Eliminato l'ottanta per cento dei numeri due di al QaedaWASHINGTON, DC - Lunedì il Pentagono ha annunciato che l'80% dei bracci destri di Osama bin Laden è stato eliminato. "Quasi 1600 capi di al Qaeda classificati come numeri due sono stati spazzati via," Ha dichiatato il Ten. Col. Mark Allison. "Adesso ne rimangono solo 400." Dopo il fallimento della missione per uccidere il numero 2 di bin Laden Ayman al-Zawahri con un attacco missilistico su un villaggio pakistano il 13 gennaio, le forze americane hanno intensificato le ricerche del numero 2 Ahmed Al-Zahnami, o, in alternativa, del numero 2 Amman al-Zaharani, oppure del numero 2 Ahmed al-Zafarani.
Notizia finta di The Onion. In realtà siamo solo a 35 bracci destri di Al Zarqawi e a 3 numeri due di bin Laden. Tranquilli, tengo il conto.
giovedì, febbraio 02, 2006
The State of the Onion
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martedì, gennaio 31, 2006
Questo è odio
"Mentre si contavano i voti delle elezioni palestinesi e il mondo si rendeva conto delle dimensioni della schiacciante vittoria di Hamas, Aya al-Astal si è allontanata da casa e gironzolando si è avvicinata alla recinzione che si trova lungo il confine tra la striscia di Gaza e Israele.
I suoi genitori, che stavano seguendo i risultati del voto alla televisione, si sono accorti che la loro bambina di nove anni non c'era più. Non sanno esattamente cosa sia successo, ma l'esercito israeliano ha detto in seguito che il comportamento di Aya era sospetto e ricordava quello di un terrorista - si era avvicinata troppo alla recinzione - e così un soldato le ha sparato addosso ripetutamente, colpendola al collo e squarciandole lo stomaco.
Aya è stata il secondo bambino ucciso dall'esercito israeliano la scorsa settimana. Soldati nei pressi di Ramallah hanno sparato al tredicenne Munadel Abu Aaalia alla schiena mentre con due suoi amici camminava lungo una strada riservata ai coloni ebrei. L'esercito ha detto che i ragazzi avevano in mente di lanciare pietre contro auto israeliane, e questo è considerato dall'esercito terrorismo."
La madre di Aya ha detto:
"le hanno sparato al collo e allo stomaco. Lo stomaco le usciva di fuori. Non abbiamo idea del perché sia andata là, ma era una bambina. Era così piccola. Aveva nove anni. Non portava l'hijab. Era chiaro che era solo una bambina. Questo è odio."
Fonte: The Guardian, 30 gennaio 2006.
Due voci dal Glossario dell'espropriazione, di De Rooij:
Zona di sicurezza : Zona di morteAlla fine di dicembre 2005 Israele ha dichiarato una zona di sicurezza, cioè un'area arbitraria vicino al confine con Gaza (dalla parte dei palestinesi) in cui tutti coloro che vi si fossero trovati sarebbero stati uccisi. Inoltre, Israele sta anche ideando delle mitragliatrici automatiche fissate al muro che spareranno su qualsiasi cosa da una certa distanza. Anche se la vera natura di queste zone di morte è nota, alcuni giornalisti continuano a chiamarle "zone di sicurezza". E poi, visto che Israele si riserva il diritto di intervenire ovunque, questo significa che tutti i territori occupati sono zone di tiro libero.
Omicidio di minore gravità : Omicidio sanzionato
Molto prima dell'attuale intifada, a Hebron nel 1996 un colono israeliano colpì con una pistola l'undicenne Hilmi Shusha, uccidendolo. Un giudice israeliano prosciolse l'omicida, dicendo che il bambino era morto per conto suo "a causa della pressione emotiva." Dopo numerosi appelli e dopo le pressioni della Corte Suprema, che definì l'atto "omicidio di minore gravità," il giudice rivide la sentenza e, mentre infuriava l'Intifada di al Aqsa, condannò l'omicida a sei mesi di servizio in una comunità e a una multa di poche centinaia di dollari. Il padre del bambino accusò la corte di aver rilasciato una "licenza d'uccidere". Gideon Levy di Ha'aretz descrisse eloquentemente quella multa come il "prezzo di saldo di fine stagione della vita di un bambino," riferendosi ai dati raccolti da B'tselem, la principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Israele, che documentava decine di casi simili in cui i colpevoli erano stati prosciolti o se l'erano cavata con una tirata d'orecchi.
I suoi genitori, che stavano seguendo i risultati del voto alla televisione, si sono accorti che la loro bambina di nove anni non c'era più. Non sanno esattamente cosa sia successo, ma l'esercito israeliano ha detto in seguito che il comportamento di Aya era sospetto e ricordava quello di un terrorista - si era avvicinata troppo alla recinzione - e così un soldato le ha sparato addosso ripetutamente, colpendola al collo e squarciandole lo stomaco.
Aya è stata il secondo bambino ucciso dall'esercito israeliano la scorsa settimana. Soldati nei pressi di Ramallah hanno sparato al tredicenne Munadel Abu Aaalia alla schiena mentre con due suoi amici camminava lungo una strada riservata ai coloni ebrei. L'esercito ha detto che i ragazzi avevano in mente di lanciare pietre contro auto israeliane, e questo è considerato dall'esercito terrorismo."
La madre di Aya ha detto:
"le hanno sparato al collo e allo stomaco. Lo stomaco le usciva di fuori. Non abbiamo idea del perché sia andata là, ma era una bambina. Era così piccola. Aveva nove anni. Non portava l'hijab. Era chiaro che era solo una bambina. Questo è odio."
Fonte: The Guardian, 30 gennaio 2006.
Due voci dal Glossario dell'espropriazione, di De Rooij:
Zona di sicurezza : Zona di morteAlla fine di dicembre 2005 Israele ha dichiarato una zona di sicurezza, cioè un'area arbitraria vicino al confine con Gaza (dalla parte dei palestinesi) in cui tutti coloro che vi si fossero trovati sarebbero stati uccisi. Inoltre, Israele sta anche ideando delle mitragliatrici automatiche fissate al muro che spareranno su qualsiasi cosa da una certa distanza. Anche se la vera natura di queste zone di morte è nota, alcuni giornalisti continuano a chiamarle "zone di sicurezza". E poi, visto che Israele si riserva il diritto di intervenire ovunque, questo significa che tutti i territori occupati sono zone di tiro libero.
Omicidio di minore gravità : Omicidio sanzionato
Molto prima dell'attuale intifada, a Hebron nel 1996 un colono israeliano colpì con una pistola l'undicenne Hilmi Shusha, uccidendolo. Un giudice israeliano prosciolse l'omicida, dicendo che il bambino era morto per conto suo "a causa della pressione emotiva." Dopo numerosi appelli e dopo le pressioni della Corte Suprema, che definì l'atto "omicidio di minore gravità," il giudice rivide la sentenza e, mentre infuriava l'Intifada di al Aqsa, condannò l'omicida a sei mesi di servizio in una comunità e a una multa di poche centinaia di dollari. Il padre del bambino accusò la corte di aver rilasciato una "licenza d'uccidere". Gideon Levy di Ha'aretz descrisse eloquentemente quella multa come il "prezzo di saldo di fine stagione della vita di un bambino," riferendosi ai dati raccolti da B'tselem, la principale organizzazione di difesa dei diritti umani in Israele, che documentava decine di casi simili in cui i colpevoli erano stati prosciolti o se l'erano cavata con una tirata d'orecchi.
La scoperta del giorno
Tenere in arresto le mogli dei sospetti terroristi può rivelarsi controproducente, dicono gli esperti.
Trattenere per due giorni una donna che sta ancora allattando il figlio neonato, sperando che questo contribuisca a stanare il marito; attaccare sulla porta di un sospetto combattente il biglietto "vieni a riprenderti tua moglie"; insomma, la tattica "voi uscite di lì e noi vi restituiamo la donne" finirebbe per amareggiare un po' gli iracheni.
A meno che per donne non si intendano le suocere, ma questa è una mia considerazione.
E con le scoperte sconvolgenti direi che per oggi abbiamo finito.
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lunedì, gennaio 30, 2006
L'eredità
Dalla trascrizione dell'intervista esclusiva della CBS a Bush:
CBS: Ha avuto già tempo di pensare cosa farà quando non sarà più presidente?
PRESIDENTE BUSH: Sto cominciando a pensarci un po', sì. La prima cosa – la pietra di paragone sarà una una fondazione o una biblioteca Bush. Sarà in Texas, ma non so esattamente dove. Stiamo cominciando a sentire alcuni di quegli istituti per l'istruzione superiore e le loro idee. Mi piacerebbe lasciare un'eredità – o un centro studi, un luogo in cui la gente possa parlare di libertà e del modello di de Tocqueville e di ciò che de Tocqueville vide in America. Mi piacerebbe che ci fosse un luogo dove giovani studiosi possano venire a scrivere, pensare, articolare, opinare e insegnare, ma per ora non sono andato oltre. E poi naturalmente c'è questo bel posto in cui andare, il mio ranch.
CBS: Ha avuto già tempo di pensare cosa farà quando non sarà più presidente?
PRESIDENTE BUSH: Sto cominciando a pensarci un po', sì. La prima cosa – la pietra di paragone sarà una una fondazione o una biblioteca Bush. Sarà in Texas, ma non so esattamente dove. Stiamo cominciando a sentire alcuni di quegli istituti per l'istruzione superiore e le loro idee. Mi piacerebbe lasciare un'eredità – o un centro studi, un luogo in cui la gente possa parlare di libertà e del modello di de Tocqueville e di ciò che de Tocqueville vide in America. Mi piacerebbe che ci fosse un luogo dove giovani studiosi possano venire a scrivere, pensare, articolare, opinare e insegnare, ma per ora non sono andato oltre. E poi naturalmente c'è questo bel posto in cui andare, il mio ranch.
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Ogni limite ha la sua pazienza
Ultimamente guardo poco la tv, per un banale istinto di autodifesa. Se almeno l'antennista mi avesse già installato la parabola passerei i ritagli di tempo a guardare quei documentari edificanti dal titolo "Emozioni forti: la dinamo", "Il rodio, questo sconosciuto", "Invenzioni che hanno cambiato la storia: il motore diesel", "Relazioni pericolose: la vita affettiva delle tarantole" e "Vestiti, usciamo: avventure nella cucina molecolare".
Invece succede come l'altra sera, con Piero Angela su Rai3 a passeggiare sul pianoforte di Mozart e Berlusconi su ItaliaUno. Paura.
Se quindici anni fa mi avessero detto che un sabato sera del 2006 avrei visto Claudio Martelli in maglioncino blu condurre su una "rete Fininvest" un programma dal titolo L'Incudine, ospite Silvio Berlusconi in veste di Presidente del consiglio, giuro che avrei tentato di emigrare con i seguenti mezzi a mia disposizione:
1. accettare di trascorrere un periodo di tempo dai contorni incerti a Rotterdam, settore American Studies;
2. trasferirmi a Londra, cedendo alle insistenti benché graziosissime richieste di N.;
3. andare a insegnare l'italiano a Leningrado, nella gloriosa unione indivisibile di libere repubbliche.
Purtroppo:
1. American Studies a Rotterdam, non aggiungo altro. E non venitemi a dire che a Rotterdam c'è vita. Adesso, c'è vita.
2. Tendo a non accettare le proposte di matrimonio o di convivenza che mi giungono da uomini conosciuti su una pista di pattinaggio su ghiaccio. Neanche se mi hanno salvato da una frattura scomposta del femore (mio eroe).
3. Leningrado si chiamava già San Pietroburgo (le repubbliche libere avevano rivelato qualche difetto di saldatura) ma io mi rifiutavo caparbiamente di fare autocritica.
Ore 10.24 di lunedì 30 gennaio 2006: la paziente risulta lucida, presente a se stessa e disposta ad ammettere il crollo dell'URSS. "Sì, ebbene? Lo so da anni," ha dichiarato con tono di sfida. Messa alle strette, ha poi confessato: "L'ho visto su History Channel, due mesi fa."
Le sue ultime parole sono state: "Portatemi un antennista."
Invece succede come l'altra sera, con Piero Angela su Rai3 a passeggiare sul pianoforte di Mozart e Berlusconi su ItaliaUno. Paura.
Se quindici anni fa mi avessero detto che un sabato sera del 2006 avrei visto Claudio Martelli in maglioncino blu condurre su una "rete Fininvest" un programma dal titolo L'Incudine, ospite Silvio Berlusconi in veste di Presidente del consiglio, giuro che avrei tentato di emigrare con i seguenti mezzi a mia disposizione:
1. accettare di trascorrere un periodo di tempo dai contorni incerti a Rotterdam, settore American Studies;
2. trasferirmi a Londra, cedendo alle insistenti benché graziosissime richieste di N.;
3. andare a insegnare l'italiano a Leningrado, nella gloriosa unione indivisibile di libere repubbliche.
Purtroppo:
1. American Studies a Rotterdam, non aggiungo altro. E non venitemi a dire che a Rotterdam c'è vita. Adesso, c'è vita.
2. Tendo a non accettare le proposte di matrimonio o di convivenza che mi giungono da uomini conosciuti su una pista di pattinaggio su ghiaccio. Neanche se mi hanno salvato da una frattura scomposta del femore (mio eroe).
3. Leningrado si chiamava già San Pietroburgo (le repubbliche libere avevano rivelato qualche difetto di saldatura) ma io mi rifiutavo caparbiamente di fare autocritica.
Ore 10.24 di lunedì 30 gennaio 2006: la paziente risulta lucida, presente a se stessa e disposta ad ammettere il crollo dell'URSS. "Sì, ebbene? Lo so da anni," ha dichiarato con tono di sfida. Messa alle strette, ha poi confessato: "L'ho visto su History Channel, due mesi fa."
Le sue ultime parole sono state: "Portatemi un antennista."
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sabato, gennaio 28, 2006
The Guantanamo Happy Meal
Link a 2.0 sulle condizioni dei detenuti di Guantanamo che fanno lo sciopero della fame per ottenere un giusto processo. Anticipazione: stanno molto male.
Intanto so lavorando all'ipnopedia.
Intanto so lavorando all'ipnopedia.
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mercoledì, gennaio 25, 2006
Three-minute tragedies
Questa casa vuole dirmi qualcosa.
Mi faccio dare da mio padre uno dei televisori che tiene in un armadio e che risalgono all'epoca delle nonne. Televisori nuovi, che sono stati sintonizzati per tutta la loro breve vita catodicamente attiva solo su Sentieri o La schiava Isaura, per un'ora al giorno.
Il televisore entra in casa, si accomoda nello studio sul mobiletto che già ospita videoregistratore-lettore divx-playstation2, decide di perdere tutte le sintonie ed entra in modalità bianco e nero prima di addormentarsi per sempre senza neanche chiedermi "sognerò?".
Compro un cordless. Lo pesco da una pila di suoi simili, dopo una breve conta scaramantica. Mi segue fino a casa e si lascia mettere sotto carica mente leggo le istruzioni. Non è normale che faccia bleep e si illumini vivacemente ogni venti secondi, ma sono troppo affascinata dalla prospettiva di inserire il carismatico filtro VIP per considerarlo un sintomo di malfunzionamento. Penso compiaciuta: nuove ipnotiche tecnologie moderne, mi fa le feste, mi fa! Dopo due giorni mi rendo conto che se non ricevo telefonate non è per un improvviso calo di popolarità, ma perché il cordless è in coma vigile. Ormai fa bleep in tutte le lingue del mondo, lanciando SOS disperati, e io niente. In compenso mia madre continua a chiamare e ormai mi immagina morta in casa da quarantott'ore, con il signor G. che mi veglia listato a lutto.
Sono in modalità contemplativa quando decido di andare a vedere a che punto sta il ciclo dell'asciugabiancheria (solitamente me ne ricordo quando le tovaglie da sei si sono trasformate in tovagliolini da cocktail). La solita tragedia in tre minuti: il contenitore dell'acqua è uscito dalla sua base e una cascatella di medie dimensioni sta precipitando sul pavimento dove gioca al torrente di montagna con le piastrelle azzurre. Ho la relativa prontezza di lanciarmi sull'interruttore della corrente elettrica perché acqua ed elettricità non devono incontrarsi in questa vita, tanto meno in presenza dei miei piedi. Scivolo sui calzettoni antisdrucciolo (non pensati per condizioni estreme), cado, mi rialzo, mi tolgo al volo la felpa e la butto sul pavimento. Asciugo alla meno peggio, mi rialzo e sbatto la testa contro il portellone della maledetta macchina. La perdita di dati è consistente: scompaiono per sempre interi brani della Divina Commedia e dell'Onegin, buongiorno e buonasera in finlandese e il finale di Solaris, mentre del russo rimangono solo due proverbi e l'accorata domanda: "Скажите пожалуйста, где находится остановка автобуса?" ("Scusi, potrebbe dirmi dov'è la fermata dell'autobus?") Ma soprattutto, non capisco che ci faccio - io, un momento prima così distintamente zen - in un bagno allagato, in t-shirt bianca e calzettoni antisdrucciolo rosa shocking con la scritta stop! sulla pianta e una felpa fradicia sul pavimento, mentre nell'asciugabiancheria c'è solo un minuscolo e floscio tovagliolo blu.
Il televisore non sintonizza, il cordless non telefona, l'asciugatrice bagna, la Tivoli prende solo il rosario di Radio Maria, il forno impiega un'ora e venti per cuocere una pizza margherita e mettiamoci pure che fino a cinque giorni fa la portante non portava e le plafoniere non plafonavano. Dico.
Sabato mattina c'è stato un blackout di mezz'ora in tutta la città e io pensavo che fosse dovuto al mio uso irresponsabile dell'asciugacapelli: vecchiette bloccate in ascensori fermi tra il quarto e il quinto piano, catene del freddo spezzate per sempre, semafori in tilt, e tutto a causa dell'uso avido di un phon. Sto maturando sensi di colpa insopportabili, tutti invariabilmente legati all'elettricità e ai suoi utilizzi, e ho perfino valutato l'ipotesi di trasferirmi nella Croma grigia abbandonata sotto casa, quella targata Torino, gomma a terra, bollo scaduto, assicurazione di fantasia e multa sul parabrezza.
Odio tornare al solito horror giapponese pieno di studentesse in calzettoni o ai videogiochi estremi (quelli che per farti capire che avrai tanta paura esibiscono il disegnetto di una tarantola sul retro della confezione: una discreta scossa di panico anche per gli "aracnofobici lievi"), ma nell'episodio quattro di Silent Hill a un certo punto la tecnologia si ribellava, l'idraulica andava per i cazzi suoi e spuntavano strani bozzoli di bambini urlanti dal muro del tinello. Però con un set di candele per esorcismi si risolveva tutto senza tante storie (pozze di sangue escluse) e con l'ascia-bonus si poteva anche far fuori l'amministratore di condominio. E poi non si è mai visto in un gioco, neanche incappando nella conclusione pessimista, che la protagonista e il suo gatto finissero a dormire in una Croma abbandonata targata TO, in compagnia di un cordless autistico.
(Mi sono appena ricordata che in finlandese buon giorno si dice hyvää huomenta. Un finale all'insegna del'ottimismo.)
Mi faccio dare da mio padre uno dei televisori che tiene in un armadio e che risalgono all'epoca delle nonne. Televisori nuovi, che sono stati sintonizzati per tutta la loro breve vita catodicamente attiva solo su Sentieri o La schiava Isaura, per un'ora al giorno.
Il televisore entra in casa, si accomoda nello studio sul mobiletto che già ospita videoregistratore-lettore divx-playstation2, decide di perdere tutte le sintonie ed entra in modalità bianco e nero prima di addormentarsi per sempre senza neanche chiedermi "sognerò?".
Compro un cordless. Lo pesco da una pila di suoi simili, dopo una breve conta scaramantica. Mi segue fino a casa e si lascia mettere sotto carica mente leggo le istruzioni. Non è normale che faccia bleep e si illumini vivacemente ogni venti secondi, ma sono troppo affascinata dalla prospettiva di inserire il carismatico filtro VIP per considerarlo un sintomo di malfunzionamento. Penso compiaciuta: nuove ipnotiche tecnologie moderne, mi fa le feste, mi fa! Dopo due giorni mi rendo conto che se non ricevo telefonate non è per un improvviso calo di popolarità, ma perché il cordless è in coma vigile. Ormai fa bleep in tutte le lingue del mondo, lanciando SOS disperati, e io niente. In compenso mia madre continua a chiamare e ormai mi immagina morta in casa da quarantott'ore, con il signor G. che mi veglia listato a lutto.
Sono in modalità contemplativa quando decido di andare a vedere a che punto sta il ciclo dell'asciugabiancheria (solitamente me ne ricordo quando le tovaglie da sei si sono trasformate in tovagliolini da cocktail). La solita tragedia in tre minuti: il contenitore dell'acqua è uscito dalla sua base e una cascatella di medie dimensioni sta precipitando sul pavimento dove gioca al torrente di montagna con le piastrelle azzurre. Ho la relativa prontezza di lanciarmi sull'interruttore della corrente elettrica perché acqua ed elettricità non devono incontrarsi in questa vita, tanto meno in presenza dei miei piedi. Scivolo sui calzettoni antisdrucciolo (non pensati per condizioni estreme), cado, mi rialzo, mi tolgo al volo la felpa e la butto sul pavimento. Asciugo alla meno peggio, mi rialzo e sbatto la testa contro il portellone della maledetta macchina. La perdita di dati è consistente: scompaiono per sempre interi brani della Divina Commedia e dell'Onegin, buongiorno e buonasera in finlandese e il finale di Solaris, mentre del russo rimangono solo due proverbi e l'accorata domanda: "Скажите пожалуйста, где находится остановка автобуса?" ("Scusi, potrebbe dirmi dov'è la fermata dell'autobus?") Ma soprattutto, non capisco che ci faccio - io, un momento prima così distintamente zen - in un bagno allagato, in t-shirt bianca e calzettoni antisdrucciolo rosa shocking con la scritta stop! sulla pianta e una felpa fradicia sul pavimento, mentre nell'asciugabiancheria c'è solo un minuscolo e floscio tovagliolo blu.
Il televisore non sintonizza, il cordless non telefona, l'asciugatrice bagna, la Tivoli prende solo il rosario di Radio Maria, il forno impiega un'ora e venti per cuocere una pizza margherita e mettiamoci pure che fino a cinque giorni fa la portante non portava e le plafoniere non plafonavano. Dico.
Sabato mattina c'è stato un blackout di mezz'ora in tutta la città e io pensavo che fosse dovuto al mio uso irresponsabile dell'asciugacapelli: vecchiette bloccate in ascensori fermi tra il quarto e il quinto piano, catene del freddo spezzate per sempre, semafori in tilt, e tutto a causa dell'uso avido di un phon. Sto maturando sensi di colpa insopportabili, tutti invariabilmente legati all'elettricità e ai suoi utilizzi, e ho perfino valutato l'ipotesi di trasferirmi nella Croma grigia abbandonata sotto casa, quella targata Torino, gomma a terra, bollo scaduto, assicurazione di fantasia e multa sul parabrezza.
Odio tornare al solito horror giapponese pieno di studentesse in calzettoni o ai videogiochi estremi (quelli che per farti capire che avrai tanta paura esibiscono il disegnetto di una tarantola sul retro della confezione: una discreta scossa di panico anche per gli "aracnofobici lievi"), ma nell'episodio quattro di Silent Hill a un certo punto la tecnologia si ribellava, l'idraulica andava per i cazzi suoi e spuntavano strani bozzoli di bambini urlanti dal muro del tinello. Però con un set di candele per esorcismi si risolveva tutto senza tante storie (pozze di sangue escluse) e con l'ascia-bonus si poteva anche far fuori l'amministratore di condominio. E poi non si è mai visto in un gioco, neanche incappando nella conclusione pessimista, che la protagonista e il suo gatto finissero a dormire in una Croma abbandonata targata TO, in compagnia di un cordless autistico.
(Mi sono appena ricordata che in finlandese buon giorno si dice hyvää huomenta. Un finale all'insegna del'ottimismo.)
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Non la testa, non l'anima/Intervista a Marwan Barghouti
Avevo raccolto un po' di materiale su Marwan Barghouti poco più di un anno fa, in due post: questo e questo.
Questa è la traduzione della trascrizione completa dell'intervista esclusiva di Lindsey Hilsum a Barghouti per Channel 4 News del 22 gennaio 2006.
Marwan Barghouti: Gli israeliani sono riusciti ad arrestare il mio corpo, ma non la mia testa, non la mia anima. Non ci riusciranno. Non spezzeranno la nostra volontà di indipendenza e di libertà.
Sono rimasto in isolamento per la maggior parte del tempo. Non ho visto nessuno, non ho ricevuto le visite dei miei figli, di mia moglie, né di nessun altro.
Le è la prima giornalista, insieme agli altri che sto vedendo ora. Oggi è il primo giorno della mia vita in prigione in cui incontro qualcuno, dopo quattro anni.
Penso che Hamas faccia parte del popolo palestinese e che abbia il diritto di partecipare alle elezioni, e io personalmente in questi anni e anche l'anno scorso ho cercato di convincerli e di fare pressioni perché partecipassero alle elezioni.
Quindi ben venga questa decisione storica di Hamas, perché che cosa significa decidere di partecipare alle elezioni? Significa che credono nella democrazia, che sono pronti a lavorare secondo le regole della legge e della democrazia, e questo è molto importante.
Lindsey Hilsum: Quindi è la fine della lotta armata, è chiusa l'epoca delle bombe e dei fucili?
MB: Il popolo palestinese, questo dovrebbe essere chiaro, ha comunque il pieno diritto di resistere alle operazioni militari israeliane nei territori occupati.
Pensa forse che gli israeliani avrebbero lasciato Gaza se non ci fosse stata l'intifada, la resistenza? No. Sono rimasti 38 anni. Perché se ne vanno da Gaza? Io penso che sia un grande risultato dell'intifada.
Ma i palestinesi dovrebbero dare una possibilità a ogni genere di tentativo, internazionale e locale, e così faremo.
Mi creda, gli israeliani considerano un terrorista chiunque si opponga all'occupazione. Non è così.
Non credo che gli israeliani siano nella posizione e nella condizione di descrivere le persone, e credo che siano gli ultimi al mondo a poter parlare di terrorismo.
LH: Ma hanno prove specifiche. L'hanno portata davanti a un tribunale, avevano persone che a loro dire erano state assassinate. Hanno dimostrato il suo coinvolgimento, i documenti che dimostravano che lei pagava delle persone perché mettessero in atto attentati suicidi.
MB: Assolutamente no. E io non tratto con il tribunale israeliano. Non riconosco il diritto di Israele a condannare un capo palestinese, un membro palestinese del parlamento.
Gli israeliani non hanno rispettato la democrazia. Sanno benissimo che io non ho diretto attacchi militari qua e là. È la verità. Sono molto esplicito sul fatto che sostengo l'intifada palestinese e la resistenza palestinese.
Io le parlo mentre mi trovo in carcere, non mentre sono fuori. E, anche così, continuo a dirlo.
LH: Dunque cosa pensa adesso degli attentati suicidi che continuano a verificarsi? Ce n'è stato uno giorni fa a Tel Aviv…
MB: Siamo contrari.
LH: Sì, ma cosa pensa dei palestinesi che lo fanno?
MB: Penso che gli israeliani non aiutino i palestinesi a raggiungere una soluzione nelle loro discussioni interne. Più di una volta i palestinesi sono stati vicini a una decisione al proposito. Ma durante l'intifada gli israeliani hanno ucciso 800 bambini palestinesi.
LH: E questo giustifica l'uccisione di bambini israeliani da parte dei palestinesi?
MB: No. In ogni caso nessuno può giustificare l'uccisione di civili – bambini, donne, in qualunque luogo del mondo. Dovrebbero essere tenuti fuori. Questo dev'essere chiaro. In Palestina e in Israele.
Abbiamo bisogno di due capi che siano pronti a prendere decisioni, decisioni critiche, e a correre rischi, dal lato palestinese e da quello israeliano.
E io credo che il mio popolo sia pronto alla pace con il popolo di Israele. Dovremmo agire secondo le categorie democratiche riconosciute in tutto il mondo. Dovemmo costruire uno Stato democratico, e io penso che il popolo palestinese sia perfettamente qualificato a farlo.
LH: Ma a Gaza stanno combinando un disastro. Guardi Gaza, persone che si sparano tra loro, che rapiscono stranieri, è il caos.
MB: Penso che sia un grave crimine rapire un giornalista o uno straniero. Ho mandato un messaggio attraverso i mezzi di informazione alle persone che conosco là e spero che non lo rifaranno.
MB: [A proposito della partecipazione delle donne alla lotta] Hanno assunto un ruolo importante nella lotta contro l'occupazione e spero che nel futuro vedremo un primo ministro palestinese donna.
LH: Pensa che trascorrerà il resto della sua vita in prigione? Cinque ergastoli...
MB: No. Assolutamente no. Sarò libero insieme a tutti questi altri detenuti. Gli israeliani non possono tenerci tutti e diecimila in carcere. E alla fine scopriranno… sa quello che è successo in Sudafrica? Alla fine sono andati da Mandela e hanno negoziato. E cos'è successo, anche in Irlanda?
LH: In Irlanda? Si sono parlati.
MB: Alla fine si sono parlati. E hanno rilasciato tutti i prigionieri. Il governo britannico li considerava dei terroristi. Io penso che noi siamo combattenti per la libertà. Nel futuro, mi vedo come un cittadino palestinese che esercita il proprio diritto in uno Stato democratico palestinese. Questo è il mio sogno.
Originale in inglese: http://www.channel4.com
Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.
Questa è la traduzione della trascrizione completa dell'intervista esclusiva di Lindsey Hilsum a Barghouti per Channel 4 News del 22 gennaio 2006.
Marwan Barghouti: Gli israeliani sono riusciti ad arrestare il mio corpo, ma non la mia testa, non la mia anima. Non ci riusciranno. Non spezzeranno la nostra volontà di indipendenza e di libertà.
Sono rimasto in isolamento per la maggior parte del tempo. Non ho visto nessuno, non ho ricevuto le visite dei miei figli, di mia moglie, né di nessun altro.
Le è la prima giornalista, insieme agli altri che sto vedendo ora. Oggi è il primo giorno della mia vita in prigione in cui incontro qualcuno, dopo quattro anni.
Penso che Hamas faccia parte del popolo palestinese e che abbia il diritto di partecipare alle elezioni, e io personalmente in questi anni e anche l'anno scorso ho cercato di convincerli e di fare pressioni perché partecipassero alle elezioni.
Quindi ben venga questa decisione storica di Hamas, perché che cosa significa decidere di partecipare alle elezioni? Significa che credono nella democrazia, che sono pronti a lavorare secondo le regole della legge e della democrazia, e questo è molto importante.
Lindsey Hilsum: Quindi è la fine della lotta armata, è chiusa l'epoca delle bombe e dei fucili?
MB: Il popolo palestinese, questo dovrebbe essere chiaro, ha comunque il pieno diritto di resistere alle operazioni militari israeliane nei territori occupati.
Pensa forse che gli israeliani avrebbero lasciato Gaza se non ci fosse stata l'intifada, la resistenza? No. Sono rimasti 38 anni. Perché se ne vanno da Gaza? Io penso che sia un grande risultato dell'intifada.
Ma i palestinesi dovrebbero dare una possibilità a ogni genere di tentativo, internazionale e locale, e così faremo.
Mi creda, gli israeliani considerano un terrorista chiunque si opponga all'occupazione. Non è così.
Non credo che gli israeliani siano nella posizione e nella condizione di descrivere le persone, e credo che siano gli ultimi al mondo a poter parlare di terrorismo.
LH: Ma hanno prove specifiche. L'hanno portata davanti a un tribunale, avevano persone che a loro dire erano state assassinate. Hanno dimostrato il suo coinvolgimento, i documenti che dimostravano che lei pagava delle persone perché mettessero in atto attentati suicidi.
MB: Assolutamente no. E io non tratto con il tribunale israeliano. Non riconosco il diritto di Israele a condannare un capo palestinese, un membro palestinese del parlamento.
Gli israeliani non hanno rispettato la democrazia. Sanno benissimo che io non ho diretto attacchi militari qua e là. È la verità. Sono molto esplicito sul fatto che sostengo l'intifada palestinese e la resistenza palestinese.
Io le parlo mentre mi trovo in carcere, non mentre sono fuori. E, anche così, continuo a dirlo.
LH: Dunque cosa pensa adesso degli attentati suicidi che continuano a verificarsi? Ce n'è stato uno giorni fa a Tel Aviv…
MB: Siamo contrari.
LH: Sì, ma cosa pensa dei palestinesi che lo fanno?
MB: Penso che gli israeliani non aiutino i palestinesi a raggiungere una soluzione nelle loro discussioni interne. Più di una volta i palestinesi sono stati vicini a una decisione al proposito. Ma durante l'intifada gli israeliani hanno ucciso 800 bambini palestinesi.
LH: E questo giustifica l'uccisione di bambini israeliani da parte dei palestinesi?
MB: No. In ogni caso nessuno può giustificare l'uccisione di civili – bambini, donne, in qualunque luogo del mondo. Dovrebbero essere tenuti fuori. Questo dev'essere chiaro. In Palestina e in Israele.
Abbiamo bisogno di due capi che siano pronti a prendere decisioni, decisioni critiche, e a correre rischi, dal lato palestinese e da quello israeliano.
E io credo che il mio popolo sia pronto alla pace con il popolo di Israele. Dovremmo agire secondo le categorie democratiche riconosciute in tutto il mondo. Dovemmo costruire uno Stato democratico, e io penso che il popolo palestinese sia perfettamente qualificato a farlo.
LH: Ma a Gaza stanno combinando un disastro. Guardi Gaza, persone che si sparano tra loro, che rapiscono stranieri, è il caos.
MB: Penso che sia un grave crimine rapire un giornalista o uno straniero. Ho mandato un messaggio attraverso i mezzi di informazione alle persone che conosco là e spero che non lo rifaranno.
MB: [A proposito della partecipazione delle donne alla lotta] Hanno assunto un ruolo importante nella lotta contro l'occupazione e spero che nel futuro vedremo un primo ministro palestinese donna.
LH: Pensa che trascorrerà il resto della sua vita in prigione? Cinque ergastoli...
MB: No. Assolutamente no. Sarò libero insieme a tutti questi altri detenuti. Gli israeliani non possono tenerci tutti e diecimila in carcere. E alla fine scopriranno… sa quello che è successo in Sudafrica? Alla fine sono andati da Mandela e hanno negoziato. E cos'è successo, anche in Irlanda?
LH: In Irlanda? Si sono parlati.
MB: Alla fine si sono parlati. E hanno rilasciato tutti i prigionieri. Il governo britannico li considerava dei terroristi. Io penso che noi siamo combattenti per la libertà. Nel futuro, mi vedo come un cittadino palestinese che esercita il proprio diritto in uno Stato democratico palestinese. Questo è il mio sogno.
Originale in inglese: http://www.channel4.com
Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.
lunedì, gennaio 23, 2006
Operazione Verdun
Una città trasformata in prigione
di Dahr Jamail
(con Arkan Hamed)
SINIYAH, Iraq – Gli abitanti di Siniyah, un villaggio a 200 km a nord di Baghdad, sono infuriati per il muro di sabbia lungo una decina chilometri costruito dall’esercito americano per tenere sotto controllo gli attacchi da parte dei ribelli.
“La nostra città è diventata un campo di battaglia,” ha detto all’Inter Press Service l’ingegnere trentacinquenne Fuad Al-Mohandis, fermo a un posto di blocco alla periferia della città. "Sono state distrutte moltissime case e gli americani stanno minando aree in cui pensano che possano trovarsi dei combattenti, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di zone vicine ad abitazioni di civili innocenti."
I soldati della 101ma Divisione aviotrasportata hanno subito attacchi pressoché quotidiani per mezzo di bombe sistemate ai bordi delle strade.
Fuad ha detto l’esercito americano ha imposto un coprifuoco dalle cinque del pomeriggio e che “al momento ci sono molte esplosioni che terrorizzano i nostri bambini.”
Il 7 gennaio l’esercito statunitense ha cominciato a usare le ruspe per costruire un’ampia barriera di sabbia attorno alla città nel tentativo di isolare i combattenti che attaccano le pattuglie americane. Gli oleodotti verso la Turchia che si trovano in quest’area sono stati regolarmente sabotati dai gruppi della resistenza.
Queste misure drastiche hanno fatto infuriare molti dei 3000 abitanti della cittadina.
“Pensano che in questo modo riusciranno a fermare la resistenza," ha dichiarato all’IPS Amer, 43 anni, dipendente della vicina raffineria di Beji. “Ma gli americani così facendo stanno provocando una resistenza ancora maggiore. La resistenza non smetterà di attaccarli finché non si ritireranno dal nostro paese.”
Il dipendente ha detto che non era stato in grado di uscire di casa per diversi giorni, e che non aveva potuto recarsi al lavoro né a visitare i suoi familiari fuori Siniyah.
L’esercito statunitense ha battezzato la costruzione del muro di sabbia “Operazione Verdun”, richiamandosi a una battaglia della prima guerra mondiale. Le forze d’occupazione pensano che la città sia diventata la base dalla quale vengono lanciati gli attacchi alle loro pattuglie e i bombardamenti a colpi di mortaio contro la vicina Base di Summerall.
Vicino alla città sono stati installati dei posti blocco, dove le forze di sicurezza irachene e statunitensi perquisiscono tutti i veicoli alla ricerca di armi e di esplosivi.
“Non siamo più in grado di lavorare, i nostri redditi dipendono dalla distribuzione del carburante,” ha detto alla IPS il camionista Abdul Qadr a uno dei posti di blocco. “Ci troviamo in una situazione molto difficile. La città è attualmente isolata e ovunque stanno costruendo barricate per fermare i combattenti. Tutti i giorni fanno incursione nelle nostre case alla ricerca di stranieri, ma non riescono a trovarne.”
Abdul Qadr, che è cresciuto a Siniyah, ha detto all’IPS che lui e i suoi vicini hanno l’impressione di trovarsi in un “campo di concentramento.” Così anche gli abitanti di Fallujah e Samarra hanno descritto le loro città quando le forze statunitensi vi hanno costruito attorno dei muri simili a questo.
A Samarra l’esercito americano ha costruito un muro di 18 chilometri, mentre a Fallujah sono tuttora installati posti di blocco all’israeliana. Le forze d’occupazione hanno imposto misure simili anche in altre città come Al-Qa'im, Haditha, Ramadi, Balad, and Abu Hishma.
Da quando tali misure sono state messe in atto nelle diverse città, gli attacchi contro le forze di sicurezza non hanno fatto che aumentare, fino a giungere a una media di più di cento al giorno negli ultimi mesi.
“Gli americani pensano che i combattenti vengano dall’estero,” ha commentato Qadr. “Ma non è così. Non riescono a capire che la sola vera soluzione è permettere a un popolo di governarsi da solo?”
(Inter Press Service)
Fonte in inglese: http://www.antiwar.com/jamail/?articleid=8424
Traduzione in francese: http://quibla.net/iraq2006/iraq1.htm
Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com ). Questa traduzione è in Copyleft.
di Dahr Jamail
(con Arkan Hamed)
SINIYAH, Iraq – Gli abitanti di Siniyah, un villaggio a 200 km a nord di Baghdad, sono infuriati per il muro di sabbia lungo una decina chilometri costruito dall’esercito americano per tenere sotto controllo gli attacchi da parte dei ribelli.
“La nostra città è diventata un campo di battaglia,” ha detto all’Inter Press Service l’ingegnere trentacinquenne Fuad Al-Mohandis, fermo a un posto di blocco alla periferia della città. "Sono state distrutte moltissime case e gli americani stanno minando aree in cui pensano che possano trovarsi dei combattenti, anche se nella maggior parte dei casi si tratta di zone vicine ad abitazioni di civili innocenti."
I soldati della 101ma Divisione aviotrasportata hanno subito attacchi pressoché quotidiani per mezzo di bombe sistemate ai bordi delle strade.
Fuad ha detto l’esercito americano ha imposto un coprifuoco dalle cinque del pomeriggio e che “al momento ci sono molte esplosioni che terrorizzano i nostri bambini.”
Il 7 gennaio l’esercito statunitense ha cominciato a usare le ruspe per costruire un’ampia barriera di sabbia attorno alla città nel tentativo di isolare i combattenti che attaccano le pattuglie americane. Gli oleodotti verso la Turchia che si trovano in quest’area sono stati regolarmente sabotati dai gruppi della resistenza.
Queste misure drastiche hanno fatto infuriare molti dei 3000 abitanti della cittadina.
“Pensano che in questo modo riusciranno a fermare la resistenza," ha dichiarato all’IPS Amer, 43 anni, dipendente della vicina raffineria di Beji. “Ma gli americani così facendo stanno provocando una resistenza ancora maggiore. La resistenza non smetterà di attaccarli finché non si ritireranno dal nostro paese.”
Il dipendente ha detto che non era stato in grado di uscire di casa per diversi giorni, e che non aveva potuto recarsi al lavoro né a visitare i suoi familiari fuori Siniyah.
L’esercito statunitense ha battezzato la costruzione del muro di sabbia “Operazione Verdun”, richiamandosi a una battaglia della prima guerra mondiale. Le forze d’occupazione pensano che la città sia diventata la base dalla quale vengono lanciati gli attacchi alle loro pattuglie e i bombardamenti a colpi di mortaio contro la vicina Base di Summerall.
Vicino alla città sono stati installati dei posti blocco, dove le forze di sicurezza irachene e statunitensi perquisiscono tutti i veicoli alla ricerca di armi e di esplosivi.
“Non siamo più in grado di lavorare, i nostri redditi dipendono dalla distribuzione del carburante,” ha detto alla IPS il camionista Abdul Qadr a uno dei posti di blocco. “Ci troviamo in una situazione molto difficile. La città è attualmente isolata e ovunque stanno costruendo barricate per fermare i combattenti. Tutti i giorni fanno incursione nelle nostre case alla ricerca di stranieri, ma non riescono a trovarne.”
Abdul Qadr, che è cresciuto a Siniyah, ha detto all’IPS che lui e i suoi vicini hanno l’impressione di trovarsi in un “campo di concentramento.” Così anche gli abitanti di Fallujah e Samarra hanno descritto le loro città quando le forze statunitensi vi hanno costruito attorno dei muri simili a questo.
A Samarra l’esercito americano ha costruito un muro di 18 chilometri, mentre a Fallujah sono tuttora installati posti di blocco all’israeliana. Le forze d’occupazione hanno imposto misure simili anche in altre città come Al-Qa'im, Haditha, Ramadi, Balad, and Abu Hishma.
Da quando tali misure sono state messe in atto nelle diverse città, gli attacchi contro le forze di sicurezza non hanno fatto che aumentare, fino a giungere a una media di più di cento al giorno negli ultimi mesi.
“Gli americani pensano che i combattenti vengano dall’estero,” ha commentato Qadr. “Ma non è così. Non riescono a capire che la sola vera soluzione è permettere a un popolo di governarsi da solo?”
(Inter Press Service)
Fonte in inglese: http://www.antiwar.com/jamail/?articleid=8424
Traduzione in francese: http://quibla.net/iraq2006/iraq1.htm
Tradotto dall'inglese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com ). Questa traduzione è in Copyleft.
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sabato, gennaio 21, 2006
Non sono gli ulivi, di Amira Hass
11 gennaio 2006
C’è qualcosa di molto umano in queste centinaia e centinaia di ulivi spezzati, i rami amputati tesi verso il cielo come se stessero implorando aiuto. Lo scorso venerdì, a Tawana, nelle colline a sud di Hebron, 120 alberi; a Burin, a sud di Nablus, agli inizi di questa settimana, circa 50 alberi; più o meno altri 100 a Burin il 24 dicembre; e 140 alberi, nuovamente a Burin, il 14 dicembre.
La polizia ha contato 733 alberi sradicati nel 2005. Secondo la lista (incompleta) di 29 casi di sabotaggio agricolo documentati dai gruppi per la difesa dei diritti umani Yesh Din e B'Tselem da marzo a dicembre, sono stati messi fuori uso 2616 alberi: sradicati, rubati, bruciati, spaccati, segati. Solo a Salem in quattro volte ne sono stati sradicati 900. Anche ammettendo che chi ha calcolato i danni abbia esagerato, entrambe le parti concordano sul fatto che gli israeliani stanno compromettendo i vigneti e le piantagioni.
Il moltiplicarsi negli ultimi mesi di immagini di alberi distrutti “da ignoti” è stato abbastanza traumatizzante da indurre il procuratore generale ad attaccare l’immobilismo delle autorità, e il ministro Gideon Ezra a convocare un incontro durante il quale si è deciso di mettere in atto misure di controllo “sugli insediamenti riconosciuti come problematici.”
Il trauma, tuttavia, è selettivo. L’Esercito di Difesa Israeliano ha sradicato migliaia di ulivi e di alberi da frutto, terre coltivate e serre, e continua a farlo – per rendere sicure le proprie strade e per aumentare la visibilità dei soldati; per costruire torri di guardia, posti di blocco e la barriera di separazione; e inoltre per realizzare altre strade e recintare gli insediamenti.
Nel solo villaggio di Qafeen, per esempio, per realizzare la barriera di separazione sono stati sradicati 12.600 ulivi. Migliaia di altri alberi – forse decine di migliaia – e migliaia di acri della Cisgiordania sono rimasti intrappolati dietro i muri, le recinzioni e le zone cuscinetto che circondano gli insediamenti. Solo a Qafeen 100.000 alberi sono imprigionati dietro la recinzione e per la maggior parte dell’anno ai loro proprietari è vietato accedervi. Non possono fare altro che guardarli da lontano e lasciarli in uno stato di completo abbandono. Naturalmente come spiegazione viene citata la “sicurezza”, ma per qualche motivo la sicurezza finisce sempre per causare un’ulteriore efficace sottrazione di territorio palestinese a beneficio dell’insediamento confinante, oppure per ampliare o rendere più confusa la Linea Verde e l’annessione del territorio a Israele.
Le persone che restano impressionate da questi episodi ignorano che le piantagioni di Salem e Tawana sono prossime a strade che sono chiuse al traffico palestinese perché collegano degli insediamenti. È l’Esercito di Difesa Israeliano a chiudere e a bloccare le strade e le centinaia di chilometri di ottimo asfalto della Cisgiordania precluse al traffico palestinese.
Lo sradicamento di 100 alberi sabota la capacità di un’intera famiglia di provvedere al proprio mantenimento. La chiusura delle strade sabota la vitalità economica dell’intero popolo palestinese. L’Esercito di Difesa Israeliano naturalmente dirà che è necessario proteggere i cittadini israeliani. Ma allora perché tutti si sorprendono e si indignano quando quegli stessi cittadini continuano ad estendere la logica del controllo israeliano sui territori occupati?
Secondo quella logica, Israele ha il diritto di istituire un doppio principio legale nei territori occupati: uno per gli ebrei, e un altro per i palestinesi. Se da un lato gli ebrei godono di diritti illimitati per quanto riguarda le abitazioni, la libertà di movimento, i mezzi di sostentamento, le infrastrutture, l’utilizzo dell’acqua e della terra, dall’altro i palestinesi vengono sistematicamente privati dei diritti umani e civili. Secondo quella logica i palestinesi sono costretti a cavarsela con porzioni di terra sempre più piccole di cui devono dimostrare di essere i legittimi proprietari. Le porzioni di terra più ampie, la cui proprietà non è registrata presso l’Amministrazione del Territorio di Israele, appartiene automaticamente a “Israele” e ai consigli dei coloni.
I coloni non dettano le politiche, ne sono il risultato. Vivono tutti in pace e senza scrupoli di coscienza alla faccia di centinaia di comunità impoverite ed efficacemente trasformate in prigioni per permettere all’Esercito di Difesa Israeliano di continuare a proteggere ciò che lo stato d’Israele ha intrapreso: il controllo della maggior parte possibile di territorio, l’espulsione del maggior numero possibile di palestinesi. Una minoranza di israeliani non aspetta che a distruggere siano l’Esercito di Difesa e lo stato; distrugge già da sé. È facile lasciarsi impressionare da una minoranza e dimenticare la responsabilità di tutti.
Fonte in inglese: http://www.haaretz.com/hasen/spages/668697.html
Tradotto dall'inglese all’italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.
C’è qualcosa di molto umano in queste centinaia e centinaia di ulivi spezzati, i rami amputati tesi verso il cielo come se stessero implorando aiuto. Lo scorso venerdì, a Tawana, nelle colline a sud di Hebron, 120 alberi; a Burin, a sud di Nablus, agli inizi di questa settimana, circa 50 alberi; più o meno altri 100 a Burin il 24 dicembre; e 140 alberi, nuovamente a Burin, il 14 dicembre.
La polizia ha contato 733 alberi sradicati nel 2005. Secondo la lista (incompleta) di 29 casi di sabotaggio agricolo documentati dai gruppi per la difesa dei diritti umani Yesh Din e B'Tselem da marzo a dicembre, sono stati messi fuori uso 2616 alberi: sradicati, rubati, bruciati, spaccati, segati. Solo a Salem in quattro volte ne sono stati sradicati 900. Anche ammettendo che chi ha calcolato i danni abbia esagerato, entrambe le parti concordano sul fatto che gli israeliani stanno compromettendo i vigneti e le piantagioni.
Il moltiplicarsi negli ultimi mesi di immagini di alberi distrutti “da ignoti” è stato abbastanza traumatizzante da indurre il procuratore generale ad attaccare l’immobilismo delle autorità, e il ministro Gideon Ezra a convocare un incontro durante il quale si è deciso di mettere in atto misure di controllo “sugli insediamenti riconosciuti come problematici.”
Il trauma, tuttavia, è selettivo. L’Esercito di Difesa Israeliano ha sradicato migliaia di ulivi e di alberi da frutto, terre coltivate e serre, e continua a farlo – per rendere sicure le proprie strade e per aumentare la visibilità dei soldati; per costruire torri di guardia, posti di blocco e la barriera di separazione; e inoltre per realizzare altre strade e recintare gli insediamenti.
Nel solo villaggio di Qafeen, per esempio, per realizzare la barriera di separazione sono stati sradicati 12.600 ulivi. Migliaia di altri alberi – forse decine di migliaia – e migliaia di acri della Cisgiordania sono rimasti intrappolati dietro i muri, le recinzioni e le zone cuscinetto che circondano gli insediamenti. Solo a Qafeen 100.000 alberi sono imprigionati dietro la recinzione e per la maggior parte dell’anno ai loro proprietari è vietato accedervi. Non possono fare altro che guardarli da lontano e lasciarli in uno stato di completo abbandono. Naturalmente come spiegazione viene citata la “sicurezza”, ma per qualche motivo la sicurezza finisce sempre per causare un’ulteriore efficace sottrazione di territorio palestinese a beneficio dell’insediamento confinante, oppure per ampliare o rendere più confusa la Linea Verde e l’annessione del territorio a Israele.
Le persone che restano impressionate da questi episodi ignorano che le piantagioni di Salem e Tawana sono prossime a strade che sono chiuse al traffico palestinese perché collegano degli insediamenti. È l’Esercito di Difesa Israeliano a chiudere e a bloccare le strade e le centinaia di chilometri di ottimo asfalto della Cisgiordania precluse al traffico palestinese.
Lo sradicamento di 100 alberi sabota la capacità di un’intera famiglia di provvedere al proprio mantenimento. La chiusura delle strade sabota la vitalità economica dell’intero popolo palestinese. L’Esercito di Difesa Israeliano naturalmente dirà che è necessario proteggere i cittadini israeliani. Ma allora perché tutti si sorprendono e si indignano quando quegli stessi cittadini continuano ad estendere la logica del controllo israeliano sui territori occupati?
Secondo quella logica, Israele ha il diritto di istituire un doppio principio legale nei territori occupati: uno per gli ebrei, e un altro per i palestinesi. Se da un lato gli ebrei godono di diritti illimitati per quanto riguarda le abitazioni, la libertà di movimento, i mezzi di sostentamento, le infrastrutture, l’utilizzo dell’acqua e della terra, dall’altro i palestinesi vengono sistematicamente privati dei diritti umani e civili. Secondo quella logica i palestinesi sono costretti a cavarsela con porzioni di terra sempre più piccole di cui devono dimostrare di essere i legittimi proprietari. Le porzioni di terra più ampie, la cui proprietà non è registrata presso l’Amministrazione del Territorio di Israele, appartiene automaticamente a “Israele” e ai consigli dei coloni.
I coloni non dettano le politiche, ne sono il risultato. Vivono tutti in pace e senza scrupoli di coscienza alla faccia di centinaia di comunità impoverite ed efficacemente trasformate in prigioni per permettere all’Esercito di Difesa Israeliano di continuare a proteggere ciò che lo stato d’Israele ha intrapreso: il controllo della maggior parte possibile di territorio, l’espulsione del maggior numero possibile di palestinesi. Una minoranza di israeliani non aspetta che a distruggere siano l’Esercito di Difesa e lo stato; distrugge già da sé. È facile lasciarsi impressionare da una minoranza e dimenticare la responsabilità di tutti.
Fonte in inglese: http://www.haaretz.com/hasen/spages/668697.html
Tradotto dall'inglese all’italiano da Mirumir e rivisto da Davide Bocchi, membri di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com). Questa traduzione è in Copyleft.
venerdì, gennaio 20, 2006
Pobeda!
Compagne, compagni,
siamo liete di annunciare che - dopo i molteplici tentativi di sabotaggio del nemico capitalista e grazie all'opera instancabile del delegato esperto in nuove tecnologie - da ieri sera disponiamo di un'adsl 4 mega. Nella foto, la compagna Mirumir, con un gruppo di amiche vestite a festa, attende gioiosamente il trionfale arrivo della portante dalla nuovissima centrale di Irkutsk.
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lunedì, gennaio 16, 2006
Quelle cinque strane abitudini
(F. lo sapeva, che poteva contare sui miei jackpot nevrotici)
Le mie cinque manie (mi sono costretta a una selezione).
- Tenere uno stick di burrocacao in ogni borsa e/o tasca. Metti che la temperatura crolli di colpo e finisca a venti sotto zero, metti che ci ritroviamo all'improvviso con un clima sahariano o alle prese con un fallout nucleare: possiamo correre il rischio che ci si secchino le labbra?
- Non buttare mai i talloncini delle carte d'imbarco, i biglietti d'ingresso a mostre e cinema, gli abbonamenti scaduti. Per poi tirar fuori dall'armadio la giacca di pelle, frugare nelle tasche, trovare il biglietto di ingresso ai Jardins de Bagatelle e sorridere, un istante prima di chiedermi: "che cavolo ci facevo a ferragosto con la giacca di pelle?"
- Coprirmi le orecchie con il lenzuolo prima di dormire.
- Guardare un film doppiato in italiano e cercare di ricostruire l'originale dal labiale (ecco perché sembro sempre così attenta). Il fatto che la lingua originale mi sia ignota non rappresenta un problema.
- Nelle circostanze meno adatte, attaccare con domande tipo: "Ti sei mai chiesto come si mettono e si tolgono i sigilli in un impianto nucleare?" e procedere con la spiegazione. Se possibile, proseguire con insostenibili dietrologie che mettono in imbarazzo l'interlocutore.
Come allegra infrazione finale ho deciso di non passare a nessuno questo meme: liberi tutti (sesta mania: fare l'anello debole). Per documentare strane abitudini anche non necessariamente nel numero di cinque, accomodiamoci nei commenti.
Le mie cinque manie (mi sono costretta a una selezione).
- Tenere uno stick di burrocacao in ogni borsa e/o tasca. Metti che la temperatura crolli di colpo e finisca a venti sotto zero, metti che ci ritroviamo all'improvviso con un clima sahariano o alle prese con un fallout nucleare: possiamo correre il rischio che ci si secchino le labbra?
- Non buttare mai i talloncini delle carte d'imbarco, i biglietti d'ingresso a mostre e cinema, gli abbonamenti scaduti. Per poi tirar fuori dall'armadio la giacca di pelle, frugare nelle tasche, trovare il biglietto di ingresso ai Jardins de Bagatelle e sorridere, un istante prima di chiedermi: "che cavolo ci facevo a ferragosto con la giacca di pelle?"
- Coprirmi le orecchie con il lenzuolo prima di dormire.
- Guardare un film doppiato in italiano e cercare di ricostruire l'originale dal labiale (ecco perché sembro sempre così attenta). Il fatto che la lingua originale mi sia ignota non rappresenta un problema.
- Nelle circostanze meno adatte, attaccare con domande tipo: "Ti sei mai chiesto come si mettono e si tolgono i sigilli in un impianto nucleare?" e procedere con la spiegazione. Se possibile, proseguire con insostenibili dietrologie che mettono in imbarazzo l'interlocutore.
Come allegra infrazione finale ho deciso di non passare a nessuno questo meme: liberi tutti (sesta mania: fare l'anello debole). Per documentare strane abitudini anche non necessariamente nel numero di cinque, accomodiamoci nei commenti.
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domenica, gennaio 15, 2006
Da domani
Da domani i documenti lunghi e le traduzioni in italiano saranno per lo più pubblicati su mirumir 2.0 / documenti. Qui ne posterò soprattutto degli estratti e delle anticipazioni - i trailer, va' - lasciando il resto dello spazio a testi relativamente più brevi, agli esercizi di dietrologia+fondotinta e alle aste di indesiderabili memorabilia. Segnatevi il feed atom, annotatevi l'indirizzo, ché insomma da domani interrogo pescando a caso dalla lista.
Meno entusiasmo, mi raccomando.
Si apre il sondaggio:
a) hmm, non funzionerà;
b) funzionerà, ma è troppo presto;
c) fantastico: adoro i piani quinquennali;
d) interroghi su tutto o solo sugli argomenti più recenti?
e) è ancora possibile avere la madonnina placcata oro zecchino su base di legno?
martedì, gennaio 10, 2006
La compagna Mirumir
Riceviamo dal subcomandante Babsi la seguente foto con didascalia:
La compagna Mirumir si adopera, in compagnia di un delegato di partito, a capire cosa c'è che non va nella linea telefonica.
(Vi prego di notare la mia espressione piena di grato stupore per le meraviglie della tecnologia socialista; sono circondata dagli opulenti rivestimenti in legno di betulla baltica e da ritratti di ex-fidanzati, celebri leader rivoluzionari fotografati proprio all'apice della carriera politica e un istante prima della defenestrazione. Nel lindore del mio vestito da campagna a vita alta e nel trucco sapientemente nature, ringrazio mentalmente il Partito Unico per avermi mandato a casa un giovanotto serio, competente e anche un po' fricchettone e sto meditando se togliermi fazzoletto e bigodini e offrirgli un rinfrescante bicchiere di kvas. "Mi scusi, quella che tiene in mano è la portante?" "Si, signora, ehm, signorina... parte da qui e corre per tutta la steppa per agganciarsi alla centrale d'epoca Romanov" "Ma lei ne sa una più di Stalin!")
La compagna Mirumir si adopera, in compagnia di un delegato di partito, a capire cosa c'è che non va nella linea telefonica.
(Vi prego di notare la mia espressione piena di grato stupore per le meraviglie della tecnologia socialista; sono circondata dagli opulenti rivestimenti in legno di betulla baltica e da ritratti di ex-fidanzati, celebri leader rivoluzionari fotografati proprio all'apice della carriera politica e un istante prima della defenestrazione. Nel lindore del mio vestito da campagna a vita alta e nel trucco sapientemente nature, ringrazio mentalmente il Partito Unico per avermi mandato a casa un giovanotto serio, competente e anche un po' fricchettone e sto meditando se togliermi fazzoletto e bigodini e offrirgli un rinfrescante bicchiere di kvas. "Mi scusi, quella che tiene in mano è la portante?" "Si, signora, ehm, signorina... parte da qui e corre per tutta la steppa per agganciarsi alla centrale d'epoca Romanov" "Ma lei ne sa una più di Stalin!")
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Tot anni, una candelina
Dal prossimo anno si adotta il metodo Risiko: tot carrarmati, una bandierina. Tot anni, una candelina.
Mi stressano, le telefonate di auguri. Quelli che ti ricordano quanto ti sei rincoglionita con il passare del tempo. Quelli che chiamano e parlano a voce bassissima, così tu capisci una parola su tre e loro poi possono consigliarti una soluzione Amplifon in comode rate. Quelli che decidono di non parlarti dell'età e per distrarti ti ricordano che non hai ancora scritto al garante la famosa dichiarazione sulla sicurezza dei dati custoditi, e insomma ti devi sbrigare, e son grane. Quelli che aspettano di essere almeno in otto tutti insieme in una stanza per chiamarti e farti gli auguri a turno. Allegria. Quelli che ti chiamano non per farti gli auguri ma per sapere se stasera ti trovano, per farti gli auguri.
A mezzanotte meno un quarto, mentre mi preparavo a dichiarare chiuso il compleanno e ufficialmente aperti i festeggiamenti di Buon Non Compleanno, è arrivato un sms. Ma basta. Invece era D., che chiedeva: "Si può congelare, il panettone?". Adoro questa donna.
Mi stressano, le telefonate di auguri. Quelli che ti ricordano quanto ti sei rincoglionita con il passare del tempo. Quelli che chiamano e parlano a voce bassissima, così tu capisci una parola su tre e loro poi possono consigliarti una soluzione Amplifon in comode rate. Quelli che decidono di non parlarti dell'età e per distrarti ti ricordano che non hai ancora scritto al garante la famosa dichiarazione sulla sicurezza dei dati custoditi, e insomma ti devi sbrigare, e son grane. Quelli che aspettano di essere almeno in otto tutti insieme in una stanza per chiamarti e farti gli auguri a turno. Allegria. Quelli che ti chiamano non per farti gli auguri ma per sapere se stasera ti trovano, per farti gli auguri.
A mezzanotte meno un quarto, mentre mi preparavo a dichiarare chiuso il compleanno e ufficialmente aperti i festeggiamenti di Buon Non Compleanno, è arrivato un sms. Ma basta. Invece era D., che chiedeva: "Si può congelare, il panettone?". Adoro questa donna.
venerdì, gennaio 06, 2006
Tre chicchi di riso e quattro formiche
Lettera di un operatore di Al Jazeera detenuto a Guantánamo al suo avvocato britannico Clive Stafford-Smith
Punito per tre chicchi di riso e quattro formicheDi Sami Muhydin al Hajj, 6 novembre 2005
Caro Clive,
Permettimi di confessarti una cosa. Non posso fare a meno di continuare a chiedermi: “Perché mi puniscono?” Questa domanda mi ossessiona, non riesco a togliermela dalla testa.
La mia storia di punizioni è cominciata alla prigione di Bagram. Avevamo il permesso di andare al bagno solo due volte al giorno: la prima subito dopo l’alba e la seconda prima del tramonto, e ciascuno doveva attendere il proprio turno.
Ricordo una volta in cui ne avevo veramente l’urgenza, e sussurrai all’orecchio della persona che era davanti a me di lasciarmi passare avanti. Allora il soldato di guardia mi urlò rabbiosamente: “Non parlare,” e mi ordinò di uscire. Mi legò le mani con del filo di ferro e mi lasciò là fuori tutto il giorno a tremare di freddo, tanto che dovetti orinarmi addosso provocando l’ilarità dei soldati e delle puttane.
Poi, a Kandahar :
In piena estate, mentre stiamo sotto un sole bruciante e su un suolo bollente, un soldato grida: “Tu, fermati, e anche il secondo, il terzo e il quarto! Perché parlate? Mettetevi in ginocchio, le mani sulla testa”. Noi obbediamo e ci lascia lì, sotto quel sole torrido, le ginocchia sulle pietre roventi, finché uno di noi non sviene e gli altri vanno a soccorrerlo.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Guantánamo un mattino presto i soldati arrivarono e ordinarono ai detenuti di mettere le braccia attraverso l’apertura usata abitualmente per far passare il cibo: dissero che volevano farci l’iniezione antitetanica.
Quando venne il mio turno li informai che prima di partire da Doha mi ero fatto vaccinare contro il tetano, la febbre gialla, il colera e le altre malattie e che secondo il medico questi vaccini erano validi cinque anni. Dunque non dovevo rifarli.
L’ufficiale mi urlò di non mettermi a discutere: “Metti fuori il braccio per il vaccino, o te lo tiriamo fuori a forza,” disse. Io mi rifiutai di farlo. Per il momento mi lasciarono in pace, ma ritornarono dopo aver finito con gli altri. Io continuai a non accettare di rifarmi vaccinare. Allora mi requisirono tutto, dal materasso allo spazzolino da denti, e mi costrinsero a coricarmi sulla rete di ferro per tre giorni e tre notti.
La domanda che torna a tormentarmi è sempre la stessa: “Perché mi puniscono? La medicine sono obbligatorie? Siamo diventati un branco di pecore ammassate? Dobbiamo accettare tutto senza discutere, senza fare la minima obiezione e senza sapere nulla di quello che ci accade?”
Ma mi è successo di peggio. Una sera mi coricai molto presto. Ero esausto dopo essere stato interrogato per ore. Feci l’errore di coprirmi la testa e le mani. Ero profondamente addormentato quando udii le grida e gli ordini di un soldato: “Tira fuori la testa e le mani da sotto la coperta”. Mi svegliai di soprassalto e mi affrettati a obbedire. In effetti ci avevano proibito di dormire con la testa o le mani sotto la coperta.
Mi ero appena riaddormentato quando il soldato venne a picchiare violentemente sulla porta della mia cella e gridò: “Perché hai messo il dentifricio al posto dello spazzolino?” Mi accusò di disobbedire deliberatamente alle leggi e ai regolamenti militari e mi ordinò di raccogliere le mie cose. Fui punito per un’intera settimana.
E mi si ripresenta l’eterna domanda: “Perché mi puniscono? È una ragione sufficiente per punirmi, requisire tutte le mie cose e farmi dormire per una settimana sulla rete di ferro, senza materasso né coperte?”
Un’altra volta stavo consumando la mia colazione, che consisteva in un barattolo di cibo freddo. Quando ebbi finito di mangiare, un soldato venne a raccogliere i resti del pasto e i sacchetti di plastica. Si fermò sulla porta della mia cella e cominciò a contare i pezzi di plastica e a metterli insieme. All’improvviso si mise a gridare: “Dov’è il pezzo che manca?” Io cominciai a frugare tra le mie cose, invano. Allora andò a riferire la cosa ai suoi superiori e ritornò con questa sentenza: meritavo una punizione che servisse da esempio per gli altri detenuti.
E così mi requisirono le mie cose per tre giorni, durante i quali mi scervellai per trovare una risposta a questa bruciante domanda: “Perché mi puniscono, cosa mai avrei potuto fare con quel pezzetto di plastica introvabile?”
Un’altra volta la provvidenza fece sì che finissi nello stesso blocco di detenzione con Jamel dell’Uganda, Mohamed del Ciad e il britannico Jamel Blama. Ci univa non solo la prigionia, ma anche il colore della pelle e l’odioso colore della tuta arancione dei detenuti. La nostra pelle nera era una ragione sufficiente perché i guardiani bianchi si accanissero contro di noi e ci punissero senza motivo. Spesso ci svegliavano nel mezzo della notte con il pretesto di perquisire la gabbia.
Una notte mi svegliarono per un’altra perquisizione. Non trovarono niente di sospetto... a parte tre chicchi di riso per terra che avevano attirato delle formiche. Mi inflissero una punizione di sette giorni. Ancora una volta ne approfittai per chiedermi ossessivamente: “Perché mi puniscono?” Non riuscivo a capire come tre chicchi di riso e quattro formiche potessero costituire un motivo sufficiente.
Un’altra notte due soldati si fermarono davanti alla porta della mia gabbia. Avevano con sé delle catene e delle manette. Quando bussarono violentemente alla porta mi svegliai in preda al terrore. Mi ammanettarono e mi condussero al blocco Romeo, dove mi misero in una gabbia dopo avermi spogliato di tutto lasciandomi con la sola biancheria intima addosso. Nient’altro, nemmeno il sapone o lo spazzolino da denti.
Chiesi inutilmente una spiegazione per quella punizione, ma le mie domande restarono senza risposta fino all’indomani, quando su mia insistenza un responsabile venne a dirmi ero stato condannato a passare due settimane nella gabbia perché un soldato aveva trovato un chiodo sul bordo esterno dell’apertura d’aerazione della mia cella! Allora dissi al responsabile: “Come mi sarei procurato quel chiodo e come avrei fatto a metterlo sul bordo esterno dell’apertura, e perché?” Ma si voltò e se ne andò, ignorando le mie domande.
E così passai là 14 giorni seduto, evitando per pudore di dire le preghiere perché ero seminudo, e dormii per 14 fredde notti invernali sulla rete di ferro, senza coperte né materasso.
I tormenti e le provocazioni dei soldati si moltiplicarono e si diversificarono.
Una volta venimmo a sapere che un soldato aveva calpestato il Sacro Corano, sporcandolo con le impronte delle sue scarpe. I detenuti si ribellarono e decisero di restituire le copie del Sacro libro all’amministrazione americana per evitare che fossero profanate sotto i nostri occhi, tanto più che il generale si era già impegnato a far sì che questo genere di provocazione non si ripetesse. Ma la promessa non fu mantenuta.
I detenuti allora decisero di non lasciare le loro celle, nemmeno per andare a fare la passeggiata e la doccia di cui avevano tanto bisogno, finché tutte le copie del Sacro Corano non fossero state raccolte.
Com’era loro abitudine, i responsabili vennero subito a urlare ordini e minacce. Fecero uscire le valorose forze anti-sommossa, che aprirono le gabbie e si misero a picchiare i detenuti, li incatenarono e li ammanettarono. Tagliarono loro i capelli, la barba e i baffi e li gettarono in gabbie singole.
Arrivò anche il mio turno. Mi spruzzarono del gas negli occhi, poi cinque soldati si misero a picchiarmi, mi portarono fuori e mi gettarono a terra. Uno di loro mi afferrò la testa e cominciò a sbatterla contro il pavimento di cemento. Un altro mi colpì sull’arcata sopracciliare, causandomi un taglio da cui presto cominciò a uscire molto sangue. Tutto questo accadde mentre ero steso a terra, ammanettato e incatenato. Mi tagliarono capelli, baffi e barba e mi buttarono in una gabbia singola, ricoperto di sangue.
Dopo un’ora un soldato venne a chiedermi, attraverso l’apertura della porta, se mi servivano le cure di un medico. Rifiutai l’offerta e mi raccomandai a Dio, mostrandogli l’ingiustizia dei miei carcerieri. A un certo punto mi accorsi che stavo svenendo a causa della perdita di sangue, e allora chiesi di essere medicato. Mi diedero tre punti di sutura all’arcata sopracciliare, mi fasciarono la testa e mi diedero dei sonniferi, dicendo che erano degli antibiotici. Il tutto, attraverso un’apertura di pochi centimetri.
Mi addormentai, oppresso dall’ingiustizia terribile di quegli uomini.
La mattina del giorno dopo avevo appena aperto gli occhi quando mi trovai di nuovo ossessionato dalla stessa domanda: “Perché mi puniscono? La difesa della mia fede e della mia religione è forse un crimine punibile con il carcere? La nostra richiesta di ritirare le copie del Corano perché non siano profanate sotto ai nostri occhi è un crimine? Perché mi trovo qui? Il fatto che io sia partito per l’Afghanistan per trascorrervi quattro settimane con una telecamera per conto di Al Jazeera dopo la guerra d’aggressione contro un popolo disarmato è anch’esso un crimine per il quale devo essere punito con più di quattro anni di carcere? E per il quale devo essere accusato di terrorismo?”
Tante domande si affollavano nella mia mente, tormentandomi lo spirito e andando ad infrangersi contro tutti gli slogan ingannevoli di cui si gloriano i promotori della libertà, i difensori della democrazia e i protettori della pace in terra.
Originale: http://www.aljazeera.netTradotto dall’arabo in francese da Ahmed Manaï, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com), dal francese in spagnolo da Juan Vivanco a http://www.rebelion.org, dallo spagnolo in inglese da Ernesto Paramo, membro di Tlaxcala, dal francese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala. Questa traduzione è in copyleft.
Versione francese: http://quibla.net/guantanamo2006/guantanamo1.htm
Versione spagnola: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=25069
Versione inglese: http://peacepalestine.blogspot.com
Punito per tre chicchi di riso e quattro formicheDi Sami Muhydin al Hajj, 6 novembre 2005
Caro Clive,
Permettimi di confessarti una cosa. Non posso fare a meno di continuare a chiedermi: “Perché mi puniscono?” Questa domanda mi ossessiona, non riesco a togliermela dalla testa.
La mia storia di punizioni è cominciata alla prigione di Bagram. Avevamo il permesso di andare al bagno solo due volte al giorno: la prima subito dopo l’alba e la seconda prima del tramonto, e ciascuno doveva attendere il proprio turno.
Ricordo una volta in cui ne avevo veramente l’urgenza, e sussurrai all’orecchio della persona che era davanti a me di lasciarmi passare avanti. Allora il soldato di guardia mi urlò rabbiosamente: “Non parlare,” e mi ordinò di uscire. Mi legò le mani con del filo di ferro e mi lasciò là fuori tutto il giorno a tremare di freddo, tanto che dovetti orinarmi addosso provocando l’ilarità dei soldati e delle puttane.
Poi, a Kandahar :
In piena estate, mentre stiamo sotto un sole bruciante e su un suolo bollente, un soldato grida: “Tu, fermati, e anche il secondo, il terzo e il quarto! Perché parlate? Mettetevi in ginocchio, le mani sulla testa”. Noi obbediamo e ci lascia lì, sotto quel sole torrido, le ginocchia sulle pietre roventi, finché uno di noi non sviene e gli altri vanno a soccorrerlo.
Una settimana dopo il nostro arrivo a Guantánamo un mattino presto i soldati arrivarono e ordinarono ai detenuti di mettere le braccia attraverso l’apertura usata abitualmente per far passare il cibo: dissero che volevano farci l’iniezione antitetanica.
Quando venne il mio turno li informai che prima di partire da Doha mi ero fatto vaccinare contro il tetano, la febbre gialla, il colera e le altre malattie e che secondo il medico questi vaccini erano validi cinque anni. Dunque non dovevo rifarli.
L’ufficiale mi urlò di non mettermi a discutere: “Metti fuori il braccio per il vaccino, o te lo tiriamo fuori a forza,” disse. Io mi rifiutai di farlo. Per il momento mi lasciarono in pace, ma ritornarono dopo aver finito con gli altri. Io continuai a non accettare di rifarmi vaccinare. Allora mi requisirono tutto, dal materasso allo spazzolino da denti, e mi costrinsero a coricarmi sulla rete di ferro per tre giorni e tre notti.
La domanda che torna a tormentarmi è sempre la stessa: “Perché mi puniscono? La medicine sono obbligatorie? Siamo diventati un branco di pecore ammassate? Dobbiamo accettare tutto senza discutere, senza fare la minima obiezione e senza sapere nulla di quello che ci accade?”
Ma mi è successo di peggio. Una sera mi coricai molto presto. Ero esausto dopo essere stato interrogato per ore. Feci l’errore di coprirmi la testa e le mani. Ero profondamente addormentato quando udii le grida e gli ordini di un soldato: “Tira fuori la testa e le mani da sotto la coperta”. Mi svegliai di soprassalto e mi affrettati a obbedire. In effetti ci avevano proibito di dormire con la testa o le mani sotto la coperta.
Mi ero appena riaddormentato quando il soldato venne a picchiare violentemente sulla porta della mia cella e gridò: “Perché hai messo il dentifricio al posto dello spazzolino?” Mi accusò di disobbedire deliberatamente alle leggi e ai regolamenti militari e mi ordinò di raccogliere le mie cose. Fui punito per un’intera settimana.
E mi si ripresenta l’eterna domanda: “Perché mi puniscono? È una ragione sufficiente per punirmi, requisire tutte le mie cose e farmi dormire per una settimana sulla rete di ferro, senza materasso né coperte?”
Un’altra volta stavo consumando la mia colazione, che consisteva in un barattolo di cibo freddo. Quando ebbi finito di mangiare, un soldato venne a raccogliere i resti del pasto e i sacchetti di plastica. Si fermò sulla porta della mia cella e cominciò a contare i pezzi di plastica e a metterli insieme. All’improvviso si mise a gridare: “Dov’è il pezzo che manca?” Io cominciai a frugare tra le mie cose, invano. Allora andò a riferire la cosa ai suoi superiori e ritornò con questa sentenza: meritavo una punizione che servisse da esempio per gli altri detenuti.
E così mi requisirono le mie cose per tre giorni, durante i quali mi scervellai per trovare una risposta a questa bruciante domanda: “Perché mi puniscono, cosa mai avrei potuto fare con quel pezzetto di plastica introvabile?”
Un’altra volta la provvidenza fece sì che finissi nello stesso blocco di detenzione con Jamel dell’Uganda, Mohamed del Ciad e il britannico Jamel Blama. Ci univa non solo la prigionia, ma anche il colore della pelle e l’odioso colore della tuta arancione dei detenuti. La nostra pelle nera era una ragione sufficiente perché i guardiani bianchi si accanissero contro di noi e ci punissero senza motivo. Spesso ci svegliavano nel mezzo della notte con il pretesto di perquisire la gabbia.
Una notte mi svegliarono per un’altra perquisizione. Non trovarono niente di sospetto... a parte tre chicchi di riso per terra che avevano attirato delle formiche. Mi inflissero una punizione di sette giorni. Ancora una volta ne approfittai per chiedermi ossessivamente: “Perché mi puniscono?” Non riuscivo a capire come tre chicchi di riso e quattro formiche potessero costituire un motivo sufficiente.
Un’altra notte due soldati si fermarono davanti alla porta della mia gabbia. Avevano con sé delle catene e delle manette. Quando bussarono violentemente alla porta mi svegliai in preda al terrore. Mi ammanettarono e mi condussero al blocco Romeo, dove mi misero in una gabbia dopo avermi spogliato di tutto lasciandomi con la sola biancheria intima addosso. Nient’altro, nemmeno il sapone o lo spazzolino da denti.
Chiesi inutilmente una spiegazione per quella punizione, ma le mie domande restarono senza risposta fino all’indomani, quando su mia insistenza un responsabile venne a dirmi ero stato condannato a passare due settimane nella gabbia perché un soldato aveva trovato un chiodo sul bordo esterno dell’apertura d’aerazione della mia cella! Allora dissi al responsabile: “Come mi sarei procurato quel chiodo e come avrei fatto a metterlo sul bordo esterno dell’apertura, e perché?” Ma si voltò e se ne andò, ignorando le mie domande.
E così passai là 14 giorni seduto, evitando per pudore di dire le preghiere perché ero seminudo, e dormii per 14 fredde notti invernali sulla rete di ferro, senza coperte né materasso.
I tormenti e le provocazioni dei soldati si moltiplicarono e si diversificarono.
Una volta venimmo a sapere che un soldato aveva calpestato il Sacro Corano, sporcandolo con le impronte delle sue scarpe. I detenuti si ribellarono e decisero di restituire le copie del Sacro libro all’amministrazione americana per evitare che fossero profanate sotto i nostri occhi, tanto più che il generale si era già impegnato a far sì che questo genere di provocazione non si ripetesse. Ma la promessa non fu mantenuta.
I detenuti allora decisero di non lasciare le loro celle, nemmeno per andare a fare la passeggiata e la doccia di cui avevano tanto bisogno, finché tutte le copie del Sacro Corano non fossero state raccolte.
Com’era loro abitudine, i responsabili vennero subito a urlare ordini e minacce. Fecero uscire le valorose forze anti-sommossa, che aprirono le gabbie e si misero a picchiare i detenuti, li incatenarono e li ammanettarono. Tagliarono loro i capelli, la barba e i baffi e li gettarono in gabbie singole.
Arrivò anche il mio turno. Mi spruzzarono del gas negli occhi, poi cinque soldati si misero a picchiarmi, mi portarono fuori e mi gettarono a terra. Uno di loro mi afferrò la testa e cominciò a sbatterla contro il pavimento di cemento. Un altro mi colpì sull’arcata sopracciliare, causandomi un taglio da cui presto cominciò a uscire molto sangue. Tutto questo accadde mentre ero steso a terra, ammanettato e incatenato. Mi tagliarono capelli, baffi e barba e mi buttarono in una gabbia singola, ricoperto di sangue.
Dopo un’ora un soldato venne a chiedermi, attraverso l’apertura della porta, se mi servivano le cure di un medico. Rifiutai l’offerta e mi raccomandai a Dio, mostrandogli l’ingiustizia dei miei carcerieri. A un certo punto mi accorsi che stavo svenendo a causa della perdita di sangue, e allora chiesi di essere medicato. Mi diedero tre punti di sutura all’arcata sopracciliare, mi fasciarono la testa e mi diedero dei sonniferi, dicendo che erano degli antibiotici. Il tutto, attraverso un’apertura di pochi centimetri.
Mi addormentai, oppresso dall’ingiustizia terribile di quegli uomini.
La mattina del giorno dopo avevo appena aperto gli occhi quando mi trovai di nuovo ossessionato dalla stessa domanda: “Perché mi puniscono? La difesa della mia fede e della mia religione è forse un crimine punibile con il carcere? La nostra richiesta di ritirare le copie del Corano perché non siano profanate sotto ai nostri occhi è un crimine? Perché mi trovo qui? Il fatto che io sia partito per l’Afghanistan per trascorrervi quattro settimane con una telecamera per conto di Al Jazeera dopo la guerra d’aggressione contro un popolo disarmato è anch’esso un crimine per il quale devo essere punito con più di quattro anni di carcere? E per il quale devo essere accusato di terrorismo?”
Tante domande si affollavano nella mia mente, tormentandomi lo spirito e andando ad infrangersi contro tutti gli slogan ingannevoli di cui si gloriano i promotori della libertà, i difensori della democrazia e i protettori della pace in terra.
Originale: http://www.aljazeera.netTradotto dall’arabo in francese da Ahmed Manaï, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (transtlaxcala@yahoo.com), dal francese in spagnolo da Juan Vivanco a http://www.rebelion.org, dallo spagnolo in inglese da Ernesto Paramo, membro di Tlaxcala, dal francese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala. Questa traduzione è in copyleft.
Versione francese: http://quibla.net/guantanamo2006/guantanamo1.htm
Versione spagnola: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=25069
Versione inglese: http://peacepalestine.blogspot.com
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mercoledì, gennaio 04, 2006
La Barbie e il sondaggio transgender
La Concerned Women for America, un'associazione femminile ultraconservatrice, ha accusato la Barbie di far parte del movimento transgender. Il sito barbie.com ("Activities and Games for Girls online!") ospita un sondaggio in cui i bambini (dai 4 ai 70+ anni, ma su quest'ultimo aspetto sorvoliamo) sono invitati a rispondere a un'innocente domanda:
in gennaio, cosa ti piace fare?
1. giocare nella neve!
2. pattinare o sciare!
3. starmene al calduccio con una bella cioccolata bollente!
4. indossare fighissimi vestiti invernali!
(nota: una rassicurante maggioranza, benché non assoluta, sceglie di giocare nella neve)
Cosa c'è che non va in questo sondaggio, a parte l'uso euforico dei punti esclamativi?
La sezione incriminata è quella in cui bisogna indicare il proprio sesso, scegliendo tra "bambina", "bambino" e "non lo so." Ora, le CWFA hanno l'apertura mentale e la flessibilità morale del Cardinale Ruini quando è incazzato con l'universo, tanto che nel loro sito alcuni dei temi scottanti sono "Quello che il vostro insegnante non vi ha detto sull'astinenza", "A chi importa del matrimonio omosessuale? A Dio!" e una difesa appassionata della preghiera prima dei pasti all'Accademia Navale, affiancati a validi programmi di azione e preghiera e fruttuose sinergie con le "Women for Alito". Naturale che la terza opzione della Barbie abbia mandato fuori di testa le Donne Preoccupate: il sito della Mattel è influenzato dalle problematiche transgender, mira a creare confusione sessuale, incoraggia la bisessualità!
E così il "non lo so" è stato tempestivamente sostituito con un "non mi va di dirlo": più oscuro e inquietante, perché pensare che bambini/e di 5 anni desiderino tenere segreta la propria identità di genere fa impressione.
Adesso il mio senso del surreale sarebbe perfettamente soddisfatto se un'associazione di Donne Preoccupate per i Paesi Caldi accusasse la Mattel di discriminazione climatica e la costringesse ad aggiungere l'opzione windsurf agli ozi di gennaio.
E comunque: se c'è un elemento di confusione sessuale nel'ambiente della Barbie, è chiaramente la deprecata, molto chiacchierata e vistosissima assenza del pisellino di Ken.
in gennaio, cosa ti piace fare?
1. giocare nella neve!
2. pattinare o sciare!
3. starmene al calduccio con una bella cioccolata bollente!
4. indossare fighissimi vestiti invernali!
(nota: una rassicurante maggioranza, benché non assoluta, sceglie di giocare nella neve)
Cosa c'è che non va in questo sondaggio, a parte l'uso euforico dei punti esclamativi?
La sezione incriminata è quella in cui bisogna indicare il proprio sesso, scegliendo tra "bambina", "bambino" e "non lo so." Ora, le CWFA hanno l'apertura mentale e la flessibilità morale del Cardinale Ruini quando è incazzato con l'universo, tanto che nel loro sito alcuni dei temi scottanti sono "Quello che il vostro insegnante non vi ha detto sull'astinenza", "A chi importa del matrimonio omosessuale? A Dio!" e una difesa appassionata della preghiera prima dei pasti all'Accademia Navale, affiancati a validi programmi di azione e preghiera e fruttuose sinergie con le "Women for Alito". Naturale che la terza opzione della Barbie abbia mandato fuori di testa le Donne Preoccupate: il sito della Mattel è influenzato dalle problematiche transgender, mira a creare confusione sessuale, incoraggia la bisessualità!
E così il "non lo so" è stato tempestivamente sostituito con un "non mi va di dirlo": più oscuro e inquietante, perché pensare che bambini/e di 5 anni desiderino tenere segreta la propria identità di genere fa impressione.
Adesso il mio senso del surreale sarebbe perfettamente soddisfatto se un'associazione di Donne Preoccupate per i Paesi Caldi accusasse la Mattel di discriminazione climatica e la costringesse ad aggiungere l'opzione windsurf agli ozi di gennaio.
E comunque: se c'è un elemento di confusione sessuale nel'ambiente della Barbie, è chiaramente la deprecata, molto chiacchierata e vistosissima assenza del pisellino di Ken.
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martedì, gennaio 03, 2006
Smoking gun
Chiave di ricerca del giorno:
"Saddam usò le playstation"
E dai, che a cercarla bene una smoking gun si trova sempre.
"Saddam usò le playstation"
E dai, che a cercarla bene una smoking gun si trova sempre.
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lunedì, gennaio 02, 2006
Possessione telefonica parte seconda
Dopo un'ora e mezza passata a chiamare la tin, comincio a pensare che i numeri di pratica siano i migliori amici delle ragazze. Almeno di quelle con problemi di portante.
L'adsl è mia e me la gestisco io
- Buongiorno, come posso aiutarla?
- Buongiorno, adesso le spiego. Ho traslocato, e in Telecom devono aver sbagliato la riconfigurazione del DSLAM, perché ora ho la portante fissa sui 799 chilobìt per secondo, come se...
- Di chi è l'adsl?
- Emmmmìa!
- Ma no: di quale gestore?
Solo il 2 gennaio e già così.
L'adsl è mia e me la gestisco io
- Buongiorno, come posso aiutarla?
- Buongiorno, adesso le spiego. Ho traslocato, e in Telecom devono aver sbagliato la riconfigurazione del DSLAM, perché ora ho la portante fissa sui 799 chilobìt per secondo, come se...
- Di chi è l'adsl?
- Emmmmìa!
- Ma no: di quale gestore?
Solo il 2 gennaio e già così.
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domenica, gennaio 01, 2006
Colora il tuo 2006
Buon 2006.
Mi fanno tenerezza quelli che mandano gli sms di buon anno verso le nove di sera: per togliersi il pensiero, per essere i primi, per fare i previdenti? Oppure gli parte così, come il tappo dello spumante solitario cinque minuti prima di mezzanotte? Me li vedo, i precoci, mentre aspettano gli amici e si portano avanti con il lavoro durante il discorso di Ciampi.
Poi c'è la categoria dei precoci e originali.
Ore nove, bip bip:
"L'anno nuovo sarà come 1 libro con 365 pagine vuote. Fai di ogni giorno il tuo CAPOLAVORO usa tutti i colori della vita e mentre colori sorridi! Buon 2006".
1 libro, 365 pagine vuote: un bel bidone, a prima vista. Ma no, perché sono io a doverlo riempire, rendendo ogni giorno un CAPOLAVORO (tutto maiuscolo, un diktat più che un suggerimento), e usando tutti i colori della vita (sarebbe troppo facile e convenzionale usare la scala Pantone). Il tutto, senza mai smettere di sorridere come una cretina.
"Vieni al cine?"
"No scusa, non ho tempo, ho venti giorni arretrati da colorare."
"Cazzo hai da ridere, allora?"
"Eh."
Buon 2006?
Stavi per ammazzarmi, pazza.
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