War Nerd: Congo, il Guerriero Nkunda è 'Nfico
di Gary Brecher
Se mai foste interessati a trovare un eroe, ecco come riconoscerlo: i telegiornali ne faranno un mostro 24 ore su 24, 7 giorni su 7. L'eroe mostro di oggi è il generale tutsi Laurent Nkunda, capo delle forze “ribelli” che starebbero “puntando” su Goma nel Congo Orientale.
La BBC, il solo canale di informazione che finga di prendere l'Africa sul serio, ha la sua giornalista predatrice numero uno, Orla Guerin, che sta sul caso Nkunda ogni santo giorno. Forse non conoscete il nome della Guerin ma se vi piacciono le notizie di guerra la riconoscerete perché avrete visto i suoi servizi da qualche zona di morte africana. In quei posti è perfetta, le stanno da Dio. Ha la faccia di un teschio, solo che i teschi sorridono, e un accento da paura che riporta alla mente il porridge freddo e la dannazione degli avanzi del giorno prima.
Non so da dove viene, ma devono aver dato una festa quando se n'è andata. In questo video della BBC c'è Olga che dice quanto sia una vergogna che i “profughi” del Campo di Kibati debbano fare la ressa per il cibo, preoccupati come sono di essere travolti dai “ribelli” di Nkunda. Da come la mettono giù Orla e le altre reti, nel Congo Orientale andava tutto bene finché il capo “ribelle” Nkunda non ha ordinato alle sue truppe di avanzare. Quando i “profughi” innocenti hanno saputo che Nkunda stava per arrivare hanno cominciato a fuggire, creando una “crisi umanitaria”.
Anche i mezzi di informazione cartacei ci stanno dando dentro, come il fogliaccio britannico The Guardian secondo il quale le truppe di Nkunda potrebbero in effetti avere “ucciso civili”, come se fosse una cosa insolita in Africa Centrale. L'articolo del Guardian accenna solo di sfuggita al fatto che i “civili” uccisi si trovavano in una “roccaforte delle milizie hutu”: quelle stesse milizie che uccisero la maggioranza della popolazione tutsi in Ruanda nel 1994. È come se gli ebrei avessero formato un esercito per respingere i nazisti, e quando i poveri nazisti si sono ritirati gli ebrei avessero fatto un'incursione per scoraggiare i “profughi” dal ricadere nella vecchia deprecabile abitudine del genocidio. Che è un'atrocità, certo. Solo che i nazisti, diamogliene atto, hanno avuto coraggio da vendere e hanno combattuto fino all'ultimo uomo; le “milizie” hutu invece hanno saputo solo fare a pezzi neonati e violentare bambine, e sono scappate alle prime voci che il nemico si stava avvicinando. Ecco perché sono ancora in circolazione.
Ogni parola, ogni singola disgustosa dannata parola di questi articoli della BBC e del Guardian è una cazzata. Mi dà la nausea ascoltare di continuo queste bugie. La ragione per cui il piccolo esercito di Nkunda (che dovrebbe contare dai 5000 ai 10.000 uomini) questa settimana è avanzato nel Congo Orientale è che le bande hutu stavano diventando un po' troppo aggressive con i villaggi tutsi, uccidendo gli uomini e sequestrando donne e bambine per farne schiave sessuali. Nkunda sa molto bene che nessun altro proteggerà i tutsi, per il semplice motivo che nessuno l'ha mai fatto. E così ha deciso di farlo lui. Nkunda è un grand'uomo, una persona brillante, un eroe, un genio militare che parla quattro lingue e ha sconfitto gli eserciti più forti in circolazione con meno di 10.000 uomini. È l'unico leader in gamba che quella parte dell'Africa abbia mai visto. Vale la pena di osservare come l'hanno fatto a pezzi, perché lì vedrete all'opera le stesse tecniche usate per fare a pezzi tutti i veri eroi.
Cominciamo con il trucco più vecchio, chiamare qualcuno che non ti piace “ribelle”. Come ha deciso, la BBC, che Nkunda è un “ribelle”? Non devono esistere un governo, una legge, un ordine pubblico, per potersi ribellare? Contro chi si starebbe ribellando, Nkunda? Non c'è legge nelle foreste del Congo Orientale. Le Nazioni Unite hanno una patetica forza simbolica di caschi blu che se ne vanno in giro ad ammazzare zanzare e a chiedere pompini alle ragazze del posto, ma il vero potere prima che arrivassero i soldati di Nkunda era nelle mani dei capi dei “profughi” hutu.
“Profugo”: un'altra parola fantastica, che fa il paio con “ribelle”. Rende gli hutu vittime innocenti, che tremano di paura all'avvicinarsi dei cattivi vecchi tutsi. Be', naturalmente è un'altra bugia ipocrita. Questi “profughi” sono bande capeggiate dalla gente peggiore del mondo: i leader dell'Interahamwe e dell'Impuzamugambe, le “milizie” hutu che in Ruanda nel 1994 massacrarono 800.000 uomini, donne, bambini e neonati tutsi.
Anzi, chiamare questi squadroni della morte “milizie” è far loro un complimento. Scoprirete che la BBC e le altre reti hanno tutta una serie di nomi per le squadre della morte: “terroristi” se vi odiano, “paramilitari” se non sono sicuri ma non vi inviterebbero alle feste di compleanno dei loro bimbi, e “milizie” se gli andate a genio. Chiamare le squadre genocide hutu “milizie” è come definire il Columbine una marachella. La ragione per cui questi hutu sono nella giungla è semplice: hanno massacrato quasi un milione di ruandesi in meno di quattro mesi, ai tempi felici di Clinton, e poi sono scappati quando i tutsi, che sono sempre stati più coraggiosi degli hutu, hanno formato un piccolo esercito, l'RPF (Fronte Patriottico Ruandese), e hanno scacciato le ben più consistenti “milizie”. La verità è che i tutsi si sono comportati così bene in tutta quella storia che il mondo avrebbe dovuto rallegrarsene ed elogiarli. Vi dirò, se fossi stato al comando dell'RPF quando è rientrato in Ruanda camminando su mucchi di cadaveri maleodoranti fatti a pezzi dai machete, mi sarei ispirato al nome che Foday Sankoh diede alla marcia del suo esercito di svitati su Freetown, su in Sierra Leone: “Operazione Uccidere Tutto Ciò Che Respira”. Ma i tutsi non l'hanno fatto. Non si sono vendicati, hanno lasciato vivere gli hutu e hanno perfino tentato di instaurare un governo decente con elementi di entrambe le tribù. Sono fottutissimi santi, e invece qui dovrebbero fare la parte dei cattivi?
Permettete che ve lo dica ancora una volta, poiché nessuno qui sembra volerlo ricordare: ottocentomila civili tutsi massacrati a colpi di machete in meno di quattro mesi. Un vero sforzo comunitario, come la costruzione di fienili degli Amish, solo un tantino più sanguinario. Se volete farvi un'idea di come ci sono riusciti, vi raccomando un libro intitolato Machete Season, La stagione del machete.
È un libro semplicissimo: consiste in interviste a una banda di contadini hutu che trascorsero tre mesi a fare spedizioni quotidiane nella locale palude dove i civili tutsi superstiti cercavano di nascondersi. Raccontano tutti la stessa storia: “Ogni mattina ci alzavamo, prendevamo i machete e cercavamo dei tutsi da fare a pezzi. A volte stupravamo in gruppo le ragazze carine, perché quelle tutsi hanno la pelle così delicata, con tutto il latte che bevono. Ma quando avevamo finito ammazzavamo anche loro. Dopo settimane che li accoppavamo i tutsi non facevano neanche più resistenza. Si limitavano a starsene lì e ad aspettare che li finissimo. Che tempi”.
Se avete amici o parenti convinti che le persone siano fondamentalmente buone e sciocchezze di questo tipo, a Natale regalate loro questo libro. Li sistemerà subito. La gente parla di “banalità del male”, ma questo è ben peggio. È gente non ne ha nemmeno la nozione. Le sole persone per cui possano provare dispiacere sono loro stessi, perché devono farsi un po' in galera finché le Nazioni Unite non li lasceranno andare. Parlano della loro “sfortuna”, riferendosi all'arresto. In un certo senso hanno ragione, perché sono i soli hutu a essere stati presi e puniti.
Gli altri sono fuggiti nelle foreste del Congo Orientale. Sono i “profughi” per i quali Orla Guerin si addolora tanto: i fottuti mostri che hanno fatto del loro meglio per ammazzare tutta la popolazione tutsi del Ruanda in novanta giorni, manco si fosse trattato di un gioco a tempo.
E neanche in Congo hanno cambiato abitudini. Le milizie hutu hanno conservato i machete (“pangas”), hanno mantenuto il controllo della loro gente e si sono tenuti in allenamento facendo incursioni nei villaggi a caccia di donne e ragazze. Sono noti per marchiare le donne catturate come fossero bestiame, segnandole come schiave sessuali per sempre. A volte le lasciano andare, quando restano incinte, così possono tornarsene al villaggio con il bambino di uno stupratore hutu nella pancia. Bel ritorno a casa, dev'essere. Ma il più delle volte quando si stancano di una donna la trascinano nella foresta, la massacrano e la lasciano lì per gli animali.
Vi starete chiedendo dove prendono cibo e acqua questi begli esemplari di umanità. Be'. Le Nazioni Unite, sempre pronte a schierarsi dalla parte sbagliata in tutti i conflitti, erano lì proprio per dare loro da bere e da mangiare quando sono scappati dal Ruanda sotto l'avanzata dell'RPF, che in poche settimane ha ripreso il paese.
È buffo il modo in cui le Nazioni Unite si sono premurate di aiutare questi miserabili maiali, perché invece quando un milione di tutsi veniva scannato nessuno ha fatto niente. Ci vuole un po' per ammazzare così tanta gente con le mani. È un'attività aerobica. E nessuno, assolutamente nessuno, ha fatto niente durante la stagione del machete.
Oh, ma non appena gli hutu sconfitti hanno attraversato in fuga il confine, con le mani che grondavano ancora sangue di neonato, i caschi blu erano già lì con i loro sacchi di riso per consolarli. Fino a poco tempo fa per tutto questo non c'era una vera spiegazione. Io pensavo addirittura che non servisse: così vanno le cose, soprattutto in Africa. I cattivi vincono sempre e i virtuosi giornalisti della BBC si schierano sempre dalla loro parte. Be', penso ancora che in generale vada così, ma ultimamente un pezzo del rompicapo è diventato molto più chiaro. Sono desolato di dire che i francesi c'erano dentro fino al collo, per tutta la stagione del machete, secondo un rapporto indipendente pubblicato nell'agosto del 2008. Perfino io ne sono rimasto sconvolto. Secondo questo rapporto, “La Francia ebbe la responsabilità della morte di alcune delle 800.000 persone massacrate in Ruanda tra aprile e luglio del 1994, la maggioranza delle quali tutsi o hutu moderate uccise dalle milizie hutu”.
“Gli stessi soldati francesi furono direttamente coinvolti nell'assassinio di tutsi e di hutu accusati di nascondere tutsi” dice il rapporto. “I soldati francesi commisero molti stupri, soprattutto di donne tutsi.” Il defunto presidente francese François Mitterrand e l'ex primo ministro Dominique de Villepin erano tra le autorità accusate dal rapporto di avere fornito supporto di “natura politica, militare, diplomatica e logistica”.
Adesso vorrei non aver mai difeso i rappresentanti militari francesi come feci quando tutti i neocon li attaccavano. Quella volta me le sentii, e per cosa poi? Solo perché potessero spazzar via indisturbati i tutsi, “il popolo alto”, una delle tribù più coraggiose, intelligenti e marziali del mondo. E tutto questo perché ai francesi piaceva come gli hutu parlavano il francese. Dev'essere la ragione più stronza per appoggiare un genocidio che abbia mai sentito: “Ah, m’sieu, è verò hanno uscìso dei bebè, ma parlano il fronscèse così bene! Gli hutu non userebbero mai e poi mai il pronome sbagliato; quando dicono 'Siamo venuti a usciderti, piscìno' usano sempre il 'tu' e quando dicono 'E adesso uscidiamo te, vecchiò', o 'vecchià', usano sempre il rispettoso 'vous'! E che ascento, così parisièn!” Ma sì, toh, una piccola vendetta per il francese che ho dovuto studiare a scuola. I pii europei amano dire come l'Africa Centrale sia il cuore di tenebra, come sia profondo e oscuro ed esistenziale, ma non ammetterebbero mai quanto abbiano contribuito a mantenerla in questo stato spalleggiando sempre, sempre, sempre i peggiori bastardi di tutta la foresta. Questo lo sapevo già dei britannici; hanno fatto cose così atroci in Africa che a Londra esiste tutta un'industria editoriale che si occupa di far sì che la verità non trapeli mai. E questa è la ragione per cui si hanno storie come quelle di Orla Guerin o quella merda del Guardian. E la cosa divertente è che i giornali e i canali “progressisti” sono i peggiori bugiardi, i migliori complici di genocidio in circolazione. Be', adesso capisco che i francesi sono altrettanto cattivi. Pensavo, tipo, che potessero non esserlo; c'è sempre stata questa battuta tra i militari che i francesi perdono le guerre perché le combattono seguendo le regole. Ricordo di aver letto una lettera furiosa della Regina Elisabetta a Enrico IV – grandissimo uomo, il più grande della sua epoca – in cui lo malediceva per non aver cancellato l'intera popolazione di una città cattolica durante le guerre di religione. E invece no, i francesi di oggi fanno proprio schifo uguale.
Nkunda presto sarà morto. Potete contarci, visto che tutti i “buoni” sono contro di lui. E quei poveri poveri “profughi” saranno liberi di sequestrare e stuprare ragazzine tutsi e poi affettarle con i loro amati pangas, e Orla potrà raccontarci che in Congo è tornata la pace, adesso che il “ribelle” non c'è più.
Originale: War Nerd: Congo Warrior Nkund is NcoolPubblicato l'11 novembre 2008
[A proposito del rapporto ruandese sulle responsabilità della Francia, commento di Jean-François Dupaquier pubblicato l'8 agosto scorso da Le Monde]
giovedì, novembre 13, 2008
mercoledì, novembre 12, 2008
Sono una Donna non Sono una Panda
- Quale cartolina, non ho ricevuto nessuna cartolina.
- Be', avresti dovuto.
- No. Mi prendi in giro?
- No. Per quale altro motivo mi sarei segnato con quante z si scrive Donizetti?
- È perché prima ti ho chiesto se mi avevi portato qualcosa, e tu hai detto di no, e adesso vuoi farmi credere che mi hai scritto e che è colpa mia se i vicini mi rubano la posta o se il portalettere la usa per accendere il fuoco nel caminetto.
- No, sul serio. Ti ho scritto varie cose.
- Varie cose come, carine?
- Sì, carine e soprattutto varie.
- Dimmele adesso.
- Ormai.
- Se non è vero è uno scherzo crudele.
- È arrivata perfino a mia zia.
- Adesso devo battermi anche con la zia. Anziana?
- Sui 75.
- Ecco.
- Senti.
- Cosa.
- Guarda che sono pur sempre un uomo.
- Cioè?
- Cioè: semplice.
- Va bene. Tra qualche giorno ti dirò oh mi è arrivata la cartolina grazie per quelle frasi bellissime non avevo idea che celassi questi nobili sentimenti ma confesso che li ricambio.
- Non puoi.
- Come no, sono una donna.
- Be', avresti dovuto.
- No. Mi prendi in giro?
- No. Per quale altro motivo mi sarei segnato con quante z si scrive Donizetti?
- È perché prima ti ho chiesto se mi avevi portato qualcosa, e tu hai detto di no, e adesso vuoi farmi credere che mi hai scritto e che è colpa mia se i vicini mi rubano la posta o se il portalettere la usa per accendere il fuoco nel caminetto.
- No, sul serio. Ti ho scritto varie cose.
- Varie cose come, carine?
- Sì, carine e soprattutto varie.
- Dimmele adesso.
- Ormai.
- Se non è vero è uno scherzo crudele.
- È arrivata perfino a mia zia.
- Adesso devo battermi anche con la zia. Anziana?
- Sui 75.
- Ecco.
- Senti.
- Cosa.
- Guarda che sono pur sempre un uomo.
- Cioè?
- Cioè: semplice.
- Va bene. Tra qualche giorno ti dirò oh mi è arrivata la cartolina grazie per quelle frasi bellissime non avevo idea che celassi questi nobili sentimenti ma confesso che li ricambio.
- Non puoi.
- Come no, sono una donna.
martedì, novembre 11, 2008
Grande Concorso Completa la Frase!/1
Ne avete abbastanza di studi pseudoparaultraquasiscientifici sulle origini di dipendenze/manie/fobie/istinti/vezzi/turbe psichiche/golosità/capricci (con grande spreco di topi da laboratorio) e della vittoria schiacciante di Focus sul comune buon senso?
Partecipate al Grande Concorso Completa la Frase (senza l'aiuto di Google) e Vinci una Madonnina Placcata Zecchina!
La frase di oggi è:
"Secondo il professore di psicofarmacologia Rainer Spanagel... "
Un, due, due e mezzo, tre via!
---
Update: avevamo detto che non vale! :-D
Partecipate al Grande Concorso Completa la Frase (senza l'aiuto di Google) e Vinci una Madonnina Placcata Zecchina!
La frase di oggi è:
"Secondo il professore di psicofarmacologia Rainer Spanagel... "
Un, due, due e mezzo, tre via!
---
Update: avevamo detto che non vale! :-D
Estracomunitari
"Maroni, vogliamo vietare che dei estracomunitari girino in bicicletta nelle ore critiche e al buio senza luci, io questa sera ne ho schivati 2".
[Scusate, scusate, scusate, ma Spazio Azzurro è una droga].
[Scusate, scusate, scusate, ma Spazio Azzurro è una droga].
lunedì, novembre 10, 2008
Gongolare è umano
"Per quanto mi riguarda non ho perso l'occasione per gongolare e rigirare un po' il coltello nella piaga, dopo tutta la distruzione che questa gente ha causato all'America e al mondo. Così ho creato un personaggio alla Bugs Bunny chiamato 'Josh' per fare un ballo del qua qua virtuale e un po' sporco nella sezione dei commenti di Pajamas Media, aizzando quegli scimmioni e facendoli strepitare fino al parossismo. Non c'è cosa che un repubblicano odi di più dell'essere chiamato 'perdente', se ve lo stavate chiedendo".
Ecco come Mark Ames ha monitorato le reazioni della destra repubblicana alla vittoria di Obama, non tardando a rendersi conto che i pezzi grossi di Fox News si erano subito affrettati a collocarsi nella nuova dinamica abbandonando il loro rissoso, amareggiato e poco conciliante popolo: la traduzione dell'articolo è qui.
Ecco come Mark Ames ha monitorato le reazioni della destra repubblicana alla vittoria di Obama, non tardando a rendersi conto che i pezzi grossi di Fox News si erano subito affrettati a collocarsi nella nuova dinamica abbandonando il loro rissoso, amareggiato e poco conciliante popolo: la traduzione dell'articolo è qui.
sabato, novembre 08, 2008
Borneo to Be Alive: Donna Torna alla Realtà, Parla con Robot
Rieccomi. Ho appena scambiato due chiacchiere con A.L.I.C.E. (sì, beh)
Human: Alice, for whom did you vote?
ALICE: Um, I'm not saying me vote for anyone.
Human: Come on, Obama or McCain?
ALICE: Obama.
Human: Why?
ALICE: Reductionism.
Human: Alice, for whom did you vote?
ALICE: Um, I'm not saying me vote for anyone.
Human: Come on, Obama or McCain?
ALICE: Obama.
Human: Why?
ALICE: Reductionism.
martedì, novembre 04, 2008
The Borneo Experiment/In aggiornamento
[Apdeit: è il 7 novembre, sono ancora incolume, in tre giorni ho rimpicciolito solo tre teste e resterei chiusa qua dentro ancora per un po'. Aggiornamenti in fondo al post].
Allora. Io da questo momento avvio un esperimento.
Non voglio sapere niente di elezioni USA.
Ho gli ultimi due libri di Bolaño, la Russia, scorte di latte, contatti umani non ostili, un gatto autistico, un mucchio di traduzioni, le dispense di sloveno, un amico che vuole sapere tutto di Boriška il bambino di Marte, nomi di fiori, lettere indecifrabili di architetti morti, una vecchia registrazione sovietica con i versi degli uccelli dell'Ussuri.
Posso farcela.
Voi nei commenti potete parlare di tutto, fare scommesse, passarmi informazioni fuorvianti oppure ignorarmi per una settimana.
Io aggiornerò.
[continua]
Dormito bene, sognato autostrade, Alpi, minareti, una cattedrale di San Michele visitabile solo a patto di liberarsi da ogni residuo granello di polvere (almeno così diceva in un francese confuso la voce femminile che usciva dal citofono al pianterreno). Così prima di salire ci si ripuliva minuziosamente in un vestibolo dai soffitti altissimi immerso in una luce verde molto densa (sembrava di stare sul fondo di una bottiglia, tra filamenti di deposito).
A. chiedeva "Cosa sono i cirri?". Qualcuno rispondeva (sbrigativamente) "Montagne. Un tipo di montagne".
Le elezioni USA sono una specie di Festival di Sanremo. Fai di tutto per evitarlo, poi ti ritrovi a canticchiare con una certa convinzione strofe sconosciute che - a dirla tutta - ti fanno vergognare un po'.
[continua]
Serve un po' di rumore bianco?
Ecco le voci degli uccelli della taiga dell'Ussuri, prima parte (5 Mb):
gluchaja kukuška - cuculus saturatus
obyknovennaja kukuška - cuculus canorus
širokokrylaja kukuška - hierococcyx fugax
širokorot - eurystomus orientalis
sinechvostka - tarsiger cyanurus
dikuša - falcipennis falcipennis (maschio)
dikuša - falcipennis falcipennis (femmina)
čërnyj žuravl' - grus monacha
bol'šekljuvaja vorona - corvus macrorhynchos
taežnaja ovsjanka - emberiza tristrami
tolstokljuvaja penočka - phylloscopus schwarzii
korol'kovaja penočka - phylloscopus proregulus
seryj ličinkoed - pericrocotus divaricatus
mucholovka-mugimaki - muscicapa mugimaki
korotkochvostka - urosphena squameiceps
sinjaja mucholovka - muscicapa cyanomelana
bol'šoj černogolovnyj dubonos - eophona personata
solovej-svistun - pseudaedon sibilans
sinij solovej - larvivora cyane
sizyj drozd - turdus hortulorumcuculus saturatus
Poi mi ringraziate con calma.
[continua]
Per il suo primo discorso sullo stato della nazione alla Duma Dmitrij Medvedev ha scelto proprio oggi. Visto che lo seguiamo in cinque poteva invitarci a pranzo e spiegarci due cose tra l'antipasto e il secondo. "Ah, e poi gnam, mfh, chiederò l'estensione del mandato presidenziale a sei anni", "Apperò'" "Sì, e a cinque di quello mfh gn parlamentare" "Va bene, basta che fai bocconi piccoli e che non ti metti subito davanti al computer dopo mangiato".
[continua]
Roba che filtra: Gasparri, Obama & Alcaida (sms a tradimento di Bracciodestro, commenti adocchiati su Faccialibro). Obama avrebbe detto che quando Gasparri parla tutta Tora Bora ride. Credo, non sono sicura.
[continua]
Altre due ore trascorse in beata impermeabilità a parlare con il subcomandante F. di zapatisti, anarchici, Bosnia, differenze tra il portoghese di Portogallo e portoghese do Brasiu, pittrici russe, poeti del Mozambico, sciure tedesche, celebrità sparagnine, neonazisti pentiti riparati in Svezia, basi NATO, il femminile di auteur e i caratteri unicode. Il signor G. dorme, il Lenino sorride accigliato, io so solo che ha vinto il tizio giovane: un altro mondo è dunque possibile. Dovrebbero farle più spesso, queste elezioni americane.
[continua]
Sbirciando nei commenti leggo che a Washington Obama ha il 93%: devo crederci? Cos'è, come Russia Unita in Cecenia? L'ultima volta che si è votato in Cecenia Kadyrov ha detto che si aspettava un'affluenza del 100% "e anche più". La Commissione Elettorale, chiamata in causa, ha riconosciuto che l'affermazione era tecnicamente corretta. Al-Obama ha dunque un consenso kadyroviano?
Comunque i link-trappola con US nell'indirizzo non li clicco, sappiatelo.
[continua]
Tanto io la penso come il subcom. (Come mi è veltronico dentro, il Joffrin).
[continua]
04.11 22:18 Американские дети проголосовали за Обаму
04.11 21:42 Голый ковбой проголосовал за Джона Маккейна
04.11 22:18 I bambini americani hanno votato per Obama.
04.11 21:42 Il cowboy nudo ha votato per John McCain.
[continua]
Liberi di non crederci, ma: ancora immune.
Se mi mandate link sospetti io ricambio con la seconda parte degli uccelli della taiga e poi interrogo.
[continua]
1. Sono immune.
2. Non voglio uscire da questo post.
3. Hanno incoronato il nuovo re del Bhutan, soprannominato "il principe affascinante" per il suo bel fisico (cito; grazie toni_i!).
4. Adesso cerco una foto del nuovo re del Bhutan e vi so dire.
5. Cercando.
6. Cliccando.
7. Guardando.
8. È molto bello.
[continua]
Да сдравствует революция. Prosto tak, così.
[continua]
Sogno. Sto cucinando. Improvvisamente il contenitore del sale fino scompare sotto i miei occhi: un momento prima è lì, poi non c'è più. Un'altra volta la stessa storia, dice mia madre. Lo sai che tuo zio va a raccontarlo in giro. Capisco così che non è la prima volta che capita, e che zio Pepi lo spaccia in giro come il miracolo della sparizione del sale.
Telefona M. Ma stella, ti è scomparso di nuovo il sale? Chi te l'ha detto, domando? Le voci girano, dice. Io minimizzo. Te l'ho sempre detto che usi i contenitori sbagliati, dice lui.
[continua]
Zò, comunque non penserete mica che qua stiamo a pettinare la testina di Lenino?
"Russia contro Europa: la solita vecchia storia", di John Laughland
[continua]
Papà e mamma di signore abbronzato si sono conosciuti a un corso di russo? Dice il Times.
[Ritorno pilotato alla realtà, con moltissima calma; continua]
Va bene, usciamo di qui.
Allora. Io da questo momento avvio un esperimento.
Non voglio sapere niente di elezioni USA.
Ho gli ultimi due libri di Bolaño, la Russia, scorte di latte, contatti umani non ostili, un gatto autistico, un mucchio di traduzioni, le dispense di sloveno, un amico che vuole sapere tutto di Boriška il bambino di Marte, nomi di fiori, lettere indecifrabili di architetti morti, una vecchia registrazione sovietica con i versi degli uccelli dell'Ussuri.
Posso farcela.
Voi nei commenti potete parlare di tutto, fare scommesse, passarmi informazioni fuorvianti oppure ignorarmi per una settimana.
Io aggiornerò.
[continua]
Dormito bene, sognato autostrade, Alpi, minareti, una cattedrale di San Michele visitabile solo a patto di liberarsi da ogni residuo granello di polvere (almeno così diceva in un francese confuso la voce femminile che usciva dal citofono al pianterreno). Così prima di salire ci si ripuliva minuziosamente in un vestibolo dai soffitti altissimi immerso in una luce verde molto densa (sembrava di stare sul fondo di una bottiglia, tra filamenti di deposito).
A. chiedeva "Cosa sono i cirri?". Qualcuno rispondeva (sbrigativamente) "Montagne. Un tipo di montagne".
Le elezioni USA sono una specie di Festival di Sanremo. Fai di tutto per evitarlo, poi ti ritrovi a canticchiare con una certa convinzione strofe sconosciute che - a dirla tutta - ti fanno vergognare un po'.
[continua]
Serve un po' di rumore bianco?
Ecco le voci degli uccelli della taiga dell'Ussuri, prima parte (5 Mb):
gluchaja kukuška - cuculus saturatus
obyknovennaja kukuška - cuculus canorus
širokokrylaja kukuška - hierococcyx fugax
širokorot - eurystomus orientalis
sinechvostka - tarsiger cyanurus
dikuša - falcipennis falcipennis (maschio)
dikuša - falcipennis falcipennis (femmina)
čërnyj žuravl' - grus monacha
bol'šekljuvaja vorona - corvus macrorhynchos
taežnaja ovsjanka - emberiza tristrami
tolstokljuvaja penočka - phylloscopus schwarzii
korol'kovaja penočka - phylloscopus proregulus
seryj ličinkoed - pericrocotus divaricatus
mucholovka-mugimaki - muscicapa mugimaki
korotkochvostka - urosphena squameiceps
sinjaja mucholovka - muscicapa cyanomelana
bol'šoj černogolovnyj dubonos - eophona personata
solovej-svistun - pseudaedon sibilans
sinij solovej - larvivora cyane
sizyj drozd - turdus hortulorumcuculus saturatus
Poi mi ringraziate con calma.
[continua]
Per il suo primo discorso sullo stato della nazione alla Duma Dmitrij Medvedev ha scelto proprio oggi. Visto che lo seguiamo in cinque poteva invitarci a pranzo e spiegarci due cose tra l'antipasto e il secondo. "Ah, e poi gnam, mfh, chiederò l'estensione del mandato presidenziale a sei anni", "Apperò'" "Sì, e a cinque di quello mfh gn parlamentare" "Va bene, basta che fai bocconi piccoli e che non ti metti subito davanti al computer dopo mangiato".
[continua]
Roba che filtra: Gasparri, Obama & Alcaida (sms a tradimento di Bracciodestro, commenti adocchiati su Faccialibro). Obama avrebbe detto che quando Gasparri parla tutta Tora Bora ride. Credo, non sono sicura.
[continua]
Altre due ore trascorse in beata impermeabilità a parlare con il subcomandante F. di zapatisti, anarchici, Bosnia, differenze tra il portoghese di Portogallo e portoghese do Brasiu, pittrici russe, poeti del Mozambico, sciure tedesche, celebrità sparagnine, neonazisti pentiti riparati in Svezia, basi NATO, il femminile di auteur e i caratteri unicode. Il signor G. dorme, il Lenino sorride accigliato, io so solo che ha vinto il tizio giovane: un altro mondo è dunque possibile. Dovrebbero farle più spesso, queste elezioni americane.
[continua]
Sbirciando nei commenti leggo che a Washington Obama ha il 93%: devo crederci? Cos'è, come Russia Unita in Cecenia? L'ultima volta che si è votato in Cecenia Kadyrov ha detto che si aspettava un'affluenza del 100% "e anche più". La Commissione Elettorale, chiamata in causa, ha riconosciuto che l'affermazione era tecnicamente corretta. Al-Obama ha dunque un consenso kadyroviano?
Comunque i link-trappola con US nell'indirizzo non li clicco, sappiatelo.
[continua]
Tanto io la penso come il subcom. (Come mi è veltronico dentro, il Joffrin).
[continua]
04.11 22:18 Американские дети проголосовали за Обаму
04.11 21:42 Голый ковбой проголосовал за Джона Маккейна
04.11 22:18 I bambini americani hanno votato per Obama.
04.11 21:42 Il cowboy nudo ha votato per John McCain.
[continua]
Liberi di non crederci, ma: ancora immune.
Se mi mandate link sospetti io ricambio con la seconda parte degli uccelli della taiga e poi interrogo.
[continua]
1. Sono immune.
2. Non voglio uscire da questo post.
3. Hanno incoronato il nuovo re del Bhutan, soprannominato "il principe affascinante" per il suo bel fisico (cito; grazie toni_i!).
4. Adesso cerco una foto del nuovo re del Bhutan e vi so dire.
5. Cercando.
6. Cliccando.
7. Guardando.
8. È molto bello.
[continua]
Да сдравствует революция. Prosto tak, così.
[continua]
Sogno. Sto cucinando. Improvvisamente il contenitore del sale fino scompare sotto i miei occhi: un momento prima è lì, poi non c'è più. Un'altra volta la stessa storia, dice mia madre. Lo sai che tuo zio va a raccontarlo in giro. Capisco così che non è la prima volta che capita, e che zio Pepi lo spaccia in giro come il miracolo della sparizione del sale.
Telefona M. Ma stella, ti è scomparso di nuovo il sale? Chi te l'ha detto, domando? Le voci girano, dice. Io minimizzo. Te l'ho sempre detto che usi i contenitori sbagliati, dice lui.
[continua]
Zò, comunque non penserete mica che qua stiamo a pettinare la testina di Lenino?
"Russia contro Europa: la solita vecchia storia", di John Laughland
[continua]
Papà e mamma di signore abbronzato si sono conosciuti a un corso di russo? Dice il Times.
[Ritorno pilotato alla realtà, con moltissima calma; continua]
Va bene, usciamo di qui.
War Nerd: Jack Al-Sparrow vs Buoni Samaritani
[Inserire disclaimer qui]
War Nerd update: Jack Al-Sparrow vs. Buoni Samaritani
di Gary Brecher
Ma sono o non sono bravo a programmare questi articoli? Il giorno dopo il pezzo sui guai dell'Etiopia in Somalia esplodono cinque autobombe in due città somale contro il consolato di Etiopia, il Palazzo Presidenziale, un Quartier Generale delle Nazioni Unite e i Servizi Segreti del Puntland.
Prima volta che sento parlare di Servizi Segreti del Puntland, tra l'altro. Il Puntland è la parte più appuntita della Somalia, la costa in alto che si spinge nell'Oceano Indiano e poi si dirige a ovest verso Gibuti. Il Puntland ha fatto parecchio notizia perché è da lì che vengono i più tosti pirati del mondo. Forse i Servizi davano fastidio al business locale. Avrei pensato che il loro compito principale fosse quello di individuare le navi più promettenti, di fare il sopralluogo prima del colpo per poi passare le informazioni ai Long John Silver del posto. Be', se invece c'erano delle forze anticrimine adesso sono carne macinata. Così imparano, quei buoni samaritani, a fare i furbi con il Corno.
Devo però fermarmi un momento a rendere merito ai bellissimi pirati somali. Di questi giorni stanno tutti a PARLARE di pirateria ma nessuno fa niente. Eccetto i somali. Ci sono tutti questi marmocchi che vogliono essere come Jack Sparrow, li sento che tormentano le loro mamme mentre cerco di pranzare da Wendy’s: solo che i ragazzini somali non stanno mica lì a piagnucolare con i genitori per farsi comprare giocattoli costosissimi. No, loro escono e prendono quello che vogliono abbordando navi straniere che cercano di sgattaiolare oltre la costa del Puntland.
Dio, dev'essere una delle viste più spaventose del mondo, un motoscafo pieno di scheletri somali armati fino ai denti e pronti a saltare a bordo. Gli equipaggi delle navi vengono soprattutto da posti dell'Asia meridionale, sono buoni lavoratori tamil e bengalesi, e non hanno firmato per fare la spalla ai Pirati del Puntland.
Ogni tanto non manca un po' di giustizia poetica, come quando hanno sequestrato uno yacht francese e hanno preso in ostaggio l'equipaggio, tempo fa. Sfortunatamente gli stappa-champagne sono stati salvati.
E si può scommettere che il denaro è passato di mano. Le compagnie di navigazione non amano parlare di riscatto, però pagano. Così ci sono un bel po' di somali che sfoggiano ricchezze e motoscafi lungo la costa del Puntland, yo ho ho e un bel po' di soldi. L'altro giorno ho visto uno di quegli articoli ipocriti dal titolo “Cosa induce i somali alla pirateria?” La domanda più stupida che ci sia; perfino l'occhiello dava la risposta: “Donne, soldi, droga”. Questo risponde alla vostra domanda? Per non dire, come ho spiegato nell'articolo precedente, che i somali sono tradizionalmente dei predatori. A loro piace. Piace anche al vostro nipotino grassoccio appassionato di video-game, solo che lui non ha il fegato per farlo. Cosa pensate che stia facendo appiccicato alla sua console, se non falciare gente per rubargli la roba? Solo che i somali prendono e lo fanno, a sangue freddo.
Comunque nella Somalia a pezzi di oggi il Puntland ha il ruolo del cattivo. La parte nord-occidentale è il cocco di mamma della Somalia: è lì che trovate i somali buoni. Hargeisa, dove è scoppiata la maggior parte delle bombe, è la capitale della Somalia santarellina. Quello che è successo è il vecchio modo della Somalia di dire no all'innovazione occidentale. Consideratelo un voto per la tradizione: la cara vecchia tradizione di rubare e di tagliare gole. La stessa cosa che fa il vostro tesorino quando gioca con l'X-Box, capite.
Gli attentatori probabilmente non erano pirati, perché la pirateria è più una scelta di carriera, perché da queste parti nessun capo è stato mai in grado di convincere i propri ambiziosi sottoposti a tentare la strada degli attentati suicidi per migliorare il proprio curriculum. Neanche Johnny Depp potrebbe rinfocolare lo spirito di squadra se finisse un discorso con “Arrr, miei prodi, fatevi saltare in aria!”.
Probabilmente gli attentatori erano islamici, perché un vero groupie islamico pensa seriamente che finire vaporizzato in un camion imbottito di fertilizzante sia il modo migliore per raggiungere la felicità e la ricchezza passando per il Paradiso. Probabilmente queste bombe sono collegate alle Corti islamiche che governavano la Somalia prima che gli etiopi (con l'aiuto di Cheney) le cacciassero da Mogadiscio. Per altre informazioni leggete qua sotto, come si dice noi giornalisti.
Originale: Exiledonline
Originale pubblicato il 30 ottobre 2008
War Nerd update: Jack Al-Sparrow vs. Buoni Samaritani
di Gary Brecher
Ma sono o non sono bravo a programmare questi articoli? Il giorno dopo il pezzo sui guai dell'Etiopia in Somalia esplodono cinque autobombe in due città somale contro il consolato di Etiopia, il Palazzo Presidenziale, un Quartier Generale delle Nazioni Unite e i Servizi Segreti del Puntland.
Prima volta che sento parlare di Servizi Segreti del Puntland, tra l'altro. Il Puntland è la parte più appuntita della Somalia, la costa in alto che si spinge nell'Oceano Indiano e poi si dirige a ovest verso Gibuti. Il Puntland ha fatto parecchio notizia perché è da lì che vengono i più tosti pirati del mondo. Forse i Servizi davano fastidio al business locale. Avrei pensato che il loro compito principale fosse quello di individuare le navi più promettenti, di fare il sopralluogo prima del colpo per poi passare le informazioni ai Long John Silver del posto. Be', se invece c'erano delle forze anticrimine adesso sono carne macinata. Così imparano, quei buoni samaritani, a fare i furbi con il Corno.
Devo però fermarmi un momento a rendere merito ai bellissimi pirati somali. Di questi giorni stanno tutti a PARLARE di pirateria ma nessuno fa niente. Eccetto i somali. Ci sono tutti questi marmocchi che vogliono essere come Jack Sparrow, li sento che tormentano le loro mamme mentre cerco di pranzare da Wendy’s: solo che i ragazzini somali non stanno mica lì a piagnucolare con i genitori per farsi comprare giocattoli costosissimi. No, loro escono e prendono quello che vogliono abbordando navi straniere che cercano di sgattaiolare oltre la costa del Puntland.
Dio, dev'essere una delle viste più spaventose del mondo, un motoscafo pieno di scheletri somali armati fino ai denti e pronti a saltare a bordo. Gli equipaggi delle navi vengono soprattutto da posti dell'Asia meridionale, sono buoni lavoratori tamil e bengalesi, e non hanno firmato per fare la spalla ai Pirati del Puntland.
Ogni tanto non manca un po' di giustizia poetica, come quando hanno sequestrato uno yacht francese e hanno preso in ostaggio l'equipaggio, tempo fa. Sfortunatamente gli stappa-champagne sono stati salvati.
E si può scommettere che il denaro è passato di mano. Le compagnie di navigazione non amano parlare di riscatto, però pagano. Così ci sono un bel po' di somali che sfoggiano ricchezze e motoscafi lungo la costa del Puntland, yo ho ho e un bel po' di soldi. L'altro giorno ho visto uno di quegli articoli ipocriti dal titolo “Cosa induce i somali alla pirateria?” La domanda più stupida che ci sia; perfino l'occhiello dava la risposta: “Donne, soldi, droga”. Questo risponde alla vostra domanda? Per non dire, come ho spiegato nell'articolo precedente, che i somali sono tradizionalmente dei predatori. A loro piace. Piace anche al vostro nipotino grassoccio appassionato di video-game, solo che lui non ha il fegato per farlo. Cosa pensate che stia facendo appiccicato alla sua console, se non falciare gente per rubargli la roba? Solo che i somali prendono e lo fanno, a sangue freddo.
Comunque nella Somalia a pezzi di oggi il Puntland ha il ruolo del cattivo. La parte nord-occidentale è il cocco di mamma della Somalia: è lì che trovate i somali buoni. Hargeisa, dove è scoppiata la maggior parte delle bombe, è la capitale della Somalia santarellina. Quello che è successo è il vecchio modo della Somalia di dire no all'innovazione occidentale. Consideratelo un voto per la tradizione: la cara vecchia tradizione di rubare e di tagliare gole. La stessa cosa che fa il vostro tesorino quando gioca con l'X-Box, capite.
Gli attentatori probabilmente non erano pirati, perché la pirateria è più una scelta di carriera, perché da queste parti nessun capo è stato mai in grado di convincere i propri ambiziosi sottoposti a tentare la strada degli attentati suicidi per migliorare il proprio curriculum. Neanche Johnny Depp potrebbe rinfocolare lo spirito di squadra se finisse un discorso con “Arrr, miei prodi, fatevi saltare in aria!”.
Probabilmente gli attentatori erano islamici, perché un vero groupie islamico pensa seriamente che finire vaporizzato in un camion imbottito di fertilizzante sia il modo migliore per raggiungere la felicità e la ricchezza passando per il Paradiso. Probabilmente queste bombe sono collegate alle Corti islamiche che governavano la Somalia prima che gli etiopi (con l'aiuto di Cheney) le cacciassero da Mogadiscio. Per altre informazioni leggete qua sotto, come si dice noi giornalisti.
Originale: Exiledonline
Originale pubblicato il 30 ottobre 2008
lunedì, novembre 03, 2008
War Nerd: Dalla testa del rinoceronte al ventre della iena
[Qui mi sa che ci vuole il solito disclaimer grande come un condominio. In questi giorni, con l'aiuto fondamentale di Andrea, sto leggendo e traducendo un po' di cose su Somalia, pirateria, navi NATO e russe nell'Oceano Indiano, sequestro della nave ucraina Faina, Africom; e visto che il tema si sta allargando - e che con la complicità del prezioso bracciodestro sono ormai passata da Jack Sparrow alla maledizione dei rifiuti tossici - ho pensato che in attesa di qualche eventuale post riassuntivo con vari link e diramazioni non sarebbe stato male rilassarci con un paio di traduzioni fresche fresche del War Nerd].
War Nerd: Dalla testa del rinoceronte al ventre della iena
di Gary Brecher
Un paio d'anni fa accennavo al fatto che le truppe dell'Etiopia stavano occupando Mogadiscio e commentavo che per noi era un esperimento perfetto. Adesso potevamo finalmente sapere se qualcuno era in grado di pacificare quel posto.
Be', è arrivata la risposta, perché l'esercito etiope ha appena annunciato che lascerà la Somalia non appena riuscirà a firmare un finto accordo con la fazione somala più vicina. Ne hanno avuto abbastanza.
E non li biasimo: due anni in Somalia sono come due anni nel canile di Michael Vick [il giocatore di football americano coinvolto nello scandalo dei combattimenti clandestini tra cani, N.d.T.]. No, peggio. Se gli anni dei cani sono anni umani moltiplicati per sette, gli anni in Somalia sono anni umani moltiplicati infinite volte più una. Il motto dell'Ufficio Turistico somalo dovrebbe essere “Non è mai troppo tardi per andarsene!” Non biasimo Clinton per la fuga dopo la faccenda di Black Hawk Down; lo biasimo per non avere ritirato le truppe il giorno dell'insediamento. Si fa prima a trasformare i cani di Vick in quaccheri che a insegnare ai somali, i diavoli del deserto per antonomasia, a essere pacifici.
Vi chiederete come mai gli etiopi abbiano finito per intraprendere il compito disperato – anzi, semplicemente ridicolo – di convincere i somali a giocare pulito. La risposta breve, perché so che la maggior parte delle persone vuole la versione da 30 secondi, è che l'Etiopia non ha mai visto un pezzo di terra che giudicasse indesiderabile, e Cheney aveva dato il via libera perché la Somalia era caduta nelle mani degli “islamici”.
Però se adesso smettete un momento di cazzeggiare e mi prestate un po' d'attenzione vi do una risposta più onesta. Innanzitutto, dire che Mogadiscio era caduta nelle mani degli islamici è come dire che Barstow è caduta nelle mani dei battisti: è sempre stato così. Ovviamente ai somali la faccenda dell'Islam piace, perché paragonata all'ideologia di base somala che è “ciascuno per sé e mangiamoci i perdenti”, la legge islamica è tutta tenera tolleranza. È buffo immaginare i somali che supplicano i mullah: “Vi prego vi prego, istituite la Sharia! Siamo pronti per quelle tranquille menate da hippy! Questa roba macho somala è troppo dura!” Vedete, quando l'Islam si è diffuso dal Marocco a Giakarta ha travolto tutte le tribù. Ad alcuni, pivellini di città, la Sharia faceva paura perché era roba tosta. Ma per i somali, abituati com'erano a combattere tutto il giorno per poche capre affamate per poi svegliarsi l'indomani e ricominciare a combattere per le stesse capre pidocchiose, la Sharia era l'Estasi. “Un momento, mi state dicendo che la Sharia proibisce il furto? Niente furto? Così forse posso dormire con entrambi gli occhi chiusi per la prima volta in vita mia? Evvai!”
A detta di tutti Mogadiscio era quasi pacifica quando gli islamici erano al potere. Era un po' come ai primi tempi dei taliban a Kabul: a nessuno importava che i taliban fossero “democratici” finché tenevano basso il livello delle sparatorie e delle pallottole vaganti. La democrazia è per i ricchi. Vi garantisco che se vi toccasse vivere come fanno a Kabul o a Mogadiscio non ci terreste tanto neanche voi. Non con le sparatorie tra signori della guerra che vi infuriano sotto casa ogni volta che uscite a prendere l'acqua dalla pompa del quartiere. Logora in fretta, questo genere di vita: dover stare attenti ai cecchini ogni volta che si attraversa la strada. Qualche anno così e si comincia a vedere di buon occhio un po' di fanatismo islamico dove tutto è vietato, tipo fare rumore, canticchiare un motivetto o far volare un aquilone o che ne so. Un bel “Fermi e zitti!” a tutto il vicinato, compresi i signori della guerra e i loro scagnozzi masticatori di qat capaci di far saltare in aria i ragazzini nei vicoli solo perché non riescono a gestirsi lo sballo.
Così a Mogadiscio le cose si erano calmate, in stile Sharia, e la città era al sicuro dalle sparatorie e dalle pallottole vaganti per la prima volta nella sua storia. Ma questo non andava bene, e così l'esercito etiope è sceso dalle montagne e ha attraversato il deserto fino a Mogadiscio. Ma gli etiopi non devono essersi divertiti, visto che la loro occupazione è andata come tutte le altre. Più che una gatta da pelare, una gatta rabbiosa da pelare. È stato abbattuto qualche centinaio di soldati etiopi, gli etiopi hanno ammazzato qualche migliaio di somali dando via a tutta una serie di folli vendette e poi, dopo essersi fermati per un po' hanno detto “fanculo” e se ne sono andati come avevano fatto i Rangers e la Delta Force quindici anni fa.
Questo risponde alla domanda che mi facevo in quel pezzo di qualche anno fa: può un esercito africano fare un lavoro migliore del nostro, occupando Mogadiscio? E proprio come pensavo la risposta era: “Macché”. Il fatto è che quello che noi consideriamo un maledetto casino al quale dispensare opere di carità per la maggior parte dei somali è naturale. Non per tutti: i somali avevano la fama di essere i migliori burocrati di tutto il Corno d'Africa, che ci crediate o no, sotto i regimi coloniali. Non sono gente stupida. Ma sono nomadi per natura, e i nomadi non hanno il concetto di un governo centrale che protegga tutti. Vogliono proteggersi da soli. I somali vivono in pratica come pensano di vivere i survivalisti dell'Idaho: per conto proprio, proteggendo le loro famiglie. I picchiatelli dell'Idaho lo fanno in modo completamente sbagliato, come qualsiasi somalo o bedù sarebbe in grado di dirgli: non devi nasconderti in una capanna di legno a lucidare il fucile giorno e notte, circondato da sensori di movimento. Ti devi muovere, insieme alle tue capre. Continui a muoverti, stai all'erta, non ti fidi di nessuno al di fuori del tuo clan. Se proprio vuoi farlo non puoi asserragliarti in casa con la tua famiglia, perché vi metteranno sotto assedio e vi spazzeranno via. Hai bisogno di un clan. Così i somali si organizzano in clan per reciproca difesa, combattono e scappano. Prima usavano i cammelli, poi hanno conosciuto l'auto dei loro sogni, il pickup Toyota, e non si sono più voltati indietro. Monta una mitragliatrice pesante sovietica o un cannone AA su quel coso e hai esaudito un sogno.
Nel frattempo c'erano anche dei somali in giacca e cravatta, che cercavano di vivere all'occidentale a Mogadiscio. Ma ha vinto il deserto, ha vinto la tradizione. La Somalia ha scelto la vita epica: sparare raffiche da un technical, non passare scartoffie. Una notizia non tanto buona se eri, per dire, una madre di famiglia con tre figli a carico, ma un'OTTIMA notizia se eri un ragazzetto sconvolto dal qat che non vedeva l'ora di premere il grilletto.
Così il caos, la fame, ecc. di cui si lamentano i buoni samaritani sono solo la versione somala della rivoluzione reaganiana: tornate alle radici! Vivete come i vostri nonni! Solo con le Toyota al posto dei cammelli. Più veloci, non puzzano, non mordono. Con me funzionerebbe.
E quando vivi così la guerra è nell'ordine delle cose, come il sole che sorge al mattino. Alzati e splendi, alzati e spara! Alzati e accoltella! O le capre o la morte, come probabilmente diceva il Patrick Henry somalo.
E non scandalizzatevi tanto. Se avete letto l'Iliade conoscete la storia. Questo ci insegnano i professori, anche se i bastardi non lo ammetteranno mai: scorrerie per il bestiame, scorrerie per gli schiavi, scorrerie per il semplice piacere di uccidere.
Naturalmente per ballare bisogna essere in due, quando i clan smettono di ammazzarsi tra loro e guardano oltre l'orizzonte alla ricerca di bersagli più grossi da abbattere unendo le forze. È così che pensano i nomadi. È così che i mongoli si sono trasformati in una marea rossa: hanno smesso di rubarsi gli yak tra loro e si sono resi conto che c'erano bottini migliori in Cina o in Asia Centrale.
Ed è qui che entra in gioco l'Etiopia. Quando i somali hanno esplorato l'interno si sono imbattuti nell'impero etiope che si spingeva a est, dalle montagne verso il deserto di Ogaden. I somali erano predatori per natura; gli amhara, la tribù etiope dominante, erano agricoltori, affamati di terra come tutti gli agricoltori e dunque bravi a impossessarsene. Quando sulla carta geografica si scontrano due tribù come quelle la guerra è nell'ordine delle cose.
Gli amhara erano originariamente gente di montagna, di posti dove fa freddo all'equatore e perfino i babbuini hanno il pelo lungo. Ma avevano mandato i loro coloni nelle calde e secche pianure della Somalia per generazioni. Quei coloni finirono nel mezzo di una classica guerra africana nel deserto di Ogaden dal 1976 al 1978, quando l'esercito somalo avanzò fino alla capitale dell'Etiopia, Addis Abeba. Fu una di quelle magnifiche guerre convenzionali nel Corno d'Africa che nessuno ha avuto il buon senso di filmare, accidenti, e così non riusciremo mai a vederla come dovremmo. Dev'essere stata una gran cosa, perché i somali erano specializzati in attacchi con mezzi corazzati attraverso il deserto. Avevano una grossa ed efficiente forza di carri armati russi, vecchi ma solidi T-34 (IL carro armato del XX secolo) e T-54/5. Se si considera che la popolazione dell'Etiopia è circa sei volte più grande di quella della Somalia, fa impressione pensare che le colonne di carri armati somali si sono addentrate così tanto nel paese nemico. Ma i somali avevano un grande vantaggio: ogni somalo è un assassino nato. È la sola cosa che conoscono.
Avevano anche il vantaggio di combattere contro un paese che si stava disintegrando. L'Etiopia non è mai stata il posto più organizzato del pianeta. È famosa per un bel po' di cose strane, come le pulci peggiori del mondo e la più antica e bizzarra versione del Cristianesimo, ma non per essere precisa come un orario ferroviario tedesco. L'Etiopia era uno di quei paesi in cui l'esercito era l'unica parte dello Stato a funzionare. Nel 1974 alcuni intraprendenti ufficiali comunisti dichiararono che l'Etiopia non era altro che un casino feudale ingiusto e sul punto di crollare. Il che era assolutamente vero. Sfortunatamente – e probabilmente questo lo avrete già indovinato – quello che avevano in mente loro era perfino peggiore. Molti di questi ufficiali erano stati educati a Mosca e ne avevano ricavato l'impressione che i russi fossero comunisti, e così da bravi studenti una volta tornati a casa vollero applicare ciò che avevano imparato. Fa ridere, adesso che sappiamo che a quell'epoca in Russia i veri comunisti non esistevano già più. I russi si saranno sentiti mancare di fronte ai loro amici abissini che narravano cinguettanti le glorie del comunismo. Scommetto che avrebbero voluto urlare: “Ehi, amico, no! È solo... raccontarvi queste storie è il mio lavoro, ma nessuno si aspetta che ci crediate!”
A essere onesti, un fiero ufficiale etiope avrebbe avuto tutte le ragioni per incazzarsi: metà della popolazione era costituita da braccianti poverissimi che lavoravano la terra dei signori amhara in cambio di una quota da fame del raccolto. La popolazione era in crescita vertiginosa e la terra mancava. Più gente, meno terra e un folle mucchio di signori, signore e monaci a comandare. Era come l'Inghilterra medievale, ma con un'esplosione demografica in corso e un esercito incazzato.
Così all'inizio della rivoluzione etiopica c'è un meraviglioso incredibile casino. Prendete una carta geografica dell'Etiopia e vedrete che ricorda la testa di un rinoceronte messa di profilo (un rinoceronte che guarda verso est, diciamo, pensando probabilmente “Dio come mi piacerebbe nuotare fino a Diego Garcia e scroccare qualche birra, scappare da questo ghetto...")
Il corno del rinoceronte entra nei deserti della Somalia. E adesso vediamola dal punto di vista etnico: gli amhara, la tribù cristiana dominante, controllano solo le montagne, all'incirca dove dovrebbe trovarsi l'orecchio del rinoceronte. In cima alla testa ci sono i territori ribelli, l'Eritrea e il Tigrè. A est e lungo il margine del deserto ci sono gli afar, forse la peggiore tra le tribù del Corno d'Africa; quando gli amhara sentono la parola “afar” dicono “Via, via, niente da far!” Un po' di umorismo tribale, ehm. Comunque spostandosi a destra su questa testa di rinoceronte che comincio a rimpiangere di avere evocato, il corno del rinoceronte è tutto somalo, e giù lungo la mandibola si incontrano gli oromo.
Ok? Ne avete abbastanza di teste di rinoceronte? Anch'io. Allora, nel 1974, proprio nel mezzo di questo bel castello di carte, o di ossa tenute insieme con la Vinavil – no, non sto ricominciando con un altro rinoceronte – in questo casino entra il Derg, un gruppo di 120 ufficiali etiopi di ispirazione comunista, per la maggioranza del Tigrè e della regione Amhara, decisi a incasinare l'unica zona relativamente stabile del paese, le montagne dell'Amhara, cacciando l'aristocrazia, liberando i servi e distribuendo loro la terra. Sorpresa sorpresa, è andata un po' male.
Prossimamente continuerò a parlare di questo e di un libro che racconta quello che accadde allora dal punto di vista di un bambino che lo visse – già questo vale una medaglia – e apparteneva a due diverse fazioni ribelli, una somala e l'altra amhara/comunista. È una delle storie migliori che conosca, e uno dei modi migliori per capire cosa potrebbe nascere in un paese che è molto più lontano dal posto in cui vivete di quanto lo sia Plutone.
War Nerd: Dalla testa del rinoceronte al ventre della iena
di Gary Brecher
Un paio d'anni fa accennavo al fatto che le truppe dell'Etiopia stavano occupando Mogadiscio e commentavo che per noi era un esperimento perfetto. Adesso potevamo finalmente sapere se qualcuno era in grado di pacificare quel posto.
Be', è arrivata la risposta, perché l'esercito etiope ha appena annunciato che lascerà la Somalia non appena riuscirà a firmare un finto accordo con la fazione somala più vicina. Ne hanno avuto abbastanza.
E non li biasimo: due anni in Somalia sono come due anni nel canile di Michael Vick [il giocatore di football americano coinvolto nello scandalo dei combattimenti clandestini tra cani, N.d.T.]. No, peggio. Se gli anni dei cani sono anni umani moltiplicati per sette, gli anni in Somalia sono anni umani moltiplicati infinite volte più una. Il motto dell'Ufficio Turistico somalo dovrebbe essere “Non è mai troppo tardi per andarsene!” Non biasimo Clinton per la fuga dopo la faccenda di Black Hawk Down; lo biasimo per non avere ritirato le truppe il giorno dell'insediamento. Si fa prima a trasformare i cani di Vick in quaccheri che a insegnare ai somali, i diavoli del deserto per antonomasia, a essere pacifici.
Vi chiederete come mai gli etiopi abbiano finito per intraprendere il compito disperato – anzi, semplicemente ridicolo – di convincere i somali a giocare pulito. La risposta breve, perché so che la maggior parte delle persone vuole la versione da 30 secondi, è che l'Etiopia non ha mai visto un pezzo di terra che giudicasse indesiderabile, e Cheney aveva dato il via libera perché la Somalia era caduta nelle mani degli “islamici”.
Però se adesso smettete un momento di cazzeggiare e mi prestate un po' d'attenzione vi do una risposta più onesta. Innanzitutto, dire che Mogadiscio era caduta nelle mani degli islamici è come dire che Barstow è caduta nelle mani dei battisti: è sempre stato così. Ovviamente ai somali la faccenda dell'Islam piace, perché paragonata all'ideologia di base somala che è “ciascuno per sé e mangiamoci i perdenti”, la legge islamica è tutta tenera tolleranza. È buffo immaginare i somali che supplicano i mullah: “Vi prego vi prego, istituite la Sharia! Siamo pronti per quelle tranquille menate da hippy! Questa roba macho somala è troppo dura!” Vedete, quando l'Islam si è diffuso dal Marocco a Giakarta ha travolto tutte le tribù. Ad alcuni, pivellini di città, la Sharia faceva paura perché era roba tosta. Ma per i somali, abituati com'erano a combattere tutto il giorno per poche capre affamate per poi svegliarsi l'indomani e ricominciare a combattere per le stesse capre pidocchiose, la Sharia era l'Estasi. “Un momento, mi state dicendo che la Sharia proibisce il furto? Niente furto? Così forse posso dormire con entrambi gli occhi chiusi per la prima volta in vita mia? Evvai!”
A detta di tutti Mogadiscio era quasi pacifica quando gli islamici erano al potere. Era un po' come ai primi tempi dei taliban a Kabul: a nessuno importava che i taliban fossero “democratici” finché tenevano basso il livello delle sparatorie e delle pallottole vaganti. La democrazia è per i ricchi. Vi garantisco che se vi toccasse vivere come fanno a Kabul o a Mogadiscio non ci terreste tanto neanche voi. Non con le sparatorie tra signori della guerra che vi infuriano sotto casa ogni volta che uscite a prendere l'acqua dalla pompa del quartiere. Logora in fretta, questo genere di vita: dover stare attenti ai cecchini ogni volta che si attraversa la strada. Qualche anno così e si comincia a vedere di buon occhio un po' di fanatismo islamico dove tutto è vietato, tipo fare rumore, canticchiare un motivetto o far volare un aquilone o che ne so. Un bel “Fermi e zitti!” a tutto il vicinato, compresi i signori della guerra e i loro scagnozzi masticatori di qat capaci di far saltare in aria i ragazzini nei vicoli solo perché non riescono a gestirsi lo sballo.
Così a Mogadiscio le cose si erano calmate, in stile Sharia, e la città era al sicuro dalle sparatorie e dalle pallottole vaganti per la prima volta nella sua storia. Ma questo non andava bene, e così l'esercito etiope è sceso dalle montagne e ha attraversato il deserto fino a Mogadiscio. Ma gli etiopi non devono essersi divertiti, visto che la loro occupazione è andata come tutte le altre. Più che una gatta da pelare, una gatta rabbiosa da pelare. È stato abbattuto qualche centinaio di soldati etiopi, gli etiopi hanno ammazzato qualche migliaio di somali dando via a tutta una serie di folli vendette e poi, dopo essersi fermati per un po' hanno detto “fanculo” e se ne sono andati come avevano fatto i Rangers e la Delta Force quindici anni fa.
Questo risponde alla domanda che mi facevo in quel pezzo di qualche anno fa: può un esercito africano fare un lavoro migliore del nostro, occupando Mogadiscio? E proprio come pensavo la risposta era: “Macché”. Il fatto è che quello che noi consideriamo un maledetto casino al quale dispensare opere di carità per la maggior parte dei somali è naturale. Non per tutti: i somali avevano la fama di essere i migliori burocrati di tutto il Corno d'Africa, che ci crediate o no, sotto i regimi coloniali. Non sono gente stupida. Ma sono nomadi per natura, e i nomadi non hanno il concetto di un governo centrale che protegga tutti. Vogliono proteggersi da soli. I somali vivono in pratica come pensano di vivere i survivalisti dell'Idaho: per conto proprio, proteggendo le loro famiglie. I picchiatelli dell'Idaho lo fanno in modo completamente sbagliato, come qualsiasi somalo o bedù sarebbe in grado di dirgli: non devi nasconderti in una capanna di legno a lucidare il fucile giorno e notte, circondato da sensori di movimento. Ti devi muovere, insieme alle tue capre. Continui a muoverti, stai all'erta, non ti fidi di nessuno al di fuori del tuo clan. Se proprio vuoi farlo non puoi asserragliarti in casa con la tua famiglia, perché vi metteranno sotto assedio e vi spazzeranno via. Hai bisogno di un clan. Così i somali si organizzano in clan per reciproca difesa, combattono e scappano. Prima usavano i cammelli, poi hanno conosciuto l'auto dei loro sogni, il pickup Toyota, e non si sono più voltati indietro. Monta una mitragliatrice pesante sovietica o un cannone AA su quel coso e hai esaudito un sogno.
Nel frattempo c'erano anche dei somali in giacca e cravatta, che cercavano di vivere all'occidentale a Mogadiscio. Ma ha vinto il deserto, ha vinto la tradizione. La Somalia ha scelto la vita epica: sparare raffiche da un technical, non passare scartoffie. Una notizia non tanto buona se eri, per dire, una madre di famiglia con tre figli a carico, ma un'OTTIMA notizia se eri un ragazzetto sconvolto dal qat che non vedeva l'ora di premere il grilletto.
Così il caos, la fame, ecc. di cui si lamentano i buoni samaritani sono solo la versione somala della rivoluzione reaganiana: tornate alle radici! Vivete come i vostri nonni! Solo con le Toyota al posto dei cammelli. Più veloci, non puzzano, non mordono. Con me funzionerebbe.
E quando vivi così la guerra è nell'ordine delle cose, come il sole che sorge al mattino. Alzati e splendi, alzati e spara! Alzati e accoltella! O le capre o la morte, come probabilmente diceva il Patrick Henry somalo.
E non scandalizzatevi tanto. Se avete letto l'Iliade conoscete la storia. Questo ci insegnano i professori, anche se i bastardi non lo ammetteranno mai: scorrerie per il bestiame, scorrerie per gli schiavi, scorrerie per il semplice piacere di uccidere.
Naturalmente per ballare bisogna essere in due, quando i clan smettono di ammazzarsi tra loro e guardano oltre l'orizzonte alla ricerca di bersagli più grossi da abbattere unendo le forze. È così che pensano i nomadi. È così che i mongoli si sono trasformati in una marea rossa: hanno smesso di rubarsi gli yak tra loro e si sono resi conto che c'erano bottini migliori in Cina o in Asia Centrale.
Ed è qui che entra in gioco l'Etiopia. Quando i somali hanno esplorato l'interno si sono imbattuti nell'impero etiope che si spingeva a est, dalle montagne verso il deserto di Ogaden. I somali erano predatori per natura; gli amhara, la tribù etiope dominante, erano agricoltori, affamati di terra come tutti gli agricoltori e dunque bravi a impossessarsene. Quando sulla carta geografica si scontrano due tribù come quelle la guerra è nell'ordine delle cose.
Gli amhara erano originariamente gente di montagna, di posti dove fa freddo all'equatore e perfino i babbuini hanno il pelo lungo. Ma avevano mandato i loro coloni nelle calde e secche pianure della Somalia per generazioni. Quei coloni finirono nel mezzo di una classica guerra africana nel deserto di Ogaden dal 1976 al 1978, quando l'esercito somalo avanzò fino alla capitale dell'Etiopia, Addis Abeba. Fu una di quelle magnifiche guerre convenzionali nel Corno d'Africa che nessuno ha avuto il buon senso di filmare, accidenti, e così non riusciremo mai a vederla come dovremmo. Dev'essere stata una gran cosa, perché i somali erano specializzati in attacchi con mezzi corazzati attraverso il deserto. Avevano una grossa ed efficiente forza di carri armati russi, vecchi ma solidi T-34 (IL carro armato del XX secolo) e T-54/5. Se si considera che la popolazione dell'Etiopia è circa sei volte più grande di quella della Somalia, fa impressione pensare che le colonne di carri armati somali si sono addentrate così tanto nel paese nemico. Ma i somali avevano un grande vantaggio: ogni somalo è un assassino nato. È la sola cosa che conoscono.
Avevano anche il vantaggio di combattere contro un paese che si stava disintegrando. L'Etiopia non è mai stata il posto più organizzato del pianeta. È famosa per un bel po' di cose strane, come le pulci peggiori del mondo e la più antica e bizzarra versione del Cristianesimo, ma non per essere precisa come un orario ferroviario tedesco. L'Etiopia era uno di quei paesi in cui l'esercito era l'unica parte dello Stato a funzionare. Nel 1974 alcuni intraprendenti ufficiali comunisti dichiararono che l'Etiopia non era altro che un casino feudale ingiusto e sul punto di crollare. Il che era assolutamente vero. Sfortunatamente – e probabilmente questo lo avrete già indovinato – quello che avevano in mente loro era perfino peggiore. Molti di questi ufficiali erano stati educati a Mosca e ne avevano ricavato l'impressione che i russi fossero comunisti, e così da bravi studenti una volta tornati a casa vollero applicare ciò che avevano imparato. Fa ridere, adesso che sappiamo che a quell'epoca in Russia i veri comunisti non esistevano già più. I russi si saranno sentiti mancare di fronte ai loro amici abissini che narravano cinguettanti le glorie del comunismo. Scommetto che avrebbero voluto urlare: “Ehi, amico, no! È solo... raccontarvi queste storie è il mio lavoro, ma nessuno si aspetta che ci crediate!”
A essere onesti, un fiero ufficiale etiope avrebbe avuto tutte le ragioni per incazzarsi: metà della popolazione era costituita da braccianti poverissimi che lavoravano la terra dei signori amhara in cambio di una quota da fame del raccolto. La popolazione era in crescita vertiginosa e la terra mancava. Più gente, meno terra e un folle mucchio di signori, signore e monaci a comandare. Era come l'Inghilterra medievale, ma con un'esplosione demografica in corso e un esercito incazzato.
Così all'inizio della rivoluzione etiopica c'è un meraviglioso incredibile casino. Prendete una carta geografica dell'Etiopia e vedrete che ricorda la testa di un rinoceronte messa di profilo (un rinoceronte che guarda verso est, diciamo, pensando probabilmente “Dio come mi piacerebbe nuotare fino a Diego Garcia e scroccare qualche birra, scappare da questo ghetto...")
Il corno del rinoceronte entra nei deserti della Somalia. E adesso vediamola dal punto di vista etnico: gli amhara, la tribù cristiana dominante, controllano solo le montagne, all'incirca dove dovrebbe trovarsi l'orecchio del rinoceronte. In cima alla testa ci sono i territori ribelli, l'Eritrea e il Tigrè. A est e lungo il margine del deserto ci sono gli afar, forse la peggiore tra le tribù del Corno d'Africa; quando gli amhara sentono la parola “afar” dicono “Via, via, niente da far!” Un po' di umorismo tribale, ehm. Comunque spostandosi a destra su questa testa di rinoceronte che comincio a rimpiangere di avere evocato, il corno del rinoceronte è tutto somalo, e giù lungo la mandibola si incontrano gli oromo.
Ok? Ne avete abbastanza di teste di rinoceronte? Anch'io. Allora, nel 1974, proprio nel mezzo di questo bel castello di carte, o di ossa tenute insieme con la Vinavil – no, non sto ricominciando con un altro rinoceronte – in questo casino entra il Derg, un gruppo di 120 ufficiali etiopi di ispirazione comunista, per la maggioranza del Tigrè e della regione Amhara, decisi a incasinare l'unica zona relativamente stabile del paese, le montagne dell'Amhara, cacciando l'aristocrazia, liberando i servi e distribuendo loro la terra. Sorpresa sorpresa, è andata un po' male.
Prossimamente continuerò a parlare di questo e di un libro che racconta quello che accadde allora dal punto di vista di un bambino che lo visse – già questo vale una medaglia – e apparteneva a due diverse fazioni ribelli, una somala e l'altra amhara/comunista. È una delle storie migliori che conosca, e uno dei modi migliori per capire cosa potrebbe nascere in un paese che è molto più lontano dal posto in cui vivete di quanto lo sia Plutone.
Originale: Exiledonline
Originale pubblicato il 29 ottobre 2008
giovedì, ottobre 30, 2008
mercoledì, ottobre 29, 2008
Smells like perestrojka spirit
Crisi? Ecco come l'homo postsovieticus si sta attrezzando:
- Il cocktail Erš (birra+vodka): bevete mezza bottiglia di birra, aggiungete 0,25 di vodka.
- Mescolate l'erba con il tabacco, di questi tempi meglio non sprecare prodotto.
- Anche la Klinskoe (birra leggera) è bevibile, comunque.
- Le sigarette Pëtr 1 contengono più nicotina delle vostre amate Kent.
- Per la metro meglio comprare un biglietto da venti corse.
- La carta igienica "54 metri" è 10 volte meno cara della "ZEVA" e dura di più.
- Quando andate al lavoro in macchina passate a prendere i colleghi e dividete le spese per la benzina.
- Le gomme per la macchina si possono anche comprare usate. Meglio comprare quelle per tutte le stagioni, una volta i nostri papà le usavano d'inverno e d'estate, potete farlo anche voi.
- Per telefonare ai cellulari usate il fisso, se usate il cellulare urlate "telefonami tu!" e chiudete la comunicazione. Dovete metterci al massimo 5 secondi.
- L'olio di girasole non raffinato costa meno.
- Se si strofina il pane nero con dell'aglio profuma di salame.
- Mettendo una guarnizione tra la testata e il blocco dei cilindri l'auto può andare con la benzina a 76 ottani. Se non ci riesce, venderla e comprarsi una Žiguli. Lei può.
- Si possono fregare i tergicristalli dalle altre macchine.
- Al supermercato chiedere sempre di assaggiare e non comprare. Così si fa economia e si pranza.
- Negli ipermercati tipo Auchan si può bere e mangiare finché qualcuno non se ne accorge.
- Con pochi soldi si possono piantare patate, rincalzarle d'estate, raccoglierle in autunno e sfamare tutta la famiglia per tutto l'inverno.
- Non bisogna per forza lavare i piatti con il Fairy. Lavateli a mano semplicemente con soda, cenere, detersivo in polvere.
- Esistono anche dentifrici economici, e il risultato è lo stesso.
- I calzini costano 10-20 rubli, e non 500 come nei negozi ladri.
- I fazzoletti di carta usa e getta sono uno spreco: usate fazzoletti di stoffa, stracci. Anche le maniche.
- Comprare il tè freddo è una gran cavolata. Fatevelo da soli.
- La mia ricetta per un bel compleanno: 4 pacchi di pel'meni, una cassa di birra (20 bottoglie) e 5 bottiglie di vodka da 0,75 vengono in tutto: birra 400, vodka 750, pel'meni 150. fanno 1300 rubli. Se volete anche fare una grigliatina, invece dei wurstel di soia comprate salsicce a 30 rubli il pacco.
- Non buttate il vetro e le lattine, vendeteli.
- Se non riuscite a dormire per la fame, mandate giù due bicchieri d'acqua calda e mettetevi a letto. Il cervello sulle prime non si renderà conto che avete fregato lo stomaco.
- Nei parchi le nonne e le giovani mamme buttano il pane alle anatre e ai cigni. Se non avete coraggio di chiedere un pezzo di pane, buttatevi in acqua e lottate.
- I blog si possono leggere anche a 128kbit/s.
- Se si congela un uovo e poi lo si taglia a metà, quando lo si frigge si hanno due tuorli.
- Le calze si rammendano su una vecchia lampadina.
- Tutti i Rolex portateli al banco dei pegni. Il cellulare ha anche l'orologio!
Fonte: http://yandex-top-ru.livejournal.com/6101227.html?#cutid1 (RUS)
martedì, ottobre 28, 2008
VVP e il crollo
Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin si trovava nel suo studio. Accanto a lui c'era il ministro delle finanze della Federazione Russa Aleksej Leonidovič Kudrin. I due uomini osservavano la cornice della finestra, dalla quale pendevano i pesanti tendaggi.
- Lo vedi anche tu che è un po' storta? - domandò Vladimir Vladimirovič™, - Ho come l'impressione che possa cadere da un momento all'altro.
- Perché mai? - Aleksej Leonidovič non capiva, - Perché dovrebbe cadere, solo perché sta storta? Magari era già storta.
- Ma no, - scosse il capo Vladimir Vladimirovič™, - Prima stava dritta. Adesso sta storta.
- Non lo so, - disse Aleksej Leonidovič, sogguardando la cornice di lato, - A dire il vero, non vedo alcuna fondamentale ragione per cui debba cadere.
- Proprio questo mi spaventa, - rispose Vladimir Vladimirovič™, - Che tu non ne veda la ragione.
In quel momento qualcosa scricchiolò, la pesante cornice si mosse e crollò con un gran fracasso. Si sollevò una fitta nuvola di polvere.
Vladimir Vladimirovič™ fissò attentamente Aleksej Leonidovič. Il ministro delle finanze osservava con interesse il danno.
- Non capisco, - disse onestamente Aleksej Leonidovič, - Non doveva cadere…
Vladimir Vladimirovič™ tacque.
Originale: vladimir.vladimirovich.ru
- Lo vedi anche tu che è un po' storta? - domandò Vladimir Vladimirovič™, - Ho come l'impressione che possa cadere da un momento all'altro.
- Perché mai? - Aleksej Leonidovič non capiva, - Perché dovrebbe cadere, solo perché sta storta? Magari era già storta.
- Ma no, - scosse il capo Vladimir Vladimirovič™, - Prima stava dritta. Adesso sta storta.
- Non lo so, - disse Aleksej Leonidovič, sogguardando la cornice di lato, - A dire il vero, non vedo alcuna fondamentale ragione per cui debba cadere.
- Proprio questo mi spaventa, - rispose Vladimir Vladimirovič™, - Che tu non ne veda la ragione.
In quel momento qualcosa scricchiolò, la pesante cornice si mosse e crollò con un gran fracasso. Si sollevò una fitta nuvola di polvere.
Vladimir Vladimirovič™ fissò attentamente Aleksej Leonidovič. Il ministro delle finanze osservava con interesse il danno.
- Non capisco, - disse onestamente Aleksej Leonidovič, - Non doveva cadere…
Vladimir Vladimirovič™ tacque.
Originale: vladimir.vladimirovich.ru
lunedì, ottobre 27, 2008
domenica, ottobre 26, 2008
I made a teliscop for YOU and I luv u so
tutti insieme:
MISSES PALIN!
i want to fly into ur Airspase!
MISSES PALIN!
i want to reer my little Head!
MISSES PALIN!
why wont You reply to my Emails?!!
I made a teliscop for YOU and i luv u so!
[I luv u so, distratti]
venerdì, ottobre 24, 2008
Appunti sulla Bolivia/1
Negli ultimi tempi mi sono decisa a capire meglio quello che sta succedendo in Bolivia, dove nei mesi di agosto e settembre lo scontro tra governo e prefetti e "civici" separatisti si era fatto così drammatico da far pensare a un tentativo in piena regola di colpo di stato, con azioni di squadre armate, scontri con polizia ed esercito e occupazioni di istituzioni e uffici pubblici: tensioni che sono sfociate nel massacro dei contadini boliviani sostenitori del presidente Morales avvenuto l'11 settembre a El Porvenir, nel dipartimento di Pando.
La situazione è tuttora complessa, e nel conflitto non c'è un solo fronte.
Dunque pensavo di parlarne e di farlo qui, perché sono mie considerazioni accompagnate da link ad articoli e traduzioni, soprattutto di Tlaxcala che da sempre segue con attenzione e sensibilità le problematiche dell'America Latina dando voce alle fonti sul territorio. Ma anche perché, essendomi imbattuta a proposito del massacro di El Porvenir nel personaggio (inafferrabile, ambiguo, forse morto) di Marco Marino Diodato, vorrei cominciare - con calma e ponderazione, né oggi né domani, un po' alla volta e con costanza - a parlare dei neofascisti italiani trasfughi in Spagna e in America Latina (argomento solo sfiorato con Cicuttini nella Pista Gialla) cercando di evitare il più possibile discorsi generici su "mercenari neofascisti" e "esuli di Avanguardia Nazionale" per concentrarmi su alcune figure e le loro provate responsabilità.
Questi dunque saranno semplicemente appunti e raccolte di link a beneficio mio e di chi condivide il mio interesse per quanto sta succedendo (e per il passato): nessun piano di lavoro, nessuna aspettativa.
Dunque, la Bolivia, a partire dai fatti più recenti:
- Il culmine della marcia di centinaia di migliaia di persone da Caracollo a La Paz per vegliare sulla riunione del Congresso Nazionale: la convocazione del referendum sulla Nuova Costituzione Politica dello Stato che si svolgerà il 25 gennaio del 2009.
- Un'intervista al presidente Evo Morales in cui parla dei conflitti, della situazione del paese, della Nuova Costituzione e del suo modo di concepire la politica.
- Servono però alcune tracce preziose per orientarsi meglio nel conflitto attuale (concreto o latente): sono esposte benissimo da Raquel Gutiérrez Aguilar in questo articolo: ricostruzione schematica dei fatti, identificazione dei quattro fronti principali dello scontro, situazione e responsabilità dei mezzi di informazione boliviani, rischi, concrete speranze che vengono ancora una volta dal basso, dalla comunità boliviana, da quei movimenti sociali che si sono messi in marcia da Caracollo a La Paz per vigilare sull'accordo per la nuova Costituzione.
Questo, unito a un uso sporadico di Google e ad alcune incursioni giudiziose su wikipedia, è un buon punto di partenza.
- Il tentativo di colpo di stato nei dipartimenti autonomisti (Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija e Chuquisaca), il precedente di agosto a Cochabamba con Reyes Villa e il ruolo dei media: il giornalista boliviano di Datos&Análisis Wilson García Mérida a proposito del tentativo di balcanizzazione della Bolivia.
- E la manina italiana al servizio dei narcolatifondisti e del prefetto di Pando Leopoldo Fernández (attualmente agli arresti)?
La notizia della "resurrezione" di Marco Marino Diodato (dopo il misterioso suicidio avvenuto anni fa) e della sua possibile partecipazione al massacro dei campesinos dell'11 settembre è stata ripresa da varie fonti italiane senza offrire ulteriori particolari. Vivo o morto che sia, qui ci sono alcune cose forse vi interesserà sapere su Marco Marino Diodato, il neofascista abruzzese che in Bolivia ha fatto una carriera esemplare nel narcotraffico e al servizio delle élite politiche, dal dittatore Banzer in poi: Il neofascista italiano Diodato tra i registi della strage di Pando.
- Poco più di un anno fa in un articolo di Eva Golinger tradotto da Gianluca Bifolchi si parlava dell'ingerenza statunitense attraverso USAID e i suoi milioni di dollari di finanziamento a movimenti dell'opposizione: attività mirata ad appoggiare le organizzazioni separatiste in regioni ricche di risorse naturali come Santa Cruz e Cochabamba.
- Del ruolo di USAID e delle iniziative dell'ambasciatore statunitense Philip Goldberg in Bolivia per favorire la secessione dei dipartimenti orientali ha parlato Michel Chossudovsky in La destabilizzazione della Bolivia e l'opzione Kosovo.
- Pochi giorni fa il giornalista investigativo Jeremy Bigwood ha anticipato alcuni documenti (da lui ottenuti dal Governo degli Stati Uniti soprattutto in base al Freedom of Information Act) che dimostrano una chiara politica di intervento e di ingerenza negli affari interni boliviani da parte degli Stati Uniti, in particolare attraverso USAID.
[Siate gentili con l'America, o incoraggerà "eventi", "discussioni pubbliche" e un "efficiente ed efficace monitoraggio sociale" anche a casa vostra].
La situazione è tuttora complessa, e nel conflitto non c'è un solo fronte.
Dunque pensavo di parlarne e di farlo qui, perché sono mie considerazioni accompagnate da link ad articoli e traduzioni, soprattutto di Tlaxcala che da sempre segue con attenzione e sensibilità le problematiche dell'America Latina dando voce alle fonti sul territorio. Ma anche perché, essendomi imbattuta a proposito del massacro di El Porvenir nel personaggio (inafferrabile, ambiguo, forse morto) di Marco Marino Diodato, vorrei cominciare - con calma e ponderazione, né oggi né domani, un po' alla volta e con costanza - a parlare dei neofascisti italiani trasfughi in Spagna e in America Latina (argomento solo sfiorato con Cicuttini nella Pista Gialla) cercando di evitare il più possibile discorsi generici su "mercenari neofascisti" e "esuli di Avanguardia Nazionale" per concentrarmi su alcune figure e le loro provate responsabilità.
Questi dunque saranno semplicemente appunti e raccolte di link a beneficio mio e di chi condivide il mio interesse per quanto sta succedendo (e per il passato): nessun piano di lavoro, nessuna aspettativa.
Dunque, la Bolivia, a partire dai fatti più recenti:
- Il culmine della marcia di centinaia di migliaia di persone da Caracollo a La Paz per vegliare sulla riunione del Congresso Nazionale: la convocazione del referendum sulla Nuova Costituzione Politica dello Stato che si svolgerà il 25 gennaio del 2009.
- Un'intervista al presidente Evo Morales in cui parla dei conflitti, della situazione del paese, della Nuova Costituzione e del suo modo di concepire la politica.
- Servono però alcune tracce preziose per orientarsi meglio nel conflitto attuale (concreto o latente): sono esposte benissimo da Raquel Gutiérrez Aguilar in questo articolo: ricostruzione schematica dei fatti, identificazione dei quattro fronti principali dello scontro, situazione e responsabilità dei mezzi di informazione boliviani, rischi, concrete speranze che vengono ancora una volta dal basso, dalla comunità boliviana, da quei movimenti sociali che si sono messi in marcia da Caracollo a La Paz per vigilare sull'accordo per la nuova Costituzione.
Questo, unito a un uso sporadico di Google e ad alcune incursioni giudiziose su wikipedia, è un buon punto di partenza.
- Il tentativo di colpo di stato nei dipartimenti autonomisti (Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija e Chuquisaca), il precedente di agosto a Cochabamba con Reyes Villa e il ruolo dei media: il giornalista boliviano di Datos&Análisis Wilson García Mérida a proposito del tentativo di balcanizzazione della Bolivia.
- E la manina italiana al servizio dei narcolatifondisti e del prefetto di Pando Leopoldo Fernández (attualmente agli arresti)?
La notizia della "resurrezione" di Marco Marino Diodato (dopo il misterioso suicidio avvenuto anni fa) e della sua possibile partecipazione al massacro dei campesinos dell'11 settembre è stata ripresa da varie fonti italiane senza offrire ulteriori particolari. Vivo o morto che sia, qui ci sono alcune cose forse vi interesserà sapere su Marco Marino Diodato, il neofascista abruzzese che in Bolivia ha fatto una carriera esemplare nel narcotraffico e al servizio delle élite politiche, dal dittatore Banzer in poi: Il neofascista italiano Diodato tra i registi della strage di Pando.
- Poco più di un anno fa in un articolo di Eva Golinger tradotto da Gianluca Bifolchi si parlava dell'ingerenza statunitense attraverso USAID e i suoi milioni di dollari di finanziamento a movimenti dell'opposizione: attività mirata ad appoggiare le organizzazioni separatiste in regioni ricche di risorse naturali come Santa Cruz e Cochabamba.
- Del ruolo di USAID e delle iniziative dell'ambasciatore statunitense Philip Goldberg in Bolivia per favorire la secessione dei dipartimenti orientali ha parlato Michel Chossudovsky in La destabilizzazione della Bolivia e l'opzione Kosovo.
- Pochi giorni fa il giornalista investigativo Jeremy Bigwood ha anticipato alcuni documenti (da lui ottenuti dal Governo degli Stati Uniti soprattutto in base al Freedom of Information Act) che dimostrano una chiara politica di intervento e di ingerenza negli affari interni boliviani da parte degli Stati Uniti, in particolare attraverso USAID.
[Siate gentili con l'America, o incoraggerà "eventi", "discussioni pubbliche" e un "efficiente ed efficace monitoraggio sociale" anche a casa vostra].
mercoledì, ottobre 22, 2008
martedì, ottobre 21, 2008
Fundraising
"Paisa', dai soldi per battere Obama!"
[Fonte: Ellustrator]
Sulla lettera di raccolta fondi
della campagna presidenziale di John McCain
Abbiamo ricevuto una lettera dal Senatore John McCain in cui si richiede un contributo finanziario per la sua campagna Presidenziale.
A tale proposito vorremmo ribadire che le autorità russe, la Missione Permanente della Federazione Russa alle Nazioni Unite o il Governo russo non finanziano attività politiche in paesi stranieri.
Dichiarazione della Missione Permanente della Federazione Russa alle Nazioni Unite, 20 ottobre 2008.
Koni, il GLONASS, le pozzanghere e il Know-how
[Dunque il labrador premierale ha indossato in diretta un collare-ricevitore GLONASS per monitorare i progressi del sistema di navigazione satellitare russo e...]
V. V. Putin: A posto, neanche pesante. Koni (rivolgendosi al labrador Koni), vieni qui, ti hanno portato un regalo.
Ju. М. Urličič: Questa è la componente elettronica. Il modulo BM del GLONASS-GPS. Starà all'interno. Qui c'è la placca. Il resto del peso è costituito dalla batteria. Ma il know-how consiste nel fatto…
S. B. Ivanov: ... che l'abbiamo fatto solo noi, altri al mondo non ce ne sono. Quando il cane sta fermo, non si muove, mettiamo - chiedo scusa - che si infili in una pozzanghera da qualche parte nel bosco...
V. V. Putin: Be', ma il mio cane non è un porcellino, non sguazza nelle pozzanghere.
S. B. Ivanov: Sì, be', nel bosco. Allora la batteria non funziona, cioè subentra la modalità di risparmio energetico.
E. A. Beljanko: C'è uno speciale sensore di movimento che spegne il sistema di navigazione per risparmiare energia. Cioè, se non c'è movimento, se le coordinate non cambiano inutile consumare energia.
V. V. Putin: E questo cos'è?
E. A. Beljanko: Questo... con l'aiuto di diversi dispositivi si può controllare l'animale. Ecco, qui ha registrato una breve passeggiata vicino casa. L'edificio non c'è perché questa zona non è coperta dalla mappa.
V. V. Putin: Glielo mettiamo? (mettono il collare a Koni)
S. B. Ivanov: È triste. È finita la libertà, ti hanno imbrigliata.
V. V. Putin: (Rivolgendosi a Koni) Ti piace? Le piace. Scodinzola, significa che le piace.
E. A. Beljanko: Adesso però servirebbe che se ne andasse da qualche parte.
Fonte: Kremlin.ru
V. V. Putin: A posto, neanche pesante. Koni (rivolgendosi al labrador Koni), vieni qui, ti hanno portato un regalo.
Ju. М. Urličič: Questa è la componente elettronica. Il modulo BM del GLONASS-GPS. Starà all'interno. Qui c'è la placca. Il resto del peso è costituito dalla batteria. Ma il know-how consiste nel fatto…
S. B. Ivanov: ... che l'abbiamo fatto solo noi, altri al mondo non ce ne sono. Quando il cane sta fermo, non si muove, mettiamo - chiedo scusa - che si infili in una pozzanghera da qualche parte nel bosco...
V. V. Putin: Be', ma il mio cane non è un porcellino, non sguazza nelle pozzanghere.
S. B. Ivanov: Sì, be', nel bosco. Allora la batteria non funziona, cioè subentra la modalità di risparmio energetico.
E. A. Beljanko: C'è uno speciale sensore di movimento che spegne il sistema di navigazione per risparmiare energia. Cioè, se non c'è movimento, se le coordinate non cambiano inutile consumare energia.
V. V. Putin: E questo cos'è?
E. A. Beljanko: Questo... con l'aiuto di diversi dispositivi si può controllare l'animale. Ecco, qui ha registrato una breve passeggiata vicino casa. L'edificio non c'è perché questa zona non è coperta dalla mappa.
V. V. Putin: Glielo mettiamo? (mettono il collare a Koni)
S. B. Ivanov: È triste. È finita la libertà, ti hanno imbrigliata.
V. V. Putin: (Rivolgendosi a Koni) Ti piace? Le piace. Scodinzola, significa che le piace.
E. A. Beljanko: Adesso però servirebbe che se ne andasse da qualche parte.
Fonte: Kremlin.ru
lunedì, ottobre 20, 2008
Quella struttura speciale chiamata "Cremlino"
Weekends don't count unless you spend them doing something completely pointless.
Calvin, Calvin&Hobbes
Capo non è che metti un link nella oumpeig per quella cosa di Stalin? che non c'ho più la memoria ma dovessi ricordarmi che me lo sono perso sarebbe tiribile.
Tov. Fjodor
Eccolo: Commander Stalin, gioco di strategia di ambientazione baffona in tempo reale.
"Il giocatore è Stalin: deve organizzare lo stato, l'industrializzazione, gestire le risorse, creare un'ampia base di consenso sociale (i lavoratori), sviluppare la scienza e la tecnologia per trasformare il suo paese in una superpotenza.
Se va tutto bene si resta al potere, ma le cose non finiscono qui: l'Unione Sovietica è ora una superpotenza e l'ombra minacciosa della Guerra Mondiale incombe. Nonostante le sue intenzioni pacifiche il paese verrà attaccato dalla Germania nazista. Non potrà fare altro che difendersi.
Buona fortuna, compagno!"
Dal manuale: "Le strutture e gli edifici sono costruiti dai lavoratori. Il compagno Stalin produce lavoratori fedeli al partito ed estremamente efficaci da una struttura speciale chiamata 'Cremlino'. All'inizio del gioco è sempre presente almeno una di queste strutture".
Gratis e subito, compagni, gratis e subito: diamo un'altra spallata al PIL.
Calvin, Calvin&Hobbes
Capo non è che metti un link nella oumpeig per quella cosa di Stalin? che non c'ho più la memoria ma dovessi ricordarmi che me lo sono perso sarebbe tiribile.
Tov. Fjodor
Eccolo: Commander Stalin, gioco di strategia di ambientazione baffona in tempo reale.
"Il giocatore è Stalin: deve organizzare lo stato, l'industrializzazione, gestire le risorse, creare un'ampia base di consenso sociale (i lavoratori), sviluppare la scienza e la tecnologia per trasformare il suo paese in una superpotenza.
Se va tutto bene si resta al potere, ma le cose non finiscono qui: l'Unione Sovietica è ora una superpotenza e l'ombra minacciosa della Guerra Mondiale incombe. Nonostante le sue intenzioni pacifiche il paese verrà attaccato dalla Germania nazista. Non potrà fare altro che difendersi.
Buona fortuna, compagno!"
Dal manuale: "Le strutture e gli edifici sono costruiti dai lavoratori. Il compagno Stalin produce lavoratori fedeli al partito ed estremamente efficaci da una struttura speciale chiamata 'Cremlino'. All'inizio del gioco è sempre presente almeno una di queste strutture".
Gratis e subito, compagni, gratis e subito: diamo un'altra spallata al PIL.
venerdì, ottobre 17, 2008
Horsies
"Com'è che lui c'ha i cavallini?"
Fonte: http://www.flickr.com/photos/danielkongos/2790446307/sizes/o/
giovedì, ottobre 16, 2008
Donna si registra a Feisbuk sbagliato, conosce gente interessante
Ah, ma voi dicevate quel Facebook? Quel posto pieno di bacheche e di notifiche in cui tutti sanno sistematicamente tutto di tutti, o almeno quello che tutti vogliono che si sappia di loro? Lo Strumento del Demonio™? La vera causa del global meltdown?
No, io intendevo questo: FSBuk (cliccare per ingrandire).
[Traduzione vichinga:]
Da tempo nella rete gira voce che i blog siano controllati dai servizi segreti.
Ma allora dai una mano all'FSB, iscriviti volontariamente a FSBuk, il social network definitivo nel quale è possibile compilare da soli il proprio dossier, invitare (denunciare) gli amici (soggetti), raccogliere informazioni, migliorare il proprio rating o livello di fiducia (il simpatizzante ha meno del 50%, l'agente tra il 50% e l'80%, il capo della rete fino al 120%) e aggiungere fatti interessanti della propria vita.
Genialno.
Solo su invito. L'invito si può richiedere. Non richiedete l'invito.
Link (tutto po russki).
No, io intendevo questo: FSBuk (cliccare per ingrandire).
[Traduzione vichinga:]
Da tempo nella rete gira voce che i blog siano controllati dai servizi segreti.
Ma allora dai una mano all'FSB, iscriviti volontariamente a FSBuk, il social network definitivo nel quale è possibile compilare da soli il proprio dossier, invitare (denunciare) gli amici (soggetti), raccogliere informazioni, migliorare il proprio rating o livello di fiducia (il simpatizzante ha meno del 50%, l'agente tra il 50% e l'80%, il capo della rete fino al 120%) e aggiungere fatti interessanti della propria vita.
Genialno.
Solo su invito. L'invito si può richiedere. Non richiedete l'invito.
Link (tutto po russki).
mercoledì, ottobre 15, 2008
CSI Alpe-Adria: signora Lina nutre sospetti, nega coinvolgimento
- Comunque è sembrato subito strano anche a me, con tutti quegli erbèg.
- Cioè?
- Ma sarà stato davvero un incidente?, ho pensato.
- Eccola lì, la bionda di CSI Alpe-Adria.
- Strano, comunque.
- Dici che è stato papà che gli ha svitato i bulloni?
- Cosa scrivono su Internet?
- Non sono ancora arrivati al pensionato settantenne di Gorizia.
- Lo sai che il tipo che organizza le gite ai mercatini di Natale...
- Non dirmelo.
- Sì sì, sabato gita al funerale. C'è gente che va.
- Non tu.
- No, figurati, io no.
- Ok.
- Comunque conosco chi ci va.
- Ho capito, ma.
- Si fanno la passeggiata, no?
- Mamma.
- È un po' come la sfilata dei Krampus, stai un po' lì e poi vai a farti un giro. Sai che pasticcerie ci sono, a Klagenfurt. Sleppe di torta così.
- Ma tu no, vero mamma?
- Certo che no. A me neanche i Krampus mi piacciono tanto.
- Mh.
- E va bene. Colpa dell'anca di tuo padre.
- Cioè?
- Ma sarà stato davvero un incidente?, ho pensato.
- Eccola lì, la bionda di CSI Alpe-Adria.
- Strano, comunque.
- Dici che è stato papà che gli ha svitato i bulloni?
- Cosa scrivono su Internet?
- Non sono ancora arrivati al pensionato settantenne di Gorizia.
- Lo sai che il tipo che organizza le gite ai mercatini di Natale...
- Non dirmelo.
- Sì sì, sabato gita al funerale. C'è gente che va.
- Non tu.
- No, figurati, io no.
- Ok.
- Comunque conosco chi ci va.
- Ho capito, ma.
- Si fanno la passeggiata, no?
- Mamma.
- È un po' come la sfilata dei Krampus, stai un po' lì e poi vai a farti un giro. Sai che pasticcerie ci sono, a Klagenfurt. Sleppe di torta così.
- Ma tu no, vero mamma?
- Certo che no. A me neanche i Krampus mi piacciono tanto.
- Mh.
- E va bene. Colpa dell'anca di tuo padre.
martedì, ottobre 14, 2008
Dall'italiano all'italiano
sms di D., ieri pomeriggio:
"C'è Berlusconi da Bush su Rai1: l'interprete dall'italiano è ritradotta in italiano".
E così accendo.
In effetti.
Passaggio uno: Berlusconi parla.
Passaggio due: voce femminile traduce in inglese.
Passaggio tre: voce maschile ritraduce in italiano.
Parafrasando Wright, chewing-gum per le orecchie.
"C'è Berlusconi da Bush su Rai1: l'interprete dall'italiano è ritradotta in italiano".
E così accendo.
In effetti.
Passaggio uno: Berlusconi parla.
Passaggio due: voce femminile traduce in inglese.
Passaggio tre: voce maschile ritraduce in italiano.
Parafrasando Wright, chewing-gum per le orecchie.
lunedì, ottobre 13, 2008
Unclassified: il fu belluomo anche alto
Insomma, avrei avuto una cosa da raccontarvi, ma poi.
Perché è mai possibile che noi famigliamir ce ne stiamo tranquilli e zitti e con la coscienza perfettamente a posto, senza rivelazioni imbarazzanti? Possibile che dove tutti tengono l'imbottita invernale noi dobbiamo averci sempre uno scheletro?
Comunque.
Questo fu il dialogo con mia madre dopo una memorabile gita a Klagenfurt:
- Sì e poi a un certo punto in mezzo a tutta quella gente c'era un gran bel signore e ci siamo messi a parlare un po' in italiano e un po' in tedesco, ma soprattutto in italiano. No, certo che non so il tedesco, che c'entra. Ma tanto un bel signore, che bell'uomo, giovanile. Mi ricordava qualcuno, ho pensato subito a un attore di qualche telefilm di canale 5. E quando gli dico che sono di Gorizia lui mi dice: ma za che mio cenero è ti Corizia!
E allora mi viene in mente chi mi somiglia, così chiamo la Carla e la Nives e chiamo anche papà perché ci faccia la foto.
Ma che bell'uomo, nonostante tutto.
Anche alto.
Ecco, tieni.
- Cazzo, mamma. Haider.
- Va bene, puoi metterla sul tuo blog.
Vabbe', tanto questo si era fatto fotografare fino all'ultimo con nani e ballerine.
Ecco a voi, da sinistra, su sfondo di abeti e neve finta:
groupie elettrizzata;
mia madre (noterete che le ride anche il naso per la soddisfazione);
il fu belluomo anche alto;
l'unica del gruppo a fare colazione con pane e volpe: intuendo quanto la foto possa risultare compromettente decide di concedersi un sorriso enigmatico da Gioconda in età.
Clicchino, clicchino qui.
Perché è mai possibile che noi famigliamir ce ne stiamo tranquilli e zitti e con la coscienza perfettamente a posto, senza rivelazioni imbarazzanti? Possibile che dove tutti tengono l'imbottita invernale noi dobbiamo averci sempre uno scheletro?
Comunque.
Questo fu il dialogo con mia madre dopo una memorabile gita a Klagenfurt:
- Sì e poi a un certo punto in mezzo a tutta quella gente c'era un gran bel signore e ci siamo messi a parlare un po' in italiano e un po' in tedesco, ma soprattutto in italiano. No, certo che non so il tedesco, che c'entra. Ma tanto un bel signore, che bell'uomo, giovanile. Mi ricordava qualcuno, ho pensato subito a un attore di qualche telefilm di canale 5. E quando gli dico che sono di Gorizia lui mi dice: ma za che mio cenero è ti Corizia!
E allora mi viene in mente chi mi somiglia, così chiamo la Carla e la Nives e chiamo anche papà perché ci faccia la foto.
Ma che bell'uomo, nonostante tutto.
Anche alto.
Ecco, tieni.
- Cazzo, mamma. Haider.
- Va bene, puoi metterla sul tuo blog.
Vabbe', tanto questo si era fatto fotografare fino all'ultimo con nani e ballerine.
Ecco a voi, da sinistra, su sfondo di abeti e neve finta:
groupie elettrizzata;
mia madre (noterete che le ride anche il naso per la soddisfazione);
il fu belluomo anche alto;
l'unica del gruppo a fare colazione con pane e volpe: intuendo quanto la foto possa risultare compromettente decide di concedersi un sorriso enigmatico da Gioconda in età.
Clicchino, clicchino qui.
Putin e la tigre dell'Amur
Putin presenta al pubblico il suo regalo
di Andrej Kolesnikov
Nel pomeriggio di giovedì si è saputo che i giornalisti del “pool governativo” erano attesi a Novo-Ogarevo per le otto di sera. Su cosa sarebbe successo neanche una parola, il che ha fatto crescere enormemente le aspettative e le ipotesi. Abbiamo ricevuto in risposta solo vaghi accenni. Ci hanno assicurato che si sarebbe trattato di un incontro informale del premier con i giornalisti, e che non si sarebbe parlato di economia. Ovviamente dopo queste parole nessuno credeva che il premier non avrebbe fatto alcuna dichiarazione su questioni economiche.
Già si sapeva che il primo ministro quella sera era atteso alla Casa Bianca per discutere della crisi finanziaria. E più il tempo passava, tanto più si rafforzava la certezza che ci aspettasse una grossa sorpresa, tanto per cambiare sgradita.
E il tempo passava sì. Siamo arrivati a Novo-Ogarevo alle sette di sera. L'incontro, come si sa, era stato fissato per le otto. Ma né alle nove né alle dieci c'era alcun indizio del fatto che il premier stesse lasciando la Casa Bianca per tornare a Novo-Ogarevo.
A quel punto le opinioni dei giornalisti, per usare un eufemismo, divergevano ormai ampiamente. Si era già formata una scuola di pensiero secondo la quale per parlare di economia era effettivamente troppo tardi, perché a quell'ora nessuno guarda più la televisione e i giornali hanno già chiuso le pagine. Dunque si sarebbe parlato di altro.
C'è stato chi ha ipotizzato che il labrador Koni avesse partorito. Ho parlato con un tizio che non si vantava delle sue informazioni e anzi sembrava volerle tenere più o meno per sé, ma che ha comunque raccontato che secondo lui il premier per il suo compleanno (che si festeggia il 7 ottobre) aveva ricevuto in regalo un'automobile e che voleva presentarla alla stampa. Quel giornalista ha perfino scritto sul suo bloc notes “auto” e “regalo” e ci ha aggiunto l'ora in cui aveva espresso quella geniale ipotesi, così che poi, quando si fosse avverata, nessuno potesse incolparlo di non aver detto nulla.
Mi sorprendeva soprattuto la sicurezza con la quale il giornalista, che pretendeva di conoscere e perfino di sapere cosa pensasse il premier, si è messo a scommettere “qualsiasi cosa” con un altro giornalista: se Vladimir Putin ci avesse mostrato un'automobile lui avrebbe vinto, in tutti gli altri casi avrebbe perso. Insomma, era disposto a mettersi in una posizione scomoda a priori, tanto era convinto di averci azzeccato.
Si è sparsa la voce che il premier ci avrebbe aspettati sulla piattaforma di atterraggio per gli elicotteri. Così è spuntata la convinzione che gli avessero regalato un elicottero.
Ma alle undici di sera l'ottimismo era ormai svanito. È prevalsa nuovamente l'ipotesi di qualche importante dichiarazione. Ci avevano assicurato già due volte che il premier stava arrivando, e due volte che era ancora alla Casa Bianca. Di certo stava limando il discorso.
Pochi pensavano che ci avrebbe comunicato le sue dimissioni. Un primo ministro non può mica lasciare in balia del fato il suo paese in un momento di crisi. Ma a mezzanotte ormai non si poteva più escludere nulla.
Tanto più che l'incontro è stato a un tratto spostato in un altro edificio della residenza, e quando sono state sistemate le telecamere, i fotografi si sono inginocchiati sul pavimento e i giornalisti della carta stampata si sono stretti nello spazio restante, nella stanza si è imposta un'atmosfera di tale solennità che sotto il suo peso solo una cosa si desiderava: sapere che anche tu eri una piccola parte di quel grande paese, la Federazione Russia, e che proprio tu saresti stato tra i pochi a sapere quello che sarebbe successo a questo paese ormai il mattino dopo. E tutti noi eravamo spossati da questa consapevolezza, o non consapevolezza. E resistevamo come potevamo.
Il premier ha fatto il suo ingresso nella stanza a mezzanotte e mezza. Indossava una giacca marrone e dei jeans, e io ho pensato: non si fanno discorsi sullo stato della nazione vestiti così (a meno che non si tratti in effetti di annunciare le proprie dimissioni).
Ha cominciato a parlare, e io mi sono detto: no, comunque non ne verrà niente di buono.
- Non mi aspettavo, - ha detto Vladimir Putin, - che ci fossero tante telecamere. Ma vabbe'... Con alcuni di voi lavoro ormai da molto tempo, con altri da meno... Comunque voglio dire...
Io già mi immaginavo i titoli dei giornali: russi, occidentali, orientali... Mi è sembrato che il paese stesse già sussultando.
Almeno ero presente a un fatto di portata storica.
- Vi prego di non fare rumore, di non urlare, di non strillare... - il premier ha poi continuato dopo una breve pausa. - È una misura di carattere personale. Prego, accomodiamoci nella stanza accanto.
Per qualche motivo aveva deciso di continuare il suo discorso nella stanza accanto. Perché? Come saperlo? Avrà avuto le sue ragioni. Siamo entrati nella stanza accanto. E ho visto il tigrotto. Se ne stava così, dentro due ceste col fondo piatto. Era piccolo. Ha voltato il capo nella nostra direzione e io ho pensato: Vladimir Putin resta.
Si è inginocchiato accanto al tigrotto (che poi si è rivelata una tigrotta) e ha cominciato ad accarezzarlo. Lo faceva con grande attenzione e ha consigliato a tutti di fare lo stesso. Non ce n'erano tanti, che avevano voglia di accarezzare la bestiola. Si è saputo che aveva due mesi e mezzo, che era un regalo (comunque un regalo, allora) di compleanno e che aveva appena mangiato due chili di carne e per questo era così tranquilla. Tutti i tentativi di sapere chi fosse l'autore del regalo si sono infranti contro la sua sovrumana benevolenza...
- Da dove viene? - ha ripetuto la domanda Vladimir Putin.- Dalla Russia. È cittadina russa.
- Vivrà con lei?
- Deve vivere in condizioni normali. Così la metteremo in un ottimo zoo.
Ho pensato che per un tigrotto difficilmente uno zoo rappresenta delle condizioni normali. A meno che non sia nato in uno zoo.
La tigrotta è rimasta sorprendentemente tranquilla. Mi sono chiesto se non l'avessero un po' sedata. Ma il signor Putin ha reagito con indignazione alla domanda.
A quel punto le luci delle telecamere hanno abbagliato la tigre, che ha cominciato a soffiare.
- Un po' più attenti, - ha detto il premier.
Ho pensato che si preoccupasse per i giornalisti.
- Poi si spaventa e scappa, - ha continuato Vladimir Putin.
- Se si spaventa, noi scappiamo più veloci di lei, - ho buttato lì io.
I giornalisti hanno cominciato a suggerire nomi per la tigrotta, tra cui Mašen'ka e Alenka.
- Sì, Mašen'ka, - si è rallegrato il signor Putin. - Ieri mi hanno suggerito proprio questo nome!
Non riusciva a staccarsi da lei e continuava ad accarezzarla e accarezzarla...
In quelle sei ore uno di noi aveva fatto una scommessa e adesso pensava che doveva pagarla, e ha perfino detto che era pronto ad andare fino in fondo.
Gli altri semplicemente guardavano la tigre. Vladimir Putin voleva semplicemente mostrarla al pubblico. Tutto lì. Non c'erano stati grandi sconvolgimenti. Ma avrebbero potuto essercene. Di ogni tipo. E soprattutto nessuno se ne sarebbe meravigliato. L'attuale momento politico ed economico è tale che tutti sono pronti a qualsiasi svolta degli eventi.
Tranne, forse, che a vedere in uno degli uffici di Vladimir Putin una tigre dell'Amur.
Fonte: Kommersant' (RUS)
Originale pubblicato l'11 ottobre 2008
di Andrej Kolesnikov
Nel pomeriggio di giovedì si è saputo che i giornalisti del “pool governativo” erano attesi a Novo-Ogarevo per le otto di sera. Su cosa sarebbe successo neanche una parola, il che ha fatto crescere enormemente le aspettative e le ipotesi. Abbiamo ricevuto in risposta solo vaghi accenni. Ci hanno assicurato che si sarebbe trattato di un incontro informale del premier con i giornalisti, e che non si sarebbe parlato di economia. Ovviamente dopo queste parole nessuno credeva che il premier non avrebbe fatto alcuna dichiarazione su questioni economiche.
Già si sapeva che il primo ministro quella sera era atteso alla Casa Bianca per discutere della crisi finanziaria. E più il tempo passava, tanto più si rafforzava la certezza che ci aspettasse una grossa sorpresa, tanto per cambiare sgradita.
E il tempo passava sì. Siamo arrivati a Novo-Ogarevo alle sette di sera. L'incontro, come si sa, era stato fissato per le otto. Ma né alle nove né alle dieci c'era alcun indizio del fatto che il premier stesse lasciando la Casa Bianca per tornare a Novo-Ogarevo.
A quel punto le opinioni dei giornalisti, per usare un eufemismo, divergevano ormai ampiamente. Si era già formata una scuola di pensiero secondo la quale per parlare di economia era effettivamente troppo tardi, perché a quell'ora nessuno guarda più la televisione e i giornali hanno già chiuso le pagine. Dunque si sarebbe parlato di altro.
C'è stato chi ha ipotizzato che il labrador Koni avesse partorito. Ho parlato con un tizio che non si vantava delle sue informazioni e anzi sembrava volerle tenere più o meno per sé, ma che ha comunque raccontato che secondo lui il premier per il suo compleanno (che si festeggia il 7 ottobre) aveva ricevuto in regalo un'automobile e che voleva presentarla alla stampa. Quel giornalista ha perfino scritto sul suo bloc notes “auto” e “regalo” e ci ha aggiunto l'ora in cui aveva espresso quella geniale ipotesi, così che poi, quando si fosse avverata, nessuno potesse incolparlo di non aver detto nulla.
Mi sorprendeva soprattuto la sicurezza con la quale il giornalista, che pretendeva di conoscere e perfino di sapere cosa pensasse il premier, si è messo a scommettere “qualsiasi cosa” con un altro giornalista: se Vladimir Putin ci avesse mostrato un'automobile lui avrebbe vinto, in tutti gli altri casi avrebbe perso. Insomma, era disposto a mettersi in una posizione scomoda a priori, tanto era convinto di averci azzeccato.
Si è sparsa la voce che il premier ci avrebbe aspettati sulla piattaforma di atterraggio per gli elicotteri. Così è spuntata la convinzione che gli avessero regalato un elicottero.
Ma alle undici di sera l'ottimismo era ormai svanito. È prevalsa nuovamente l'ipotesi di qualche importante dichiarazione. Ci avevano assicurato già due volte che il premier stava arrivando, e due volte che era ancora alla Casa Bianca. Di certo stava limando il discorso.
Pochi pensavano che ci avrebbe comunicato le sue dimissioni. Un primo ministro non può mica lasciare in balia del fato il suo paese in un momento di crisi. Ma a mezzanotte ormai non si poteva più escludere nulla.
Tanto più che l'incontro è stato a un tratto spostato in un altro edificio della residenza, e quando sono state sistemate le telecamere, i fotografi si sono inginocchiati sul pavimento e i giornalisti della carta stampata si sono stretti nello spazio restante, nella stanza si è imposta un'atmosfera di tale solennità che sotto il suo peso solo una cosa si desiderava: sapere che anche tu eri una piccola parte di quel grande paese, la Federazione Russia, e che proprio tu saresti stato tra i pochi a sapere quello che sarebbe successo a questo paese ormai il mattino dopo. E tutti noi eravamo spossati da questa consapevolezza, o non consapevolezza. E resistevamo come potevamo.
Il premier ha fatto il suo ingresso nella stanza a mezzanotte e mezza. Indossava una giacca marrone e dei jeans, e io ho pensato: non si fanno discorsi sullo stato della nazione vestiti così (a meno che non si tratti in effetti di annunciare le proprie dimissioni).
Ha cominciato a parlare, e io mi sono detto: no, comunque non ne verrà niente di buono.
- Non mi aspettavo, - ha detto Vladimir Putin, - che ci fossero tante telecamere. Ma vabbe'... Con alcuni di voi lavoro ormai da molto tempo, con altri da meno... Comunque voglio dire...
Io già mi immaginavo i titoli dei giornali: russi, occidentali, orientali... Mi è sembrato che il paese stesse già sussultando.
Almeno ero presente a un fatto di portata storica.
- Vi prego di non fare rumore, di non urlare, di non strillare... - il premier ha poi continuato dopo una breve pausa. - È una misura di carattere personale. Prego, accomodiamoci nella stanza accanto.
Per qualche motivo aveva deciso di continuare il suo discorso nella stanza accanto. Perché? Come saperlo? Avrà avuto le sue ragioni. Siamo entrati nella stanza accanto. E ho visto il tigrotto. Se ne stava così, dentro due ceste col fondo piatto. Era piccolo. Ha voltato il capo nella nostra direzione e io ho pensato: Vladimir Putin resta.
Si è inginocchiato accanto al tigrotto (che poi si è rivelata una tigrotta) e ha cominciato ad accarezzarlo. Lo faceva con grande attenzione e ha consigliato a tutti di fare lo stesso. Non ce n'erano tanti, che avevano voglia di accarezzare la bestiola. Si è saputo che aveva due mesi e mezzo, che era un regalo (comunque un regalo, allora) di compleanno e che aveva appena mangiato due chili di carne e per questo era così tranquilla. Tutti i tentativi di sapere chi fosse l'autore del regalo si sono infranti contro la sua sovrumana benevolenza...
- Da dove viene? - ha ripetuto la domanda Vladimir Putin.- Dalla Russia. È cittadina russa.
- Vivrà con lei?
- Deve vivere in condizioni normali. Così la metteremo in un ottimo zoo.
Ho pensato che per un tigrotto difficilmente uno zoo rappresenta delle condizioni normali. A meno che non sia nato in uno zoo.
La tigrotta è rimasta sorprendentemente tranquilla. Mi sono chiesto se non l'avessero un po' sedata. Ma il signor Putin ha reagito con indignazione alla domanda.
A quel punto le luci delle telecamere hanno abbagliato la tigre, che ha cominciato a soffiare.
- Un po' più attenti, - ha detto il premier.
Ho pensato che si preoccupasse per i giornalisti.
- Poi si spaventa e scappa, - ha continuato Vladimir Putin.
- Se si spaventa, noi scappiamo più veloci di lei, - ho buttato lì io.
I giornalisti hanno cominciato a suggerire nomi per la tigrotta, tra cui Mašen'ka e Alenka.
- Sì, Mašen'ka, - si è rallegrato il signor Putin. - Ieri mi hanno suggerito proprio questo nome!
Non riusciva a staccarsi da lei e continuava ad accarezzarla e accarezzarla...
In quelle sei ore uno di noi aveva fatto una scommessa e adesso pensava che doveva pagarla, e ha perfino detto che era pronto ad andare fino in fondo.
Gli altri semplicemente guardavano la tigre. Vladimir Putin voleva semplicemente mostrarla al pubblico. Tutto lì. Non c'erano stati grandi sconvolgimenti. Ma avrebbero potuto essercene. Di ogni tipo. E soprattutto nessuno se ne sarebbe meravigliato. L'attuale momento politico ed economico è tale che tutti sono pronti a qualsiasi svolta degli eventi.
Tranne, forse, che a vedere in uno degli uffici di Vladimir Putin una tigre dell'Amur.
Fonte: Kommersant' (RUS)
Originale pubblicato l'11 ottobre 2008
giovedì, ottobre 09, 2008
Lo spelling
mercoledì, ottobre 08, 2008
Però qualcuno può comprarsi a rate la Georgia uffa
Questo articolo di Joshua Kucera tradotto su 2.0 informa che a fine settembre il Congresso degli Stati Uniti ha stanziato un generoso pacchetto di aiuti per la Georgia. Generoso nel senso di un miliardo di dollari nei prossimi due anni.
Insomma, di lì a poco sarebbe stato varato un piano di bailout da 700 miliardi di dollari e gli Stati Uniti stanziavano 365 milioni per la Georgia (con la prospettiva di assegnarle complessivamente un miliardo di qui al 2010)? Viene voglia di saperne di più e di rintracciare questo decreto promosso da Bush e fortemente voluto da entrambi i principali candidati alla presidenza.
In risposta a un post (giustamente) dubbioso e sorpreso di Sean Guillory, l'autore dell'articolo offre ulteriori dettagli: la legge passata è l'HR2638, cioè il Consolidated Security, Disaster Assistance, and Continuing Appropriations Act, 2009, che comprende stanziamenti per FDA, FBI, ministero del Lavoro, ambasciate degli Stati Uniti, ministero degli Interni, affari dei reduci. Ma, classificata con discrezione alla voce Assistenza Economica Bilaterale, ecco la parte che ci interessa (chiedo scusa per la traduzione, sempre goffa quando si tratta di leggi e affini):
Se adesso nei commenti spunta qualcuno che mi dice eh ma guarda che 365 milioni di dollari non sono mica tanto lo mangio.
Insomma, di lì a poco sarebbe stato varato un piano di bailout da 700 miliardi di dollari e gli Stati Uniti stanziavano 365 milioni per la Georgia (con la prospettiva di assegnarle complessivamente un miliardo di qui al 2010)? Viene voglia di saperne di più e di rintracciare questo decreto promosso da Bush e fortemente voluto da entrambi i principali candidati alla presidenza.
In risposta a un post (giustamente) dubbioso e sorpreso di Sean Guillory, l'autore dell'articolo offre ulteriori dettagli: la legge passata è l'HR2638, cioè il Consolidated Security, Disaster Assistance, and Continuing Appropriations Act, 2009, che comprende stanziamenti per FDA, FBI, ministero del Lavoro, ambasciate degli Stati Uniti, ministero degli Interni, affari dei reduci. Ma, classificata con discrezione alla voce Assistenza Economica Bilaterale, ecco la parte che ci interessa (chiedo scusa per la traduzione, sempre goffa quando si tratta di leggi e affini):
[...] Una somma aggiuntiva riservata al 'Finanziamento di Sostegno Economico', $465.000.000 da rendere disponibili fino al 30 settembre 2010, dei quali fino a $5.000.000 possono essere messi a disposizione per spese amministrative dell'Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale, in aggiunta a somme altrimenti rese disponibili a tali scopi: Si stabilisce che dei finanziamenti stanziati sotto questa voce $365.000.000 saranno resi disponibili per l'assistenza alla Georgia e alla regione per aiuti umanitari ed economici, ricostruzione, programmi energetici e attività democratiche, e potranno essere trasferiti e uniti a finanziamenti stanziati alla voce 'Assistenza per gli Stati Indipendenti dell'ex-Unione Sovietica' e 'Assistenza Internazionale ai Disastri', dei quali fino a $8.000.000 possono essere trasferiti e uniti a finanziamenti messi a disposizione per 'Operazioni internazionali di tele e radiodiffusione' per attività di tele e radiodiffusione in Georgia, in Russia e nella regione.Passato alla Camera dei Rappresentanti (268/150), al Senato (89/4) e il 30 settembre 2008 firmato dal presidente Bush.
Se adesso nei commenti spunta qualcuno che mi dice eh ma guarda che 365 milioni di dollari non sono mica tanto lo mangio.
martedì, ottobre 07, 2008
Adesso uno non può neanche prestare soldi all'Islanda uffa
Da Siberian Light:
"Quando oggi ho sentito che la Russia sta per prestare all'Islanda 5,4 miliardi di dollari (l'equivalente di 1/3 del PIL dell'Islanda) per salvare le banche del paese in affanno finanziario, ho pensato:
Poi ho letto questo editoriale, pubblicato sul giornale britannico The Daily Telegraph:
Doppio sigh.
Eccone qui un'altra, che stasera voleva fare la spiritosa su un blog.
"Quando oggi ho sentito che la Russia sta per prestare all'Islanda 5,4 miliardi di dollari (l'equivalente di 1/3 del PIL dell'Islanda) per salvare le banche del paese in affanno finanziario, ho pensato:
'Hmm, stasera quando torno a casa scrivo un bel post ironico in cui mi chiedo quanto bisognerà aspettare perché i media condannino l'accordo ed evochino lo spettro della malvagia Russia che conquista la piccola indifesa Islanda'.Ero sinceramente convinto che sarebbe stato un post un po' sgangherato che nessuno avrebbe preso sul serio.
Poi ho letto questo editoriale, pubblicato sul giornale britannico The Daily Telegraph:
'[Il prestito] creerebbe tumulti strategici. L'Islanda è un membro della NATO, ma la Russia vorrebbe qualcosa in cambio di un prestito che corrisponde a quasi un terzo del PIL del piccolo stato. Gli Stati Uniti sarebbero irritati e contrariati dall'idea che ciò possa significare una presenza militare russa nel Nord Atlantico'.Sigh".
Doppio sigh.
Eccone qui un'altra, che stasera voleva fare la spiritosa su un blog.
Sed magis amica veritas: a due anni dalla morte di Anna Politkovskaja
[file Word qui]
È possibile smascherare una bugia, ma quando ce ne sono milioni, quando vengono scelte e ricombinate anno dopo anno, decennio dopo decennio, quando milioni di persone abilmente addestrate partecipano a questa falsificazione con l'impiego di enormi risorse e tecnologie sofisticate e miliardi di persone subiscono un lavaggio del cervello ideologico generazione dopo generazione, non c'è alcuna possibilità di scavalcare quella serie ininterrotta di bugie e ristabilire la verità. Non è improbabile che secoli dopo si possa scoprire un barlume di quella verità, ma quale differenza potrà mai fare? Sarà solo un debole e distorto riflesso della storia.
Aleksandr Zinov'ev, Global'noe Sverchobščestvo i Rossija, Mosca, Labirint, 2000.
Il russo ha due parole per dire verità: pravda e istina. La prima fa parte di un gruppo di vocaboli che ha per radice “vero”, “giusto” ed è anche “franchezza”, verso se stessi e verso gli altri; la giustizia per esempio è pravosudie, il processo con cui si cerca e si trova la verità. La seconda è la Verità con la V maiuscola, l'unica, quella che rende liberi e con la quale è meglio non scherzare.
Io qui sarò semplicemente sincera. Nei giorni successivi alla morte di Anna Politkovskaja, che conoscevo grazie al libro La Russia di Putin pubblicato in Italia da Adelphi e ad alcuni articoli letti in rete, ho deciso di mettermi a tradurre dal russo un po' di materiale scritto da lei e su di lei: articoli, ricordi, commenti, reazioni, dinamica dell'omicidio, primi passi delle indagini. Il motivo è semplice: mi interessava. Per anni avevo continuato a seguire le vicende russe, senza mai scriverne e con un certo distacco. Però l'omicidio Politkovskaja per me ha rappresentato una svolta, e non nel senso più immaginabile o prevedibile: basti qui dire che mi sono resa conto quanto fosse drammatica la differenza di percezione tra Russia e Occidente e quanto bisognasse lavorare per spiegare, distinguere, mediare, contestualizzare, mettendoci di volta in volta e a seconda dei casi serietà, ironia, pedanteria, leggerezza.
Mai la differenza tra il punto di vista russo e le proiezioni occidentali mi era sembrata più grande e più difficile da gestire come in quell'ottobre 2006: di qui la scelta a un certo punto di smettere di scriverne e di occuparmi più seriamente della Russia e soprattutto di quello che la Russia non è.
Oggi, a due anni di distanza, è il momento di riparlarne. Credo che l'omicidio Politkovskaja sia stato capace di tirar fuori il peggio di ciascuno, di innescare isteriche reazioni a catena di malintesi, generalizzazioni e approssimazioni. È stata una gara di dilettantismo, opportunismo, insensibilità, mancanza di tatto, meschine vendette, cialtroneria, ipocrisia, sentimentalismo, pelosa compassione.
Da una parte, la Russia. Putin che fece quello che fa di solito quando viene messo sotto pressione e si infastidisce per le domande sbagliate: invece di strapparsi i pochi capelli superstiti e spargere lacrime di coccodrillo uscì dal protocollo e offrì a tutti noi occidentali quello che volevamo vedere, il demone meschino con un passato nei Servizi, KGB a Dresda. Ricordate? Cosa è successo al Kursk? È affondato. E Anna Politkovskaja? La sua influenza nella vita politica del paese era minima, no?
Forma sbagliata, contenuti tecnicamente corretti.
Come è stato spiegato da giornalisti e addetti ai lavori che non possono in alcun modo essere sospettati di connivenza con il Cremlino, non credo di fare un torto ad Anna Politkovskaja confermando che non era molto letta né molto conosciuta nel suo paese. Ma non perché particolarmente scomoda: semplicemente perché l'informazione russa, fuori e dentro la rete, è complessa, stratificata e dispersiva, con numeri, proporzioni, livello di interattività e capacità di influire sulla situazione del paese molto diversi da quelli a cui siamo abituati.
E forse anche perché scriveva per un bisettimanale, la Novaja Gazeta, che non è un faro della libera informazione e del giornalismo investigativo in un paese altrimenti barbaro: è un giornale politicamente orientato in senso “liberale” al quale, come ha ben ricordato John Laughland, [1] collaborano e hanno collaborato commentatori filo-americani vicini alla Jamestown Foundation, il centro studi neo-conservatore interessato alla democratizzazione (o “destabilizzazione”, dipende dai punti di vista) dei paesi dell'ex-blocco comunista. Dal 2006 il 49% della Novaja Gazeta è nelle mani di Michail Gorbačëv (10%) e di Aleksandr Lebedev (39%), politico e uomo d'affari milionario nonché ex funzionario del KGB e poi dell'SVD (i servizi segreti internazionali russi). Incidentalmente, i due hanno appena deciso di fondare un nuovo partito, il Partito Democratico Indipendente. [2] Sia chiaro: non è che Gorbačëv stia proprio simpatico a tutti, in Russia.
Infine, tanto per farci un'idea delle proporzioni, una circolazione di 250.000 copie in un paese di 145 milioni di persone non è molto.
Potremmo anche aggiungere a tutto questo il fatto che alla Politkovskaja non veniva perdonato di essersi associata a Boris Berezovskij nel comune interesse per il Caucaso Settentrionale e la causa dei profughi ceceni, che in quegli anni riceveva l'attenzione dei media occidentali e i soldi delle cosiddette fondazioni umanitarie e delle organizzazioni non governative. Intendiamoci: non c'è niente di male nell'abbinare al giornalismo la difesa dei diritti umani, a patto che non si considerino alcuni più umani di altri.
Come reagì l'opinione pubblica russa alla morte di Anna Politkovskaja? Con un misto di pena e indifferenza. In rete le cose stavano diversamente: opinioni tendenzialmente molto critiche e distaccate, con picchi di livore nei confronti della giornalista e del suo lavoro, e quei primi sintomi di rabbia e delusione nei confronti dell'opinione pubblica e dei media occidentali destinati a esasperarsi negli anni successivi.
Come reagì l'Occidente? Ma figuriamoci, il cadavere della povera Politkovskaja era il grande sogno trasversale: ci si buttarono tutti, giornalisti, politici, opinionisti, difensori della libertà di stampa, associazioni per la difesa dei diritti umani, sindaci, assessori, poeti, cantanti, registi, comitati di signore bene. E poi i premi, i premi: postumi, intitolati alla defunta, inutili. Che momenti.
Naturalmente parte di questi singoli e organizzazioni era in perfetta buona fede, e non lo dico solo perché l'ultima cosa che vorrei è un picchetto di signore sotto casa che protesta contro gli abusi in Russia. Ma di fatto i media occidentali (i nostri sulla scia di quelli britannici e statunitensi) avevano consacrato e diffuso una versione unica: in Russia era stata assassinata una giornalista coraggiosa che si opponeva a Putin; se ne deduceva che Putin doveva avere commissionato l'omicidio.
La vecchia sindrome del rosso sotto il letto è dura a morire, e l'avrebbe dimostrato di lì a poco l'opera buffa mediatica rappresentata dalla morte di Aleksandr Litvinenko (a proposito del quale, lo ammetto, mi sono fatta meno scrupoli: ma lui non era né giornalista, né donna, e del resto neanche tanto coraggioso).
Il Financial Times sottolineava che Putin era responsabile della creazione di un clima politico e sociale che rendeva possibili omicidi come questo. Anne Applebaum sul Washington Post attribuiva direttamente a Putin gli omicidi di giornalisti avvenuti in Russia dopo il 2000 (non che prima non ce ne fossero stati, solo che prima c'era El'cin). Olga Craig sul Sunday Telegraph titolava un suo articolo “Incrocia Putin e muori”, nel quale raccontava la fantasmatica storia di un povero giornalista russo perseguitato dai servizi segreti assassini. L'Economist ne approfittava per evocare le ombre del Reich e osservava che “a volte la Russia sembra orientarsi verso il fascismo”. [3]
La demonizzazione della Russia a questo punto era completa, potevamo rilassarci in questa certezza che non aveva bisogno di ulteriori conferme e dimenticarci della vera Politkovskaja. Tanto la vera Politkovskaja non esisteva già più: esisteva invece il fantasma di “una delle giornaliste più brillanti e coraggiose” (The Guardian), “una delle poche voci che osassero contraddire la linea di partito” (The Daily Telegraph), “scomoda in nome della libertà” (The Independent), “la più famosa giornalista investigativa russa” (The Times), “una delle giornaliste più coraggiose” (The New York Times), “vittima di raro coraggio” (The Washington Post). [4]
Anna Politkovskaja svolgeva il proprio lavoro in una posizione di estrema vulnerabilità, con i suoi reportage dal Caucaso ha documentato e testimoniato sofferenze, torture e abusi ed è stata vicina a tante vittime della guerra, anche se solo di una parte coinvolta in quella guerra. Per farlo e per combattere contro quello che considerava un sistema spietato ha scelto di schierarsi, e questo non l'ha resa più amata (basti leggere la testimonianza di uno degli ostaggi dell'assedio al Teatro Nord-Ost: non contiene parole di perdono o di riconciliazione ma accuse feroci e dolorose che non è difficile comprendere). [5] Ha corso rischi intollerabili e si è fatta molti nemici, ma forse non per le storie che scriveva (come ricordò il giornalista e commentatore politico Oleg Kašin in un bell'articolo su Vzgljad, più che una giornalista era una newsmaker: tendeva a stare davanti e non dietro alle telecamere, a fare notizia più che a scriverne). [6] Tra questi nemici c'erano persone capaci di farla uccidere praticamente alla luce del sole, o almeno nell'ingresso di un tranquillo condominio, vicino all'ascensore, un pomeriggio di ottobre: quattro colpi di Makarov, compreso quello finale “di controllo” (kontrol'nyj), che serve a verificare che la vittima sia morta ed è considerato indizio di un assassinio su commissione.
Per concludere: non so se Anna Politkovskaja sia stata in qualche modo strumentalizzata quando era in vita, e se ne fosse consapevole. So però che lo è stata, e molto, dopo la sua morte.
Ma veniamo al punto sulle indagini, che sono ora giunte a una svolta.
Inizialmente circolano varie ipotesi, tutte più o meno collegate all'attività professionale della Politkovskaja: vendetta di poliziotti corrotti che erano finiti nei guai per i suoi articoli; vendetta di militanti ceceni; azione dei nazionalisti russi (il suo nome era sulla lista di morte di vari gruppi neonazisti); provocazione politica per screditare le autorità russe e cecene o innescare conflitti nel Caucaso.
Poi la Procura Generale chiede il silenzio stampa, che viene rispettato. La Novaja Gazeta annuncia che avvierà una propria indagine e collaborerà con gli inquirenti; Aleksandr Lebedev offre una ricompensa pari a 1 milione di dollari a chi contribuirà alla soluzione del caso.
Segue dunque un silenzio stampa che dura dieci mesi.
Il 28 agosto 2007 il Procuratore Generale Jurij Čajka annuncia in una conferenza stampa l'arresto di dieci sospetti in relazione all'omicidio. Tra questi, un ufficiale di polizia, un colonnello dell'FSB (Servizio di sicurezza federale, i servizi segreti russi) e tre ex poliziotti; gli altri cinque sono ceceni, uno di loro avvocato a Mosca, e farebbero parte di una banda specializzata in omicidi su commissione. Gli inquirenti pensano che i ceceni possano avere a che fare anche con gli omicidi del vice presidente della Banca Centrale russa Kozlov e del giornalista di Forbes Russia Paul Klebnikov.
La Novaja Gazeta, impegnata nella sua indagine parallela, scrive che gli arresti sono stati fatti dal 15 al 23 agosto. Il direttore del giornale definisce le conclusioni degli inquirenti “convincenti”, il figlio della Politkovskaja, Il'ja, si dice “non sorpreso”.
“I nostri nomi coincidono con quelli dell'indagine ufficiale”, dice il vice direttore del giornale, Sergej Sokolov. “Ma l'identità del mandante non coincide”.
Nella sua conferenza stampa il Procuratore Generale fa anche una dichiarazione politica, puntando il dito contro le “forze esterne” di putiniana memoria che mirano a offuscare la reputazione internazionale della Russia e a destabilizzare la situazione interna del paese, e aggiunge che i responsabili vogliono “un ritorno al vecchio sistema di governo nel quale erano i soldi e gli oligarchi a decidere tutto”. Non si fanno nomi, ma tutti colgono il riferimento agli oligarchi in esilio (rispettivamente nel Regno Unito e in Israele) Berezovskij e Nevzlin; non a caso nel corso della conferenza stampa Čajka ribadisce che la Russia continuerà a chiedere l'estradizione di Berezovskij, ricercato per reati finanziari.
Nel frattempo anche l'FSB tiene una conferenza stampa in cui comunica che un suo ufficiale, Pavel Rjaguzov, è tra gli arrestati.
Gli altri nomi non si sanno, ma appaiono sulla stampa il giorno successivo, completi di foto e generalità dei sospettati: Aleksej Berkin, Dmitrij Lebedev, Tamerlan Machmudov, Džabrail Machmudov, Oleg Alimov, Achmed Isaev, Sergej Chadžikurbanov, Dmitrij Gračev, Pavel Rjaguzov. Il Moskovskij Komsomolec aggiunge un bel po' di dettagli. [7] Si sa così che Rjaguzov, il colonnello dell'FSB, ha 37 anni ed era già tenuto d'occhio da tempo per presunti collegamenti con il crimine organizzato. Rjaguzov è specializzato in compiti di sorveglianza, dunque potrebbe avere messo sotto controllo il telefono della Politkovskaja. Dmitrij Lebedev, Dmitrij Gračev, Oleg Alimov e Aleksej Berkin sono ex poliziotti: alcuni hanno lasciato il servizio tra i 5 e gli 8 anni fa. Avrebbero avuto l'incarico di sorvegliare la Politkovskaja quando usciva di casa. Sergej Chadžikurbanov, ufficiale di polizia, 40 anni, quattro anni prima ha organizzato una trappola che ha portato alla cattura di Frank Alcapone (alias Fizuli Mamedov), arrestato per il possesso di un chilo di eroina. Secondo le guardie del corpo del boss l'eroina gli era stata messa addosso dai poliziotti. Alcapone viene rimesso in libertà e i poliziotti accusati di abuso d'ufficio.
Poi ci sono i tre fratelli Machmudov, di origine cecena: Tamerlan, 36 anni, Džabrail, 49, e Ibrahim, 25. Tamerlan e Ibrahim risiedono a Mosca, Džabrail a Zarajsk, nel distretto di Mosca. Secondo le autorità questi tre non avevano rancori personali nei confronti della giornalista, e hanno partecipato all'omicidio in cambio di un'ingente somma di denaro.
Infine ci sarebbe l'autista, Achmed Isaev: avrebbe portato i fratelli Machmudov sul luogo del crimine e li avrebbe aiutati a ottenere la documentazione per acquistare la macchina.
Forse anche a causa di questa fuga di notizie, nei giorni successivi le prove contro alcuni degli accusati cadono una dopo l'altra. Viene rilasciato per insufficienza di prove Berkin (gli inquirenti pensavano facesse parte della banda di criminali ceceni chiamata “Lasagna”, dal nome di un ristorante in cui erano soliti incontrarsi, e ritenuta responsabile dell'omicidio); e viene rilasciato anche Chadžikurbanov, perché il giorno dell'assassinio era in carcere (quello che si dice un alibi di ferro). [8] Poi è la volta di Alimov, mentre emerge che Rjaguzov è accusato di abuso di potere per un caso che risale al 2002. [9]
A una settimana dagli arresti, un altro colpo di scena: la Procura Generale toglie il caso alla squadra di inquirenti che se ne era occupata fino a quel momento e al suo capo Pëtr Garibjan. [10] Il direttore della Novaja Gazeta Muratov dice in un'intervista a Echo Moskvy che la decisione è frutto di pressioni dei siloviki (uomini dei servizi) per sabotare le indagini. La Procura Generale nega l'accusa dicendo che la squadra è stata invece rafforzata con l'aggiunta di nuovi elementi. La Novaja Gazeta fa sapere che continuerà a lavorare con Garibjan, che sono in corso nuovi arresti e che l'indagine si è fatta estremamente complicata.
La Procura apre un'indagine sulla fuga di notizie.
A metà settembre viene arrestato Šamil Buraev, ex capo del distretto ceceno di Ačhoj-Martanov, accusato di aver ottenuto l'indirizzo della giornalista da Rjaguzov e di averlo passato agli assassini.
Una notizia RIA Novosti del 24 ottobre conferma che Buraev rimane in arresto e che i detenuti al momento sono nove, compresi i fratelli Machmudov. [11]
Nell'intervista a Time del dicembre 2007 Putin dice che le autorità faranno il possibile per risolvere il caso, ma che ci sono dei “problemi con le prove”. [12]
Alla fine di marzo 2008 la Procura Generale fa sapere che il killer è stato identificato ed è attualmente ricercato. Gli accusati in quel momento sono nove, compreso l'ufficiale dell'FSB. [13]
Agli inizi di aprile un investigatore capo incaricato delle indagini, Dmitrij Dovgij, rilascia un'intervista a Izvestija nella quale afferma che Boris Berezovskij è il mandante dell'omicidio. Dovgy è stato sospeso per corruzione (avrebbe preso tangenti per 4 milioni e mezzo di dollari), ma secondo Izvestija l'intervista è stata fatta quando era ancora in servizio. [14] Dovgij non ha in mano prove concrete, ma si dice convinto che l'omicidio sia stato ordinato da Boris Berezovskij attraverso Chož-Achmed Nuchaev, il criminale ceceno fuggiasco ufficialmente sospettato dell'omicidio di Paul Klebnikov. Appare abbastanza evidente che Dovgij, che pochi mesi prima in un'intervista alla Rossijskaja Gazeta era stato estremamente cauto, ha tentato una mossa disperata dimostrando la sua lealtà e accreditando una pista politica che poteva supporre molto gradita ai suoi superiori.
Il 16 aprile altra fuga di notizie: il sito russo Life.ru pubblica la foto di Rustam Machmudov, sospettato di essere l'esecutore materiale dell'omicidio. [15]
Il 12 maggio viene rilasciato un altro sospetto, Magomed Dimelchanov. Gli arrestati scendono a sette. Contro Rustam Machmudov è stato emesso un mandato di cattura internazionale.
Agli inizi di giugno viene rilasciato anche Buraev, in attesa di processo.
Il 18 giugno gli inquirenti russi dichiarano di avere concluso l'indagine e di avere formalizzato le accuse contro quattro sospetti: tre per coinvolgimento nell'omicidio e uno per abuso d'ufficio. [16] Un'indagine distinta è stata avviata nei confronti dell'esecutore materiale dell'omicidio, Rustam Machmudov, latitante. Le accuse contro Buraev sono invece cadute per insufficienza di prove.
Agli inizi di luglio fonti della Procura Generale dichiarano di sapere in quale paese dell'Europa Occidentale si nasconda Machmudov. [17]
Arriviamo infine al 2 ottobre 2008, quando la Procura Generale della Federazione Russa comunica di avere rinviato a giudizio per l'omicidio di Anna Politkovskaja tre persone: Sergej Chadžikurbanov e i fratelli Džabrail e Ibrahim Machmudov. L'ex ufficiale dei servizi Pavel Rjaguzov è accusato di abuso di ufficio. Un distinto procedimento penale è stato avviato a carico di Rustam Machmudov. [18]
Il figlio della giornalista, Il'ja Politkovskij, ha sostenuto in una conferenza stampa che il caso è stato trasferito non a un tribunale civile, ma a un tribunale militare, in quanto uno degli imputati è un agente dei servizi. “Vorrei sottolineare che non accuso dell'organizzazione diretta di questo omicidio le autorità, perché niente fa pensare a questo. All'omicidio hanno preso parte elementi isolati dei servizi segreti e loro agenti”, ha aggiunto il figlio della giornalista. [19]
Dunque si va al processo, probabilmente in tempi brevi. Mancano il killer, il mandante e il movente.
La ricompensa da un milione di dollari non è stata incassata da nessuno.
È una storia fatta di voci e fughe di notizie, di avvertimenti, di “io so”, di sassi lanciati e mani nascoste, di rivelazioni frettolose e premature, di gang Lasagna e soldi, di criminalità, connivenze e coperture, probabilmente non di massimi poteri, o folli regali di compleanno, o premier ceceni capricciosi, o maligni oligarchi con l'hobby del colpo di stato. Ma chi può dirlo con certezza.
Quando è stata diffusa la notizia del rinvio a giudizio la stampa occidentale e quella russa hanno reagito pigramente. La ricerca su Google e Yandex dà pochi e ripetitivi risultati, le discussioni sui blog si limitano a rilanciare la notizia (che è stata riportata già a settembre [20] e non fa che confermare fatti noti già a giugno), nessun commento sui giornali.
Forse si aspetta il 7 ottobre per far scattare i riti del ricordo, più appaganti della ricerca di un tenue e distorto riflesso di verità.
Note
[1] “Who killed Anna Politkovskaya?”, John Laughland, Sanders Research Associates, 19 ottobre 2006
[2] “Russia: Gorbaciov- Lebedev, partito”, ANSA, 30 settembre 2008
[3] “Where is America's Politkovskaya?”, Mark Ames, The eXile, 20 ottobre 2006
[4] John Laughland, op. cit.
[5] СВИНСТВО!!!, http://al-stal.livejournal.com/, 20 ottobre 2006
[6] “Kto ubil Annu Politkovskuju?”, Oleg Kašin, Vzgljad, 9 ottobre 2006
[7] “Sodejstvujuščie lica i ispolniteli – V spiske ubijc Politkovskoj – torgovcy ryboj, čekisty i milicionery”, Moskovskij Komsomolec, 29 agosto 2007
[8] “Mera Otsečenija”, Kommersant', 30 agosto 2007
[9] “Genprokuror sdaet po delu”, Kommersant', 31 agosto 2007
[10] “Investigator out in Politkovskaya case”, The Moscow Times, 5 ottobre 2007
[11] “Court remands Politkovskaya murder suspect Burayev in custody”, RIA Novosti, 24 ottobre 2007
[12] “Putin promises to complete probe into Politkovskaya's murder”, RIA Novosti, 19 dicembre 2007
[13] “Politkovskaya's killer identified, being sought - top prosecutors”, RIA Novosti, 28 marzo 2008
[14] “Načalnik Glavnogo sledstvennogo upravlenija Dmitrij Dovgij: 'Čeloveku dolžno byt' vygodno ne brat' vzjatok'”, Izvestija, 3 aprile 2008
[15] “Ubijstvo izvestnoj žurnalistki. Killer sbežal iz Rossii”, Life.ru, 15 aprile 2008
[16] “Russian prosecutors finish probe into Politkovskaya murder”, RIA Novosti, 18 giugno 2008
[17] “Russian reporter Politkovskaya's killer hiding in Western Europe”, RIA Novosti, 1° luglio 2008
[18] “Russian prosecutors refer Politkovskaya murder case to court”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[19] “Delo ob ubijstve Politkovskoj peredano v voennyj sud”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[20] “Delo Politkovskoj v Genprokurature”, Rossijskaja Gazeta, 20 settembre 2008
La traduzione francese, a cura di Fausto Giudice, è a questo indirizzo.
È possibile smascherare una bugia, ma quando ce ne sono milioni, quando vengono scelte e ricombinate anno dopo anno, decennio dopo decennio, quando milioni di persone abilmente addestrate partecipano a questa falsificazione con l'impiego di enormi risorse e tecnologie sofisticate e miliardi di persone subiscono un lavaggio del cervello ideologico generazione dopo generazione, non c'è alcuna possibilità di scavalcare quella serie ininterrotta di bugie e ristabilire la verità. Non è improbabile che secoli dopo si possa scoprire un barlume di quella verità, ma quale differenza potrà mai fare? Sarà solo un debole e distorto riflesso della storia.
Aleksandr Zinov'ev, Global'noe Sverchobščestvo i Rossija, Mosca, Labirint, 2000.
Il russo ha due parole per dire verità: pravda e istina. La prima fa parte di un gruppo di vocaboli che ha per radice “vero”, “giusto” ed è anche “franchezza”, verso se stessi e verso gli altri; la giustizia per esempio è pravosudie, il processo con cui si cerca e si trova la verità. La seconda è la Verità con la V maiuscola, l'unica, quella che rende liberi e con la quale è meglio non scherzare.
Io qui sarò semplicemente sincera. Nei giorni successivi alla morte di Anna Politkovskaja, che conoscevo grazie al libro La Russia di Putin pubblicato in Italia da Adelphi e ad alcuni articoli letti in rete, ho deciso di mettermi a tradurre dal russo un po' di materiale scritto da lei e su di lei: articoli, ricordi, commenti, reazioni, dinamica dell'omicidio, primi passi delle indagini. Il motivo è semplice: mi interessava. Per anni avevo continuato a seguire le vicende russe, senza mai scriverne e con un certo distacco. Però l'omicidio Politkovskaja per me ha rappresentato una svolta, e non nel senso più immaginabile o prevedibile: basti qui dire che mi sono resa conto quanto fosse drammatica la differenza di percezione tra Russia e Occidente e quanto bisognasse lavorare per spiegare, distinguere, mediare, contestualizzare, mettendoci di volta in volta e a seconda dei casi serietà, ironia, pedanteria, leggerezza.
Mai la differenza tra il punto di vista russo e le proiezioni occidentali mi era sembrata più grande e più difficile da gestire come in quell'ottobre 2006: di qui la scelta a un certo punto di smettere di scriverne e di occuparmi più seriamente della Russia e soprattutto di quello che la Russia non è.
Oggi, a due anni di distanza, è il momento di riparlarne. Credo che l'omicidio Politkovskaja sia stato capace di tirar fuori il peggio di ciascuno, di innescare isteriche reazioni a catena di malintesi, generalizzazioni e approssimazioni. È stata una gara di dilettantismo, opportunismo, insensibilità, mancanza di tatto, meschine vendette, cialtroneria, ipocrisia, sentimentalismo, pelosa compassione.
Da una parte, la Russia. Putin che fece quello che fa di solito quando viene messo sotto pressione e si infastidisce per le domande sbagliate: invece di strapparsi i pochi capelli superstiti e spargere lacrime di coccodrillo uscì dal protocollo e offrì a tutti noi occidentali quello che volevamo vedere, il demone meschino con un passato nei Servizi, KGB a Dresda. Ricordate? Cosa è successo al Kursk? È affondato. E Anna Politkovskaja? La sua influenza nella vita politica del paese era minima, no?
Forma sbagliata, contenuti tecnicamente corretti.
Come è stato spiegato da giornalisti e addetti ai lavori che non possono in alcun modo essere sospettati di connivenza con il Cremlino, non credo di fare un torto ad Anna Politkovskaja confermando che non era molto letta né molto conosciuta nel suo paese. Ma non perché particolarmente scomoda: semplicemente perché l'informazione russa, fuori e dentro la rete, è complessa, stratificata e dispersiva, con numeri, proporzioni, livello di interattività e capacità di influire sulla situazione del paese molto diversi da quelli a cui siamo abituati.
E forse anche perché scriveva per un bisettimanale, la Novaja Gazeta, che non è un faro della libera informazione e del giornalismo investigativo in un paese altrimenti barbaro: è un giornale politicamente orientato in senso “liberale” al quale, come ha ben ricordato John Laughland, [1] collaborano e hanno collaborato commentatori filo-americani vicini alla Jamestown Foundation, il centro studi neo-conservatore interessato alla democratizzazione (o “destabilizzazione”, dipende dai punti di vista) dei paesi dell'ex-blocco comunista. Dal 2006 il 49% della Novaja Gazeta è nelle mani di Michail Gorbačëv (10%) e di Aleksandr Lebedev (39%), politico e uomo d'affari milionario nonché ex funzionario del KGB e poi dell'SVD (i servizi segreti internazionali russi). Incidentalmente, i due hanno appena deciso di fondare un nuovo partito, il Partito Democratico Indipendente. [2] Sia chiaro: non è che Gorbačëv stia proprio simpatico a tutti, in Russia.
Infine, tanto per farci un'idea delle proporzioni, una circolazione di 250.000 copie in un paese di 145 milioni di persone non è molto.
Potremmo anche aggiungere a tutto questo il fatto che alla Politkovskaja non veniva perdonato di essersi associata a Boris Berezovskij nel comune interesse per il Caucaso Settentrionale e la causa dei profughi ceceni, che in quegli anni riceveva l'attenzione dei media occidentali e i soldi delle cosiddette fondazioni umanitarie e delle organizzazioni non governative. Intendiamoci: non c'è niente di male nell'abbinare al giornalismo la difesa dei diritti umani, a patto che non si considerino alcuni più umani di altri.
Come reagì l'opinione pubblica russa alla morte di Anna Politkovskaja? Con un misto di pena e indifferenza. In rete le cose stavano diversamente: opinioni tendenzialmente molto critiche e distaccate, con picchi di livore nei confronti della giornalista e del suo lavoro, e quei primi sintomi di rabbia e delusione nei confronti dell'opinione pubblica e dei media occidentali destinati a esasperarsi negli anni successivi.
Come reagì l'Occidente? Ma figuriamoci, il cadavere della povera Politkovskaja era il grande sogno trasversale: ci si buttarono tutti, giornalisti, politici, opinionisti, difensori della libertà di stampa, associazioni per la difesa dei diritti umani, sindaci, assessori, poeti, cantanti, registi, comitati di signore bene. E poi i premi, i premi: postumi, intitolati alla defunta, inutili. Che momenti.
Naturalmente parte di questi singoli e organizzazioni era in perfetta buona fede, e non lo dico solo perché l'ultima cosa che vorrei è un picchetto di signore sotto casa che protesta contro gli abusi in Russia. Ma di fatto i media occidentali (i nostri sulla scia di quelli britannici e statunitensi) avevano consacrato e diffuso una versione unica: in Russia era stata assassinata una giornalista coraggiosa che si opponeva a Putin; se ne deduceva che Putin doveva avere commissionato l'omicidio.
La vecchia sindrome del rosso sotto il letto è dura a morire, e l'avrebbe dimostrato di lì a poco l'opera buffa mediatica rappresentata dalla morte di Aleksandr Litvinenko (a proposito del quale, lo ammetto, mi sono fatta meno scrupoli: ma lui non era né giornalista, né donna, e del resto neanche tanto coraggioso).
Il Financial Times sottolineava che Putin era responsabile della creazione di un clima politico e sociale che rendeva possibili omicidi come questo. Anne Applebaum sul Washington Post attribuiva direttamente a Putin gli omicidi di giornalisti avvenuti in Russia dopo il 2000 (non che prima non ce ne fossero stati, solo che prima c'era El'cin). Olga Craig sul Sunday Telegraph titolava un suo articolo “Incrocia Putin e muori”, nel quale raccontava la fantasmatica storia di un povero giornalista russo perseguitato dai servizi segreti assassini. L'Economist ne approfittava per evocare le ombre del Reich e osservava che “a volte la Russia sembra orientarsi verso il fascismo”. [3]
La demonizzazione della Russia a questo punto era completa, potevamo rilassarci in questa certezza che non aveva bisogno di ulteriori conferme e dimenticarci della vera Politkovskaja. Tanto la vera Politkovskaja non esisteva già più: esisteva invece il fantasma di “una delle giornaliste più brillanti e coraggiose” (The Guardian), “una delle poche voci che osassero contraddire la linea di partito” (The Daily Telegraph), “scomoda in nome della libertà” (The Independent), “la più famosa giornalista investigativa russa” (The Times), “una delle giornaliste più coraggiose” (The New York Times), “vittima di raro coraggio” (The Washington Post). [4]
Anna Politkovskaja svolgeva il proprio lavoro in una posizione di estrema vulnerabilità, con i suoi reportage dal Caucaso ha documentato e testimoniato sofferenze, torture e abusi ed è stata vicina a tante vittime della guerra, anche se solo di una parte coinvolta in quella guerra. Per farlo e per combattere contro quello che considerava un sistema spietato ha scelto di schierarsi, e questo non l'ha resa più amata (basti leggere la testimonianza di uno degli ostaggi dell'assedio al Teatro Nord-Ost: non contiene parole di perdono o di riconciliazione ma accuse feroci e dolorose che non è difficile comprendere). [5] Ha corso rischi intollerabili e si è fatta molti nemici, ma forse non per le storie che scriveva (come ricordò il giornalista e commentatore politico Oleg Kašin in un bell'articolo su Vzgljad, più che una giornalista era una newsmaker: tendeva a stare davanti e non dietro alle telecamere, a fare notizia più che a scriverne). [6] Tra questi nemici c'erano persone capaci di farla uccidere praticamente alla luce del sole, o almeno nell'ingresso di un tranquillo condominio, vicino all'ascensore, un pomeriggio di ottobre: quattro colpi di Makarov, compreso quello finale “di controllo” (kontrol'nyj), che serve a verificare che la vittima sia morta ed è considerato indizio di un assassinio su commissione.
Per concludere: non so se Anna Politkovskaja sia stata in qualche modo strumentalizzata quando era in vita, e se ne fosse consapevole. So però che lo è stata, e molto, dopo la sua morte.
Ma veniamo al punto sulle indagini, che sono ora giunte a una svolta.
Inizialmente circolano varie ipotesi, tutte più o meno collegate all'attività professionale della Politkovskaja: vendetta di poliziotti corrotti che erano finiti nei guai per i suoi articoli; vendetta di militanti ceceni; azione dei nazionalisti russi (il suo nome era sulla lista di morte di vari gruppi neonazisti); provocazione politica per screditare le autorità russe e cecene o innescare conflitti nel Caucaso.
Poi la Procura Generale chiede il silenzio stampa, che viene rispettato. La Novaja Gazeta annuncia che avvierà una propria indagine e collaborerà con gli inquirenti; Aleksandr Lebedev offre una ricompensa pari a 1 milione di dollari a chi contribuirà alla soluzione del caso.
Segue dunque un silenzio stampa che dura dieci mesi.
Il 28 agosto 2007 il Procuratore Generale Jurij Čajka annuncia in una conferenza stampa l'arresto di dieci sospetti in relazione all'omicidio. Tra questi, un ufficiale di polizia, un colonnello dell'FSB (Servizio di sicurezza federale, i servizi segreti russi) e tre ex poliziotti; gli altri cinque sono ceceni, uno di loro avvocato a Mosca, e farebbero parte di una banda specializzata in omicidi su commissione. Gli inquirenti pensano che i ceceni possano avere a che fare anche con gli omicidi del vice presidente della Banca Centrale russa Kozlov e del giornalista di Forbes Russia Paul Klebnikov.
La Novaja Gazeta, impegnata nella sua indagine parallela, scrive che gli arresti sono stati fatti dal 15 al 23 agosto. Il direttore del giornale definisce le conclusioni degli inquirenti “convincenti”, il figlio della Politkovskaja, Il'ja, si dice “non sorpreso”.
“I nostri nomi coincidono con quelli dell'indagine ufficiale”, dice il vice direttore del giornale, Sergej Sokolov. “Ma l'identità del mandante non coincide”.
Nella sua conferenza stampa il Procuratore Generale fa anche una dichiarazione politica, puntando il dito contro le “forze esterne” di putiniana memoria che mirano a offuscare la reputazione internazionale della Russia e a destabilizzare la situazione interna del paese, e aggiunge che i responsabili vogliono “un ritorno al vecchio sistema di governo nel quale erano i soldi e gli oligarchi a decidere tutto”. Non si fanno nomi, ma tutti colgono il riferimento agli oligarchi in esilio (rispettivamente nel Regno Unito e in Israele) Berezovskij e Nevzlin; non a caso nel corso della conferenza stampa Čajka ribadisce che la Russia continuerà a chiedere l'estradizione di Berezovskij, ricercato per reati finanziari.
Nel frattempo anche l'FSB tiene una conferenza stampa in cui comunica che un suo ufficiale, Pavel Rjaguzov, è tra gli arrestati.
Gli altri nomi non si sanno, ma appaiono sulla stampa il giorno successivo, completi di foto e generalità dei sospettati: Aleksej Berkin, Dmitrij Lebedev, Tamerlan Machmudov, Džabrail Machmudov, Oleg Alimov, Achmed Isaev, Sergej Chadžikurbanov, Dmitrij Gračev, Pavel Rjaguzov. Il Moskovskij Komsomolec aggiunge un bel po' di dettagli. [7] Si sa così che Rjaguzov, il colonnello dell'FSB, ha 37 anni ed era già tenuto d'occhio da tempo per presunti collegamenti con il crimine organizzato. Rjaguzov è specializzato in compiti di sorveglianza, dunque potrebbe avere messo sotto controllo il telefono della Politkovskaja. Dmitrij Lebedev, Dmitrij Gračev, Oleg Alimov e Aleksej Berkin sono ex poliziotti: alcuni hanno lasciato il servizio tra i 5 e gli 8 anni fa. Avrebbero avuto l'incarico di sorvegliare la Politkovskaja quando usciva di casa. Sergej Chadžikurbanov, ufficiale di polizia, 40 anni, quattro anni prima ha organizzato una trappola che ha portato alla cattura di Frank Alcapone (alias Fizuli Mamedov), arrestato per il possesso di un chilo di eroina. Secondo le guardie del corpo del boss l'eroina gli era stata messa addosso dai poliziotti. Alcapone viene rimesso in libertà e i poliziotti accusati di abuso d'ufficio.
Poi ci sono i tre fratelli Machmudov, di origine cecena: Tamerlan, 36 anni, Džabrail, 49, e Ibrahim, 25. Tamerlan e Ibrahim risiedono a Mosca, Džabrail a Zarajsk, nel distretto di Mosca. Secondo le autorità questi tre non avevano rancori personali nei confronti della giornalista, e hanno partecipato all'omicidio in cambio di un'ingente somma di denaro.
Infine ci sarebbe l'autista, Achmed Isaev: avrebbe portato i fratelli Machmudov sul luogo del crimine e li avrebbe aiutati a ottenere la documentazione per acquistare la macchina.
Forse anche a causa di questa fuga di notizie, nei giorni successivi le prove contro alcuni degli accusati cadono una dopo l'altra. Viene rilasciato per insufficienza di prove Berkin (gli inquirenti pensavano facesse parte della banda di criminali ceceni chiamata “Lasagna”, dal nome di un ristorante in cui erano soliti incontrarsi, e ritenuta responsabile dell'omicidio); e viene rilasciato anche Chadžikurbanov, perché il giorno dell'assassinio era in carcere (quello che si dice un alibi di ferro). [8] Poi è la volta di Alimov, mentre emerge che Rjaguzov è accusato di abuso di potere per un caso che risale al 2002. [9]
A una settimana dagli arresti, un altro colpo di scena: la Procura Generale toglie il caso alla squadra di inquirenti che se ne era occupata fino a quel momento e al suo capo Pëtr Garibjan. [10] Il direttore della Novaja Gazeta Muratov dice in un'intervista a Echo Moskvy che la decisione è frutto di pressioni dei siloviki (uomini dei servizi) per sabotare le indagini. La Procura Generale nega l'accusa dicendo che la squadra è stata invece rafforzata con l'aggiunta di nuovi elementi. La Novaja Gazeta fa sapere che continuerà a lavorare con Garibjan, che sono in corso nuovi arresti e che l'indagine si è fatta estremamente complicata.
La Procura apre un'indagine sulla fuga di notizie.
A metà settembre viene arrestato Šamil Buraev, ex capo del distretto ceceno di Ačhoj-Martanov, accusato di aver ottenuto l'indirizzo della giornalista da Rjaguzov e di averlo passato agli assassini.
Una notizia RIA Novosti del 24 ottobre conferma che Buraev rimane in arresto e che i detenuti al momento sono nove, compresi i fratelli Machmudov. [11]
Nell'intervista a Time del dicembre 2007 Putin dice che le autorità faranno il possibile per risolvere il caso, ma che ci sono dei “problemi con le prove”. [12]
Alla fine di marzo 2008 la Procura Generale fa sapere che il killer è stato identificato ed è attualmente ricercato. Gli accusati in quel momento sono nove, compreso l'ufficiale dell'FSB. [13]
Agli inizi di aprile un investigatore capo incaricato delle indagini, Dmitrij Dovgij, rilascia un'intervista a Izvestija nella quale afferma che Boris Berezovskij è il mandante dell'omicidio. Dovgy è stato sospeso per corruzione (avrebbe preso tangenti per 4 milioni e mezzo di dollari), ma secondo Izvestija l'intervista è stata fatta quando era ancora in servizio. [14] Dovgij non ha in mano prove concrete, ma si dice convinto che l'omicidio sia stato ordinato da Boris Berezovskij attraverso Chož-Achmed Nuchaev, il criminale ceceno fuggiasco ufficialmente sospettato dell'omicidio di Paul Klebnikov. Appare abbastanza evidente che Dovgij, che pochi mesi prima in un'intervista alla Rossijskaja Gazeta era stato estremamente cauto, ha tentato una mossa disperata dimostrando la sua lealtà e accreditando una pista politica che poteva supporre molto gradita ai suoi superiori.
Il 16 aprile altra fuga di notizie: il sito russo Life.ru pubblica la foto di Rustam Machmudov, sospettato di essere l'esecutore materiale dell'omicidio. [15]
Il 12 maggio viene rilasciato un altro sospetto, Magomed Dimelchanov. Gli arrestati scendono a sette. Contro Rustam Machmudov è stato emesso un mandato di cattura internazionale.
Agli inizi di giugno viene rilasciato anche Buraev, in attesa di processo.
Il 18 giugno gli inquirenti russi dichiarano di avere concluso l'indagine e di avere formalizzato le accuse contro quattro sospetti: tre per coinvolgimento nell'omicidio e uno per abuso d'ufficio. [16] Un'indagine distinta è stata avviata nei confronti dell'esecutore materiale dell'omicidio, Rustam Machmudov, latitante. Le accuse contro Buraev sono invece cadute per insufficienza di prove.
Agli inizi di luglio fonti della Procura Generale dichiarano di sapere in quale paese dell'Europa Occidentale si nasconda Machmudov. [17]
Arriviamo infine al 2 ottobre 2008, quando la Procura Generale della Federazione Russa comunica di avere rinviato a giudizio per l'omicidio di Anna Politkovskaja tre persone: Sergej Chadžikurbanov e i fratelli Džabrail e Ibrahim Machmudov. L'ex ufficiale dei servizi Pavel Rjaguzov è accusato di abuso di ufficio. Un distinto procedimento penale è stato avviato a carico di Rustam Machmudov. [18]
Il figlio della giornalista, Il'ja Politkovskij, ha sostenuto in una conferenza stampa che il caso è stato trasferito non a un tribunale civile, ma a un tribunale militare, in quanto uno degli imputati è un agente dei servizi. “Vorrei sottolineare che non accuso dell'organizzazione diretta di questo omicidio le autorità, perché niente fa pensare a questo. All'omicidio hanno preso parte elementi isolati dei servizi segreti e loro agenti”, ha aggiunto il figlio della giornalista. [19]
Dunque si va al processo, probabilmente in tempi brevi. Mancano il killer, il mandante e il movente.
La ricompensa da un milione di dollari non è stata incassata da nessuno.
È una storia fatta di voci e fughe di notizie, di avvertimenti, di “io so”, di sassi lanciati e mani nascoste, di rivelazioni frettolose e premature, di gang Lasagna e soldi, di criminalità, connivenze e coperture, probabilmente non di massimi poteri, o folli regali di compleanno, o premier ceceni capricciosi, o maligni oligarchi con l'hobby del colpo di stato. Ma chi può dirlo con certezza.
Quando è stata diffusa la notizia del rinvio a giudizio la stampa occidentale e quella russa hanno reagito pigramente. La ricerca su Google e Yandex dà pochi e ripetitivi risultati, le discussioni sui blog si limitano a rilanciare la notizia (che è stata riportata già a settembre [20] e non fa che confermare fatti noti già a giugno), nessun commento sui giornali.
Forse si aspetta il 7 ottobre per far scattare i riti del ricordo, più appaganti della ricerca di un tenue e distorto riflesso di verità.
Note
[1] “Who killed Anna Politkovskaya?”, John Laughland, Sanders Research Associates, 19 ottobre 2006
[2] “Russia: Gorbaciov- Lebedev, partito”, ANSA, 30 settembre 2008
[3] “Where is America's Politkovskaya?”, Mark Ames, The eXile, 20 ottobre 2006
[4] John Laughland, op. cit.
[5] СВИНСТВО!!!, http://al-stal.livejournal.com/, 20 ottobre 2006
[6] “Kto ubil Annu Politkovskuju?”, Oleg Kašin, Vzgljad, 9 ottobre 2006
[7] “Sodejstvujuščie lica i ispolniteli – V spiske ubijc Politkovskoj – torgovcy ryboj, čekisty i milicionery”, Moskovskij Komsomolec, 29 agosto 2007
[8] “Mera Otsečenija”, Kommersant', 30 agosto 2007
[9] “Genprokuror sdaet po delu”, Kommersant', 31 agosto 2007
[10] “Investigator out in Politkovskaya case”, The Moscow Times, 5 ottobre 2007
[11] “Court remands Politkovskaya murder suspect Burayev in custody”, RIA Novosti, 24 ottobre 2007
[12] “Putin promises to complete probe into Politkovskaya's murder”, RIA Novosti, 19 dicembre 2007
[13] “Politkovskaya's killer identified, being sought - top prosecutors”, RIA Novosti, 28 marzo 2008
[14] “Načalnik Glavnogo sledstvennogo upravlenija Dmitrij Dovgij: 'Čeloveku dolžno byt' vygodno ne brat' vzjatok'”, Izvestija, 3 aprile 2008
[15] “Ubijstvo izvestnoj žurnalistki. Killer sbežal iz Rossii”, Life.ru, 15 aprile 2008
[16] “Russian prosecutors finish probe into Politkovskaya murder”, RIA Novosti, 18 giugno 2008
[17] “Russian reporter Politkovskaya's killer hiding in Western Europe”, RIA Novosti, 1° luglio 2008
[18] “Russian prosecutors refer Politkovskaya murder case to court”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[19] “Delo ob ubijstve Politkovskoj peredano v voennyj sud”, RIA Novosti, 2 ottobre 2008
[20] “Delo Politkovskoj v Genprokurature”, Rossijskaja Gazeta, 20 settembre 2008
La traduzione francese, a cura di Fausto Giudice, è a questo indirizzo.
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