lunedì, febbraio 13, 2006

La French Connection

"Ogni cinque o sei settimane Maurice Gourdault-Montagne, consigliere diplomatico del presidente francese,  vola a Washington per incontrare la sua controparte, il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley. Trascorrono alcune ore a coordinare le strategie sull'Iran, la Siria, il Libano e altre zone calde, e poi il francese ritorna in patria. Tra un incontro e l'altro, i due parlano spesso al telefono, di solito il martedì e il giovedì.

Benvenuti alla French Connection. Benché il legame tra i massimi consiglieri di politica estera dei presidenti Bush e Chirac sia quasi sconosciuto al mondo esterno, è emerso come un elemento importante nella pianificazione statunitense. A livello pubblico, la Francia può ancora essere oggetto delle beffe dei politici americani, ma in questi contatti diplomatici privati l'Eliseo è diventato uno degli alleati più importanti ed efficaci della Casa Bianca..."

"Il nuovo alleato di Bush: la Francia?", di David Ignatius, tradotto per Tlaxcala su mirumir 2.0.

domenica, febbraio 12, 2006

Il numero 2, quasi

Ricordate il raid aereo di un mese fa contro un'abitazione di un villaggio situato nella zona di confine tra Pakistan e Afghanistan? Quello in cui oltre a una dozzina di civili innocenti doveva essere morto anche Al Zawahiri, e invece no? Ecco, i Predator hanno mancato il numero 2, ma hanno preso in pieno un suo parente stretto. Forse il genero. Aha.

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Make-up:
Fondotinta antitraccia Teint Idole ultra, unmanned eyeliner Drone Perfection, lipgloss Deadly Strike nelle sfumature del rosa, cipria illuminante les Météorites, edizione invernale 2005.

venerdì, febbraio 10, 2006

Il favoloso mondo di Scott McClellan

Quando George W. Bush tace (dopo la fantastica uscita sulle "Liberty-I mean-Library-I mean-Bank Towers in Los Angeles") c'è pur sempre il suo addetto stampa Scott McClellan.
Ecco come ha gestito le domande di "Helen" durante la conferenza stampa di ieri alla Casa Bianca.

Domanda: Questa dovrebbe essere una guerra al terrorismo, e per sua stessa ammissione il Presidente ha detto che non c'era nessun collegamento tra l'Iraq e i terroristi. Dunque perché siamo ancora in Iraq a uccidere e a farci uccidere?

MR. McCLELLAN: Be', credo che il Presidente ne abbia già parlato oggi. La posta in Iraq è alta. E ha detto su cosa ci stiamo concentrando...

D: ... perché è alta?

MR. McCLELLAN: Be', l'Iraq è il fronte principale nella guerra al terrorismo. Basta vedere la lettera di Zawahiri a Zarqawi. Riconoscono quanto ci sia in ballo. E noi facciamo altrettanto. E dobbiamo continuare a procedere con il nostro piano per ottenere la vittoria. Ecco perché ci stiamo concentrando...

D: Perché siete andati in Iraq?

MR. McCLELLAN: Be', il Presidente è...

D: Non c'erano, i terroristi.

MR. McCLELLAN: Non sto cercando di tornare sul fatto che... sulle decisioni che abbiamo già preso.

D: Io sì.

MR. McCLELLAN: Abbiamo già spiegato dettagliatamente le ragioni per cui ci siamo andati, ed era perché Saddam...

D: Che poi si sono rivelate sbagliate.

MR. McCLELLAN: La scelta spettava a Saddam Hussein. Continuava a sfidare la comunità internazionale. E il Presidente dopo l'11 settembre decise che non intendevamo aspettare che le minacce si concretizzassero. Dovevamo affrontarlo prima che fosse troppo tardi. E come ha già detto oggi...

D: Era l'Iraq, e non c'erano.

MR. McCLELLAN: Be', credo che avrebbe dovuto ascoltare bene quello che ha detto il Presidente oggi.

D: L'ho fatto.

MR. McCLELLAN: Ha parlato dell'importanza della libertà che sconfigge il terrorismo e della sua capacità di imporsi. Il Medio Oriente è una regione del mondo pericolosa. Quello che stiamo cercando di fare...

D: Perché è stato attaccato l'Iraq?

MR. McCLELLAN: Quello che stiamo cercando di fare è contribuire a trasformare quella regione martoriata offrendole un futuro più promettente. È questo l'effetto della libertà. Le società libere sono società pacifiche. E un Iraq libero contribuirà a ispirare il resto del Medio Oriente.

giovedì, febbraio 09, 2006

Come maltrattare Google e vivere felici

Il premio "Più culo che giudizio" 2006 va alla chiave di ricerca "carcere Abu Grim."



martedì, febbraio 07, 2006

Gggiovani

Mario, 85 anni.
- Miro, lo sai che mi hanno chiesto di coordinare un gruppo di ragazzini per una trasmissione... aspetta, è una tivù di giovani.
- Coordinare?
- Ma sì, ragazzini delle scuole, io darò una mano. Per una televisione che si chiama, aspetta... MTV.
- Mario, MTV?
- La conosci?

domenica, febbraio 05, 2006

Un numero 4, preso

L'ANSA dà la notizia dell'arresto del numero 4 di Al Qaeda, ponendo qualche problema di classificazione. "Mohammed Rabih Abou Zar è stato arrestato qualche giorno fa a Baghdad. È un iracheno. È tutto ciò che posso dire per il momento", ha dichiarato il capo ufficio stampa del ministero dell'interno iracheno. Sarà il solito numero 4 della borgata, un rimpiazzo momentaneo, un succedaneo di passaggio?
Nel frattempo quello che mi preoccupa è la notizia della recente cattura di 270 combattenti di Al Qaeda. Prima si prendono, poi si catalogano, infine si numerano. Qua ci giochiamo mezzo organigramma di bracci destri, mi sa.

sabato, febbraio 04, 2006

Frasi del giorno

"Credo che esista un Onnipotente, e credo che la libertà sia il dono dell'Onnipotente a questo mondo."
George W. Bush; citato in Mark Silva, "Bush Touts Plan in Tennessee" (Chicago Tribune, 1° febbraio)

"La Provvidenza tiene sotto la propria speciale protezione i bambini, gli idioti e gli Stati Uniti d'America."
Lord Bryce, autore di The American Commonwealth, 1888. Citato in Martin Peretz, "BHL USA" (New Republic)

via John Brown, USC Center on Public Diplomacy.

Vogliamo i nomi

Chiave di ricerca del giorno: "chi ha votato Ahmadinejad".



Della serie: non ci accontentiamo di un numero.

venerdì, febbraio 03, 2006

The Memo, Reloaded

Ci sarebbe stato un incontro di circa due ore tra Bush e Blair, il 31 gennaio 2003 - due mesi prima dell'invasione dell'Iraq -, durante il quale Bush parlò della possibilità di orchestrare un incidente in cui Saddam sarebbe stato costretto ad attaccare aerei da ricognizione delle Nazioni Unite, fornendo un valido pretesto per colpire l'Iraq. In quell'occasione, inoltre, Blair dichiarò di essere "stabilmente dalla parte del Presidente e pronto a fare tutto ciò che serviva per disarmare Saddam".
Il memo che documenta l'incontro è stato visto da Philippe Sands, professore di diritto internazionale all'University College di Londra, e rivelerebbe che:

- Bush disse a Blair che gli Stati Uniti erano così preoccupati per il fatto di non riuscire a trovare prove consistenti contro Saddam che pensavano di far volare sull'Iraq degli aerei da ricognizione U2 con i colori delle Nazioni Unite. Così, se Saddam li avesse attaccati, avrebbe violato le risoluzioni dell'ONU.

- Bush espresse perfino la speranza di riuscire a procurarsi un transfuga iracheno che facesse una pubblica dichiarazione sulle armi di distruzione di massa di Saddam. Inoltre accennò anche a una piccola possibilità che Saddam potesse essere assassinato.

- Da parte sua, Blair disse a Bush che una seconda risoluzione dell'ONU sarebbe stata una specie di polizza d'assicurazione, perché avrebbe fornito una copertura internazionale, anche con gli arabi, nel caso qualcosa fosse andato storto durante la campagna militare: metti che Saddam si fosse messo a bruciare i pozzi di petrolio, ad ammazzare bambini, o a fomentare divisioni interne.

- Bush disse a Blair che riteneva improbabile che potesse verificarsi una guerra intestina tra le diverse religioni e i vari gruppi etnici.

Il fatto che Blair abbia offerto il proprio appoggio ai piani di Bush di attaccare l'Iraq anche in assenza di una seconda risoluzione dell'ONU contrasta con le assicurazioni che il primo ministro inglese diede al Parlamento poco tempo dopo. Il 25 febbraio 2003 Blair disse alla Camera dei Comuni che il governo stava dando a Saddam "un'ulteriore, ultima occasione per disarmarsi volontariamente".

Disse infatti: "Detesto il suo regime - come spero facciano la maggioranza delle persone - ma anche ora potrebbe salvarlo se si conformasse alle richieste delle Nazioni Unite. Perfino ora, siamo preparati a fare un passo in più per ottenere pacificamente il disarmo."

Tre settimane prima questi pensavano già di camuffare un U2 con i colori dell'ONU e di farlo volare sull'Iraq, ecco.
Sempre che il memo esista. Secondo il Guardian, esiste. Channel Four ne ha fornito degli estratti.

Se non esiste, sono pronta a partire da subito con la dietrologia e il fondotinta.

giovedì, febbraio 02, 2006

Not literally

Pesco a caso, per esempio dal Corriere:
"In quello che passerà alla storia come il discorso dell''America drogata di petrolio', Bush ha detto che il Paese deve diminuire la sua dipendenza dalle importazioni di greggio dal Medio Oriente, regione instabile, del 75% entro il 2025; che la tecnologia è il modo migliore per farlo; che aumenterà del 22% i finanziamenti per la ricerca sull'energia pulita; che gli sforzi devono concentrarsi su auto a idrogeno e ibride, sul solare, sull'energia eolica e su 'energia nucleare pulita e sicura.'"

L'Arabia Saudita, però, non ha reagito benissimo:
Mercoledì l'ambasciatore saudita a Washington, il principe Turki al-Faisal, ha detto che avrebbe chiesto all'ufficio del signor Bush "cosa esattamente intendeva dire con quelle parole."

Risultato:
Mercoledì, il segretario per l'energia e il direttore del Consiglio economico nazionale di Bush hanno detto che "il presidente non parlava in senso letterale."

Esattamente come le sedici parole di tre anni fa: "The British government has learned that Saddam Hussein recently sought significant quantities of uranium from Africa." "Il governo britannico ha appreso che Saddam Hussein recentemente tentava di procurarsi una notevole quantità di uranio dall'Africa."
Bush non va preso alla lettera, lo sanno tutti che ha problemi di dipendenza dal greggio.

The State of the Onion

Eliminato l'ottanta per cento dei numeri due di al QaedaWASHINGTON, DC - Lunedì il Pentagono ha annunciato che l'80% dei bracci destri di Osama bin Laden è stato eliminato. "Quasi 1600 capi di al Qaeda classificati come numeri due sono stati spazzati via," Ha dichiatato il Ten. Col. Mark Allison. "Adesso ne rimangono solo 400." Dopo il fallimento della missione per uccidere il numero 2 di bin Laden Ayman al-Zawahri con un attacco missilistico su un villaggio pakistano il 13 gennaio, le forze americane hanno intensificato le ricerche del numero 2 Ahmed Al-Zahnami, o, in alternativa, del numero 2 Amman al-Zaharani, oppure del numero 2 Ahmed al-Zafarani.

Notizia finta di The Onion. In realtà siamo solo a 35 bracci destri di Al Zarqawi e a 3 numeri due di bin Laden. Tranquilli, tengo il conto.

martedì, gennaio 31, 2006

Questo è odio

"Mentre si contavano i voti delle elezioni palestinesi e il mondo si rendeva conto delle dimensioni della schiacciante vittoria di Hamas, Aya al-Astal si è allontanata da casa e gironzolando si è avvicinata alla recinzione che si trova lungo il confine tra la striscia di Gaza e Israele.
I suoi genitori, che stavano seguendo i risultati del voto alla televisione, si sono accorti che la loro bambina di nove anni non c'era più. Non sanno esattamente cosa sia successo, ma l'esercito israeliano ha detto in seguito che il comportamento di Aya era sospetto e ricordava quello di un terrorista - si era avvicinata troppo alla recinzione - e così un soldato le ha sparato addosso ripetutamente, colpendola al collo e squarciandole lo stomaco.

Aya è stata il secondo bambino ucciso dall'esercito israeliano la scorsa settimana. Soldati nei pressi di Ramallah hanno sparato al tredicenne Munadel Abu Aaalia alla schiena mentre con due suoi amici camminava lungo una strada riservata ai coloni ebrei. L'esercito ha detto che i ragazzi avevano in mente di lanciare pietre contro auto israeliane, e questo è considerato dall'esercito terrorismo."

La madre di Aya ha detto:

"le hanno sparato al collo e allo stomaco. Lo stomaco le usciva di fuori. Non abbiamo idea del perché sia andata là, ma era una bambina. Era così piccola. Aveva nove anni. Non portava l'hijab. Era chiaro che era solo una bambina. Questo è odio."

Fonte: The Guardian, 30 gennaio 2006.

Due voci dal Glossario dell'espropriazione, di De Rooij:

Zona di sicurezza : Zona di morteAlla fine di dicembre 2005 Israele ha dichiarato una zona di sicurezza, cioè un'area arbitraria vicino al confine con Gaza (dalla parte dei palestinesi) in cui tutti coloro che vi si fossero trovati sarebbero stati uccisi. Inoltre, Israele sta anche ideando delle mitragliatrici automatiche fissate al muro che spareranno su qualsiasi cosa da una certa distanza. Anche se la vera natura di queste zone di morte è nota, alcuni giornalisti continuano a chiamarle "zone di sicurezza". E poi, visto che Israele si riserva il diritto di intervenire ovunque, questo significa che tutti i territori occupati sono zone di tiro libero.

Omicidio di minore gravità : Omicidio sanzionato
Molto prima dell'attuale intifada, a Hebron nel 1996 un colono israeliano colpì con una pistola l'undicenne Hilmi Shusha, uccidendolo. Un giudice israeliano prosciolse l'omicida, dicendo che il bambino era morto per conto suo "a causa della pressione emotiva." Dopo numerosi appelli e dopo le pressioni della Corte Suprema, che definì l'atto "omicidio di minore gravità," il giudice rivide la sentenza e, mentre infuriava l'Intifada di al Aqsa, condannò l'omicida a sei mesi di servizio in una comunità e a una multa di poche centinaia di dollari. Il padre del bambino accusò la corte di aver rilasciato una "licenza d'uccidere". Gideon Levy di Ha'aretz descrisse eloquentemente quella multa come il "prezzo di saldo di fine stagione della vita di un bambino," riferendosi ai dati raccolti da B'tselem, la principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Israele, che documentava decine di casi simili in cui i colpevoli erano stati prosciolti o se l'erano cavata con una tirata d'orecchi.

La scoperta del giorno



Tenere in arresto le mogli dei sospetti terroristi può rivelarsi controproducente, dicono gli esperti.
Trattenere per due giorni una donna che sta ancora allattando il figlio neonato, sperando che questo contribuisca a stanare il marito; attaccare sulla porta di un sospetto combattente il biglietto "vieni a riprenderti tua moglie"; insomma, la tattica "voi uscite di lì e noi vi restituiamo la donne" finirebbe per amareggiare un po' gli iracheni.
A meno che per donne non si intendano le suocere, ma questa è una mia considerazione.

E con le scoperte sconvolgenti direi che per oggi abbiamo finito.

lunedì, gennaio 30, 2006

L'eredità

Dalla trascrizione dell'intervista esclusiva della CBS a Bush:

CBS: Ha avuto già tempo di pensare cosa farà quando non sarà più presidente?

PRESIDENTE BUSH: Sto cominciando a pensarci un po', sì. La prima cosa – la pietra di paragone sarà una una fondazione o una biblioteca Bush. Sarà in Texas, ma non so esattamente dove. Stiamo cominciando a sentire alcuni di quegli istituti per l'istruzione superiore e le loro idee. Mi piacerebbe lasciare un'eredità – o un centro studi, un luogo in cui la gente possa parlare di libertà e del modello di de Tocqueville e di ciò che de Tocqueville vide in America. Mi piacerebbe che ci fosse un luogo dove giovani studiosi possano venire a scrivere, pensare, articolare, opinare e insegnare, ma per ora non sono andato oltre. E poi naturalmente c'è questo bel posto in cui andare, il mio ranch.

Ogni limite ha la sua pazienza

Ultimamente guardo poco la tv, per un banale istinto di autodifesa. Se almeno l'antennista mi avesse già installato la parabola passerei i ritagli di tempo a guardare quei documentari edificanti dal titolo "Emozioni forti: la dinamo", "Il rodio, questo sconosciuto", "Invenzioni che hanno cambiato la storia: il motore diesel", "Relazioni pericolose: la vita affettiva delle tarantole" e "Vestiti, usciamo: avventure nella cucina molecolare".
Invece succede come l'altra sera, con Piero Angela su Rai3 a passeggiare sul pianoforte di Mozart e Berlusconi su ItaliaUno. Paura.

Se quindici anni fa mi avessero detto che un sabato sera del 2006 avrei visto Claudio Martelli in maglioncino blu condurre su una "rete Fininvest" un programma dal titolo L'Incudine, ospite Silvio Berlusconi in veste di Presidente del consiglio, giuro che avrei tentato di emigrare con i seguenti mezzi a mia disposizione:
1. accettare di trascorrere un periodo di tempo dai contorni incerti a Rotterdam, settore American Studies;
2. trasferirmi a Londra, cedendo alle insistenti benché graziosissime richieste di N.;
3. andare a insegnare l'italiano a Leningrado, nella gloriosa unione indivisibile di libere repubbliche.

Purtroppo:
1. American Studies a Rotterdam, non aggiungo altro. E non venitemi a dire che a Rotterdam c'è vita. Adesso, c'è vita.
2. Tendo a non accettare le proposte di matrimonio o di convivenza che mi giungono da uomini conosciuti su una pista di pattinaggio su ghiaccio. Neanche se mi hanno salvato da una frattura scomposta del femore (mio eroe).
3. Leningrado si chiamava già San Pietroburgo (le repubbliche libere avevano rivelato qualche difetto di saldatura) ma io mi rifiutavo caparbiamente di fare autocritica.

Ore 10.24 di lunedì 30 gennaio 2006: la paziente risulta lucida, presente a se stessa e disposta ad ammettere il crollo dell'URSS. "Sì, ebbene? Lo so da anni," ha dichiarato con tono di sfida. Messa alle strette, ha poi confessato: "L'ho visto su History Channel, due mesi fa."
Le sue ultime parole sono state: "Portatemi un antennista."

sabato, gennaio 28, 2006

The Guantanamo Happy Meal

Link a 2.0 sulle condizioni dei detenuti di Guantanamo che fanno lo sciopero della fame per ottenere un giusto processo. Anticipazione: stanno molto male.

Intanto so lavorando all'ipnopedia.

mercoledì, gennaio 25, 2006

Three-minute tragedies

Questa casa vuole dirmi qualcosa.

Mi faccio dare da mio padre uno dei televisori che tiene in un armadio e che risalgono all'epoca delle nonne. Televisori nuovi, che sono stati sintonizzati per tutta la loro breve vita catodicamente attiva solo su Sentieri o La schiava Isaura, per un'ora al giorno.
Il televisore entra in casa, si accomoda nello studio sul mobiletto che già ospita videoregistratore-lettore divx-playstation2, decide di perdere tutte le sintonie ed entra in modalità bianco e nero prima di addormentarsi per sempre senza neanche chiedermi "sognerò?".

Compro un cordless. Lo pesco da una pila di suoi simili, dopo una breve conta scaramantica. Mi segue fino a casa e si lascia mettere sotto carica mente leggo le istruzioni. Non è normale che faccia bleep e si illumini vivacemente ogni venti secondi, ma sono troppo affascinata dalla prospettiva di inserire il carismatico filtro VIP per considerarlo un sintomo di malfunzionamento. Penso compiaciuta: nuove ipnotiche tecnologie moderne, mi fa le feste, mi fa! Dopo due giorni mi rendo conto che se non ricevo telefonate non è per un improvviso calo di popolarità, ma perché il cordless è in coma vigile. Ormai fa bleep in tutte le lingue del mondo, lanciando SOS disperati, e io niente. In compenso mia madre continua a chiamare e ormai mi immagina morta in casa da quarantott'ore, con il signor G. che mi veglia listato a lutto.

Sono in modalità contemplativa quando decido di andare a vedere a che punto sta il ciclo dell'asciugabiancheria (solitamente me ne ricordo quando le tovaglie da sei si sono trasformate in tovagliolini da cocktail). La solita tragedia in tre minuti: il contenitore dell'acqua è uscito dalla sua base e una cascatella di medie dimensioni sta precipitando sul pavimento dove gioca al torrente di montagna con le piastrelle azzurre. Ho la relativa prontezza di lanciarmi sull'interruttore della corrente elettrica perché acqua ed elettricità non devono incontrarsi in questa vita, tanto meno in presenza dei miei piedi. Scivolo sui calzettoni antisdrucciolo (non pensati per condizioni estreme), cado, mi rialzo, mi tolgo al volo la felpa e la butto sul pavimento. Asciugo alla meno peggio, mi rialzo e sbatto la testa contro il portellone della maledetta macchina. La perdita di dati è consistente: scompaiono per sempre interi brani della Divina Commedia e dell'Onegin, buongiorno e buonasera in finlandese e il finale di Solaris, mentre del russo rimangono solo due proverbi e l'accorata domanda: "Скажите пожалуйста, где находится остановка автобуса?" ("Scusi, potrebbe dirmi dov'è la fermata dell'autobus?") Ma soprattutto, non capisco che ci faccio - io, un momento prima così distintamente zen - in un bagno allagato, in t-shirt bianca e calzettoni antisdrucciolo rosa shocking con la scritta stop! sulla pianta e una felpa fradicia sul pavimento, mentre nell'asciugabiancheria c'è solo un minuscolo e floscio tovagliolo blu.

Il televisore non sintonizza, il cordless non telefona, l'asciugatrice bagna, la Tivoli prende solo il rosario di Radio Maria, il forno impiega un'ora e venti per cuocere una pizza margherita e mettiamoci pure che fino a cinque giorni fa la portante non portava e le plafoniere non plafonavano. Dico.
Sabato mattina c'è stato un blackout di mezz'ora in tutta la città e io pensavo che fosse dovuto al mio uso irresponsabile dell'asciugacapelli: vecchiette bloccate in ascensori fermi tra il quarto e il quinto piano, catene del freddo spezzate per sempre, semafori in tilt, e tutto a causa dell'uso avido di un phon. Sto maturando sensi di colpa insopportabili, tutti invariabilmente legati all'elettricità e ai suoi utilizzi, e ho perfino valutato l'ipotesi di trasferirmi nella Croma grigia abbandonata sotto casa, quella targata Torino, gomma a terra, bollo scaduto, assicurazione di fantasia e multa sul parabrezza.

Odio tornare al solito horror giapponese pieno di studentesse in calzettoni o ai videogiochi estremi (quelli che per farti capire che avrai tanta paura esibiscono il disegnetto di una tarantola sul retro della confezione: una discreta scossa di panico anche per gli "aracnofobici lievi"), ma nell'episodio quattro di Silent Hill a un certo punto la tecnologia si ribellava, l'idraulica andava per i cazzi suoi e spuntavano strani bozzoli di bambini urlanti dal muro del tinello. Però con un set di candele per esorcismi si risolveva tutto senza tante storie (pozze di sangue escluse) e con l'ascia-bonus si poteva anche far fuori l'amministratore di condominio. E poi non si è mai visto in un gioco, neanche incappando nella conclusione pessimista, che la protagonista e il suo gatto finissero a dormire in una Croma abbandonata targata TO, in compagnia di un cordless autistico.

(Mi sono appena ricordata che in finlandese buon giorno si dice hyvää huomenta. Un finale all'insegna del'ottimismo.)

Non la testa, non l'anima/Intervista a Marwan Barghouti

Avevo raccolto un po' di materiale su Marwan Barghouti poco più di un anno fa, in due post: questo e questo

Questa è la traduzione della trascrizione completa dell'intervista esclusiva di Lindsey Hilsum a Barghouti per Channel 4 News del 22 gennaio 2006.

Marwan Barghouti: Gli israeliani sono riusciti ad arrestare il mio corpo, ma non la mia testa, non la mia anima. Non ci riusciranno. Non spezzeranno la nostra volontà di indipendenza e di libertà.
Sono rimasto in isolamento per la maggior parte del tempo. Non ho visto nessuno, non ho ricevuto le visite dei miei figli, di mia moglie, né di nessun altro.
Le è la prima giornalista, insieme agli altri che sto vedendo ora. Oggi è il primo giorno della mia vita in prigione in cui incontro qualcuno, dopo quattro anni.

Penso che Hamas faccia parte del popolo palestinese e che abbia il diritto di partecipare alle elezioni, e io personalmente in questi anni e anche l'anno scorso ho cercato di convincerli e di fare pressioni perché partecipassero alle elezioni.

Quindi ben venga questa decisione storica di Hamas, perché che cosa significa decidere di partecipare alle elezioni? Significa che credono nella democrazia, che sono pronti a lavorare secondo le regole della legge e della democrazia, e questo è molto importante.

Lindsey Hilsum: Quindi è la fine della lotta armata, è chiusa l'epoca delle bombe e dei fucili?

MB: Il popolo palestinese, questo dovrebbe essere chiaro, ha comunque il pieno diritto di resistere alle operazioni militari israeliane nei territori occupati.
Pensa forse che gli israeliani avrebbero lasciato Gaza se non ci fosse stata l'intifada, la resistenza? No. Sono rimasti 38 anni. Perché se ne vanno da Gaza? Io penso che sia un grande risultato dell'intifada.
Ma i palestinesi dovrebbero dare una possibilità a ogni genere di tentativo, internazionale e locale, e così faremo.
Mi creda, gli israeliani considerano un terrorista chiunque si opponga all'occupazione. Non è così.

Non credo che gli israeliani siano nella posizione e nella condizione di descrivere le persone, e credo che siano gli ultimi al mondo a poter parlare di terrorismo.

LH: Ma hanno prove specifiche. L'hanno portata davanti a un tribunale, avevano persone che a loro dire erano state assassinate. Hanno dimostrato il suo coinvolgimento, i documenti che dimostravano che lei pagava delle persone perché mettessero in atto attentati suicidi.

MB: Assolutamente no. E io non tratto con il tribunale israeliano. Non riconosco il diritto di Israele a condannare un capo palestinese, un membro palestinese del parlamento.

Gli israeliani non hanno rispettato la democrazia. Sanno benissimo che io non ho diretto attacchi militari qua e là. È la verità. Sono molto esplicito sul fatto che sostengo l'intifada palestinese e la resistenza palestinese.

Io le parlo mentre mi trovo in carcere, non mentre sono fuori. E, anche così, continuo a dirlo.

LH: Dunque cosa pensa adesso degli attentati suicidi che continuano a verificarsi? Ce n'è stato uno giorni fa a Tel Aviv…

MB: Siamo contrari.

LH: Sì, ma cosa pensa dei palestinesi che lo fanno?

MB: Penso che gli israeliani non aiutino i palestinesi a raggiungere una soluzione nelle loro discussioni interne. Più di una volta i palestinesi sono stati vicini a una decisione al proposito. Ma durante l'intifada gli israeliani hanno ucciso 800 bambini palestinesi.

LH: E questo giustifica l'uccisione di bambini israeliani da parte dei palestinesi?

MB: No. In ogni caso nessuno può giustificare l'uccisione di civili – bambini, donne, in qualunque luogo del mondo. Dovrebbero essere tenuti fuori. Questo dev'essere chiaro. In Palestina e in Israele.

Abbiamo bisogno di due capi che siano pronti a prendere decisioni, decisioni critiche, e a correre rischi, dal lato palestinese e da quello israeliano.
E io credo che il mio popolo sia pronto alla pace con il popolo di Israele. Dovremmo agire secondo le categorie democratiche riconosciute in tutto il mondo. Dovemmo costruire uno Stato democratico, e io penso che il popolo palestinese sia perfettamente qualificato a farlo.

LH: Ma a Gaza stanno combinando un disastro. Guardi Gaza, persone che si sparano tra loro, che rapiscono stranieri, è il caos.

MB: Penso che sia un grave crimine rapire un giornalista o uno straniero. Ho mandato un messaggio attraverso i mezzi di informazione alle persone che conosco là e spero che non lo rifaranno.

MB: [A proposito della partecipazione delle donne alla lotta] Hanno assunto un ruolo importante nella lotta contro l'occupazione e spero che nel futuro vedremo un primo ministro palestinese donna.

LH: Pensa che trascorrerà il resto della sua vita in prigione? Cinque ergastoli...

MB: No. Assolutamente no. Sarò libero insieme a tutti questi altri detenuti. Gli israeliani non possono tenerci tutti e diecimila in carcere. E alla fine scopriranno… sa quello che è successo in Sudafrica? Alla fine sono andati da Mandela e hanno negoziato. E cos'è successo, anche in Irlanda?

LH: In Irlanda? Si sono parlati.

MB: Alla fine si sono parlati. E hanno rilasciato tutti i prigionieri. Il governo britannico li considerava dei terroristi. Io penso che noi siamo combattenti per la libertà. Nel futuro, mi vedo come un cittadino palestinese che esercita il proprio diritto in uno Stato democratico palestinese. Questo è il mio sogno.

Originale in inglese: http://www.channel4.com

Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.

lunedì, gennaio 23, 2006

Operazione Verdun

Una città trasformata in prigione
di Dahr Jamail
(con Arkan Hamed)

SINIYAH, Iraq – Gli abitanti di Siniyah, un villaggio a 200 km a nord di Baghdad, sono infuriati per il muro di sabbia lungo una decina chilometri costruito dall’esercito americano per tenere sotto controllo gli attacchi da parte dei ribelli.

“La nostra città è diventata un campo di battaglia,” ha detto all’Inter Press Service l’ingegnere trentacinquenne Fuad Al-Mohandis, fermo a un posto di blocco alla periferia della città. "Sono state distrutte moltissime case e gli americani stanno minando aree in cui pensano che possano trovarsi dei combattenti, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di zone vicine ad abitazioni di civili innocenti."

I soldati della 101ma Divisione aviotrasportata hanno subito attacchi pressoché quotidiani per mezzo di bombe sistemate ai bordi delle strade.
Fuad ha detto l’esercito americano ha imposto un coprifuoco dalle cinque del pomeriggio e che “al momento ci sono molte esplosioni che terrorizzano i nostri bambini.”

Il 7 gennaio l’esercito statunitense ha cominciato a usare le ruspe per costruire un’ampia barriera di sabbia attorno alla città nel tentativo di isolare i combattenti che attaccano le pattuglie americane. Gli oleodotti verso la Turchia che si trovano in quest’area sono stati regolarmente sabotati dai gruppi della resistenza.

Queste misure drastiche hanno fatto infuriare molti dei 3000 abitanti della cittadina.
“Pensano che in questo modo riusciranno a fermare la resistenza," ha dichiarato all’IPS Amer, 43 anni, dipendente della vicina raffineria di Beji. “Ma gli americani così facendo stanno provocando una resistenza ancora maggiore. La resistenza non smetterà di attaccarli finché non si ritireranno dal nostro paese.”

Il dipendente ha detto che non era stato in grado di uscire di casa per diversi giorni, e che non aveva potuto recarsi al lavoro né a visitare i suoi familiari fuori Siniyah.

L’esercito statunitense ha battezzato la costruzione del muro di sabbia “Operazione Verdun”, richiamandosi a una battaglia della prima guerra mondiale. Le forze d’occupazione pensano che la città sia diventata la base dalla quale vengono lanciati gli attacchi alle loro pattuglie e i bombardamenti a colpi di mortaio contro la vicina Base di Summerall.

Vicino alla città sono stati installati dei posti blocco, dove le forze di sicurezza irachene e statunitensi perquisiscono tutti i veicoli alla ricerca di armi e di esplosivi.

“Non siamo più in grado di lavorare, i nostri redditi dipendono dalla distribuzione del carburante,” ha detto alla IPS il camionista Abdul Qadr a uno dei posti di blocco. “Ci troviamo in una situazione molto difficile. La città è attualmente isolata e ovunque stanno costruendo barricate per fermare i combattenti. Tutti i giorni fanno incursione nelle nostre case alla ricerca di stranieri, ma non riescono a trovarne.”

Abdul Qadr, che è cresciuto a Siniyah, ha detto all’IPS che lui e i suoi vicini hanno l’impressione di trovarsi in un “campo di concentramento.” Così anche gli abitanti di Fallujah e Samarra hanno descritto le loro città quando le forze statunitensi vi hanno costruito attorno dei muri simili a questo.

A Samarra l’esercito americano ha costruito un muro di 18 chilometri, mentre a Fallujah sono tuttora installati posti di blocco all’israeliana. Le forze d’occupazione hanno imposto misure simili anche in altre città come Al-Qa'im, Haditha, Ramadi, Balad, and Abu Hishma.

Da quando tali misure sono state messe in atto nelle diverse città, gli attacchi contro le forze di sicurezza non hanno fatto che aumentare, fino a giungere a una media di più di cento al giorno negli ultimi mesi.

“Gli americani pensano che i combattenti vengano dall’estero,” ha commentato Qadr. “Ma non è così. Non riescono a capire che la sola vera soluzione è permettere a un popolo di governarsi da solo?”

(Inter Press Service)

Fonte in inglese: http://www.antiwar.com/jamail/?articleid=8424
Traduzione in francese: http://quibla.net/iraq2006/iraq1.htm

Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com ). Questa traduzione è in Copyleft.

sabato, gennaio 21, 2006

Non sono gli ulivi, di Amira Hass

11 gennaio 2006

C’è qualcosa di molto umano in queste centinaia e centinaia di ulivi spezzati, i rami amputati tesi verso il cielo come se stessero implorando aiuto. Lo scorso venerdì, a Tawana, nelle colline a sud di Hebron, 120 alberi; a Burin, a sud di Nablus, agli inizi di questa settimana, circa 50 alberi; più o meno altri 100 a Burin il 24 dicembre; e 140 alberi, nuovamente a Burin, il 14 dicembre.

La polizia ha contato 733 alberi sradicati nel 2005. Secondo la lista (incompleta) di 29 casi di sabotaggio agricolo documentati dai gruppi per la difesa dei diritti umani Yesh Din e B'Tselem da marzo a dicembre, sono stati messi fuori uso 2616 alberi: sradicati, rubati, bruciati, spaccati, segati. Solo a Salem in quattro volte ne sono stati sradicati 900. Anche ammettendo che chi ha calcolato i danni abbia esagerato, entrambe le parti concordano sul fatto che gli israeliani stanno compromettendo i vigneti e le piantagioni.

Il moltiplicarsi negli ultimi mesi di immagini di alberi distrutti “da ignoti” è stato abbastanza traumatizzante da indurre il procuratore generale ad attaccare l’immobilismo delle autorità, e il ministro Gideon Ezra a convocare un incontro durante il quale si è deciso di mettere in atto misure di controllo “sugli insediamenti riconosciuti come problematici.”

Il trauma, tuttavia, è selettivo. L’Esercito di Difesa Israeliano ha sradicato migliaia di ulivi e di alberi da frutto, terre coltivate e serre, e continua a farlo – per rendere sicure le proprie strade e per aumentare la visibilità dei soldati; per costruire torri di guardia, posti di blocco e la barriera di separazione; e inoltre per realizzare altre strade e recintare gli insediamenti.

Nel solo villaggio di Qafeen, per esempio, per realizzare la barriera di separazione sono stati sradicati 12.600 ulivi. Migliaia di altri alberi – forse decine di migliaia – e migliaia di acri della Cisgiordania sono rimasti intrappolati dietro i muri, le recinzioni e le zone cuscinetto che circondano gli insediamenti. Solo a Qafeen 100.000 alberi sono imprigionati dietro la recinzione e per la maggior parte dell’anno ai loro proprietari è vietato accedervi. Non possono fare altro che guardarli da lontano e lasciarli in uno stato di completo abbandono. Naturalmente come spiegazione viene citata la “sicurezza”, ma per qualche motivo la sicurezza finisce sempre per causare un’ulteriore efficace sottrazione di territorio palestinese a beneficio dell’insediamento confinante, oppure per ampliare o rendere più confusa la Linea Verde e l’annessione del territorio a Israele.

Le persone che restano impressionate da questi episodi ignorano che le piantagioni di Salem e Tawana sono prossime a strade che sono chiuse al traffico palestinese perché collegano degli insediamenti. È l’Esercito di Difesa Israeliano a chiudere e a bloccare le strade e le centinaia di chilometri di ottimo asfalto della Cisgiordania precluse al traffico palestinese.

Lo sradicamento di 100 alberi sabota la capacità di un’intera famiglia di provvedere al proprio mantenimento. La chiusura delle strade sabota la vitalità economica dell’intero popolo palestinese. L’Esercito di Difesa Israeliano naturalmente dirà che è necessario proteggere i cittadini israeliani. Ma allora perché tutti si sorprendono e si indignano quando quegli stessi cittadini continuano ad estendere la logica del controllo israeliano sui territori occupati?
Secondo quella logica, Israele ha il diritto di istituire un doppio principio legale nei territori occupati: uno per gli ebrei, e un altro per i palestinesi. Se da un lato gli ebrei godono di diritti illimitati per quanto riguarda le abitazioni, la libertà di movimento, i mezzi di sostentamento, le infrastrutture, l’utilizzo dell’acqua e della terra, dall’altro i palestinesi vengono sistematicamente privati dei diritti umani e civili. Secondo quella logica i palestinesi sono costretti a cavarsela con porzioni di terra sempre più piccole di cui devono dimostrare di essere i legittimi proprietari. Le porzioni di terra più ampie, la cui proprietà non è registrata presso l’Amministrazione del Territorio di Israele, appartiene automaticamente a “Israele” e ai consigli dei coloni.

I coloni non dettano le politiche, ne sono il risultato. Vivono tutti in pace e senza scrupoli di coscienza alla faccia di centinaia di comunità impoverite ed efficacemente trasformate in prigioni per permettere all’Esercito di Difesa Israeliano di continuare a proteggere ciò che lo stato d’Israele ha intrapreso: il controllo della maggior parte possibile di territorio, l’espulsione del maggior numero possibile di palestinesi. Una minoranza di israeliani non aspetta che a distruggere siano l’Esercito di Difesa e lo stato; distrugge già da sé. È facile lasciarsi impressionare da una minoranza e dimenticare la responsabilità di tutti.

Fonte in inglese: http://www.haaretz.com/hasen/spages/668697.html
Tradotto dall'inglese all’italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.