Oh when sometimes I find myself alone regretting
Some little thing
Some simple thing I've done
I'm just a soul whose intentions are good
Oh Lord, please don't let me be misunderstood
Don't let me be misunderstood (Benjamin, Marcus, Caldwell)*
Vediamo se ho capito bene.
Ieri sera a Porta a Porta Berlusconi annuncia il graduale ritiro delle truppe italiane dall'Iraq: "già da settembre cominceremo una progressiva riduzione del numero dei nostri soldati in Iraq". Già che c'è dice che ne ha parlato con Blair "ed è l'opinione pubblica dei nostri paesi che si aspetta questa decisione". Certo, "dipenderà dalla capacità del governo iracheno di dotarsi di strutture di sicurezza accettabili".
Condoleeza Rice oggi minimizza: "qualsiasi decisione sarà pienamente coordinata in modo da non mettere in rischio la missione".
E Blair smentisce Berlusconi: "Né noi né l'Italia abbiamo fissato la data di inizio del ritiro dall'Iraq. Resteremo lì fino a quando il lavoro non sarà finito".
In un intervento che uscirà sul Foglio di domani Berlusconi dice: "dopo le elezioni del 30 gennaio, mentre si consolida il percorso costituzionale individuato dal governo ad interim e sostenuto dalla coalizione, si può cominciare a parlare di 'missione compiuta' senza escludere per il futuro nuovi, seri, solidi impegni nel sostegno politico, militare e diplomatico alla nascente democrazia irachena". Aggiunge che è possibile cominciare a discutere con il governo iracheno e gli alleati di "possibilità di graduale ritiro".
Poi telefona Bush. Cioè, Bush telefona per un altro motivo (la presidenza della Banca Mondiale), ma dice che Berlusconi ha sollevato lui il problema della permanenza in Iraq. Berlusconi dice a Bush che non è cambiato nulla, e che il suo era solo un auspicio.
Bush dice che la coalizione non si sta frantumando.
Fini dice che "non c'è motivo nè per esprimere sorprese nè di parlare di chissà quale nuova linea del Governo italiano".
Berlusconi dice che con Blair si sono capiti benissimo, nessun misunderstanding.
Bush dice: "La coalizione in Iraq è stata rafforzata dal coraggio degli iracheni: gli alleati si sono compiaciuti e rincuorati perchè gli iracheni sono andati alle urne e hanno votato e stanno adesso formando un governo. Si vede che ci sono progressi e io condivido il sentimento d'entusiasmo per quanto sta avvenendo in Iraq".
Berlusconi dice che la dichiarazione di ieri non aveva fini propagandistici.
E comunque lui pensa che a settembre il governo iracheno disporrà delle necessarie forze di sicurezza.
E comunque con Blair ne avevano discusso, di exit plan.
E comunque lui non ha mai parlato di date, aveva solo espresso un auspicio. Se non si può non si può, la decisione dev'essere concordata con gli alleati. Sono i giornalisti, che sono bravi a montare castelli in aria.
E le forze di sicurezza irachene, quelle che entro settembre dovrebbero essere in grado di garantire il mantenimento dell'ordine, e che motivano l'ottimismo di Berlusconi? La notizia di ieri era che il Pentagono (che parlava di 142.472 uomini addestrati ed equipaggiati) è stato smentito dal Government Accountability Office, ente di vigilanza del Congresso: quei dati sono inaffidabili, non c'è chiarezza neanche sui fondi federali stanziati per l'addestramento degli iracheni, e poi il tasso di assenteismo tra le truppe è altissimo (si parla di decine di migliaia di uomini). Reazione di un alto ufficiale statunitense: quelle assenze ingiustificate sono "una faccenda culturale".
Ah, beh.
* potete immaginarvi la versione di Nina Simone, di Joe Cocker, di Cindy Lauper. Io Berlusconi me lo vedo di più in quella flamenco-disco dei Santa Esmeralda, anno 1977. Al posto di Leroy Gomez, me lo vedo.
mercoledì, marzo 16, 2005
martedì, marzo 15, 2005
Already
"Due to an editing error, The Washington Times incorrectly reported in Saturday's editions the content of a new sex education curriculum in Montgomery County. The county is already using a video that shows students how to fit a condom onto a cucumber."
The Washington Times, "Corrections".
The Washington Times, "Corrections".
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Immaginario da fattoria
"È come dare un calcio al secchio di latte appena munto, ma la Snaidero non deve piangere per averlo versato. A farle coraggio è il coach vincente Cesare Pancotto, che si conferma per i colori arancione una bestia nera e non soltanto «bestia», come apparso sul giornale di lunedì (così come Verginella se la sfanga e non «sella sfanga»: ce ne scusiamo con gl’interessati e con i lettori, ma la fretta del lavoro domenicale tra palasport e redazione è tiranna)".
Dalle pagine sportive del Messaggero Veneto di oggi.
Dalle pagine sportive del Messaggero Veneto di oggi.
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lunedì, marzo 14, 2005
Agenzia Walrus/Quelli che il frico
Veronesi: macché smog, "l'inquinamento atmosferico non è rilevante per i tumori; c'è più cancro in Friuli che a Milano".
Ah, ecco: a noi ci ammazza il frico. Oppure, ma solo qui a G., la ljubljanska di Gianni.
In questo clima proibizionista già mi immagino domeniche tristissime a forchette alterne.
Ah, ecco: a noi ci ammazza il frico. Oppure, ma solo qui a G., la ljubljanska di Gianni.
In questo clima proibizionista già mi immagino domeniche tristissime a forchette alterne.
Nuovo cinema inferno
Un articolo dell'LA Times parla dei film girati dai soldati in Iraq e poi montati su un sottofondo di canzoni preferibilmente heavy-metal ("Die, don't need your resistance. Die, don't need your prayers") e nello stile dei video musicali, da far vedere a parenti, fidanzate e amici a casa. Mica solo moschee, donne in nero e commilitoni in azione: anche cadaveri di iracheni decapitati, mutilati, carbonizzati.
"È un trofeo, qualcosa da avere. C'ero, ho fatto questo", dice il soldato McCullough, 20 anni.
Si sa, ormai i soldati portano spesso con sé in battaglia videocamere e macchine fotografiche digitali. Il risultato è l'abbondanza di immagini e film che hanno per soggetto la morte, la tortura e la mutilazione; film e immagini che spesso i soldati si scambiano "come se si trattasse di figurine".
I comandanti hanno la facoltà di regolamentare l'uso di questi dispositivi, ma poi "si finisce per applicare le regole del buon senso", come ha affermato un portavoce dell'esercito.
Il soldato McCullough era sorpreso che il suo video preferito avesse sconvolto tutti, giù in Texas. "Si scopre quanto sia strano tutto questo quando lo si fa vedere a casa". In effetti, la sua fidanzata (e attuale moglie) era rimasta scioccata dalle immagini di corpi mutilati, di esplosioni e di sparatorie.
Perfino papà McCullough, capitano di marina della riserva, aveva commentato: "Sai, questo non è normale".
Daniel Nelson, professore di psichiatria alla scuola di medicina dell'Università di Cincinnati, dice che filmare l'orrore è un modo per prendere le distanze, per dissociarsi, e un primo passo nel processo di "guarigione".
E Thomas Doherty, direttore del corso di cinematografia alla Brandeis University, si esalta: questi video sono "autentici diari di guerra". Sì, beh, le scene sono cruente, ma il montaggio sincopato, il ritmo incalzante della musica e le immagini guizzanti ne fanno "a very slick piece of work", proprio un bel lavoro. "La generazione MTV va alla guerra", commenta. "Al Sundance, dovrebbero mandarlo".
Secondo il consulente legale dell'Osservatorio sui Diritti Umani tutto questo non può essere neanche definito una violazione della Convenzione di Ginevra. La Convenzione dice che non si devono esporre alla pubblica curiosità resti di persone decedute, mica che non si deve fotografarli o riprenderli.
Ci sono già diversi siti che vendono video "di guerra": efootage.com pubblicizza "combattimenti di militanti per le strade di Baghdad, saccheggi, disordini", Gotfootage.com, offre video da 50 e 100 dollari con vecchi filmati di Saddam Hussein, Jessica Lynch, bombardamenti aerei e "sooooo many bombs", mentre GrouchyMedia.com "is the place to find those pump-you-up-to-kill-the-bad-guys videos everyone has been talking about."
Secondo il sergente Bronkema di Lafayette non c'è niente di strano in tutto questo: "Non c'è più violenza di quanta ce ne sia in Salvate il soldato Ryan. Per noi non è diverso dal guardare un film".
"È un trofeo, qualcosa da avere. C'ero, ho fatto questo", dice il soldato McCullough, 20 anni.
Si sa, ormai i soldati portano spesso con sé in battaglia videocamere e macchine fotografiche digitali. Il risultato è l'abbondanza di immagini e film che hanno per soggetto la morte, la tortura e la mutilazione; film e immagini che spesso i soldati si scambiano "come se si trattasse di figurine".
I comandanti hanno la facoltà di regolamentare l'uso di questi dispositivi, ma poi "si finisce per applicare le regole del buon senso", come ha affermato un portavoce dell'esercito.
Il soldato McCullough era sorpreso che il suo video preferito avesse sconvolto tutti, giù in Texas. "Si scopre quanto sia strano tutto questo quando lo si fa vedere a casa". In effetti, la sua fidanzata (e attuale moglie) era rimasta scioccata dalle immagini di corpi mutilati, di esplosioni e di sparatorie.
Perfino papà McCullough, capitano di marina della riserva, aveva commentato: "Sai, questo non è normale".
Daniel Nelson, professore di psichiatria alla scuola di medicina dell'Università di Cincinnati, dice che filmare l'orrore è un modo per prendere le distanze, per dissociarsi, e un primo passo nel processo di "guarigione".
E Thomas Doherty, direttore del corso di cinematografia alla Brandeis University, si esalta: questi video sono "autentici diari di guerra". Sì, beh, le scene sono cruente, ma il montaggio sincopato, il ritmo incalzante della musica e le immagini guizzanti ne fanno "a very slick piece of work", proprio un bel lavoro. "La generazione MTV va alla guerra", commenta. "Al Sundance, dovrebbero mandarlo".
Secondo il consulente legale dell'Osservatorio sui Diritti Umani tutto questo non può essere neanche definito una violazione della Convenzione di Ginevra. La Convenzione dice che non si devono esporre alla pubblica curiosità resti di persone decedute, mica che non si deve fotografarli o riprenderli.
Ci sono già diversi siti che vendono video "di guerra": efootage.com pubblicizza "combattimenti di militanti per le strade di Baghdad, saccheggi, disordini", Gotfootage.com, offre video da 50 e 100 dollari con vecchi filmati di Saddam Hussein, Jessica Lynch, bombardamenti aerei e "sooooo many bombs", mentre GrouchyMedia.com "is the place to find those pump-you-up-to-kill-the-bad-guys videos everyone has been talking about."
Secondo il sergente Bronkema di Lafayette non c'è niente di strano in tutto questo: "Non c'è più violenza di quanta ce ne sia in Salvate il soldato Ryan. Per noi non è diverso dal guardare un film".
Sequestri atipici e molto politici
Reporter Associati oggi pubblica in esclusiva un'intervista a Domenico Leggero, responsabile del comparto difesa dell'Osservatorio Militare: si parla di Nicola Calipari e della sua ultima missione, della presenza italiana in Iraq, della subordinazione agli Stati Uniti, dei sequestri "atipici", del dubbio che si sia trattato non di un agguato ma di un attacco ben pianificato.
domenica, marzo 13, 2005
Riapparizioni
Ne ha parlato Samizdat qualche giorno fa.
Ieri pomeriggio sono andata a fotografarla.
Forse questa foto rende meglio il contesto.
Ieri pomeriggio sono andata a fotografarla.
Forse questa foto rende meglio il contesto.
sabato, marzo 12, 2005
Targeting Giuliana
Oggi solo un link, ma interessante. In Targeting Giuliana, pubblicato su Counterpunch, Jerry Fresia, ex ufficiale dei servizi segreti dell'aeronatica USA e attualmente residente in Italia, espone alcune considerazioni sui mezzi e le possibilità attuali degli Stati Uniti in fatto di intercettazioni telefoniche e di monitoraggio aereo e satellitare.
L'ex ufficiale definisce "assolutamente ridicola" l'affermazione del generale Casey secondo la quale gli americani non avrebbero conosciuto il percorso della macchina su cui si trovavano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena: perfino con i mezzi a disposizione trent'anni fa avrebbero intercettato tutte le comunicazioni telefoniche tra gli agenti italiani in Iraq e Roma, avrebbero sorvegliato questo traffico in tempo reale e avrebbero saputo dove si trovava l'auto della Sgrena in qualunque momento, che ne fossero stati avvertiti o no dagli italiani.
Così continua l'analisi di Fresia:
“Durante gli anni Settanta il mio compito era quello di controllare le informazioni raccolte nella penisola coreana. Era mia responsabilità riferire serie anomalie alla Casa Bianca attraverso un telefono sicuro. A quel tempo, la fotografia satellitare era ancora agli inizi; e tuttavia ai briefing circolava una battuta: "possiamo identificare una pallina da golf ovunque sulla superficie terrestre, ma non siamo in grado di distinguerne la marca". In aggiunta alla fotografia satellitare, devo supporre che ora si ricorra anche a foto scattate da aerei con e senza pilota regolarmente posizionati su aree chiave, come l'aeroporto di Baghdad, e in grado di fornire immagini in tempo reale del traffico su strada".
Soprattutto, secondo l'ex ufficiale, a partire dal 1974 gli Stati Uniti sono stati in grado di intercettare tutte le conversazioni telefoniche, e quindi:
"Mi sembra inconcepibile che gli Stati Uniti non stessero monitorando tutte le conversazioni tra gli agenti italiani e Roma, in particolare le conversazioni via cellulare in un ambiente ostile in cui le comunicazioni attraverso il telefono cellulare vengono usate per innescare esplosivi. Dobbiamo credere che in un'aerea vicina all'aeroporto, un'area che secondo gli USA è intensamente ostile, gli americani non stessero monitorando tutti i segnali dei cellulari? Anche se queste conversazioni erano elettronicamente criptate, la posizione di tali segnali avrebbe avuto un valore enorme dal punto di vista dell'intelligence”.
Dunque, secondo Fresia, si pongono le domande sbagliate: ciò che bisogna chiedersi è "quali comunicazioni siano intercorse tra il comando statunitense e coloro che hanno sparato al veicolo di Giuliana Sgrena".
Ma Fresia si spinge più in là, affermando che un motivo per impedire a Giuliana Sgrena di raccontare la propria storia è ben evidente:
"Ricordiamo che il primo obiettivo del secondo attacco a Fallujah fu l'al-Fallujah General Hospital. Perché fu la notizia dell'enorme numero di vittime civili fornita dall'ospedale a costringere gli Stati Uniti a fermare l'attacco. In altre parole, il controllo delle informazioni provenienti da Fallujah sulle conseguenze dell'attacco statunitense, soprattutto per quanto concerne i civili, è diventato un elemento critico nelle azioni militari.
In un rapporto del ministero della salute iracheno apprendiamo che gli Stati Uniti usarono gas mostarda, nervino e napalm - alla maniera di Saddam - contro la popolazione civile di Fallujah. La stessa Sgrena ha fornito le prove fotografiche dell'uso di bombe a grappolo e del ferimento di bambini. Ho cercato invano di trovare queste notizie nei principali mezzi d'informazione corporativi. La maggior parte della popolazione americana ignora quello che le proprie truppe fanno in suo nome, e deve continuare a ignorarlo perché gli Stati Uniti continuino a fare la guerra al popolo iracheno.
L'informazione, che sia basata sull’intelligence o su quello che riferiscono alcuni giornalisti coraggiosi, può costituire l'arma più importante della guerra in Iraq. Da questo punto di vista, la macchina su cui viaggiavano Nicola e Giuliana non era semplicemente un veicolo che portava un ostaggio verso la libertà. È del tutto ragionevole supporre, data l'immoralità della guerra e di questa guerra in particolare, che quella macchina fosse considerata un obiettivo militare”.
L'ex ufficiale definisce "assolutamente ridicola" l'affermazione del generale Casey secondo la quale gli americani non avrebbero conosciuto il percorso della macchina su cui si trovavano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena: perfino con i mezzi a disposizione trent'anni fa avrebbero intercettato tutte le comunicazioni telefoniche tra gli agenti italiani in Iraq e Roma, avrebbero sorvegliato questo traffico in tempo reale e avrebbero saputo dove si trovava l'auto della Sgrena in qualunque momento, che ne fossero stati avvertiti o no dagli italiani.
Così continua l'analisi di Fresia:
“Durante gli anni Settanta il mio compito era quello di controllare le informazioni raccolte nella penisola coreana. Era mia responsabilità riferire serie anomalie alla Casa Bianca attraverso un telefono sicuro. A quel tempo, la fotografia satellitare era ancora agli inizi; e tuttavia ai briefing circolava una battuta: "possiamo identificare una pallina da golf ovunque sulla superficie terrestre, ma non siamo in grado di distinguerne la marca". In aggiunta alla fotografia satellitare, devo supporre che ora si ricorra anche a foto scattate da aerei con e senza pilota regolarmente posizionati su aree chiave, come l'aeroporto di Baghdad, e in grado di fornire immagini in tempo reale del traffico su strada".
Soprattutto, secondo l'ex ufficiale, a partire dal 1974 gli Stati Uniti sono stati in grado di intercettare tutte le conversazioni telefoniche, e quindi:
"Mi sembra inconcepibile che gli Stati Uniti non stessero monitorando tutte le conversazioni tra gli agenti italiani e Roma, in particolare le conversazioni via cellulare in un ambiente ostile in cui le comunicazioni attraverso il telefono cellulare vengono usate per innescare esplosivi. Dobbiamo credere che in un'aerea vicina all'aeroporto, un'area che secondo gli USA è intensamente ostile, gli americani non stessero monitorando tutti i segnali dei cellulari? Anche se queste conversazioni erano elettronicamente criptate, la posizione di tali segnali avrebbe avuto un valore enorme dal punto di vista dell'intelligence”.
Dunque, secondo Fresia, si pongono le domande sbagliate: ciò che bisogna chiedersi è "quali comunicazioni siano intercorse tra il comando statunitense e coloro che hanno sparato al veicolo di Giuliana Sgrena".
Ma Fresia si spinge più in là, affermando che un motivo per impedire a Giuliana Sgrena di raccontare la propria storia è ben evidente:
"Ricordiamo che il primo obiettivo del secondo attacco a Fallujah fu l'al-Fallujah General Hospital. Perché fu la notizia dell'enorme numero di vittime civili fornita dall'ospedale a costringere gli Stati Uniti a fermare l'attacco. In altre parole, il controllo delle informazioni provenienti da Fallujah sulle conseguenze dell'attacco statunitense, soprattutto per quanto concerne i civili, è diventato un elemento critico nelle azioni militari.
In un rapporto del ministero della salute iracheno apprendiamo che gli Stati Uniti usarono gas mostarda, nervino e napalm - alla maniera di Saddam - contro la popolazione civile di Fallujah. La stessa Sgrena ha fornito le prove fotografiche dell'uso di bombe a grappolo e del ferimento di bambini. Ho cercato invano di trovare queste notizie nei principali mezzi d'informazione corporativi. La maggior parte della popolazione americana ignora quello che le proprie truppe fanno in suo nome, e deve continuare a ignorarlo perché gli Stati Uniti continuino a fare la guerra al popolo iracheno.
L'informazione, che sia basata sull’intelligence o su quello che riferiscono alcuni giornalisti coraggiosi, può costituire l'arma più importante della guerra in Iraq. Da questo punto di vista, la macchina su cui viaggiavano Nicola e Giuliana non era semplicemente un veicolo che portava un ostaggio verso la libertà. È del tutto ragionevole supporre, data l'immoralità della guerra e di questa guerra in particolare, che quella macchina fosse considerata un obiettivo militare”.
venerdì, marzo 11, 2005
Accortezza
"Credo che la Sgrena dovrebbe, magari, essere piu' accorta. Ha detto un cumulo di sciocchezze, parla da poco accorta, si è mossa da poco accorta, ha creato enormi problemi al governo e ha creato anche dei lutti che forse era meglio evitare".
Roberto Castelli, oggi.
Roberto Castelli, oggi.
I soliti giornalisti
Insomma, l'ostaggio è nelle nostre mani da più di un mese, e questi se ne accorgono solo adesso. Io mi aspettavo almeno una telefonata della pupattola bionda, per questo povero cristo.
Sta' a vedere che adesso dobbiamo pagare per restituirlo.
Idee?
Sta' a vedere che adesso dobbiamo pagare per restituirlo.
Idee?
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The Real Thing
mercoledì, marzo 09, 2005
La ferita dell'Iraq
Ogni guerra ha una ferita caratteristica, non solo metaforica, una vera e propria firma clinica: i danni ai polmoni causati dai gas durante la prima guerra mondiale, i tumori da radiazioni nucleari durante la seconda, le lesioni alla pelle causate dall'utilizzo dell'Agente Arancio in Vietnam, la Sindrome della Guerra del Golfo. Per i soldati americani anche la guerra in Iraq ha la sua signature wound: si chiama TBI, brain damage injury, che potremmo tradurre come neurotrauma e che è provocata principalmente da violente esplosioni. I soldati sono sufficientemente corazzati e protetti per sopravvivere a impatti di violenza mortale, ma sviluppano traumi cerebrali a volte molto gravi. Al Walter Reed Army Medical Center di Washington hanno sottoposto a controlli tutti i militari che erano sopravvissuti a esplosioni e forti impatti, e hanno scoperto che circa il 60% soffriva di TBI. Per la maggioranza si trattava di giovani intorno ai vent'anni.
Dal gennaio 2003 al gennaio 2004 sono stati diagnosticati 437 casi di TBI tra i soldati ricoverati. Poco più della metà riportavano danni cerebrali permanenti; tali cifre sono state definite preoccupanti dal dottor Warren Lux, neurologo dell'ospedale di Washington.
Questo trauma parla del tipo di guerra combattuta in Iraq: non deriva da sostanze chimiche o radioattive; il corpo superprotetto sopravvive all'impatto, ma il cervello è scosso violentemente all'interno del cranio e il tessuto cerebrale subisce delle lesioni.
È la ferita distintiva dei soldati americani in Iraq: la malattia dei sopravvissuti, dei nati due volte, di quelli che in guerre passate sarebbero morti subito, la malattia che non toccherà al loro nemico.
Dal gennaio 2003 al gennaio 2004 sono stati diagnosticati 437 casi di TBI tra i soldati ricoverati. Poco più della metà riportavano danni cerebrali permanenti; tali cifre sono state definite preoccupanti dal dottor Warren Lux, neurologo dell'ospedale di Washington.
Questo trauma parla del tipo di guerra combattuta in Iraq: non deriva da sostanze chimiche o radioattive; il corpo superprotetto sopravvive all'impatto, ma il cervello è scosso violentemente all'interno del cranio e il tessuto cerebrale subisce delle lesioni.
È la ferita distintiva dei soldati americani in Iraq: la malattia dei sopravvissuti, dei nati due volte, di quelli che in guerre passate sarebbero morti subito, la malattia che non toccherà al loro nemico.
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martedì, marzo 08, 2005
Immaginare l'orrore
Scrive oggi il Guardian che alcuni soldati della 3ª Brigata di Fanteria (le cui truppe hanno sparato alla macchina sulla quale si trovava Giuliana Sgrena) sono stati indagati per aver violentato delle donne irachene durante un turno di guardia in un distretto commerciale. "So solo che erano irachene. Non so se sono state stuprate, o se fossero prostitute, o se semplicemente volessero avere rapporti sessuali", ha dichiarato un soldato. Le donne non sono state consultate, l'inchiesta è stata chiusa sbrigativamente per mancanza di prove.
I documenti relativi all'indagine sono nelle mani dell'American Civil Liberties Union, che rende disponibili sul proprio sito alcuni file. Questi documenti, ottenuti dopo una lunga battaglia legale con il Pentagono, rivelano che sono state aperte indagini per 13 casi di abuso, senza che alcun soldato abbia subito provvedimenti disciplinari di alcun tipo. Rivelano inoltre che le truppe statunitensi dopo lo scandalo di Abu Ghraib hanno avuto l'accortezza di distruggere le prove di queste violenze: il caso più recente è la distruzione del dvd che i soldati chiamano "Ramadi Madness", e nel quale membri della Guardia Nazionale della Florida compiono violenze e abusi su detenuti vivi e morti. Almeno uno dei responsabili - un sergente - è stato individuato, ma non è stato incriminato perché il video mostrava un comportamento "inappropriato, ma non criminale".
I documenti ottenuti dall'American Civil Liberties Union in base al Freedom of Information Act sono consultabili a questo indirizzo, e contengono anche numerose descrizioni di sparatorie contro civili ai posti di blocco.
Alcuni episodi di "Ramadi Madness" sono qui, privati delle parti sanguinose e dell'audio: si vedono soldati in missione, accanto a prigionieri legati e denudati, mentre scoprono depositi di munizioni, nutrono un gattino di pochi mesi, esibiscono con orgoglio le proprie armi, mettono in posa un cadavere davanti all'obiettivo.
Ieri Under the Same Sun, a proposito di "Ramadi Madness", commentava: "immaginate se avessimo trovato la fotografia di un soldato americano morto che fa ciao all'obiettivo. Immaginate se un religioso islamico o un ufficiale iracheno ci avessero detto che è 'inappropriato', ma non abbastanza da essere punibile. Immaginate l'orrore".
"The one who got reported": la vignetta di Steve Bell sul Guardian di oggi.
I documenti relativi all'indagine sono nelle mani dell'American Civil Liberties Union, che rende disponibili sul proprio sito alcuni file. Questi documenti, ottenuti dopo una lunga battaglia legale con il Pentagono, rivelano che sono state aperte indagini per 13 casi di abuso, senza che alcun soldato abbia subito provvedimenti disciplinari di alcun tipo. Rivelano inoltre che le truppe statunitensi dopo lo scandalo di Abu Ghraib hanno avuto l'accortezza di distruggere le prove di queste violenze: il caso più recente è la distruzione del dvd che i soldati chiamano "Ramadi Madness", e nel quale membri della Guardia Nazionale della Florida compiono violenze e abusi su detenuti vivi e morti. Almeno uno dei responsabili - un sergente - è stato individuato, ma non è stato incriminato perché il video mostrava un comportamento "inappropriato, ma non criminale".
I documenti ottenuti dall'American Civil Liberties Union in base al Freedom of Information Act sono consultabili a questo indirizzo, e contengono anche numerose descrizioni di sparatorie contro civili ai posti di blocco.
Alcuni episodi di "Ramadi Madness" sono qui, privati delle parti sanguinose e dell'audio: si vedono soldati in missione, accanto a prigionieri legati e denudati, mentre scoprono depositi di munizioni, nutrono un gattino di pochi mesi, esibiscono con orgoglio le proprie armi, mettono in posa un cadavere davanti all'obiettivo.
Ieri Under the Same Sun, a proposito di "Ramadi Madness", commentava: "immaginate se avessimo trovato la fotografia di un soldato americano morto che fa ciao all'obiettivo. Immaginate se un religioso islamico o un ufficiale iracheno ci avessero detto che è 'inappropriato', ma non abbastanza da essere punibile. Immaginate l'orrore".
"The one who got reported": la vignetta di Steve Bell sul Guardian di oggi.
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lunedì, marzo 07, 2005
Not welcome
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Qui Cinquantunesimo Stato
A me ieri sera ha fatto uno strano effetto vedere Gabriele Polo ospite con Scolari dello Speciale Tg1 in onda dopo le 23.00. Non tanto per il programma, o il canale (nel pomeriggio c'era stata la telefonata di Mara Venier a Giuliana Sgrena durante la diretta di Domenica In da Sanremo, e qui avevamo già toccato il sublime).
No, è che io pensavo che personaggi come Teodori e Iacchia - mai visti in natura, ma solo in vitro e per di più a Porta a Porta - fossero emanazioni ologrammatiche di Bruno Vespa: "lo studioso americanista" e l'"esperto di questioni militari", mica due persone reali. Non ho mai preso in considerazione la possibilità che potessero esistere veramente e non essere prodotto di una sessione di lavoro particolarmente appagante dell'Industrial Light & Magic.
Invece poi ho visto il direttore del Manifesto replicare pacatamente a un'affermazione di Iacchia, e Scolari mandare a quel paese Teodori: quindi essi vivono, e non comunicano solo con pari-ologramma.
Anche se, va detto, l'interazione era comunque ridotta al minimo: Polo e Scolari avevano gli sguardi obliqui e imbarazzati di due che hanno a che fare con un cromakey, la gestualità imprecisa dei meteorologi durante le previsioni del tempo. Per farla breve, i dubbi restano.
No, è che io pensavo che personaggi come Teodori e Iacchia - mai visti in natura, ma solo in vitro e per di più a Porta a Porta - fossero emanazioni ologrammatiche di Bruno Vespa: "lo studioso americanista" e l'"esperto di questioni militari", mica due persone reali. Non ho mai preso in considerazione la possibilità che potessero esistere veramente e non essere prodotto di una sessione di lavoro particolarmente appagante dell'Industrial Light & Magic.
Invece poi ho visto il direttore del Manifesto replicare pacatamente a un'affermazione di Iacchia, e Scolari mandare a quel paese Teodori: quindi essi vivono, e non comunicano solo con pari-ologramma.
Anche se, va detto, l'interazione era comunque ridotta al minimo: Polo e Scolari avevano gli sguardi obliqui e imbarazzati di due che hanno a che fare con un cromakey, la gestualità imprecisa dei meteorologi durante le previsioni del tempo. Per farla breve, i dubbi restano.
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lunedì, febbraio 28, 2005
Ready when you are, Mr. De Mille!
Si racconta che Cecil B. De Mille stesse girando la scena di una battaglia con migliaia di comparse e di animali, una scena che probabilmente sarebbe finita con la distruzione del set. In quel caso doveva essere per forza "buona la prima". Così De Mille pensò di andare sul sicuro mettendo al lavoro ben quattro cameramen. Quando l'azione si concluse e il set era completamente distrutto domandò a ciascun operatore se la ripresa fosse andata bene. "Eh, mi sa di no", disse il primo, "mi si è incastrata la pellicola", "Macché", disse il secondo, "c'era un capello sull'obiettivo". "Niente da fare", fece il terzo, "c'era il riflesso del sole sulla lente". Disperato, De Mille si rivolse all'ultimo operatore, che disse tutto allegro: "Io sono pronto quando è pronto lei, signor De Mille!".
C'è chi decide di nascere con venti giorni d'anticipo per non perdersi la notte degli Oscar.
Michele è arrivato poco prima della mezzanotte, e al suo papà non funzionava la videocamera appena comprata da Mediaworld per l'occasione.
Ancora non sa, Michele, che lo chiamiamo già "il nostro million dollar baby".
Ancora non sa, il papà di Michele, che ormai lo chiamiamo Mr. De Mille.
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sabato, febbraio 26, 2005
Due cose
Due cose.
Quando gli Stati Uniti vogliono esportare democrazia io mi preoccupo, però potrebbe benissimo trattarsi di un problema mio.
Sono attratta dall'Iran e prima o poi mi piacerebbe visitarlo, magari come turista e non come scudo umano. Mi interessa la sua cultura, il suo popolo, e se negli ultimi venticinque anni ho simpatizzato due o tre volte* per la repubblica islamica avevo le mie buone ragioni.
Detto questo, io lo so che i weblogger iraniani si trovano in difficoltà; di certo se ne parla tanto, recentemente, e forse in modo strumentale, ma questo non rende il problema meno reale e meno grave.
Quindi questi sono miei appunti personali, piccoli cambiamenti di prospettiva.
Sul blog di Another Irani Online ho scoperto alcune cose interessanti. In Iran ci sono due radio finanziate dagli Stati Uniti: Radio Sawa, in lingua araba, e Radio Farda, in lingua persiana. L'Iran Democracy Act - e io qui comincio seriamente a preoccuparmi, per il famoso mio problema - parla esplicitamente del ruolo di Radio Farda, mentre un articolo del Washington Post commenta l'insuccesso di Radio Sawa nel promuovere sentimenti filoamericani (copio e incollo perché ci vuole l'iscrizione, e anche se è gratuita io non voglio abbonare tutti e cinque i miei resistenti lettori al Post: "Radio Sawa, an Arab-language pop music and news station funded by the U.S. government and touted by the Bush administration as a success in reaching out to the Arab world, has failed to meet its mandate of promoting democracy and pro-American attitudes, according to a draft report prepared by the State Department's inspector general. The report credited Radio Sawa with attracting a large audience in key Middle East countries but said the station, which has an annual budget of $22 million, has been so preoccupied with building an audience through its music that it has failed to adequately measure whether it is influencing minds").
Si può obiettare sul fatto che la promozione degli ideali democratici come li intendono gli Stati Uniti debba per forza passare per la musica pop, ma non meravigliarsene.
Quindi lo so cosa state pensando: anche stavolta la Mira ha passato il sabato pomeriggio a scoprire l'acqua calda.
Ma magari anche no.
Radio Farda, dice Another Irani Online, questa settimana dedica un programma di "approfondimento" al problema della libertà dei blogger iraniani.
Ma è stata proprio Radio Farda a mettere nei guai Arash - il weblogger condannato a 14 anni di carcere per aver criticato il governo -, rivelando la sua vera identità durante un'intervista. È lo stesso Arash a dichiararlo, in una lettera citata (e tradotta) da Another Irani Online: "I was doing the interview with a pen name and then suddenly they would announce that were doing an interview with Arash Cigarchi. Believe me I placed no hope in them [Radio Farda] and I still dont... I don't expect anything from radio stations but it might not be a bad idea if a movement developed that familiarized them with their responsibilities to those of us who face a thousand dangers in Iran".
Insomma, conclude Another Irani Online, promuovendo con tanto zelo la democrazia e la libertà questi "benefattori" finiscono per mettere in pericolo proprio quelli che sarebbero in grado di portare un vero cambiamento nella loro società.
Questi sono i giovani iraniani: dategli una playlist come si deve e un po' d'informazione trasparente e aspettatevi anche di essere criticati.
*diciamo cinque, c'era Reagan.
Quando gli Stati Uniti vogliono esportare democrazia io mi preoccupo, però potrebbe benissimo trattarsi di un problema mio.
Sono attratta dall'Iran e prima o poi mi piacerebbe visitarlo, magari come turista e non come scudo umano. Mi interessa la sua cultura, il suo popolo, e se negli ultimi venticinque anni ho simpatizzato due o tre volte* per la repubblica islamica avevo le mie buone ragioni.
Detto questo, io lo so che i weblogger iraniani si trovano in difficoltà; di certo se ne parla tanto, recentemente, e forse in modo strumentale, ma questo non rende il problema meno reale e meno grave.
Quindi questi sono miei appunti personali, piccoli cambiamenti di prospettiva.
Sul blog di Another Irani Online ho scoperto alcune cose interessanti. In Iran ci sono due radio finanziate dagli Stati Uniti: Radio Sawa, in lingua araba, e Radio Farda, in lingua persiana. L'Iran Democracy Act - e io qui comincio seriamente a preoccuparmi, per il famoso mio problema - parla esplicitamente del ruolo di Radio Farda, mentre un articolo del Washington Post commenta l'insuccesso di Radio Sawa nel promuovere sentimenti filoamericani (copio e incollo perché ci vuole l'iscrizione, e anche se è gratuita io non voglio abbonare tutti e cinque i miei resistenti lettori al Post: "Radio Sawa, an Arab-language pop music and news station funded by the U.S. government and touted by the Bush administration as a success in reaching out to the Arab world, has failed to meet its mandate of promoting democracy and pro-American attitudes, according to a draft report prepared by the State Department's inspector general. The report credited Radio Sawa with attracting a large audience in key Middle East countries but said the station, which has an annual budget of $22 million, has been so preoccupied with building an audience through its music that it has failed to adequately measure whether it is influencing minds").
Si può obiettare sul fatto che la promozione degli ideali democratici come li intendono gli Stati Uniti debba per forza passare per la musica pop, ma non meravigliarsene.
Quindi lo so cosa state pensando: anche stavolta la Mira ha passato il sabato pomeriggio a scoprire l'acqua calda.
Ma magari anche no.
Radio Farda, dice Another Irani Online, questa settimana dedica un programma di "approfondimento" al problema della libertà dei blogger iraniani.
Ma è stata proprio Radio Farda a mettere nei guai Arash - il weblogger condannato a 14 anni di carcere per aver criticato il governo -, rivelando la sua vera identità durante un'intervista. È lo stesso Arash a dichiararlo, in una lettera citata (e tradotta) da Another Irani Online: "I was doing the interview with a pen name and then suddenly they would announce that were doing an interview with Arash Cigarchi. Believe me I placed no hope in them [Radio Farda] and I still dont... I don't expect anything from radio stations but it might not be a bad idea if a movement developed that familiarized them with their responsibilities to those of us who face a thousand dangers in Iran".
Insomma, conclude Another Irani Online, promuovendo con tanto zelo la democrazia e la libertà questi "benefattori" finiscono per mettere in pericolo proprio quelli che sarebbero in grado di portare un vero cambiamento nella loro società.
Questi sono i giovani iraniani: dategli una playlist come si deve e un po' d'informazione trasparente e aspettatevi anche di essere criticati.
*diciamo cinque, c'era Reagan.
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Freedom fries,
Usa
Sempre carne è
"Rufus Wainwright, page 17, Friday Review, yesterday, has recorded a setting of Agnus Dei rather than Angus Dei".
The Guardian, sezione "Corrections" di oggi, grassetto mio.
The Guardian, sezione "Corrections" di oggi, grassetto mio.
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corrections
giovedì, febbraio 24, 2005
Allarghiamoci a est
"non in senso bellico", ha però specificato il deputato di AN.
Di certo Menia è uno che non dimentica, e non solo nella Giornata del Ricordo: il 16 febbraio scorso ha presentato un'interrogazione nella quale ha chiesto di verificare la posizione e i diritti dello scrittore e studioso fiumano Giacomo Scotti, vice presidente dell'Unione Italiana, e di partire dalla sua situazione per controllare quante persone con doppia cittadinanza godano di pensioni e tutela sanitaria italiane. Scotti ha una pensione sociale di 500 euro e l'assistenza sanitaria del nostro paese; la doppia residenza e la doppia cittadinanza è consentita alla minoranza italiana da una legge del 1991. Ma queste cose Menia finge di dimenticarsele.
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ohno
Piccoli equivoci
Divertente rettifica del New York Times a proposito di un paio di foto della Reuters: gli sciiti raffigurati non piangevano e si flagellavano a causa dei modesti risultati elettorali – come indicato nelle didascalie – ma nel contesto di un rito religioso (durante l'Ashura, per la precisione).
"The caption on Feb. 14 for a picture by Reuters with the continuation of an article about the Iraqi elections misstated the reason Abdul Aziz al-Hakim, a Shiite cleric, was weeping. He was participating in a mourning ritual as part of Ashura, a holy Shiite festival - not reacting to results showing that his political alliance had won a slim majority of seats. A second caption for a Reuters photo misstated the reason a Shiite was shown flagellating himself in a Baghdad procession. He was taking part in the same mourning ritual, not celebrating the election outcome".
The New York Times, sezione "Corrections".
"The caption on Feb. 14 for a picture by Reuters with the continuation of an article about the Iraqi elections misstated the reason Abdul Aziz al-Hakim, a Shiite cleric, was weeping. He was participating in a mourning ritual as part of Ashura, a holy Shiite festival - not reacting to results showing that his political alliance had won a slim majority of seats. A second caption for a Reuters photo misstated the reason a Shiite was shown flagellating himself in a Baghdad procession. He was taking part in the same mourning ritual, not celebrating the election outcome".
The New York Times, sezione "Corrections".
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