domenica, settembre 01, 2019

Superare le sei ore

L'altra sera, già provati da Parenzo e Telese, finiamo uno di quei giochi indie tanto belli in cui si salta sulle sporgenze e si risolvono piccoli puzzle poetici e intelligenti per poi scoprire che il protagonista era morto fin dall'inizio (è simbolico! sono le fasi di elaborazione del lutto! va' che bello ma anche va' sul mùs, va'). Poi iniziamo Bloodborne che sulla carta è un giocone. Sulla fisionomia del protagonista spendiamo cinque minuti netti perché è una cosa che ci rompe, per il nome scegliamo senza indugio il più consono a una personalità tormentata e carismatica ("Zozzone"). Prima scena primo combattimento, un lupo mannaro fortissimo che ha la meglio su di noi in quanto noi siamo, tocca dirlo, disarmati. Morti in due secondi, veniamo resuscitati accanto a una lapide: vuoi tornare lì all'infermeria nella clinica di Ioszefa dove c'è il lupo mannaro che ti squarta subito? Certo, siamo qui per questo. Scopriamo che la famosa Ioszefa si è asserragliata in una stanza ma chissà come ci dona una pozione detta pozione di Iosefka che ci riempie la barra della vita. Le ore successive trascorrono con Zozzone che si fa squartare. Dopo ogni squartatina appare l'opzione "vuoi andare al Sogno del Cacciatore?". No, ma cos'è questo Sogno del Cacciatore, sicuramente non una roba per veri guerrieri, è un rifugio per mammolette, noi vogliamo farci squartare all'infinito lottando a mani nude.

Poi dopo la cinquaduesima morte e dopo aver importunato Iosefka mendicando una pozione alla volta Zozzone ce la fa.
A questo punto andiamo al Sogno del Cacciatore, dai. Scopriamo che il Sogno del Cacciatore è un bel cimiterino che accoglie un'officina, un incoraggiante tizio in sedia a rotelle, oggettini utili, una bambola-automa dalle losche potenzialità e DUE ARMI GRATIS. Ma noi il lupo mannaro l'abbiamo sconfitto a mani nude in sole tre ore, e dunque.

È l'una. Usciamo dal gioco felici ed esausti per guardare un film romeno del 1964 ambientato al tempo della prima guerra mondiale. È un capolavoro di 2 ore e 34, Pădurea spânzuraților, titolo italiano La foresta degli impiccati. Ci piace quel spânzuraților, a spânzuraților non si resiste, senti proprio i corpi che penzolano.
Purtroppo la spiegazione storica iniziale non è sottotitolata. Vaghiamo dunque in una metaforica nebbia transilvana, tra Impero Austro-Ungarico e Romania, in mezzo a russi, tedeschi, austriaci, ungheresi. Ogni tanto mettiamo pausa per dirci "i russi stavano nella Triplice, no?" oppure "la Transilvania era nostra" "nostra in che senso?" "nel senso di asburgici". Seguono silenzi carichi di reciproco sospetto.
Ma almeno abbiamo sconfitto un lupo mannaro a mani nude.

Il giorno dopo, dotati di armi gratuite, molotov, fiale di sangue e otto ciottoli affrontiamo un'orda di gente armata di asce, roncole, archibugi, torce. Alla fine ci ritroviamo di fronte a un bestione che ci annienta con una mannaia e un grugnito.
Ripetiamo sessantaquattro volte. Una volta facciamo pure ritorno al Sogno del Cacciatore per vedere se ci regalano qualcosa, ma niente. Usciamo dal gioco sconfitti.
Su Reddit uno dice che se superi le sei ore di gioco poi ci prendi veramente gusto a morire di continuo. Il senso sta tutto lì, dice.

Poi guardiamo un film giapponese d'animazione intitolato Una notte sul treno della Via Lattea. Versione originale, sottotitoli inglesi, scritte in esperanto. Mi sa tanto che è simbolico anche questo qua, tipo son quasi tutti morti.

In bella immagine: la Miru si aggira pensosamente per casa dopo le recenti esperienze pensando a come far fuori il bestione armato di mannaia nelle strade di Yharnam.


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