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giovedì, novembre 11, 2004


vignetta apparsa oggi su Le Monde.

Giovanardi Carlo continua a leggere il giornale durante l'annuncio in aula della morte di Arafat.
Il centrosinistra rumoreggia.
"Ma è morto un terrorista!" protesta Lo Presti Nino di Alleanza Nazionale.
"Sei un cretino!" lo apostrofa Giordano Franco di Rifondazione Comunista.
"Vieni qui sei hai coraggio!" rincara la dose Cento Paolo dei Verdi.
Solo l'intervento dei commessi ha impedito che gli insulti si trasformassero in contatto fisico tra i litiganti.

Ditemi che questa gente non ci somiglia.

venerdì, novembre 05, 2004

13 metri quadrati

Arafat sarebbe proprietario di 13 metri quadrati di terra a Gerusalemme ma Israele, a quanto pare, non ne permetterebbe mai l’inumazione in una città che è e rimane simbolo preteso da uno Stato esistente e capitale sperata di un altro che cerca di esistere. Si pensa allora a Gaza, al cimitero di Khan Yunis, dove riposa il padre di Arafat. In un mondo che a volte, e non solo in circostanze come queste, sembra non voler più distinguere chiaramente nemmeno tra la morte e la vita, anche il luogo in cui alfine troverà pace Abu Ammar, l’altro nome di Arafat, non è più una questione di “pìetas” ma solo di politica, di potere, di “business”.
Pietro Mariano Benni, Misna.org

domenica, ottobre 31, 2004

I miei sogni

Messaggio dalla Miru del futuro. È il 3 novembre del 2023 e non so da dove cominciare.

"Non so se qui da noi i più giovani avvertano in queste ore il nostro stesso turbamento. Per noi Arafat ha rappresentato la scoperta di un'ingiustizia che ignoravamo, venuta prepotentemente alla ribalta grazie a una coraggiosissima guerriglia popolare, intrecciata a una spregiudicata iniziativa diplomatica, a una politicizzazione di massa che ha consentito di evitare i gesti esemplari ed isolati (si pensi alla condanna da parte di Al Fatah del dirottamento degli aerei operato a suo tempo dal Fronte popolare) perché non rendevano partecipi la collettività. Un movimento nato da una costola del nazionalismo ma che rapidamente si era imbevuto della cultura del movimento operaio internazionale col quale si trovò subito consonante. Da quell'esordio sono passati molti anni e la tragica immagine di Arafat prigioniero da due anni e mezzo in un edificio diroccato di Ramallah, costretto a ricevere da Sharon la pelosa libertà di uscirne per entrare in un ospedale di Francia da cui non si sa se potrà mai rientrare nel suo paese, mentre case e uliveti della sua gente vengono divelti dai bulldozer israeliani e i corpi di fratelli e sorelle dilaniati dalle bombe di Sharon che passa per un «eroe» perché ha imposto il ritiro di qualche colono dalla Striscia di Gaza, tacendo su cosa vorrà fare della Cisgiordania - tutto questo rischia di farci morire la speranza nel cuore, di indurci a pensare che i feddayn, che il presidente dell'Olp aveva portato alla ribalta della storia sono stati, anch'essi, un mito del `68. Da seppellire con tutti i sogni del `900".
Luciana Castellina, "La pace non si esilia", Il Manifesto, 30.10.2004.


venerdì, ottobre 29, 2004

Il leone è vivo

"Oggi, mentre Arafat spera forse in una diagnosi in un grande ospedale francese, è davvero il suo sangue a essere colpito da una malattia misteriosa o è il cervello di una crescente parte del mondo a essere contagiato da una patologia sempre più grave? Per non parlare dell’anima, del cuore..."

Pietro Mariano Benni, Misna.org

domenica, settembre 14, 2003

Oggi peggio

"Ormai il conflitto ha raggiunto l'anima e non consente più scorciatoie: i palestinesi sentono che Israele punta alla loro fine e non intendono morire in silenzio. Vivono una disperata solitudine in un mondo guidato da mediocri e complici e stanno tirando fuori tutto quello che hanno accumulato lungo un secolo, nel bene e nel male. Il presidente Arafat sta in mezzo a tutto questo, simboleggia una storia difficile, carica di dolori e di passioni, protagonista a effetto di sconfitte brucianti e pagine gloriose, testimone ed autore delle vicissitudini del suo popolo. Oggetto e obbligatoriamente fautore del degrado che lo circondano, non ha mai abbandonato l'idea di traghettare il suo popolo verso una soluzione politica anche a prezzo di rinunce dolorose e di più che legittimi sogni di riscatto. [...]
Arafat oggi rappresenta l'ultimo baluardo della politica come strumento di mediazione e di soluzione dei conflitti. Espellerlo significa gettare la spugna per tutti coloro che credono ancora in una società laica invitandoli ad affidare il loro destino a chi proclama ed attua la guerra di religione, rassegnandosi all'inevitabilità dello scontro tra civiltà sul quale Israele, ancor prima dell'America, sta soffiando".
Ali Rashid dal Manifesto di ieri.