- Giusto anche questo, - ha approvato entrambe le circostanze Dmitrij Medvedev.
- Cacao, latte condensato... Ah, eccolo qua, il sale, - ha detto il signor Medvedev. - Il sale c'è? Allora significa che nel paese va tutto bene. Sì? Se ci sono il sale e i fiammiferi. Ah, ecco i würstel... Poco tempo fa ho assistito al primo giorno di scuola, in un distretto... A lezione gli alunni mi hanno disegnato un maiale. E io gli ho chiesto: "E cosa si fa con il maiale?" E loro tutti in coro: "I würstel!" Senta, ma prima, prima dell'epoca sovietica qui c'era sempre un negozio di gastronomia?
- Be', sì.
E poi il presidente ha visto i contenitori con il succo di frutta. Questi contenitori se li ricordano tutti quelli che sono stati bambini all'epoca dell'Unione Sovietica. Tutti quelli che adesso hanno quarant'anni. E anche trenta.
- Non sono riuscito a mangiare, durante l'incontro con i politologi, - ha detto il presidente, - Adesso mi bevo un succo. - Quale mi consiglia, Anfisa?
La ragazza, che portava cucita sul petto la targhetta con il proprio nome, ha consigliato mele, arancia e ciliegia.
- No, pomodoro. Mi faccia un succo di pomodoro, Anfisa, - ha detto il presidente tendendo già il braccio.
- Prego, scontrino alla cassa, - ha subito risposto Anfisa, e brillantemente, senza sapere di aver chiuso così l'argomento della mentalità russa e del "chesc".
- Dmitrij Anatol'evič, mi scusi, non si rivolgeva a lei ma a me, - si è affrettato a spiegare Michail Kusnirovič.
Ma il signor Medvedev era già alla cassa. Preso lo scontrino, si è avvicinato al banco e ha chiesto:
- Ma come, devo bere da solo?
Il signor Kusnirovič ha allora fatto un cenno ad Anfisa perché preparasse un succo di pomodoro anche per lui, ma tutt'attorno si è alzato un coro di voci:
- Scontrino alla cassa!
Mentre bevevano il succo il presidente ha ricordato quanto deliziosi fossero i succhi di frutta della sua infanzia: barattoli da tre litri, succo e polpa di mela, betulla...
Erano ancora in piedi davanti al bancone.
- E dov'è il pane? - ha chiesto il presidente, vuotando il bicchiere. - Andiamo a prendere il pane. Torte, ce ne sono?
- Dmitrij Anatol'evič, la sua macchina è qui, - gli hanno bisbigliato.
- Devo... prendere il pane, - il signor Medvedev ha fatto un gesto sbrigativo con la mano e si è diretto verso l'altro capo del negozio.
- Ecco... Uh, prendi... una torta "Praga"! Ecco, una "Praga", una "Leningrado"...
E qui una donna (nel negozio c'era molta gente, nessuno pensava che lì potesse venirci il presidente) ha urlato a squarciagola:
- Una "Napoleone"! Prendi una "Napoleone"!
- No, una "Napoleone" magari un'altra volta... - ha bofonchiato il presidente.
- Prenda una "Kiev", - ha suggerito Kusnirovič. - La "Leningrado" può prenderla anche a Leningrado.
- E la "Kiev" allora a Kiev? - ha replicato Medvedev. - No, no, me le dia tutte e tre.
Di certo queste tre torte dovevano sopravvivere fino al giorno dopo, che era il compleanno del presidente.
Poi sono venuti a dirgli che bisognava tornare alla macchina facendo lo stesso percorso che avevano fatto all'andata.
- Non lo scelgo già da molto tempo, il percorso, - ha detto il presidente. - Vado dove mi dicono.
Quando sono arrivati all'uscita hanno visto un matrimonio accanto alla fontana. Ma soprattutto il matrimonio ha visto loro. Così il presidente si è lasciato fotografare a lungo in compagnia degli sposi.
All'improvviso è arrivato di corsa un italiano che si era accorto del presidente russo.
- Viva l'Italia! - ha urlato a tutto il GUM. - Viva Berlusconi! Viva Medvedev! Va benissimo!
Dopo essersi espresso in stile telegrafico l'italiano è scomparso.
- Nel nostro negozio di gastronomia si svolgono regolarmente i mesi della cucina italiana, spagnola e francese, - ha spiegato il signor Kusnirovič con un bel tono didascalico da voce narrante.
Quando Dmitrij Medvedev se n'era già andato, nell'ufficio del signor Kusnirovič è arrivato di corsa il direttore signor Starikov.
- Michail Ernestovič, la "Praga" non gliel'hanno consegnata!
- Non gliel'hanno consegnata o non l'hanno presa? - ha indagato il signor Kusnirovič.
- Se ne sono completamente dimenticati, in quel trambusto... - ha sospirato Konstantin Starikov.
Fonte: Kommersant'
Articolo pubblicato il 15 settembre 2008
[Nota: il signor Kusnirovič si riferisce al cash chiamandolo кешачок, kešačòk, neologismo insostituibile e intraducibile che è insieme diminutivo d'affetto e familiarità (con una sfumatura impercettibile di disprezzo) che suggerisce una sorta di bonaria indulgenza nei confronti del biasimato contante (un friulano userebbe il suffisso diminutivo -ut)].
di Andrej Kolesnikov
Un'ora prima dell'inizio dell'incontro [del club Valdaj, nel salone delle feste dei grandi magazzini GUM] gli uomini del servizio di sicurezza del presidente si erano rivolti ansiosi al signor Kusnirovič, presidente della compagnia "Bosco dei Ciliegi" alla quale appartengono i magazzini GUM: erano preoccupati per le intenzioni del direttore del Gastronom N. 1, Konstantin Starikov, il quale pareva deciso a preparare una pagnotta al sale da porgere al presidente al suo ingresso nel negozio, proprio sulla Piazza Rossa. Si è infine riusciti a neutralizzare il signor Starikov, e il presidente è stato accolto senza pagnotta. Il gruppo del presidente era costituito dalla direttrice di RIA Novosti Svetlana Mironjuk, dal copresidente del club Valdaj e dal signor Kusnirovič. Prima dell'inizio dell'incontro il presidente ha promesso a quest'ultimo di visitare il negozio non appena la riunione si fosse conclusa.
Durante la riunione Dmitrij Medvedev, tra le altre cose, ha detto che "mentalmente il russo deve fare un salto enorme. Per lui finora la violazione dei contratti d'affari non sembra costituire un problema".
- Qando si chiude un contratto alla fine si propone il pagamento in contanti, cash - , ha raccontato il signor Medvedev ai politologi occidentali. - In qualsiasi altro paese civile questo suscita subito dubbi e domande: e le tasse, e i controlli? E gli accertamenti fiscali? Ma in Russia sono cose normali: fanno così semplicemente perché costa meno, e perché versare tutti quei soldi allo stato?
Quando i membri del club si sono fatti fotografare con Dmitrij Medvedev e si sono congedati, il signor Kusnirovič e il signor Medvedev sono andati a visitare i grandi magazzini GUM.
- Sono cinque anni che non vengo qui, - ha ammesso il signor Medvedev. - Ma prima mi piaceva tanto andare per negozi, riempivo il carrello anche se non ne avevo bisogno. Mi piaceva comprare questo e quello.
- E per noi, tra l'altro, da molto tempo è diventato inutilmente lungo e scomodo fare contratti in "chesc", - ha detto il signor Kusnirovič al presidente.
- Ma io non parlo di cose al nostro livello, – ha replicato Medvedev, – è che nel paese succede...
Nella situazione del signor Kusnirovič sarebbe stato stupido mettersi a discutere.
- La mentalità, - ha detto, - si può superare, dando al business la sicurezza nel domani. Il "chesc" serve a chiudere un contratto e chi si è visto si è visto... Ma se si lavora per i figli è tutta un'altra cosa...
È stata la volta del presidente di non mettersi a discutere. Sono entrati nel negozio.
- Ma qui è cambiato tutto... - ha detto il presidente guardandosi attorno. - Cinque anni fa era così diverso...
- Be', allora non era ancora nostro, il GUM, - ha precisato il signor Kusnirovič abbassando lo sguardo.
- Gli affari dovrebbero portare soddisfazione, non solo utili, - ha detto Medvedev pensoso. - Certo, sia utili che soddisfazione, - ha sottolineato abbassando nuovamente lo sguardo Kusnirovič. - Ma quando facciamo un investimento gli utili sono fondamentali... - ha aggiunto tentando di cavarsi da questa delicata situazione.
Sono entrati nel Gastronom N. 1.
- Molto caretto, qui? - ha domandato il presidente guardandosi attorno.
- Ma no, - il signor Kusnirovič si è stretto nelle spalle. - Il sale sta a 15 rubli...
La prima cosa su cui il presidente ha posato gli occhi erano delle mele a 65 rubli.
- Ah, buon prezzo, - ha concordato il presidente. - Oh, il passato di zucchini. Da dove?
- Da Černigov.
- Molto bene, che venga da Černigov, - ha detto chissà per quale motivo il signor Medvedev.
In quel momento è passato accanto al banco dei formaggi.
- Abbiamo perfino il matsoni [yogurt georgiano simile al kefir, N.d.T.], - non ha saputo trattenersi Kusnirovič, - e un direttore del GUM che di cognome fa Guguberidze.
- Giusto anche questo, - ha approvato entrambe le circostanze Dmitrij Medvedev.
- Cacao, latte condensato... Ah, eccolo qua, il sale, - ha detto il signor Medvedev. - Il sale c'è? Allora significa che nel paese va tutto bene. Sì? Se ci sono il sale e i fiammiferi. Ah, ecco i würstel... Poco tempo fa ho assistito al primo giorno di scuola, in un distretto... A lezione gli alunni mi hanno disegnato un maiale. E io gli ho chiesto: "E cosa si fa con il maiale?" E loro tutti in coro: "I würstel!" Senta, ma prima, prima dell'epoca sovietica qui c'era sempre un negozio di gastronomia?
- Be', sì.
E poi il presidente ha visto i contenitori con il succo di frutta. Questi contenitori se li ricordano tutti quelli che sono stati bambini all'epoca dell'Unione Sovietica. Tutti quelli che adesso hanno quarant'anni. E anche trenta.
- Non sono riuscito a mangiare, durante l'incontro con i politologi, - ha detto il presidente, - Adesso mi bevo un succo. - Quale mi consiglia, Anfisa?
La ragazza, che portava cucita sul petto la targhetta con il proprio nome, ha consigliato mele, arancia e ciliegia.
- No, pomodoro. Mi faccia un succo di pomodoro, Anfisa, - ha detto il presidente tendendo già il braccio.
- Prego, scontrino alla cassa, - ha subito risposto Anfisa, e brillantemente, senza sapere di aver chiuso così l'argomento della mentalità russa e del "chesc".
- Dmitrij Anatol'evič, mi scusi, non si rivolgeva a lei ma a me, - si è affrettato a spiegare Michail Kusnirovič.
Ma il signor Medvedev era già alla cassa. Preso lo scontrino, si è avvicinato al banco e ha chiesto:
- Ma come, devo bere da solo?
Il signor Kusnirovič ha allora fatto un cenno ad Anfisa perché preparasse un succo di pomodoro anche per lui, ma tutt'attorno si è alzato un coro di voci:
- Scontrino alla cassa!
Mentre bevevano il succo il presidente ha ricordato quanto deliziosi fossero i succhi di frutta della sua infanzia: barattoli da tre litri, succo e polpa di mela, betulla...
Erano ancora in piedi davanti al bancone.
- E dov'è il pane? - ha chiesto il presidente, vuotando il bicchiere. - Andiamo a prendere il pane. Torte, ce ne sono?
- Dmitrij Anatol'evič, la sua macchina è qui, - gli hanno bisbigliato.
- Devo... prendere il pane, - il signor Medvedev ha fatto un gesto sbrigativo con la mano e si è diretto verso l'altro capo del negozio.
- Ecco... Uh, prendi... una torta "Praga"! Ecco, una "Praga", una "Leningrado"...
E qui una donna (nel negozio c'era molta gente, nessuno pensava che lì potesse venirci il presidente) ha urlato a squarciagola:
- Una "Napoleone"! Prendi una "Napoleone"!
- No, una "Napoleone" magari un'altra volta... - ha bofonchiato il presidente.
- Prenda una "Kiev", - ha suggerito Kusnirovič. - La "Leningrado" può prenderla anche a Leningrado.
- E la "Kiev" allora a Kiev? - ha replicato Medvedev. - No, no, me le dia tutte e tre.
Di certo queste tre torte dovevano sopravvivere fino al giorno dopo, che era il compleanno del presidente.
Poi sono venuti a dirgli che bisognava tornare alla macchina facendo lo stesso percorso che avevano fatto all'andata.
- Non lo scelgo già da molto tempo, il percorso, - ha detto il presidente. - Vado dove mi dicono.
Quando sono arrivati all'uscita hanno visto un matrimonio accanto alla fontana. Ma soprattutto il matrimonio ha visto loro. Così il presidente si è lasciato fotografare a lungo in compagnia degli sposi.
All'improvviso è arrivato di corsa un italiano che si era accorto del presidente russo.
- Viva l'Italia! - ha urlato a tutto il GUM. - Viva Berlusconi! Viva Medvedev! Va benissimo!
Dopo essersi espresso in stile telegrafico l'italiano è scomparso.
- Nel nostro negozio di gastronomia si svolgono regolarmente i mesi della cucina italiana, spagnola e francese, - ha spiegato il signor Kusnirovič con un bel tono didascalico da voce narrante.
Quando Dmitrij Medvedev se n'era già andato, nell'ufficio del signor Kusnirovič è arrivato di corsa il direttore signor Starikov.
- Michail Ernestovič, la "Praga" non gliel'hanno consegnata!
- Non gliel'hanno consegnata o non l'hanno presa? - ha indagato il signor Kusnirovič.
- Se ne sono completamente dimenticati, in quel trambusto... - ha sospirato Konstantin Starikov.
Fonte: Kommersant'
Articolo pubblicato il 15 settembre 2008
[Nota: il signor Kusnirovič si riferisce al cash chiamandolo кешачок, kešačòk, neologismo insostituibile e intraducibile che è insieme diminutivo d'affetto e familiarità (con una sfumatura impercettibile di disprezzo) che suggerisce una sorta di bonaria indulgenza nei confronti del biasimato contante (un friulano userebbe il suffisso diminutivo -ut)].
mercoledì, settembre 17, 2008
Putin Transformer, CNN cut
[Con un po' di ritardo perché nel frattempo c'erano altre cose da seguire, ma sempre valido: ecco come la CNN ha censurato la famosa intervista di fine agosto a Putin, nella ricostruzione di Yasha Levine di exiledonline. Normali tattiche della guerra di propaganda, e del resto cosa non ha combinato il canale russo Vesti nel doppiaggio dell'intervista di Fox News alla bimba americana testimone dell'attacco georgiano a Tskhinvali. Comunque resta molto interessante capire quale versione di Putin Transformer sia stata proposta al vasto pubblico americano, e perché].
La Russia finirà per cacciare la CNN?
di Yasha Levine
Probabilmente non sapevate che la CNN ha censurato Putin per la sua eccessiva sensibilità. Sì, vero. Circa due settimane fa Putin [il 28 agosto, N.d.T.] ha concesso al canale televisivo un'intervista di 30 minuti. E sapete cos'è successo? Niente. Non è andata in onda. La CNN ancora non lo sa, ma questo potrebbe costarle i diritti di trasmissione russi. Il 29 agosto il primo ministro Vladimir Putin ha incontrato il corrispondente Matthew Chance per un'intervista esclusiva alla CNN. “Accesso senza precedenti al potente primo ministro russo, l'ex spia del KGB ora sempre più ai ferri corti con Washington” così una voce narrante accompagnava le immagini di Chance e Putin intenti a scherzare bonariamente prima dell'intervista e a passeggiare nel giardino del palazzo di Soči. Appena seduti Chance non ha perso tempo con le sue domande provocatorie:
Commento premonitore, il suo. Non solo la CNN ha cancellato il successivo excursus storico di Putin sulle relazioni tra Russia, Georgia e Ossezia del Sud dal XVIII secolo in poi, ma la rete ha anche tagliato quasi tutto il resto. Nonostante lo specchietto per le allodole dell'“accesso senza precedenti” a beneficio del suo pubblico statunitense, la CNN ha ridotto l'intervista di 30 minuti a una serie frasi a effetto che esponevano e ridicolizzavano la teoria pazzerella di Putin che il partito repubblicano avesse scatenato la guerra per lanciare McCain. Il pubblico internazionale della CNN è riuscito a vedere qualcosa di più. Ma si è trattato soprattutto della ridicola decisione “non politica” della Russia di bandire alcuni importatori americani di carne di pollo per la pessima qualità dei loro prodotti. Le intenzioni della CNN erano chiare: Putin doveva venirne fuori come uno scemo. E pare che Putin abbia offerto loro la materia prima perfetta. Embargo sui polli morti e complotti neocon globali? Accidenti, quale leader mondiale che si rispetti potrebbe tirar fuori simili uscite? Neanche Ahmadinejad è capace di cadere così in basso. Be', l'embargo sulla carne di pollo come argomento forse era un po' debole, ma sulla cospirazione neocon non ci giurerei mica. Ma di questo parleremo più tardi. (Potete vedere il filmato pesantemente tagliato sul sito della CNN, ma la rete non ha mai messo a disposizione la versione integrale. Però potete vederla alla TV russa). Non sorprende che tutto questo non sia piaciuto troppo al primo ministro. Vedete, quando Putin ha detto alla CNN che non gli importava se tagliavano alcuni commenti non era del tutto sincero. Non solo gli importava, ma si è sommamente incazzato quando ha scoperto che era stata censurata tutta l'intervista. In fin dei conti è lui che di solito censura gli altri. E poi non è che conceda interviste televisive agli americani tutti i mesi, e neanche tutti gli anni. Se non erro, l'ultima intervista concessa alla TV americana da Putin risale al lontano 2000, quando è stato ospite del Larry King Live e ha espresso un brusco commento sull'affondamento del sottomarino Kursk. E poi c'è la faccenda dello spazio che la CNN ha concesso a Saakashvili. Solo nell'ultimo mese Saakashvili è apparso una decina di volte, con interviste della durata dai 5 ai 10 minuti. Come la CNN giustamente ha fatto notare, Putin è un'ex spia del KGB, dunque presta attenzione a tutti i dettagli fino all'ultimo secondo. Ed ecco perché ha preso la censura come un insulto personale da parte della direzione della rete (interpretandolo come un'ulteriore prova della cospirazione dei media internazionali). Però potrebbe essere lui ad avere l'ultima parola. Si dice in giro che Putin cerchi vendetta. Secondo una fonte che ha accesso ai piani alti del potere, i russi stanno programmando azioni punitive contro la CNN. A questo punto sono solo voci, ma potrebbero apprestarsi a cacciare circa la metà della decina di giornalisti occidentali che lavorano alla sede di Mosca della CNN. Prima o poi saranno costretti a chiedere il rinnovo del visto ed ecco fatto: glielo negheranno, una cosa pulita e tranquilla. Possiamo solo sperare che quel fantoccio di Matthew Chance abbia presto bisogno di un visto.
Ma perché la CNN ha deciso di tagliare l'intervista? Il fatto è che Putin rischiava di uscirne molto ma molto bene. Già, l'embargo sui polli era imbarazzante, ma la teoria del complotto McCain/neocon non era così folle come molti vorrebbero credere. Gary Brecher ha sempre detto che questa piccola guerra aveva tutta l'aria di essere un piano neocon malriuscito per il dominio del mondo. Come dice Gary, le mosse della Georgia non hanno alcun senso dalla prospettiva georgiana. Qualcuno deve aver detto a quegli idioti che si sarebbero potuti tranquillamente prendere l'Ossezia del Sud. Chi meglio di Cheney?
Putin è stato capace di toccare toni insolitamente accorati, durante quell'intervista. Di certo niente a che fare con l'intervista grottesca di otto anni fa, con la crudele battuta “è affondato” a proposito del Kursk. Questa volta è stato pacato, ragionevole e soprattutto molto convincente e credibile: insomma, niente di ciò che ci si aspetterebbe da quell'ibrido tra Stalin e Hitler che viene scodellato al pubblico americano. E alla CNN se ne sono preoccupati così tanto da censurare brutalmente il tutto e sperare che nessuno se ne sarebbe accorto. Ma allora quali sono le parti di Putin lasciate fuori dalla CNN in sede di montaggio?
Articolo pubblicato l'11 settembre 2008
La Russia finirà per cacciare la CNN?
di Yasha Levine
Probabilmente non sapevate che la CNN ha censurato Putin per la sua eccessiva sensibilità. Sì, vero. Circa due settimane fa Putin [il 28 agosto, N.d.T.] ha concesso al canale televisivo un'intervista di 30 minuti. E sapete cos'è successo? Niente. Non è andata in onda. La CNN ancora non lo sa, ma questo potrebbe costarle i diritti di trasmissione russi. Il 29 agosto il primo ministro Vladimir Putin ha incontrato il corrispondente Matthew Chance per un'intervista esclusiva alla CNN. “Accesso senza precedenti al potente primo ministro russo, l'ex spia del KGB ora sempre più ai ferri corti con Washington” così una voce narrante accompagnava le immagini di Chance e Putin intenti a scherzare bonariamente prima dell'intervista e a passeggiare nel giardino del palazzo di Soči. Appena seduti Chance non ha perso tempo con le sue domande provocatorie:
Matthew Chance: Non è un segreto che per anni lei abbia sollecitato l'Occidente a prendere più seriamente le preoccupazioni della Russia sulle questioni internazionali. Per esempio sull'allargamento della NATO, il posizionamento di sistemi di difesa anti-missile in Europa Orientale. Questo conflitto non è stato un modo per dimostrare che in questa regione è la Russia a detenere il potere, non la NATO e di certo non gli Stati Uniti?Vladimir Putin: Naturalmente no. E inoltre non siamo andati alla ricerca di simili conflitti e non li vogliamo in futuro.Il fatto che questo conflitto abbia avuto luogo – che sia comunque scoppiato – è solo dovuto alla mancanza di attenzione per le nostre preoccupazioni.Penso che sia lei che i suoi – i nostri – spettatori oggi saranno interessati a sapere un po' di più della storia delle relazioni tra i popoli e i gruppi etnici in questa regione del mondo. Perché la gente ne sa poco o nulla.Se pensa che sia irrilevante può tagliarlo dal programma. Non esiti, non importa.
Commento premonitore, il suo. Non solo la CNN ha cancellato il successivo excursus storico di Putin sulle relazioni tra Russia, Georgia e Ossezia del Sud dal XVIII secolo in poi, ma la rete ha anche tagliato quasi tutto il resto. Nonostante lo specchietto per le allodole dell'“accesso senza precedenti” a beneficio del suo pubblico statunitense, la CNN ha ridotto l'intervista di 30 minuti a una serie frasi a effetto che esponevano e ridicolizzavano la teoria pazzerella di Putin che il partito repubblicano avesse scatenato la guerra per lanciare McCain. Il pubblico internazionale della CNN è riuscito a vedere qualcosa di più. Ma si è trattato soprattutto della ridicola decisione “non politica” della Russia di bandire alcuni importatori americani di carne di pollo per la pessima qualità dei loro prodotti. Le intenzioni della CNN erano chiare: Putin doveva venirne fuori come uno scemo. E pare che Putin abbia offerto loro la materia prima perfetta. Embargo sui polli morti e complotti neocon globali? Accidenti, quale leader mondiale che si rispetti potrebbe tirar fuori simili uscite? Neanche Ahmadinejad è capace di cadere così in basso. Be', l'embargo sulla carne di pollo come argomento forse era un po' debole, ma sulla cospirazione neocon non ci giurerei mica. Ma di questo parleremo più tardi. (Potete vedere il filmato pesantemente tagliato sul sito della CNN, ma la rete non ha mai messo a disposizione la versione integrale. Però potete vederla alla TV russa). Non sorprende che tutto questo non sia piaciuto troppo al primo ministro. Vedete, quando Putin ha detto alla CNN che non gli importava se tagliavano alcuni commenti non era del tutto sincero. Non solo gli importava, ma si è sommamente incazzato quando ha scoperto che era stata censurata tutta l'intervista. In fin dei conti è lui che di solito censura gli altri. E poi non è che conceda interviste televisive agli americani tutti i mesi, e neanche tutti gli anni. Se non erro, l'ultima intervista concessa alla TV americana da Putin risale al lontano 2000, quando è stato ospite del Larry King Live e ha espresso un brusco commento sull'affondamento del sottomarino Kursk. E poi c'è la faccenda dello spazio che la CNN ha concesso a Saakashvili. Solo nell'ultimo mese Saakashvili è apparso una decina di volte, con interviste della durata dai 5 ai 10 minuti. Come la CNN giustamente ha fatto notare, Putin è un'ex spia del KGB, dunque presta attenzione a tutti i dettagli fino all'ultimo secondo. Ed ecco perché ha preso la censura come un insulto personale da parte della direzione della rete (interpretandolo come un'ulteriore prova della cospirazione dei media internazionali). Però potrebbe essere lui ad avere l'ultima parola. Si dice in giro che Putin cerchi vendetta. Secondo una fonte che ha accesso ai piani alti del potere, i russi stanno programmando azioni punitive contro la CNN. A questo punto sono solo voci, ma potrebbero apprestarsi a cacciare circa la metà della decina di giornalisti occidentali che lavorano alla sede di Mosca della CNN. Prima o poi saranno costretti a chiedere il rinnovo del visto ed ecco fatto: glielo negheranno, una cosa pulita e tranquilla. Possiamo solo sperare che quel fantoccio di Matthew Chance abbia presto bisogno di un visto.
Ma perché la CNN ha deciso di tagliare l'intervista? Il fatto è che Putin rischiava di uscirne molto ma molto bene. Già, l'embargo sui polli era imbarazzante, ma la teoria del complotto McCain/neocon non era così folle come molti vorrebbero credere. Gary Brecher ha sempre detto che questa piccola guerra aveva tutta l'aria di essere un piano neocon malriuscito per il dominio del mondo. Come dice Gary, le mosse della Georgia non hanno alcun senso dalla prospettiva georgiana. Qualcuno deve aver detto a quegli idioti che si sarebbero potuti tranquillamente prendere l'Ossezia del Sud. Chi meglio di Cheney?
Putin è stato capace di toccare toni insolitamente accorati, durante quell'intervista. Di certo niente a che fare con l'intervista grottesca di otto anni fa, con la crudele battuta “è affondato” a proposito del Kursk. Questa volta è stato pacato, ragionevole e soprattutto molto convincente e credibile: insomma, niente di ciò che ci si aspetterebbe da quell'ibrido tra Stalin e Hitler che viene scodellato al pubblico americano. E alla CNN se ne sono preoccupati così tanto da censurare brutalmente il tutto e sperare che nessuno se ne sarebbe accorto. Ma allora quali sono le parti di Putin lasciate fuori dalla CNN in sede di montaggio?
Putin l'anti-stalinista:
Dunque coloro che insistono che quei territori debbano continuare ad appartenere alla Georgia sono stalinisti: difendono la decisione di Josif Vissarionovič Stalin [Fu Stalin a dividere per primo l'Ossezia e a darne la metà meridionale alla Georgia]
Putin il sensibile:
Per noi è una particolare tragedia, perché durante i molti anni in cui abbiamo vissuto insieme la cultura georgiana – perché il popolo georgiano è una nazione dalla cultura antichissima – è diventata senza dubbio parte della cultura multinazionale della Russia… [T]enendo conto del fatto che quasi un milione, anche più di un milione di Georgiani si è trasferito qui abbiamo legami spirituali speciali con quel paese e con il suo popolo. Per noi è una particolare tragedia.
Putin il pacifico:
Adesso lei e io siamo seduti qui, a conversare tranquillamente nella città di Soči. Ad alcune centinaia di chilometri da qui sono giunte le navi della flotta russa, che trasportano missili il cui raggio d'azione è proprio alcune centinaia di chilometri. Non sono le vostre navi ad essersi avvicinate alle vostre coste; sono le vostre che si sono avvicinate alle nostre. Dunque quale scelta abbiamo?
Non vogliamo complicazioni; non vogliamo litigare con nessuno; non vogliamo combattere nessuno. Vogliamo una normale cooperazione e un atteggiamento rispettoso verso di noi e verso i nostri interessi. È chiedere troppo?
Putin l'uomo d'affari coscienzioso:
La costruzione del primo sistema di gasdotti è stata avviata durante gli anni Sessanta, all'apice della Guerra Fredda, e per tutto questo tempo, dagli anni Sessanta a oggi, la Russia ha sempre soddisfatto i propri obblighi contrattuali in modo molto coerente e affidabile, indipendentemente dalla situazione politica.
Non politicizziamo mai le relazioni economiche, e siamo sorpresi dalla posizione di alcuni funzionari dell'amministrazione degli Stati Uniti che vanno nelle capitali europee a cercare di convincere gli europei a non comprare i nostri prodotti, come il gas naturale, in un incredibile tentativo di politicizzare la sfera economica. Di fatto è una cosa molto dannosa.
È vero che gli europei dipendono dalle nostre forniture, ma anche noi dipendiamo da chiunque acquisti il nostro gas. Si tratta di interdipendenza; è esattamente questa la garanzia della stabilità.Fonte: exiledonline
Articolo pubblicato l'11 settembre 2008
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