Coloro che abbiano preso alla lettera la nostra ricetta dei Chelsea buns con semi di finocchio e albicocche saranno rimasti sorpresi (Food, 2 ottobre, p. 64, Weekend). Ai 500 grammi di farina dovevano accompagnarsi 30 grammi di burro, non 230.
Corrections, "The Guardian", lunedì 11 ottobre 2010.
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giovedì, ottobre 14, 2010
Death by buns
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venerdì, marzo 02, 2007
Il Sushi per l'Uomo Sovietico
"Negli ultimi anni è diventato di moda consumare diverse pietanze chiamate per qualche motivo 'esotiche'. Nonostante nei loro paesi d'origine questi cibi siano considerati ordinari, normali e perfino noiosi, in Russia ci si spende attorno un sacco di soldi e li si trasforma in veri e propri status symbol. Gli esempi più diffusi sono la pizza e il sushi.
La pizza è un piatto così semplice che qui non lo tratteremo nemmeno. Basta pensare al nostro amore per il rasstegàj [pasticcio ripieno di carne o pesce, n.d.T.] e per le frittelle farcite per capire come mai la loro controparte italiana sia da noi così popolare. In ogni caso, i rituali associati alla pizza non sono molto interessanti.
Ben altra cosa è il sushi. L'umile cibo dei pescatori e dei contadini giapponesi è da noi diventato un vero oggetto di culto. La gente spende parecchio nei sushi bar e si porta a casa tutti questi piatti per capire come si fa a prepararli, imparando come si dice in giapponese tappetino di bambù, alghe secche e così via. Arrivano perfino a mangiare con i bastoncini! E perché, poi? Qual è l'ingrediente principale del sushi e degli involtini? Il comune riso bollito. Al secondo posto ci sono le alghe secche, che possono essere sostituite con un'omelette. E poi, naturalmente, il pesce, che normalmente noi bolliremmo, saleremmo e tratteremmo in vari modi per evitare le intossicazioni.
Ed ecco che avendo deciso di preparare a casa il sushi (non chiedetemi perché!) con il salmone e altre delizie, ci siamo preoccupati di tutte queste cose. Ci siamo ricordati che viviamo in un paese che un tempo era chiamato Unione Sovietica. Ci siamo ricordati che le tradizioni culinarie del popolo che abita in questo paese sono non solo più ricche ma anche a noi più congeniali delle 'novità' importate dal Giappone e dall'Estremo Oriente. E così abbiamo formulato questi principî:
1. L'uomo sovietico non avrebbe usato il riso come ingrediente principale per il ripieno. Quando non aveva abbastanza da mangiare l'uomo sovietico si nutriva di pane e kaša, ma di certo non avrebbe mai avvolto del cibo attorno alla kaša.
2. Per l'uomo sovietico non avrebbe avuto molto senso arrotolare delle alghe secche attorno ai cibi. Il cibo può essere riempito con dell'altro cibo anche senza usare alimenti impropri.
3. L'uomo sovietico non era abituato a gusti forti come quello della salatissima salsa di soia o di quella radice assurdamente speziata chiamata 'wasabi'. È possibile e necessario trovare gustose alternative usando ingredienti tradizionali.
4. L'uomo sovietico non avrebbe mai usato i bastoncini. I bastoncini sono scomodi. I bastoncini non possono competere con le forchette, i cucchiai e anche solo con le mani.
5. L'uomo sovietico era gentile, ospitale e affettuoso. Il sushi sovietico dovrà essere gustoso, appagante, vario e bello".
Potete ammirare tanta rustica e sovietica grazia sul blog di Egor Trubnikov. Uova, maionese, barbabietole, cetriolini, aringhe, frankfurter, petto di pollo, sardine, salamino, tabacco di sigarette 'Belomor' e formaggio 'Amicizia': per cogliere l'intenso gusto di queste composizioni e immergersi completamente nell'atmosfera sovietica "è consigliabile utilizzare le stoviglie usate all'epoca nella ristorazione collettiva (anche quelle polacche o cecoslovacche faranno al caso nostro)". Quest'uomo è un genio.
Agente Betulla traduce ricette di sushi sovietico ad amanti URSS postlitteram, purché seriamente interessati. Astenersi perditempo.
(via the hungry isolato)
La pizza è un piatto così semplice che qui non lo tratteremo nemmeno. Basta pensare al nostro amore per il rasstegàj [pasticcio ripieno di carne o pesce, n.d.T.] e per le frittelle farcite per capire come mai la loro controparte italiana sia da noi così popolare. In ogni caso, i rituali associati alla pizza non sono molto interessanti.
Ben altra cosa è il sushi. L'umile cibo dei pescatori e dei contadini giapponesi è da noi diventato un vero oggetto di culto. La gente spende parecchio nei sushi bar e si porta a casa tutti questi piatti per capire come si fa a prepararli, imparando come si dice in giapponese tappetino di bambù, alghe secche e così via. Arrivano perfino a mangiare con i bastoncini! E perché, poi? Qual è l'ingrediente principale del sushi e degli involtini? Il comune riso bollito. Al secondo posto ci sono le alghe secche, che possono essere sostituite con un'omelette. E poi, naturalmente, il pesce, che normalmente noi bolliremmo, saleremmo e tratteremmo in vari modi per evitare le intossicazioni.
Ed ecco che avendo deciso di preparare a casa il sushi (non chiedetemi perché!) con il salmone e altre delizie, ci siamo preoccupati di tutte queste cose. Ci siamo ricordati che viviamo in un paese che un tempo era chiamato Unione Sovietica. Ci siamo ricordati che le tradizioni culinarie del popolo che abita in questo paese sono non solo più ricche ma anche a noi più congeniali delle 'novità' importate dal Giappone e dall'Estremo Oriente. E così abbiamo formulato questi principî:
1. L'uomo sovietico non avrebbe usato il riso come ingrediente principale per il ripieno. Quando non aveva abbastanza da mangiare l'uomo sovietico si nutriva di pane e kaša, ma di certo non avrebbe mai avvolto del cibo attorno alla kaša.
2. Per l'uomo sovietico non avrebbe avuto molto senso arrotolare delle alghe secche attorno ai cibi. Il cibo può essere riempito con dell'altro cibo anche senza usare alimenti impropri.
3. L'uomo sovietico non era abituato a gusti forti come quello della salatissima salsa di soia o di quella radice assurdamente speziata chiamata 'wasabi'. È possibile e necessario trovare gustose alternative usando ingredienti tradizionali.
4. L'uomo sovietico non avrebbe mai usato i bastoncini. I bastoncini sono scomodi. I bastoncini non possono competere con le forchette, i cucchiai e anche solo con le mani.
5. L'uomo sovietico era gentile, ospitale e affettuoso. Il sushi sovietico dovrà essere gustoso, appagante, vario e bello".
Potete ammirare tanta rustica e sovietica grazia sul blog di Egor Trubnikov. Uova, maionese, barbabietole, cetriolini, aringhe, frankfurter, petto di pollo, sardine, salamino, tabacco di sigarette 'Belomor' e formaggio 'Amicizia': per cogliere l'intenso gusto di queste composizioni e immergersi completamente nell'atmosfera sovietica "è consigliabile utilizzare le stoviglie usate all'epoca nella ristorazione collettiva (anche quelle polacche o cecoslovacche faranno al caso nostro)". Quest'uomo è un genio.
Agente Betulla traduce ricette di sushi sovietico ad amanti URSS postlitteram, purché seriamente interessati. Astenersi perditempo.
(via the hungry isolato)
lunedì, febbraio 19, 2007
Il giorno delle olad'i
Dicevamo: i bliny sono sottilissimi, hanno tempi di preparazione piuttosto lunghi e sono adatti ad abbinamenti dolci e salati. Le olad'i (singolare: olad'ja) sono un'altra storia: sono piccole, cicciottelle, si mangiano per lo più come dolce (anche a colazione) e io ora ve le proporrò in una ricetta veloce e semplicissima. Insomma: le olad'i sono i pancake, ma non vale.
Prepariamo gli ingredienti:
4 tazze di kefir o di buttermilch (latticello)
20 cucchiai colmi di farina
3-4 cucchiai di zucchero
3 uova
2 cucchiaini da tè di lievito istantaneo per dolci
1 cucchiaino di sale.
Se volete provare anche le olad'i alle mele, vi consiglio di tagliare una mela a tocchetti, di zuccherarla un po' e di unirla a metà del composto. In alternativa, potete aggiungere uvetta sultanina, frutti di bosco, perfino della zucca. Sperimentate, la ricetta-base si presta a tutto.
La preparazione è semplicissima. Sbattete le uova insieme al kefir, aggiungete lo zucchero, il sale e la farina con il lievito. Il composto dev'essere piuttosto denso ma omogeneo, in caso di grumi filtratelo. Per la cottura imburrate una padellina di piccolo diametro oppure un'unica padella dove cuocerete due o tre olad'i alla volta. È fondamentale che il composto sia abbastanza denso da non disperdersi nella padella, quindi non esitate ad aggiungere farina. Fate dorare le frittelle, poi giratele, infine impilatele come avete fatto con i bliny (non serve il burro, stavolta). Tenete al caldo.
Le olad'i (sia quelle semplici, sia quelle farcite) si consumano con una spolverata di zucchero a velo o con la solita cucchiaiata di panna acida (più o meno zuccherata), marmellata, miele, frutta. Anche qui, sbizzarritevi.
E poi ditemi se non sono buone.
E belle. Simpatiche, anche.
Prepariamo gli ingredienti:
4 tazze di kefir o di buttermilch (latticello)
20 cucchiai colmi di farina
3-4 cucchiai di zucchero
3 uova
2 cucchiaini da tè di lievito istantaneo per dolci
1 cucchiaino di sale.
Se volete provare anche le olad'i alle mele, vi consiglio di tagliare una mela a tocchetti, di zuccherarla un po' e di unirla a metà del composto. In alternativa, potete aggiungere uvetta sultanina, frutti di bosco, perfino della zucca. Sperimentate, la ricetta-base si presta a tutto.
La preparazione è semplicissima. Sbattete le uova insieme al kefir, aggiungete lo zucchero, il sale e la farina con il lievito. Il composto dev'essere piuttosto denso ma omogeneo, in caso di grumi filtratelo. Per la cottura imburrate una padellina di piccolo diametro oppure un'unica padella dove cuocerete due o tre olad'i alla volta. È fondamentale che il composto sia abbastanza denso da non disperdersi nella padella, quindi non esitate ad aggiungere farina. Fate dorare le frittelle, poi giratele, infine impilatele come avete fatto con i bliny (non serve il burro, stavolta). Tenete al caldo.
Le olad'i (sia quelle semplici, sia quelle farcite) si consumano con una spolverata di zucchero a velo o con la solita cucchiaiata di panna acida (più o meno zuccherata), marmellata, miele, frutta. Anche qui, sbizzarritevi.
E poi ditemi se non sono buone.
E belle. Simpatiche, anche.
giovedì, febbraio 15, 2007
Pervij blin komom/La Ricetta Definitiva dei Bliny
Questa sarà una ricetta in progress: il nostro motto sarà "provare e fallire insieme", magari nel frattempo parlando d'altro.
Prepariamo gli ingredienti.
2 tazze e 3/4 di latte tiepido
1 bustina di lievito di birra liofilizzato
4 tazze di farina (tre di frumento e una di grano saraceno, se l'avete)
3 uova (separate i tuorli, gli albumi andranno montati a neve verso la fine)
2 cucchiai di burro fuso
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaino scarso di sale
Olio vegetale o burro per ungere la padella
Per i condimenti fate voi: per quelli salati vanno benissimo l'erba cipollina, uova sode a fettine, salmone, caviale, ecc., con accompagnamento di panna acida. Per il dolce, la vostra marmellata preferita o del miele, ma sono deliziose anche con del semplice zucchero di canna.
Andrà bene la padella che usate di solito per fare le crêpes, se ne avete una più piccola meglio ancora.
Ricordatevi che ci vorrà tempo, che il bravo cuoco di bliny dovrebbe mettersi all'opera anche sei ore prima e che alcuni fanno riposare il composto tutta la notte. Noi ci metteremo di meno, ma comunque c'è di mezzo il lievito. Ah, e naturalmente niente scherzetti: alla fine non vi chiederò di cuocere il tutto su una vecchia stufa al fuoco di ceppi asciutti di betulla.
Fase uno
Sciogliete il lievito in un bicchiere di latte tiepido e mescolatelo a due tazze di farina e un cucchiaino di zucchero. Mescolate molto bene, impastate, coprite la ciotola con una salvietta e mettete a riposare in luogo tiepido e riparato per 30-40 minuti. L'impasto deve raddoppiare. Il mio luogo tiepido e riparato è il forno con la luce accesa, magari riscaldato poco poco e poi spento.
Fase due
Adesso aggiungete all'impasto lievitato lo zucchero, il sale, i tuorli d'uovo un po' sbattuti e il burro fuso (tiepido). Mescolate bene e versate il resto della farina, poi mescolate fino a quando l'impasto assume una bella consistenza elastica e omogenea e versate il latte rimanente. Se vedete che l'impasto è troppo secco aggiungeteci ancora un po' di latte a filo. Mescolate e rimettere il tutto a riposo finché non raddoppia (sempre quei 30-40 minuti).
Poi rilavorate l'impasto lievitato e rimetterlo a riposare.
Fase tre
Ok, momento topico: montate a neve gli albumi, mescolateli all'impasto e lasciatelo riposare ancora 15-20 minuti. È l'ultimo riposino della giornata. Non appena ricomincia a crescere è ora di cuocere i bliny. Sì.
Fase quattro
Ungete una padella non molto grande (quella che usate per le crepes). Di solito un buon modo per ungerla bene è usare un pezzo di patata infilzata in una forchetta e imburrata. Fate scaldare molto bene la padella e poi procedete. Ricordatevi il detto secondo il quale pervij blin komom, cioè il primo blin riesce sempre male, una specie di grumo, cioè una schifezza. Perché la pentola non è abbastanza calda, perché c'è troppo burro, perché il donnino è nervoso, o chi lo sa. Succede anche con i palačinki, ho notato. Vedrete che dal secondo in poi le cose cambiano e la produzione entra e regime per toccare picchi di sublime verso il blin numero 6. Ricordatevi che i bliny migliori sono sottilissimi, quasi trasparenti. Naturalmente se l'impasto fosse troppo denso potete aggiungere a filo del latte tiepido. Il primo orrido blin serve proprio a questo. Ricordatevi di passare un po' di burro sulla superficie di ogni frittella prima di appoggiarvi sopra la successiva. Tenete al caldo, mi raccomando, tenete al caldo.
Troubleshooting
Dunque, a questo punto dovreste avere la vostra bella pila di bliny tenuti al caldo, da consumare con condimenti salati o dolci o entrambi.
Ora, mettiamo che abbiate la sensazione che le cose non siano andate come dovevano.
Miru, non lievita!Se hai fatto come ho detto io, lievita. Può essere che il lievito non sia buono (io uso quello tipo Mastro Fornaio), o magari non facevi altro che aprire il forno tiepido (o alzare la coperta, metodo Silviu') per controllare, e gli hai fatto prender freddo. Ma lievita, fidati. Tu usa ingredienti tiepidi, nel primo impasto non metterci il sale, e vedrai che lievita.
Miru, non so montare gli albumi a neve!Ricorda: freddissimi e con un pizzico di sale. Come ricorda Silviu', la frusta elettrica modello bondage spinto, assolutamente no. Puoi farcela.
Miru, il composto è colloso!
Se è troppo denso aggiungici del latte. La consistenza dipende anche dalla grandezza delle uova e dalla farina usata (quella di grano saraceno a me fa effetto vinavil). Meglio dover aggiungere latte che ritrovarsi con un composto troppo liquido.
Miru, ma come dev'essere?
La pastella deve potersi stendere bene e fare delle bollicine in superficie. A me piacciono di media consistenza, ma i veri bliny devono essere sottilissimi (quasi trasparenti, effetto "pizzo").
Miru, che nervi!
Ci vuole pazienza: pensa blin, sii blin. Bisogna saper essere lentissimi, nel proprio genere.
Prepariamo gli ingredienti.
2 tazze e 3/4 di latte tiepido
1 bustina di lievito di birra liofilizzato
4 tazze di farina (tre di frumento e una di grano saraceno, se l'avete)
3 uova (separate i tuorli, gli albumi andranno montati a neve verso la fine)
2 cucchiai di burro fuso
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaino scarso di sale
Olio vegetale o burro per ungere la padella
Per i condimenti fate voi: per quelli salati vanno benissimo l'erba cipollina, uova sode a fettine, salmone, caviale, ecc., con accompagnamento di panna acida. Per il dolce, la vostra marmellata preferita o del miele, ma sono deliziose anche con del semplice zucchero di canna.
Andrà bene la padella che usate di solito per fare le crêpes, se ne avete una più piccola meglio ancora.
Ricordatevi che ci vorrà tempo, che il bravo cuoco di bliny dovrebbe mettersi all'opera anche sei ore prima e che alcuni fanno riposare il composto tutta la notte. Noi ci metteremo di meno, ma comunque c'è di mezzo il lievito. Ah, e naturalmente niente scherzetti: alla fine non vi chiederò di cuocere il tutto su una vecchia stufa al fuoco di ceppi asciutti di betulla.
Fase uno
Sciogliete il lievito in un bicchiere di latte tiepido e mescolatelo a due tazze di farina e un cucchiaino di zucchero. Mescolate molto bene, impastate, coprite la ciotola con una salvietta e mettete a riposare in luogo tiepido e riparato per 30-40 minuti. L'impasto deve raddoppiare. Il mio luogo tiepido e riparato è il forno con la luce accesa, magari riscaldato poco poco e poi spento.
Fase due
Adesso aggiungete all'impasto lievitato lo zucchero, il sale, i tuorli d'uovo un po' sbattuti e il burro fuso (tiepido). Mescolate bene e versate il resto della farina, poi mescolate fino a quando l'impasto assume una bella consistenza elastica e omogenea e versate il latte rimanente. Se vedete che l'impasto è troppo secco aggiungeteci ancora un po' di latte a filo. Mescolate e rimettere il tutto a riposo finché non raddoppia (sempre quei 30-40 minuti).
Poi rilavorate l'impasto lievitato e rimetterlo a riposare.
Fase tre
Ok, momento topico: montate a neve gli albumi, mescolateli all'impasto e lasciatelo riposare ancora 15-20 minuti. È l'ultimo riposino della giornata. Non appena ricomincia a crescere è ora di cuocere i bliny. Sì.
Fase quattro
Ungete una padella non molto grande (quella che usate per le crepes). Di solito un buon modo per ungerla bene è usare un pezzo di patata infilzata in una forchetta e imburrata. Fate scaldare molto bene la padella e poi procedete. Ricordatevi il detto secondo il quale pervij blin komom, cioè il primo blin riesce sempre male, una specie di grumo, cioè una schifezza. Perché la pentola non è abbastanza calda, perché c'è troppo burro, perché il donnino è nervoso, o chi lo sa. Succede anche con i palačinki, ho notato. Vedrete che dal secondo in poi le cose cambiano e la produzione entra e regime per toccare picchi di sublime verso il blin numero 6. Ricordatevi che i bliny migliori sono sottilissimi, quasi trasparenti. Naturalmente se l'impasto fosse troppo denso potete aggiungere a filo del latte tiepido. Il primo orrido blin serve proprio a questo. Ricordatevi di passare un po' di burro sulla superficie di ogni frittella prima di appoggiarvi sopra la successiva. Tenete al caldo, mi raccomando, tenete al caldo.
Troubleshooting
Dunque, a questo punto dovreste avere la vostra bella pila di bliny tenuti al caldo, da consumare con condimenti salati o dolci o entrambi.
Ora, mettiamo che abbiate la sensazione che le cose non siano andate come dovevano.
Miru, non lievita!Se hai fatto come ho detto io, lievita. Può essere che il lievito non sia buono (io uso quello tipo Mastro Fornaio), o magari non facevi altro che aprire il forno tiepido (o alzare la coperta, metodo Silviu') per controllare, e gli hai fatto prender freddo. Ma lievita, fidati. Tu usa ingredienti tiepidi, nel primo impasto non metterci il sale, e vedrai che lievita.
Miru, non so montare gli albumi a neve!Ricorda: freddissimi e con un pizzico di sale. Come ricorda Silviu', la frusta elettrica modello bondage spinto, assolutamente no. Puoi farcela.
Miru, il composto è colloso!
Se è troppo denso aggiungici del latte. La consistenza dipende anche dalla grandezza delle uova e dalla farina usata (quella di grano saraceno a me fa effetto vinavil). Meglio dover aggiungere latte che ritrovarsi con un composto troppo liquido.
Miru, ma come dev'essere?
La pastella deve potersi stendere bene e fare delle bollicine in superficie. A me piacciono di media consistenza, ma i veri bliny devono essere sottilissimi (quasi trasparenti, effetto "pizzo").
Miru, che nervi!
Ci vuole pazienza: pensa blin, sii blin. Bisogna saper essere lentissimi, nel proprio genere.
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venerdì, febbraio 02, 2007
A grande richiesta
Con riferimento al post Salumi e baci, comunico che:
1. La bottiglia è questa. E lo so. Ma stava nel frigo, era lì, agitarla non sembrava davvero il caso.
2. Mi sono accorta che sul sito dei Baci Perugina c'è gente che si scambia i cartigli. Picia86 offre il cartiglio 76, tenebroso71 cerca il numero 1, amarone74 scambia i numeri pari con quelli dispari (astenersi perditempo). Non ho parole. Io l'altro giorno stavo per mangiarmelo, il cartiglio.
3. La filzetta è praticamente un salame, neanche male. Il signor G. si è avvicinato, ha annusato, ha fatto una faccia come per dire: "Un salame?" ed è andato a riprendere il lavoro interrotto (oggi tra un pisolino e l'altro mi sta smontando un battiscopa).
1. La bottiglia è questa. E lo so. Ma stava nel frigo, era lì, agitarla non sembrava davvero il caso.
2. Mi sono accorta che sul sito dei Baci Perugina c'è gente che si scambia i cartigli. Picia86 offre il cartiglio 76, tenebroso71 cerca il numero 1, amarone74 scambia i numeri pari con quelli dispari (astenersi perditempo). Non ho parole. Io l'altro giorno stavo per mangiarmelo, il cartiglio.
3. La filzetta è praticamente un salame, neanche male. Il signor G. si è avvicinato, ha annusato, ha fatto una faccia come per dire: "Un salame?" ed è andato a riprendere il lavoro interrotto (oggi tra un pisolino e l'altro mi sta smontando un battiscopa).
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Salumi e baci
Dopo le feste nel mio frigo sono comparsi due oggetti inquietanti (sospetto che siano sopravvissuti allo sterminio sistematico di qualche cesto natalizio).
Il primo assomiglia in tutto e per tutto a un Bacio Perugina, solo che ha la forma e le dimensioni di una bottiglia di spumante da un litro. È blu e argento e reca il consueto stucchevole motivo stellato e la scritta "Riserva Speciale di Dolci Messaggi". Sai quell'aria disperata da avanzo, "sono dolcissimo, scadente, faccio tante bollicine, ho un retrogusto di solvente per smalto e probabilmente anche il tappo di plastica"? Ecco.
E ora chiedo scusa ai vegetariani per quello che sto per scrivere.
Il secondo mesto rappresentante della diaspora postnatalizia è un insaccato a me sconosciuto. Si chiama filzetta. Per fortuna ho il Food spammer, che di queste cose ne sa. Gli dico "Ascolta, da un mese ho una cosa in frigo che si chiama filzetta e c'è scritto suino 100%". E lui, il sublime intenditore, "Ma tu sei matta, è buonissima, aprila immediatamente". Immediatamente: erano le cinque del pomeriggio. High tea, proprio, altro che cucumber sandwiches.
– Guarda che non è tanto bella da vedere.
– Sei una dilettante.
– Sembra una pastetta sovietica.
– Mica si spalma.
– È morbida.
– È praticamente filetto.
– Mah.
– Cosa volevi che fosse, grana misto porcini?
– Qualche altro animale.
– Il maiale non ha il filetto, forse?
– Lo so, io?
– Il filetto è il vitello di 8 mesi, per lei.
– Ma tu lo sai che metto il sale fino nell'acqua della pasta?
Così vado in cucina, apro il frigo e comincio a fare tup tup tup sulla superficie del salume. Guardiamo in faccia la realtà: la filzetta che ho cercato su Google Images non assomiglia per niente alla mia. Al Food spammer però non dico nulla, magari se ne dimentica.
E invece, giorni dopo:
– Scommetto che stai ancora tastando la filzetta.
– Sì.
– Cosa aspetti ad assaggiarla?
Cosa aspetto. Magari esistono anche filzette infelici, dal colorito indeciso, con i nodini di grasso, come la mia.
Ormai il pellegrinaggio nel frigo è diventato un rito serale. Si fa tup tup tup, si annusa, si scuote il capo rassegnate e ci si versa un bicchiere di latte.
Ieri mentre prendevo il latte sono riuscita a far cadere la bottiglia Perugina. E sapete una cosa?
1. Era di plastica, con fondo svitabile.
2. Non conteneva spumante per alcolisti.
Da un mese e mezzo convivevo con una quantità di Baci in grado di risolvere qualsiasi emergenza emotiva di livello Alfa-Bravo, e la tenevo nel frigo accanto all'Idrolitina.
Padroni del Cioccolato, fate confezioni meno ambigue: scatole rosse a forma di cuore, diciamo, o quelle rettangolari con i due tizi che si baciano appassionatamente. I tubi già no, con i tubi tendo a pensare "Guarda, un caleidoscopio" oppure "Conterrà forse un piccolo poster?"
Ma la bottiglia. Quella bottiglia è la vittoria dell'equazione nonserveauncazzo=forsesimangia sull'utile=bello. Inutile che ci scriviate sopra "Riserva Speciale di Dolci Messaggi" (blink blink blink), io penserò comunque che si tratti di spumante scadente con tappo di plastica e perlage orizzontale.
Il primo assomiglia in tutto e per tutto a un Bacio Perugina, solo che ha la forma e le dimensioni di una bottiglia di spumante da un litro. È blu e argento e reca il consueto stucchevole motivo stellato e la scritta "Riserva Speciale di Dolci Messaggi". Sai quell'aria disperata da avanzo, "sono dolcissimo, scadente, faccio tante bollicine, ho un retrogusto di solvente per smalto e probabilmente anche il tappo di plastica"? Ecco.
E ora chiedo scusa ai vegetariani per quello che sto per scrivere.
Il secondo mesto rappresentante della diaspora postnatalizia è un insaccato a me sconosciuto. Si chiama filzetta. Per fortuna ho il Food spammer, che di queste cose ne sa. Gli dico "Ascolta, da un mese ho una cosa in frigo che si chiama filzetta e c'è scritto suino 100%". E lui, il sublime intenditore, "Ma tu sei matta, è buonissima, aprila immediatamente". Immediatamente: erano le cinque del pomeriggio. High tea, proprio, altro che cucumber sandwiches.
– Guarda che non è tanto bella da vedere.
– Sei una dilettante.
– Sembra una pastetta sovietica.
– Mica si spalma.
– È morbida.
– È praticamente filetto.
– Mah.
– Cosa volevi che fosse, grana misto porcini?
– Qualche altro animale.
– Il maiale non ha il filetto, forse?
– Lo so, io?
– Il filetto è il vitello di 8 mesi, per lei.
– Ma tu lo sai che metto il sale fino nell'acqua della pasta?
Così vado in cucina, apro il frigo e comincio a fare tup tup tup sulla superficie del salume. Guardiamo in faccia la realtà: la filzetta che ho cercato su Google Images non assomiglia per niente alla mia. Al Food spammer però non dico nulla, magari se ne dimentica.
E invece, giorni dopo:
– Scommetto che stai ancora tastando la filzetta.
– Sì.
– Cosa aspetti ad assaggiarla?
Cosa aspetto. Magari esistono anche filzette infelici, dal colorito indeciso, con i nodini di grasso, come la mia.
Ormai il pellegrinaggio nel frigo è diventato un rito serale. Si fa tup tup tup, si annusa, si scuote il capo rassegnate e ci si versa un bicchiere di latte.
Ieri mentre prendevo il latte sono riuscita a far cadere la bottiglia Perugina. E sapete una cosa?
1. Era di plastica, con fondo svitabile.
2. Non conteneva spumante per alcolisti.
Da un mese e mezzo convivevo con una quantità di Baci in grado di risolvere qualsiasi emergenza emotiva di livello Alfa-Bravo, e la tenevo nel frigo accanto all'Idrolitina.
Padroni del Cioccolato, fate confezioni meno ambigue: scatole rosse a forma di cuore, diciamo, o quelle rettangolari con i due tizi che si baciano appassionatamente. I tubi già no, con i tubi tendo a pensare "Guarda, un caleidoscopio" oppure "Conterrà forse un piccolo poster?"
Ma la bottiglia. Quella bottiglia è la vittoria dell'equazione nonserveauncazzo=forsesimangia sull'utile=bello. Inutile che ci scriviate sopra "Riserva Speciale di Dolci Messaggi" (blink blink blink), io penserò comunque che si tratti di spumante scadente con tappo di plastica e perlage orizzontale.
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giovedì, gennaio 04, 2007
Food news
D.
– Sai che il solo pensiero del panettone mi disgusta?
– Mh?
– Sto diventando anoressica, secondo te?
– L'apple pie la prendi con il gelato o con la crema?
– Oggi sono più da gelato.
Il Guru del Dubbio
– Ehi, sai che ho messo su un chilo?
– Adesso posa il gatto e ripesati.
– Sai che il solo pensiero del panettone mi disgusta?
– Mh?
– Sto diventando anoressica, secondo te?
– L'apple pie la prendi con il gelato o con la crema?
– Oggi sono più da gelato.
Il Guru del Dubbio
– Ehi, sai che ho messo su un chilo?
– Adesso posa il gatto e ripesati.
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lunedì, dicembre 18, 2006
Vigilia 1.0, - 6 giorni
Dopo un allarme subito rientrato (era infatti emerso che non faccio uso di una bilancia per pesare gli alimenti, ed è stato necessario accordarsi sull'unità di misura, ora ufficialmente il pugnomir), il Food spammer dice che va meglio, che adesso mangio ma che bisogna ancora lavorare sui tempi. Non si può far durare un'ora ottanta grammi (tre pugnomiri) di farfalle, dice. C'è un limite.
Io gli ho chiesto in quale modo il tempo influisca, e lui ha detto semplicemente: "Influisce". Comincerò a preoccuparmi quando si presenterà con un fischietto e un cronometro.
Sono piccole ombre, queste, che non turbano il mio pacifico transfert e la sua cristallina fiducia nel potere taumaturgico delle penne rigate.
Ormai è tutto lavoro di rifinitura: per esempio, vada per lo yogurt grasso, ma dev'essere prodotto con latte munto da vacche felici (le sudtirolesi sono felici e pascolano perfettamente integrate nel loro contesto, le slovene sono macilente, depresse, compresse e troppo responsabilizzate); e la pasta meglio di una certa marca pressoché introvabile, e la spesa in generale meglio farla alla Coop, ma quella con le "o" tonde che per qualche motivo che non ricordo è di gran lunga preferibile a quella graficamente spigolosa. Insomma, a quanto pare finora ho vissuto in un mondo parallelo malevolo come la realtà alternativa di Silent Hill. E i mandarini, per carità, smettila di scaldarli nel microonde che ti sputtani la vitamina C. Così adesso quando mi viene voglia di un mandarino e lo prelevo dal frigo devo alzare il termostato e contribuire al riscaldamento globale, creando disagio anche alle vacche di Sand in Taufers (e no, non c'è ancora un grado di premeditazione sufficiente a far sì che io tolga dal frigo un tot di mandarini un tot di ore prima).
Di F. non gli ho neanche raccontato, perché lo metterebbe tra i contagiosi e gli infrequentabili. F., giorni fa, sapendo che avrebbe fatto tardi e che non avrebbe potuto cenare prima delle dieci, si è portato al lavoro un bagigio. E alla domanda perplessa "Ma un bagigio? Cosa vuoi che sia un bagigio?" lui ha risposto calmissimo "Dentro ce ne sono due, comunque".
Non glielo dico, di F., neanche per sogno. Poi si fissa.
Ma sono cose minime.
La vera catastrofe alimentare è un'altra. Oggi mi sono ricordata che la cena della Vigilia – per un motivo confuso e certamente legato a un episodio di spensieratezza alcolica – si farà qui. Si allunga e si apparecchia festosamente il tavolo, arrivano nove persone, ci si saluta, si fanno due convenevoli, si commenta la disdicevole assenza di tende qua e là a un anno dal trasloco, si osserva ammutoliti la perturbante mancanza di cuscini decorativi e di soprammobili, il tutto mentre il signor G. sfila con grazia anoressica sbuffando leggermente con il naso prima di scivolare in curva e sbattere goffamente contro una parete.
E infine si mangia. Voglio dire: queste brave persone vengono qui con l'intenzione di mangiare. E visto che è la vigilia vorranno mangiare di magro: che non significa mangiare poco, tipo due bagigi e un mandarino a testa, ma pietanze a base di pesce. Sushi escluso.
Io non so cucinare il pesce. So cucinare molto bene alcune cose, sono specializzata in piccole porzioni da mangiare lentamente in completo relax a orari strani. Non possiedo casseruole, pentole, teglie, coperchi. Io apro buste, scarto vaschette, scongelo, riscaldo. Faccio il pane. Punto. Dopo tutto, ho un passato da digiunatrice di quinto livello.
Mancano sei giorni, e oggi non lo conto: oggi sarà la giornata dedicata alla riflessione sui temi "cosa ho fatto di male?", "esiste forse un dio, ma soprattutto esistono pesci senza spine?" e "dov'è finito il numero della rosticceria?".
Penso alla mucca che mantengo felice a forza di comprare yogurt grassi certificati ISO e me la vedo che rumina spensierata nel tepore di un mondo pacificamente curvilineo, la maledetta, mentre io mi affanno a schivare gli spigoli.
Io gli ho chiesto in quale modo il tempo influisca, e lui ha detto semplicemente: "Influisce". Comincerò a preoccuparmi quando si presenterà con un fischietto e un cronometro.
Sono piccole ombre, queste, che non turbano il mio pacifico transfert e la sua cristallina fiducia nel potere taumaturgico delle penne rigate.
Ormai è tutto lavoro di rifinitura: per esempio, vada per lo yogurt grasso, ma dev'essere prodotto con latte munto da vacche felici (le sudtirolesi sono felici e pascolano perfettamente integrate nel loro contesto, le slovene sono macilente, depresse, compresse e troppo responsabilizzate); e la pasta meglio di una certa marca pressoché introvabile, e la spesa in generale meglio farla alla Coop, ma quella con le "o" tonde che per qualche motivo che non ricordo è di gran lunga preferibile a quella graficamente spigolosa. Insomma, a quanto pare finora ho vissuto in un mondo parallelo malevolo come la realtà alternativa di Silent Hill. E i mandarini, per carità, smettila di scaldarli nel microonde che ti sputtani la vitamina C. Così adesso quando mi viene voglia di un mandarino e lo prelevo dal frigo devo alzare il termostato e contribuire al riscaldamento globale, creando disagio anche alle vacche di Sand in Taufers (e no, non c'è ancora un grado di premeditazione sufficiente a far sì che io tolga dal frigo un tot di mandarini un tot di ore prima).
Di F. non gli ho neanche raccontato, perché lo metterebbe tra i contagiosi e gli infrequentabili. F., giorni fa, sapendo che avrebbe fatto tardi e che non avrebbe potuto cenare prima delle dieci, si è portato al lavoro un bagigio. E alla domanda perplessa "Ma un bagigio? Cosa vuoi che sia un bagigio?" lui ha risposto calmissimo "Dentro ce ne sono due, comunque".
Non glielo dico, di F., neanche per sogno. Poi si fissa.
Ma sono cose minime.
La vera catastrofe alimentare è un'altra. Oggi mi sono ricordata che la cena della Vigilia – per un motivo confuso e certamente legato a un episodio di spensieratezza alcolica – si farà qui. Si allunga e si apparecchia festosamente il tavolo, arrivano nove persone, ci si saluta, si fanno due convenevoli, si commenta la disdicevole assenza di tende qua e là a un anno dal trasloco, si osserva ammutoliti la perturbante mancanza di cuscini decorativi e di soprammobili, il tutto mentre il signor G. sfila con grazia anoressica sbuffando leggermente con il naso prima di scivolare in curva e sbattere goffamente contro una parete.
E infine si mangia. Voglio dire: queste brave persone vengono qui con l'intenzione di mangiare. E visto che è la vigilia vorranno mangiare di magro: che non significa mangiare poco, tipo due bagigi e un mandarino a testa, ma pietanze a base di pesce. Sushi escluso.
Io non so cucinare il pesce. So cucinare molto bene alcune cose, sono specializzata in piccole porzioni da mangiare lentamente in completo relax a orari strani. Non possiedo casseruole, pentole, teglie, coperchi. Io apro buste, scarto vaschette, scongelo, riscaldo. Faccio il pane. Punto. Dopo tutto, ho un passato da digiunatrice di quinto livello.
Mancano sei giorni, e oggi non lo conto: oggi sarà la giornata dedicata alla riflessione sui temi "cosa ho fatto di male?", "esiste forse un dio, ma soprattutto esistono pesci senza spine?" e "dov'è finito il numero della rosticceria?".
Penso alla mucca che mantengo felice a forza di comprare yogurt grassi certificati ISO e me la vedo che rumina spensierata nel tepore di un mondo pacificamente curvilineo, la maledetta, mentre io mi affanno a schivare gli spigoli.
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domenica, agosto 13, 2006
Tacchino nelle parti
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martedì, agosto 01, 2006
Come maltrattare Google e vivere felici/18
A questo proposito ho consultato il mio Food Spammer.
– Senti: cosa succede se non mangio carbiodrati? Carboidrati, scusa.
– Ad esempio perdi ogni competenza ortografica.
– Rispondi.
– Che cosa c'è, sotto? Non mangi carboidrati da quanto!
– Piantala e vai con lo scenario apocalittico.
– Si perde una fonte importante di glicogeno.
– Ah, il glicogeno! E il glicogeno c'entra con i muscoli. Si disfano i muscoletti.
– Brava, ogni tanto qualcosa la impari.
– E basta, tutto lì.
– Tutto lì, un cazzo.
– Cioè, se uno non mangia carbodrati si ritrova senza muscoli. Non riesco a scriverlo, carboidrati, oggi.
– Non è così semplice. Il corpo andrà a cercare altrove fonti di energia, dentro se stesso, con gravi danni. Te l'ho detto, quello è il primo sintomo.
– Ah, ok, e qui torna la vecchia storia fegato-milza. Va bene. Parte il fegato. Parte la milza. E si muore. Non subito.
– In lenta agonia.
– Lentissima. Tipo me a gennaio? Un fascio di nervi e di muscoli molli.
– Esatto. Un pesce gatto fuori dall'acqua.
– Ok, grazie.
– I braccini flaccidi li hai ancora.
– Grazie, basta così.
– E il cervello...
– Grazie!
mercoledì, luglio 19, 2006
Il chihuahua di Pavlov
Parliamo dei turisti israeliani, una giovane coppia con bambina piccola.
Mattino, spiaggia, silenzio. Sto leggendo un libro. Arrivano, si sistemano, portano la bambina a fare il bagno, la asciugano, le cambiano pannolino e costume. Tutto normale.
Poi tirano fuori il cibo. E impazziscono.
– Tarattatatà, canta lei.
– Chihuahua, fa lui.
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
E vanno avanti a urlare così per un bel po', raggiungendo l'apice con un "Chihuahua!" trionfale, che lascia a bocca aperta sia me sia la bambina: letteralmente, perché lo stupore dell'infanta è tale che gli sciagurati riescono a scaraventarle in bocca un cucchiaio pieno di poltiglia che immagino essere un immondo manzo-banana o mela-nasello.
Poi ricominciano:
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
Il cannoneggiamento va avanti per una decina di minuti, e si verifica con esasperante puntualità a ogni pasto. La creatura a diciott'anni saliverà ancora come il cane di Pavlov, quando le capiterà di ascoltare quella canzonetta.
Mattino, spiaggia, silenzio. Sto leggendo un libro. Arrivano, si sistemano, portano la bambina a fare il bagno, la asciugano, le cambiano pannolino e costume. Tutto normale.
Poi tirano fuori il cibo. E impazziscono.
– Tarattatatà, canta lei.
– Chihuahua, fa lui.
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
E vanno avanti a urlare così per un bel po', raggiungendo l'apice con un "Chihuahua!" trionfale, che lascia a bocca aperta sia me sia la bambina: letteralmente, perché lo stupore dell'infanta è tale che gli sciagurati riescono a scaraventarle in bocca un cucchiaio pieno di poltiglia che immagino essere un immondo manzo-banana o mela-nasello.
Poi ricominciano:
– Tarattatatà!
– Chihuahua!
Il cannoneggiamento va avanti per una decina di minuti, e si verifica con esasperante puntualità a ogni pasto. La creatura a diciott'anni saliverà ancora come il cane di Pavlov, quando le capiterà di ascoltare quella canzonetta.
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giovedì, maggio 25, 2006
Digiunatrice di quinto livello
– Hai pranzato?
– Adesso ti spiego.
Le mie scuse per non pranzare. Usate tutte, alcune di queste più volte, negli ultimi mesi di Food Spamming:
I carboidrati mi fanno girare la testa.
Nel film che ho visto ieri sera mangiavano sempre.
Scajola aveva detto che bisognava risparmiare sul gas.
Non posso aprire il frigorifero; ho visto muoversi qualcosa nel sacchetto delle zucchine.
Un bicchiere di latte conta come carboidrato?
E se ci aggiungo dello zucchero?
Ho un tostapane poco spazioso.
Una pasta alla Norma mi ha salvato la vita, da piccola, e ho giurato di non mangiarne mai più.
Questa insalata di pomodori mi ha seguita fino a casa. Posso mangiarla?
Da bambina i miei genitori mi dimenticarono in un Autogrill e io fui allevata da un Camogli. Non posso mangiare il prosciutto cotto, sarebbe cannibalismo.
Io ero convinta che fosse pesto. Invece era la maschera Cleopatra di Lush.
Il microonde fa uno strano rumore.
I crackers con lo spalmabile sono un signor pranzo.
Ho appena inghiottito per sbaglio il chewing-gum.
Mi hanno rubato il carrello con la spesa dentro.
Ho appena mangiato due mandarini.
– Adesso ti spiego.
Le mie scuse per non pranzare. Usate tutte, alcune di queste più volte, negli ultimi mesi di Food Spamming:
I carboidrati mi fanno girare la testa.
Nel film che ho visto ieri sera mangiavano sempre.
Scajola aveva detto che bisognava risparmiare sul gas.
Non posso aprire il frigorifero; ho visto muoversi qualcosa nel sacchetto delle zucchine.
Un bicchiere di latte conta come carboidrato?
E se ci aggiungo dello zucchero?
Ho un tostapane poco spazioso.
Una pasta alla Norma mi ha salvato la vita, da piccola, e ho giurato di non mangiarne mai più.
Questa insalata di pomodori mi ha seguita fino a casa. Posso mangiarla?
Da bambina i miei genitori mi dimenticarono in un Autogrill e io fui allevata da un Camogli. Non posso mangiare il prosciutto cotto, sarebbe cannibalismo.
Io ero convinta che fosse pesto. Invece era la maschera Cleopatra di Lush.
Il microonde fa uno strano rumore.
I crackers con lo spalmabile sono un signor pranzo.
Ho appena inghiottito per sbaglio il chewing-gum.
Mi hanno rubato il carrello con la spesa dentro.
Ho appena mangiato due mandarini.
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mercoledì, maggio 03, 2006
Karmafood
A Mirulandia non ci facciamo mancare niente. Abbiamo un signor gatto di nome G., un ex-pastore del Caucaso di nome Poligraf che brontola, scrive, legge e sa far di conto, tanti libri ovunque e ultimamente una foresta di rampicanti che studiano diligentemente da piante assassine.
Quello che non sapete è che da qualche mese abbiamo anche un Guru del Cibo. Il Guru del Cibo prima di conoscermi non sapeva di esserlo. Il Guru del Cibo, del resto, non sapeva neanche del mio rapporto disinvolto con il cibo. Per lui "Non mangio" era "Non sto mangiando in questo momento" e comunque sempre: "Mangio dopo".
Poi, alle due e un quarto di un freddo pomeriggio di gennaio, per puro caso si svolse questo dialogo:
– Che fai, mangi?
– No, non mangio.
– Non mangi. Non dirmi che hai ancora la cucina ingombra di pacchi per il trasloco.
– Non pranzo.
– Oggi?
– Mai, da circa sei mesi. Ceno.
– Ah.
– Ma poco.
È una di quelle cose che prima o poi bisogna dire. E come si fa a dirlo, senza dirlo?
Per decenni avevo digiunato in libertà per periodi più o meno lunghi, mentre tutti facevano educatamente finta di nulla. Di nulla, mentre la mattina mi vedevano aggiungere lo zucchero a milligrammi nel caffè (ogni mattina, la scoperta dello zucchero, con M. che commentava a bassa voce: "Quanto ne mette, oggi? Io scommetto su un quarto di cucchiaino") e staccare briciole da una brioche, quando assistevano alla lenta agonia di pizze martoriate e lasciate a raffreddare, quando magicamente le porzioni nel loro piatto raddoppiavano mentre le mie scomparivano, quando si accontentavano di un "passo dopo cena, mangio qualcosa prima" sapendo che quel qualcosa era un pacchetto di crackers o mezzo barattolo piccolo di Pringles. Poi arrivava l'estate e cominciava l'epoca dei cinque pomodorini a pranzo, una pesca nel pomeriggio. Ero felice. Non mangiare non era un modo per attirare l'attenzione, semmai il contrario. Io aspiro all'invisibilità. Per come la vedo io, chi non mangia è invisibile. Dimenticarsi di mangiare è sublime, ci vogliono anni di esercizio. Poi, per sembrare normali, si può sempre parlare di dieta.
Gennaio: tre mandarini nel pomeriggio e più tardi con calma un caffè. Felice.
– Così stanno le cose.
– Ah.
Pochi secondi di silenzio (tanto per riunire gli argomenti) e: "Lo stomaco si abitua a tutto, ma questo non ti fa bene"... "Lo stimolo della fame non è l'unico segnale da ascoltare"... "Dici di stare bene perché non vedi e non senti gli effetti nefasti"... Sì, usò la parola nefasti. Tutte cose già sentite, ovviamente.
– Lo sai cosa succede quando digiuni?
– Cosa succede, scommetto che lo stomaco si mangia da solo.
– Il tuo corpo si cannibalizza. Prima cerca i carboidrati, li esaurisce e passa ai grassi...
– Se non trova i grassi, viene a cercare il cervello con una P38?
– ... ma le persone come te [le persone come me!] praticamente non hanno riserve, e quindi passa alle proteine. E quali sono gli organi che vengono danneggiati?
– A questo punto il cervello di sicuro se la passa male.
– FEGATO e MILZA.
– I reni, tutto a posto?
– Ommadò.
Seguì la prima di una lunghissima serie di trattative estenuanti (carboidrati a pranzo, proteine a cena), di concessioni a denti stretti e di scuse surreali. Lui non lo sapeva ancora, ma aveva fatto l'upgrade da amico a pesante, didascalico, insistente Guru del Cibo. Potevo indicargli la via d'uscita più breve da Mirulandia oppure assecondarlo con il rischio di covarmi un transfert con i fiocchi. Il transfert tutto sommato poteva essere un diversivo.
[continua]
Quello che non sapete è che da qualche mese abbiamo anche un Guru del Cibo. Il Guru del Cibo prima di conoscermi non sapeva di esserlo. Il Guru del Cibo, del resto, non sapeva neanche del mio rapporto disinvolto con il cibo. Per lui "Non mangio" era "Non sto mangiando in questo momento" e comunque sempre: "Mangio dopo".
Poi, alle due e un quarto di un freddo pomeriggio di gennaio, per puro caso si svolse questo dialogo:
– Che fai, mangi?
– No, non mangio.
– Non mangi. Non dirmi che hai ancora la cucina ingombra di pacchi per il trasloco.
– Non pranzo.
– Oggi?
– Mai, da circa sei mesi. Ceno.
– Ah.
– Ma poco.
È una di quelle cose che prima o poi bisogna dire. E come si fa a dirlo, senza dirlo?
Per decenni avevo digiunato in libertà per periodi più o meno lunghi, mentre tutti facevano educatamente finta di nulla. Di nulla, mentre la mattina mi vedevano aggiungere lo zucchero a milligrammi nel caffè (ogni mattina, la scoperta dello zucchero, con M. che commentava a bassa voce: "Quanto ne mette, oggi? Io scommetto su un quarto di cucchiaino") e staccare briciole da una brioche, quando assistevano alla lenta agonia di pizze martoriate e lasciate a raffreddare, quando magicamente le porzioni nel loro piatto raddoppiavano mentre le mie scomparivano, quando si accontentavano di un "passo dopo cena, mangio qualcosa prima" sapendo che quel qualcosa era un pacchetto di crackers o mezzo barattolo piccolo di Pringles. Poi arrivava l'estate e cominciava l'epoca dei cinque pomodorini a pranzo, una pesca nel pomeriggio. Ero felice. Non mangiare non era un modo per attirare l'attenzione, semmai il contrario. Io aspiro all'invisibilità. Per come la vedo io, chi non mangia è invisibile. Dimenticarsi di mangiare è sublime, ci vogliono anni di esercizio. Poi, per sembrare normali, si può sempre parlare di dieta.
Gennaio: tre mandarini nel pomeriggio e più tardi con calma un caffè. Felice.
– Così stanno le cose.
– Ah.
Pochi secondi di silenzio (tanto per riunire gli argomenti) e: "Lo stomaco si abitua a tutto, ma questo non ti fa bene"... "Lo stimolo della fame non è l'unico segnale da ascoltare"... "Dici di stare bene perché non vedi e non senti gli effetti nefasti"... Sì, usò la parola nefasti. Tutte cose già sentite, ovviamente.
– Lo sai cosa succede quando digiuni?
– Cosa succede, scommetto che lo stomaco si mangia da solo.
– Il tuo corpo si cannibalizza. Prima cerca i carboidrati, li esaurisce e passa ai grassi...
– Se non trova i grassi, viene a cercare il cervello con una P38?
– ... ma le persone come te [le persone come me!] praticamente non hanno riserve, e quindi passa alle proteine. E quali sono gli organi che vengono danneggiati?
– A questo punto il cervello di sicuro se la passa male.
– FEGATO e MILZA.
– I reni, tutto a posto?
– Ommadò.
Seguì la prima di una lunghissima serie di trattative estenuanti (carboidrati a pranzo, proteine a cena), di concessioni a denti stretti e di scuse surreali. Lui non lo sapeva ancora, ma aveva fatto l'upgrade da amico a pesante, didascalico, insistente Guru del Cibo. Potevo indicargli la via d'uscita più breve da Mirulandia oppure assecondarlo con il rischio di covarmi un transfert con i fiocchi. Il transfert tutto sommato poteva essere un diversivo.
[continua]
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