sabato, dicembre 31, 2005

Holidays on ice

- Ciao, dove passate l'ultimo dell'anno?
- Andiamo a cena da quelli che abitano al 21.
- Ah. Mi passi papà?
- È già di sotto che sparge il sale tra casa nostra* e il 21.

*al 23, NdA.

mercoledì, dicembre 28, 2005

Un caso di possessione telefonica

C'è quest'horror asiatico che ricordo solo per sommi capi: ci sono due sorelle, una bambina posseduta, un marito fedifrago, una casa e il solito telefono. Alla fine una delle due sorelle, esasperata dai fenomeni paranormali e da una caduta dalle scale della bimba ormai irrimediabilmente indemoniata, fa una scelta drammatica, definitiva e in sintonia con il genere: si mette a strappare il filo del telefono. Naturalmente va a finire che con il filo si stacca anche un pezzo di muro. Ci sarà un condensatore, un centralino, un apparecchietto di teleallarme, un salvavita Beghelli? No! Nel muro c'è il corpo mummificato di una studentessa con tanto di camicetta, gonnellino scozzese e calzettoni. Chiaro che standosene lì murata possedeva la linea telefonica, e quindi gli abitanti della casa. (Adoro questi horror asiatici in cui la maledizione è teletrasmessa, videoregistrata, telefonata: lo trovo pratico, perché perder tempo in spiegazioni esoteriche quando possiamo dire che la bambina è posseduta telefonicamente da una morta che sta letteralmente sepolta insieme al doppino?)

La mia linea telefonica è posseduta. Prima succedeva che la connessione adsl cadesse quando si alzava il ricevitore, anche se i filtri erano a posto e i telefoni stavano tutti in parallelo.
In questi casi ho imparato che bisogna fare come negli horror asiatici: prendere coraggio e vedere cosa succede nella presa principale. In cuor mio speravo di trovare murata la suocera dell'inquilino precedente, impacchettata come le mummie del British Museum. Perché si sa che tra Natale e Capodanno è più facile trovare un esorcista che un tecnico competente.
Invece ho trovato la NTUL, che non è una maledizione in rumeno (magari) ma la Nuova Terminazione Unificata di Linea, una scatoletta che la SIP installava negli anni Novanta per rilevare e risolvere a distanza i guasti telefonici. Il progetto naturalmente fu abbandonato, lasciando in eredità queste scatole pieni di cavetti che escono dalla tua povera presa posseduta ed entrano nel corpo orribilmente decomposto della centrale Telecom.
Altro che suocera.

E via, si fa un altro bel respiro profondo, si sganciano i morsetti e si isola la scatola abbandonandola al suo destino autoreferenziale, a sognare interventi che non arriveranno mai.

Così la connessione non cade più. Solo che la linea è ancora disturbata, l'adsl viaggia a 799 kbps, l'803380 mi omaggia della voce di Annie Lennox ("I saved the world today" non è un po' azzardata per dei tizi che non riescono neanche a salvarti la connessione?) invece di passarmi un operatore, poi mi passa un operatore che mi spiega come funziona l'adsl, e io gli rispondo che lo immagino, ma che sto a duecento metri dalla casa di prima, l'impianto è a posto e soprattutto 799 kbps sono pochi quando si paga almeno per l'illusione di 4 mega, insisto per dargli i dati dell'attenuazione e dei rumori di fondo, e insomma lui alla fine si rassegna a fare la segnalazione come si deve e mi chiede il numero di cellulare. Non ho mai faticato tanto per dare a un uomo il mio numero di telefono (con alcune vistose eccezioni), e chissà se ne è valsa la pena. Alla fine non ho ben capito cosa succederà nelle prossime 48 ore, ma penso niente.

Adesso nevica, io osservo la presa principale e la NTUL defunta e ripenso al tecnico della Telecom (uno dei tanti con cui ho chiacchierato oggi, in un'apoteosi di numeri verdi) che mi ha detto dispiaciuto: "Sa, noi e quelli dell'adsl siamo solo cugini, per così dire." Di quei cugini che non si parlano, naturalmente.

Quando rispondo al telefono mi fanno tutti graziosamente notare che sembro una voce dall'oltretomba. Un po' Merle Oberon in Cime Tempestose quando grida disperatamente "Heathcliff!" nella tormenta, mi sembra di capire. Un regista asiatico ci girerebbe un film di serie B in cui lo spettro della donna dai lunghi capelli presidia i doppini in attesa di ossessionare prede vulnerabili, meglio se operatori o operatrici di call center tin.it, cugini malvagi e manager Telecom, mentre in sottofondo va in loop la versione stonata e al contrario di "yadot dlrow eht devas I."
Una bella maledizione adesso la sussurrerei tanto volentieri, ma comodamente a telefono, possibilmente ore pasti.

lunedì, dicembre 26, 2005

Il segreto della felicità dei gatti

Io capisco benissimo il signor G.
Ti prelevano da casa tua per portarti da un'altra parte. Vacanza, pensi. Poi tornano a prenderti, e già assapori le comodità ritrovate delle ciotole del cibo perfettamente allineate al posto giusto e della cassettina tua-tua con la lettiera della gradita consistenza. I dubbi ti assalgono alla prima svolta sbagliata ("Ehi, gente, le mie vibrisse dicono da quella parte"); nell'ascensore - "Ehi, noi non abbiamo un ascensore" - ti consoli pensando che neanche il veterinario ha un ascensore, del resto tu ti senti benissimo e non è giorno di vaccinazione.
Poi ti ritrovi in un'altra casa, dove le tue cose sono disposte in un ordine diverso, ci sono alcuni mobili che riconosci e altri che per te costituiscono un sudoku olfattivo di livello diabolico.
Infine, scopri che lì ci è vissuto un altro gatto. E per quanto la tua donna di fiducia sia una maniaca della candeggina e del lisoformio, accidenti, ti accorgi che ti attendono mesi di duro lavoro: superfici nuove da strofinare con il muso, angolini da marcare con discrezione, stipiti da graffiare.

Al posto suo impazzirei.

Aggiungiamoci poi il gatto rosso, una specie di furbetto del condominio che gironzola per le scale impunito: non si sa di chi sia né in cosa consista la sua carta degli obiettivi, però trovo sospetto che mi aspetti sullo zerbino di casa e che venerdì abbia tentato di invitarsi a cena. Ha la faccia di uno che non accetta un no come risposta. Bisogna quindi evitare che il rosso si presenti alla porta di casa con un cartone di Friskies e si piazzi sul divano.

Ma soprattutto bisogna far felice il signor G.
Così sabato sono uscita e ho comprato il Feliway ("il segreto della felicità dei gatti"), un diffusore di feromoni con effetto tranquillizzante e antistress. Nota per i lettori: sulla confezione sta scritto che "i componenti attivi di Feliway non sono estratti dagli animali". Per dire, non hanno spremuto nessun micio per produrli. Posso confermare che in questo post l'unico a essere stato maltrattato è il mio portafoglio.
Ho inserito il Feliway nella presa e sono andata a prendere il signor G. per immergerlo in questo ambiente estraneo inondato di palpabile benessere felino.

Il signor G., nell'ordine e nell'arco di un paio d'ore:
1. si è molto agitato;
2. ha molto miagolato;
3. si è steso sul pavimento a sbadigliare, a riprender fiato e a raccogliere le idee;
4. ha annusato tutto;
5. ha bevuto da tutti i rubinetti, verificando che l'acqua fosse perfettamente potabile;
5. si è calmato;
6. si è addormentato.

L'efficacia del Feliway non è al momento dimostrata, tranne che per un paio di fenomeni:
1. io ho un irrefrenabile impulso a strofinare la faccia contro gli spigoli;
2. il rosso mi sembra più ammiccante e rilassato del solito;
3. i gatti del vicinato adesso mi fanno ciao con la zampina.

Dimenticavo: buone feste a tutti.

martedì, dicembre 20, 2005

Atti di ordinaria follia

[Prima o poi doveva succedere. Ho appena telefonato a mia madre con un futile pretesto e mi sono fatta passare il signor G.]

sabato, dicembre 17, 2005

Come caricare un AK-47 e vivere felici

Raw Story ha messo a disposizione in file excel e pdf le richieste (più di 10.000, e i file sono di conseguenza molto corposi) presentate al Pentagono in base al Freedom of Information Act, dal 2000 a oggi.
Non sorprende che le domande a proposito di UFO, Roswell, Area 51 e relazioni diplomatiche con gli extraterrestri vadano per la maggiore.

Due sono però i miei preferiti in assoluto:
1. quello che in aggiunta ai soliti chiarimenti su Roswell e l'Area 51 chiede anche una fotografia di Donald Rumsfeld.
2. il signor (o signora) Ellington che dichiara la propria disponibilità a pagare 2 dollari per imparare a caricare un Kalashnikov AK-47.

Non posso fare a meno di pensare che si tratti sempre di Mr o Mrs Ellington.
Me lo/la immagino mentre, caricato finalmente l'AK-47 con la modica spesa di dollari due, usa la foto di Rumsfeld come bersaglio in attesa fiduciosa dei rinforzi da Marte.

giovedì, dicembre 15, 2005

La regressione da trasloco

Sto infine per traslocare.
È normale che abbia questo strano desiderio di nascondermi nella cassapanca con il signor G. e un chilo di fondotinta per tutte le evenienze?
Che poi facevamo che io ero nella cassapanca e voi mi portavate qualcosa da mangiare e le notizie del giorno, e così non si faceva nessun trasloco. Che i nuovi inquilini imparavano ad amarmi e forse a rispettarmi, io continuavo a usare la loro connessione internet ma a mangiare pochissimo, il pomeriggio facevo partire il videoregistratore così non serviva mettere il timer, la mattina sgusciavo dalla cassapanca e andavo a comprare le brioche e i krapfen con la marmellata, e facevo anche il pane per tutti, per le feste e per i battesimi, portavo a scuola i bambini e gli facevo i compiti di nascosto. Che andavo alle riunioni di condominio e a pagare l'ici. Che il signor G. pattinava per casa come un matto lucidando il pavimento. Che mettevo alla porta con cortesia e fermezza i testimoni di Geova e i rappresentanti del Folletto Hoover.

E invece no. Devo prendere questi 4300 libri e inscatolarli, chiedendomi cosa me ne faccio della storia del baccalà, come si giustifica un manuale di danza del ventre, e perché possiedo una vecchia edizione italiana del Ritratto di Dorian Gray che ha come titolo Doriano Gray dipinto. Prendere il ritratto 50x70 del maresciallo Tito e incartarlo.
Prendere quella madonna placcata oro zecchino su base di legno regalata da chissà chi e trovare il coraggio di abbandonarla sul raccordo Gorizia-Villesse, insieme al gruppo di pietra portoghese raffigurante nonno che fuma la pipa e legge il giornale, fanciullo triste e cane mesto (o nonno mesto, cane che legge il giornale e fanciullo che fuma), regalo lo so io di chi (parlo di te, Umberto N.). Scalpellare la targhetta "attention chat bizarre" e salutare la piastrella "Deu vos guard", che invoca la benevolenza di un dio straniero e fa pendant con il gruppo di pietra (Umberto, sempre tu: conoscerai la mia vendetta).

Nel cassetto dell'angoliera ho scoperto un pennino vecchissimo marca "Impero", ossidato. Sotto l'angoliera, invece, una pallina rosa e nera del signor G., una cartina argentata e una moneta da un euro. In quel momento il felino e io ci siamo guardati e abbiamo allungato zampa e mano contemporaneamente sul malloppo, grati alla divinità che nasconde le cose e poi te le fa ritrovare impolverate.
Dietro ai libri di ricette, in cucina, ho trovato un topolino di peluche della gatta, nascosto dalla divinità specializzata in pugni allo stomaco e colpi bassi.

Il mio medico mi ha appena comunicato con soddisfazione pettegola che tra i miei nuovi vicini di casa ci sono alcuni suoi colleghi. Mi destabilizza, questa concentrazione: immagino già l'agonia dei viaggi in ascensore con l'ematologa che scruta la mia faccia pallida e mi propone un controllo delle piastrine. O il fisiatra che mentre esco di casa mi grida dietro "su con quella schiena, e che cazzo". Al dentista non voglio nemmeno pensarci.

Il signor G. domani andrà dai miei con il suo beauty case e la prossima settimana - dopo essere stato pettinato, vezzeggiato, baciato e interrogato senza sosta e dunque fino allo sfinimento da mia madre - sarà depositato in una casa sconosciuta già abitata in precedenza da un gatto obeso e provvista di un divano nuovo di mia scelta e gusto. Marcherà il suo territorio diligentemente e poi stravaccandosi felice sul plaid si guarderà attorno con fare scettico pensando: "sta' a vedere che con tutti questi medici c'è pure un Mengele di veterinario, con la sfiga che gira ultimamente."

Voglio arrivare lì e attaccare il quadro degli anni Sessanta con le due facce della luna, il poster incorniciato di The Great Bear e il ritratto di Peter Sellers di Bill Brandt. Bruciare le erbette dell'amica di Alessandra ("guarda che non si fumano, ma allora lo vedi che sei scema!") e accendere le sue candele magiche perché non si sa mai e magari non farlo porta pegola. Poi mettere via i libri e sperare che il tecnico della Telecom tanto gentile che mi ha detto che mi telefona sul cellulare martedì pomeriggio e mercoledì mi mette la linea non sia un mitomane o uno scappato dal manicomio o un troll padano (un fan, invece, escluderei).

La sera tardi voglio farmi una cioccolata calda, sedermi sul divano e aspettare, chiedendomi per la centesima volta come ho fatto a prestare tutta la serie di Douglas Adams. E poi finalmente sentire un urlo angosciato e le parole "chi ha appeso il ritratto di Tito nell'armadio guardaroba?".
A quel punto, lo sapete voi e lo so anch'io, mi scapperà il primo sorriso della giornata.

Non ci posso credere

Per mettere fine agli abusi (leggete pure torture), gli Stati Uniti ispezioneranno le carceri gestite dagli iracheni.
New York Times, mica The Onion.

mercoledì, dicembre 14, 2005

La realtà e la manipolazione dei media

Quello che segue è tratto da un'intervista di Joshua Holland di Alternet a Larry Beinhart, scrittore e saggista interessato all'influenza della politica sui mezzi di informazione di massa. L'ho trovata interessante per come smonta i meccanismi che governano i media statunitensi, facendo riferimento ad alcuni casi specifici.
Beinhart è autore del libro Fog Facts: Searching for Truth in the Land of Spin. E proprio di fog facts (che ho tradotto liberamente come "fatti fumosi", a prendersi qualche altra libertà mi verrebbe da scrivere "nebbia dell'informazione") parla questa intervista.

Cosa sono i "fatti fumosi"?
Sono cose che sono state pubblicate e rese note, ma scomparse poi sullo sfondo in una specie di nebbia. E ci sono molti fatti che dovrebbero scomparire così, le curiosità, le stupidaggini, e tutte quelle cose che non abbiamo bisogno di sapere. Ma ora sto parlando di cose importanti, cose che, se portate in primo piano, sono in grado di cambiare la nostra visione della realtà.

Come diventa “fumoso”, un fatto?
Con alcune eccezioni, le notizie non sono da subito e automaticamente grandi notizie. Le eccezioni sono la morte di un papa, il campionato del mondo, gli tsunami, i vulcani, le guerre, o almeno quelle che ci coinvolgono. Ma la maggioranza delle notizie diventa tale - comprese le guerre - grazie ai comunicati stampa. L'esempio che uso sempre, visto che ci troviamo in una piccola cittadina, è il calendario della serie minore. Se il calendario della serie minore è sul giornale, è solo perché l'allenatore o sua moglie glielo spediscono.
La maggior parte delle notizie nasce come comunicato stampa, conferenza stampa o dichiarazione. E se vuole restare tra le notizie, deve avere nuovi comunicati stampa e nuove storie da raccontare. Ci deve lavorare su qualcuno, che deve investire tempo ed energie per farci su una storia più grossa. E se non lo fa nessuno, può anche non diventare affatto una storia, può restare una notizia isolata. Ha presente, pagina 12 del New York Times, pagina 26.

E in parte ciò che accade è che coloro che lavorano nei media - specialmente nell'ambiente della carta stampata - pensano che se hanno riferito una notizia hanno fatto il loro lavoro. Il loro lavoro non consiste nel determinare quale sarà l'effetto sulla popolazione, come assorbiremo quella notizia, quanto ci colpirà - non è quello, il loro lavoro. Non fanno che prendere un fatto e metterlo in pagina. E hanno finito. Se poi la notizia si ripresenta, con un nuovo comunicato stampa o una nuova svolta, la seguono.

Un ottimo esempio è il denaro di Oil-for-Food. Tutti in America sanno che c'è una specie di scandalo su quello che le Nazioni Unite hanno fatto del denaro di Oil-for-Food. Non sanno esattamente cos'è, ma sanno che è uno scandalo, che Kofi Annan ha fatto qualcosa di sporco. Ora, per quel che si sa, la corruzione e il malaffare hanno riguardato al massimo centinaia di migliaia di dollari, escluso il denaro su cui Saddam Hussein fu in grado di mettere le mani, cosa che fu generalmente approvata e permessa da tutti. Comunque, i torti delle Nazioni Unite si possono definire minori.

Dopo la conquista statunitense dell'Iraq il denaro di Oil-for-Food fu trasferito a una nuova entità, la CPA, l'Autorità provvisoria della coalizione diretta da Paul Bremer. E circa 9 miliardi di dollari di quel petrolio andarono nelle casse della CPA, oltre a circa 10 miliardi di altri fondi. Questo denaro veniva essenzialmente custodito per conto del governo iracheno. Adesso ne sono scomparsi circa 19 miliardi.

Se ricordo bene, dei 20 miliardi ne è rimasto solo mezzo. E la cosa è emersa solo in tre notizie. La ragione è che non esiste un gruppo di potere che influenzi i media americani al quale interessi qualcosa dei soldi iracheni. C'è invece un ampio gruppo di potere che odia l'ONU. E odia l'ONU perché la semplice idea di porre delle restrizioni all'autorità sovrana degli Stati Uniti è una cosa che lo irrita infinitamente. Così questo gruppo di potere non vedeva l'ora di trovare il modo per infangare l'ONU, e dunque lavorarono su quella storia, la spinsero, e di conseguenza ne abbiamo sentito parlare moltissimo.
E così una notizia è rimasta nebulosa e confusa, l'altra è diventata un fatto ben noto.

Un altro esempio si ha quando sono gli stessi mezzi di informazione a decidere di creare un fatto fumoso, perché non vogliono che qualcosa si sappia. Il caso più noto è stato il nuovo conteggio dei voti dopo le elezioni del 2000 in Florida, che fu pagato dai media stessi. Ci furono così tante controversie su quel voto che New York Times, Washington Post, Tribune Company - cioè Chicago Tribune - Los Angeles Times, CNN, Wall Street Journal and St. Petersburg Times si misero insieme e dissero che avremmo ricalcolato quei voti per scoprire chi aveva vinto davvero. Lo fecero e ci spesero un milione di dollari. E il vero vincitore avrebbe fatto notizia.

Era questa la cosa eccitante. Se scoprivano che aveva vinto Al Gore, sarebbe stata una notizia ben più grossa che se avesse vinto Bush. Quella è notizia vecchia, chi se ne frega? E quando contarono tutti i voti da cui si potesse capire con certezza la scelta di voto, vinse Al Gore.

Così i titoli avrebbero dovuto essere "Al Gore ha ricevuto più voti" o "Al Gore avrebbe dovuto diventare presidente" o "Eletto l'uomo sbagliato" o "La Corte Suprema blocca la verifica in tempo per salvare Bush." Non è così? Ma i titoli non furono quelli. I titoli furono "Bush ha vinto comunque" "I nuovi conteggi dimostrano che Bush ha vinto", "I nuovi conteggi dimostrano che l'azione della Corte Suprema era inutile."

E il New York Times fu il peggiore di tutti. A meno che non si leggesse la storia con attenzione ragionieristica, era letteralmente impossibile decifrare che Al Gore aveva ricevuto più voti. La verità è che io non ci riuscii. Lessi la storia e pensai, "oh, merda, che delusione." Due anni dopo lessi una storia dell'altro Gore, Vidal, e lui ne parlò. Allora andai a rileggermi il Times. E pensai: "Oh, mio Dio. Al Gore ha preso più voti di George Bush. Incredibile."

E poi lessi tutti gli altri giornali e dissi: "Questo è uno dei più sorprendenti eventi mediatici che io abbia mai visto." Voglio scoprire come tutti e sette hanno preso la stessa decisione di affossare la storia. Non di negarla, ma di affossarla così da poter dire con la coscienza pulita: "abbiamo riferito la verità." E l'hanno fatto. Ma l'hanno manipolata così pesantemente che perfino i più impegnati, le persone di sinistra e i blogger se la sono persa.

[Questa è solo una parte. L'intervista, in cui si parla di 11 settembre, di manipolazione dell'opinione pubblica utilizzando i metodi delle pubbliche relazioni e del futuro del giornalismo oggettivo, è per intero sul miro 2.0.]

lunedì, dicembre 12, 2005

Il presepe e la performativa fase mistica

"Papa denuncia materialismo affacciandosi a balcone di edificio di marmo con cupola dorata, attorniato da icone religiose incastonate di gioielli mentre indossa gigantesca croce d'oro."
titolo di Fark, via J-Walk Blog.

C'è una cosa che mi lascia ancora più perplessa della tirata del papa contro il consumismo natalizio, ed è la parte sul presepe: "costruire il presepe in casa può rivelarsi un modo semplice, ma efficace, di presentare la fede per trasmetterla ai propri figli. Il presepe ci aiuta a contemplare il mistero dell'amore di Dio che si è rivelato nella povertà e nella semplicità della grotta di Betlemme."

Vi stupirà, ma non sono cresciuta in una famiglia bolscevica. Anch'io ho fatto il presepe. Il presepe mi ha insegnato alcune cose:
- innanzitutto esiste la prospettiva: il pastore gigante con la pecora in spalla, quello grande come il Big Jim, sempre davanti;
- i Re Magi partono dalle colline in lontananza e arrivano a destinazione non prima dell'Epifania, quando si sta sbaraccando, la festa è finita e la Madonna sta già passando l'aspirapolvere;
- il bambin Gesù nasce puntuale la notte della vigilia, inutile tentare un parto prematuro rischiando di farselo sequestrare dal figlio dei vicini con conseguente richiesta di onerosissimo riscatto in gianduiotti e umiliante sostituzione dell'ultimo minuto con un pupazzetto a caso;
- il polistirolo è divertente;
- le pecore sono creature di plastica particolarmente instabili: bisogna evitare che dopo due giorni Betlemme sembri colpita da un'epidemia devastante di febbre ovina;
- il momento clou in assoluto è l'impiccagione dell'angelo sopra la stalla. Quello con la scritta "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Impiccagione, perché in qualche modo bisogna pure appenderlo.

Erano dei bei presepi, tutto quel polistirolo ancora in giro per casa ben dopo il 6 gennaio metteva allegria, il muschio dava all'ambiente un odore caratteristico di renna e di immaginaria Lapponia e si finiva per affezionarsi perfino all'odore di bruciato di qualche piccolo immancabile cortocircuito.
Ero tanto esaltata dalla sacra logistica che passavo certe sere in pigiama di flanella autarchica a intrattenere la sacra famiglia (e la mia) intonando inni pop-mistici con accompagnamento d'organo Bontempi trascinato fin lì per l'occasione. Vi ricordo che i Beatles all'epoca non si erano ancora sciolti ma erano già passati per Sai Baba, e i miei arrangiamenti non potevano non esserne influenzati. Il tutto, senza che fosse avvenuta alcuna "trasmissione della fede", o "contemplazione del mistero dell'amore di Dio", o "rivelazione", tante e tali erano le variabili tecniche e scenografiche di cui tener conto. Se avessi continuato ancora un paio d'anni i miei avrebbero dovuto pagare una squadra di roadies per smontare tutto.

Poi l'angelo si perse durante un trasloco e fu rimpiazzato da un fricchettone con le basette e i sandali: il tizio nuovo portava uno striscione con su scritto a pennarello "pastori di tutto il mondo unitevi". Fu allora che i miei seppero all'improvviso, e io con loro, che era finita per sempre la breve, incerta e performativa fase mistica.

domenica, dicembre 11, 2005

Il numero 3 del quartierino

Leggendo questo pezzo della CNN in cui si dice che i quattro volontari del Christian Peacemaker Team rapiti il 26 novembre stavano raccogliendo informazioni sulle torture in Iraq, mi sono imbattuta nella notizia della cattura a Ramadi di Amir Khalaf Fanus, detto "il macellaio". E ho scoperto che nel suo piccolo anche il macellaio è un numero 3: il numero 3 sulla lista dei ricercati stilata dalla 2nd Brigade Combat Team che pattuglia l'area occidentale di Baghdad. Insomma un numero 3 di riserva, praticamente un caposcala.
Naturalmente, "non è stato reso noto se Fanus avesse informazioni su al-Zarqawi." Ma questo che ve lo dico a fare.

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Make-up:
Fondotinta 3-in-1 Inevitable Beauty, Eyeliner e Mascara Catch me if you can n. 1, l'irrinunciabile rossetto rosso estremo Butcher Red.

venerdì, dicembre 09, 2005

Comunicazione di servizio

Mi sono accorta che il blog ha appena compiuto tre anni e mi sono detta: perché lasciare quando posso raddoppiare?
Così d'ora in poi i pezzi lunghi e le traduzioni verranno dapprima pubblicate sia qui, sia su http://mirumir.altervista.org, e in seguito probabilmente finiranno solo lì.
Fatevi coraggio, resta sempre in piedi l'ipotesi di registrarvi delle cassette da ascoltare nel sonno.

giovedì, dicembre 08, 2005

Categorie merceologiche



La chiave di ricerca del giorno è: "water nei negozi di sanitaria". Attenzione, neanche sanitari, ma sanitaria: cioè quel genere di posto dall'aria triste e illuminato al neon dove si comprano le panciere, gli apparecchi per aerosol, certi sandali per infermieri e gli orrendi plantari anatomici che usa mia suocera e che sospetto siano fatti di pelle umana neanche tanto trattata.

(E questa volta non dite che è colpa mia e che me li merito, eccetera eccetera)

lunedì, dicembre 05, 2005

La regina di picche

"one of [Saddam's] closest aides", "a figure on the US playing card deck of most-wanted Iraqis", "lieutenant", "key role", "Queen of Spades"...
Oh, no, ditemi che non dobbiamo rimetterci a contare anche i vice di Saddam.

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Make-up:
Fondotinta Flexilift Teint n. 3, ombretto Queen of Shades nei toni del grigio e del malva, e per lunghe ciglia stregamaschi il mascara Oh my Lieutenant! n. 1.

domenica, dicembre 04, 2005

Il numero 3 numero 4

Ieri un missile della CIA lanciato da un Predator ha ucciso in Pakistan il numero 3 di Bin Laden, Hamza Rabia. Questo dovrebbe essere almeno il quarto numero 3 di al-Qaeda. Era succeduto al numero 3 che lo precedeva, Abu Faraj al Libbi, a sua volta subentrato a Khalid Sheikh Mohammed, prima del quale c'era Abu Zubaida.
Insomma, il concetto sarebbe che appena il posto numero 3 si libera, il numero 4 sale in classifica.
Riepilogando, siamo a 35 vice di al-Zarqawi e a quattro numeri 3 di Bin Laden.

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Make-up:
Per un trucco delicato ma impeccabile, fondotinta Aera Teint n. 458, Ombretto Color Intrigue n. 107 o Darling Pink n. 803, rossetto Couleur&Brillance Divinora n. 208, smalto Predator Rose n. 538.

venerdì, dicembre 02, 2005

Dove ho sbagliato?

Gli ultimi referrals: "franz ferdinand ferro da stiro", "foto o filmati come annodare la cravatta", "portachiavi all'uncinetto" (questa potrebbe essere mia suocera a corto di idee per i regali), "french kiss lingue" (adesso gli faccio un disegnino), "dove vengono salvate le conversazioni telefoniche" (eh, cari miei), "previsioni da giocare al lotto 1-12-2005", "soffitti sfondati" (no, qui solo esplosivi nei controsoffitti), il sempreverde "zar della steppa" e una grande richiesta di "fonduta bourguignonne". Uno solo che si è applicato e ha cercato "fosforobianco" - tutto attaccato, come nei tag di delicious. E uno "sciti torturano sunniti", che però potrebbe anche essere un sadico.
Chi mi dice qual è il nesso tra i Franz Ferdinand e un ferro da stiro vince una playlist dei quattro di Glasgow o un anticalcare, a scelta.

giovedì, dicembre 01, 2005

Un incontro costruttivo

Auditorium di Ramadi. Gli arabi sunniti dicono di esser lì per un unico motivo, e cioè sentir parlare di ritiro statunitense. I militari americani invece sono lì per incoraggiare i capi tribali a entrare nell'esercito iracheno.
"Incredibile", commenta il capitano Nash, comandante dei marines a Ramadi, riferendosi ai capi sunniti che affollano la sala. "Sono venuti, e non avevo mai assistito a una cosa del genere." Un giornalista iracheno gli ha risposto: "Ai tempi di Saddam avrebbero sacrificato una pecora per visite come questa. Oggi penso che potrebbero macellare voi."
Frasi notevoli pronunciate dai leader sunniti:
"Vogliamo il ritiro."
"Crediamo che questa sia un'occupazione illegittima, e che la resistenza sia legittima."
"Rendiamo onore al popolo americano perché dopo aver visto la televisione via satellite sappiamo che è pronto ad andarsene."
"La gente di Fallujah ama Cindy Sheehan."
Frasi notevoli pronunciate dagli ufficiali statunitensi e iracheni:
"Siamo coinvolti nel problema del ritiro."
"La cosa migliore che possiate fare è convincere i vostri figli a entrare nell'esercito e nella polizia." Eccetera.
Tradurre è un po' tradire, e il fatto che gli interpreti degli Stati Uniti siano stati accuratamente scelti tra arabi non iracheni accentua il problema e favorisce le incomprensioni: mentre in sala si alzano le grida di insoddisfazione e qualcuno comincia a puntare loro il dito contro, gli americani sono ancora convinti che si tratti "di un incontro molto utile".
Dice il brigadier generale Williams della seconda divisione dei marines:
"Siamo qui per risolvere i problemi. Sono problemi complessi. Non esistono soluzioni facili, ma esistono delle soluzioni."
Traduzione dell'interprete, un libanese ormai stanco dopo cinque ore di estenuanti colloqui: "Non ho tempo da perdere. Anche se voi avete tempo da perdere, non è giornata."
"Può funzionare," ha commentato un generale iracheno, comandante dell'esercito già ai tempi di Saddam, a incontro terminato.
In effetti, i marines non hanno fatto la fine della pecora.

Fonte: "U.S. Debate on Pullout Resonates As Troops Engage Sunnis in Talks", Washington Post.

mercoledì, novembre 30, 2005

Se non vogliono, non vogliono

Secondo il direttore della CIA Porter Goss, Bin Laden e al-Zarqawi non sono ancora stati trovati "principalmente perché non vogliono che li troviamo, e stanno facendo di tutto per assicurarsi che non li troviamo."
Ha!

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Make-up:
Per i due di al-Qaeda, Pure Pops Brush-on Color Pure Chameleon e Pure Color Nail Lacquer Chameleon Prism. Per Mr. Goss, un make-up polveroso ed etereo e Vanilla Kiss Body Shimmer (trasforma la pelle in una fonte di luce).

martedì, novembre 29, 2005

I SEALS lo facevano meglio

Questi sono lunghi estratti da una recente intervista di Amy Goodman di Democracy Now a Tony Lagouranis, ex-specialista addetto agli interrogatori dell'esercito americano. Una decina di giorni fa l'ho tradotta velocemente per farla leggere a un amico. Pensavo che presto ne avrebbero parlato giornali e blog, ma non ha ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato (o almeno, non in Italia). Per questo oggi ho deciso di riportarne sul blog alcune parti, soprattutto quelle in cui Lagouranis descrive alcune tecniche di interrogatorio, quello che vide a Fallujah e i metodi usati dai marines Force Recon alla base di North Babel.

GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?

LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.

GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?

LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.

GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?

LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.

GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?

LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.

GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?

LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.

GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?

LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.

GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?

LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.

GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?

LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.

[...]

GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?

LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.

[...]

GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?

LAGOURANIS: Sì.

GOODMAN: Cosa faceva laggiù?

LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.

GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?

LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.

GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?

LAGOURANIS: 500.

GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?

LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.

GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?

LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.

GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?

LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.

GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?

LAGOURANIS: Sì.

GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?

LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...

GOODMAN: E lei cosa diceva?

LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.

GOODMAN: E le donne e i bambini?

LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.

GOODMAN: Ne avete discusso?

LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.

GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?

LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.

GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?

LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.

[...]

A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.

GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?

LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.

GOODMAN: E cosa raccontavano?

LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.

GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?

LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.

GOODMAN: Perché era bollente?

LAGOURANIS: Esatto.

GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?

LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.

GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?

LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...

GOODMAN: Che intende dire?

LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.

GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?

LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.

[...]

GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?

LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.

GOODMAN: Be'..

LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.

GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?

LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.

Fonte: Democracy Now!

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