[Tradotto perché molto divertente e perché Andrej Kolesnikov del Kommersant fa parte delle numerose debolezze del Miro. Anche perché la frase su Gandhi è stata, a quanto pare, un grande, grottesco momento VVP].
Il bollente menù di Putin
I giornalisti dei paesi del G8 a cena con il presidente russo
di
Andrej Kolesnikov
Originale: Kommersant
Venerdì il presidente russo Vladimir Putin ha concesso un'intervista ai giornalisti dei paesi del G8. L'inviato speciale del Kommersant
, Andrej Kolesnikov, che era uno dei partecipanti, racconta la drammatica storia della nuotata di Putin nelle acque pericolose dei media internazionali. Adesso ci manca solo la drammatica storia della decisione di Putin di estendere il suo mandato a sette anni.
Il presidente ha ospitato l'incontro con la stampa, organizzato secondo il principio "un giornalista per ogni paese" nella sua residenza di Novo-Ogarevo, nei pressi di Mosca. Il più noto tra i giornalisti era il direttore di
Der Spiegel Stefan Aust, che è stato al centro del momento saliente dell'intervista e anche del maggiore problema che si è presentato. Gli altri partecipanti erano Franco Venturini del
Corriere della Sera, Bronwen Maddox del
British Times, l'inviato del giapponese
Nihon Keizai Shimbun Yatsusiko Ota, Pierre Rousselin di
Le Figaro, Doug Saunders dell'edizione europea del
Canadian Globe and Mail e Gregory White della redazione moscovita del
Wall Street Journal.
Abbiamo atteso il presidente per circa due ore, per lo più passate a concordare la data di pubblicazione dell'intervista. Idealmente l'intervista avrebbe dovuto essere pubblicata da tutte le testate contemporaneamente, un'impresa che è apparsa subito quasi impossibile dato che
Der Spiegel, per esempio, esce il lunedì e che gli altri giornali avrebbero voluto dare almeno un'anticipazione il sabato.
I membri del servizio stampa del presidente Putin hanno faticato a convincere gli altri partecipanti ad aspettare lo
Spiegel. Quando finalmente tutti i giornalisti presenti nella stanza hanno giurato solennemente che l'intervista non sarebbe apparsa prima di lunedì mattina, il signor Aust è stato trattato con una certa ostilità dai colleghi.
Il più indignato per l'accordo era il signor Venturini del
Corriere della Sera. In quel momento mi è parso che il tipo non fosse del tutto affidabile. Ha guardato il tedesco come se volesse incenerirlo. Cosa che in un certo senso, come poi si è visto, ha fatto.
Quella sera Vladimir Putin non aveva, per così dire, un aspetto riposato. Quando i giornalisti si sono messi in fila per salutarlo uno per uno, prima di sedersi al tavolo, mi è sembrato perfino un po' turbato, cosa insolita all'inizio di un'intervista. Poi mi sono ricordato che era appena tornato da una visita a Naina Josifovna El'cin, dato che il 1° giugno segnava la fine dei quaranta giorni di lutto per la morte del primo presidente russo.
I giornalisti hanno appoggiato i registratori sul tavolo. La conversazione è cominciata nell'ufficio del signor Putin, al primo piano dell'ala destinata agli ospiti della residenza presidenziale. Tuttavia, molto prima che l'incontro cominciasse avevo intravisto il famoso ristoratore moscovita Arkadij Novikov e avevo capito che la serata non sarebbe trascorsa senza una buona cena fortificante.
Il signor Putin ha tenuto un breve discorso introduttivo, ha risposto a tre domande (i giornalisti avevano concordato anche chi di loro avesse dovuto cominciare), e poi ci ha invitati tutti al piano di sopra a mangiare.
Mentre i miei colleghi salivano le scale mi sono accorto che erano già molto contenti. Anzi, mi è sembrato perfino che tre di loro sarebbero stati soddisfatti se l'intervista fosse finita lì. Erano quelli che avevano posto le prime tre domande. Salendo siamo passati accanto ai colleghi che erano venuti a dare il loro appoggio morale ai partecipanti all'intervista. Erano seduti al secondo piano, davanti a un monitor che trasmetteva in diretta dall'ufficio del presidente. I giornalisti hanno salutato con gesto dolente i colleghi, come se si trattasse di amici e familiari di condannati ai lavori forzati in Siberia. Ho pensato allora che forse alcuni dei partecipanti all'intervista non escludevano una simile eventualità.
Sul tavolo c'erano solo i menù. Leggendo il mio ho appreso che avremmo consumato "tartara di branzino con caviale nero, gazpacho con granchio, filetto di rombo e risotto con asparagi, petto d'anatra con fave e uva spina e zuppa di fragoline". Ho trovato quest'ultimo piatto particolarmente interessante. Sono stati poi proposti alla nostra attenzione un Tignanello Chianti del 2003 e un Terre Alte Friuli del 2004. All'improvviso non avevamo più alcuna fretta.
La conversazione è continuata, anche se non direi che il signor Putin ne fosse enormemente entusiasta. I giornalisti dovevano porre le domande in senso orario, ma alcuni di loro - evitando accuratamente di incontrare lo sguardo degli altri - hanno colto l'occasione per porre due e anche tre domande alla volta. Il presidente ha soddisfatto metodicamente la loro curiosità, ma nelle sue parole non ho trovato né un occasionale guizzo d'ingegno né un minimo d'entusiasmo. Ho capito che aveva da tempo preparato le risposte a ciascuna di queste domande e che probabilmente si annoiava. Nella successiva ora e mezza si è animato solo un paio di volte.
Però a un certo punto il direttore dello
Spiegel ha chiesto al presidente russo se si considera davvero un autentico democratico, come lo ha definito l'ex-cancelliere tedesco Gerhard Schroeder. Questa domanda gli era già stata posta giorni fa al vertice UE-Russia a Samara, e ho pensato che il presidente si sarebbe spento del tutto. Invece abbiamo ricevuto la risposta dell'anno: "Dopo la morte del Mahatma Gandhi, non è rimasto nessuno con cui parlare".
Prima di allora il signor Putin, rispondendo, non aveva mai sorriso. Ma pronunciando queste parole ha spalancato gli occhi in modo insolito, cosa che poi ha permesso ai colleghi di parlare entusiasticamente di come avesse affrontato seriamente quella domanda e di quale considerazione abbia di se stesso. Inoltre quello che era stato detto è parso, senza esagerare, di un'ironia diabolica, proprio perché fino a quel momento il presidente non aveva sorriso neanche una volta.
Poi ha risposto alla mia domanda sul divieto d'esportazione di materiali biologici (il
Kommersant ne sta scrivendo da diversi giorni). Il signor Putin ha concordato solo sul fatto che il processo non è sufficientemente regolamentato dal punto di vista legale, ed è apparso perplesso a proposito dell'utilità di mandare all'estero campioni di sangue e tessuti per farli analizzare. È stato perfino necessario promettere di fornire delle statistiche, cosa che faremo (tentar non nuoce).
In seguito, dopo l'intervista, ho saputo che il signor Putin era interessato a quell'informazione molto più di quanto avesse lasciato trasparire. Apparentemente le regole per l'uscita dei materiali biologici dal paese verranno elaborate per sua raccomandazione in pochi giorni e non in settimane o mesi come accade spesso per tali questioni.
Nel frattempo però l'intervista era andata avanti per più di due ore, e a un certo punto il signor Putin ha esclamato: "Ma che ore sono? Le 11.30?! Mi state torturando! Bisogna concludere!" Come rendendosi conto di quello che aveva detto, ha aggiunto rapidamente: "O piuttosto sono io che sto torturando voi. Comunque bisogna concludere".
"È d'accordo sul fatto che l'Iran debba possedere armi nucleari?" ha domandato un giornalista.
"Sono completamente d'accordo," ha detto frettolosamente il presidente, dedicandosi alla sua zuppa di fragoline, uno strano ma saporito miscuglio di acqua, fragoline fresche e qualcos'altro che faceva sì che Vladimir Putin trangugiasse avidamente il tutto. Anzi, mentre il presidente rispondeva svogliatamente a una domanda sul destino travagliato dell'Aeroflot, un cameriere ha chiesto se poteva portare via i resti della zuppa, ricevendo il divieto categorico del signor Putin: "La gelatina la lasci qui."
L'entusiasmo del signor Putin per le fragoline era ben più grande di quello suscitato dal fuoco di fila delle domande dei giornalisti, che alla fine si sono dimenticati di ogni regola e hanno cominciato a interrompersi a vicenda, con il giornalista italiano che reggeva sopra la testa con entrambe le mani un foglio di carta con su scritto in inglese "Anch'io ho una domanda!"
Verso la fine dell'intervista il presidente ha annunciato che sarebbe stato "accettabile" estendere il mandato del presidente da quattro a cinque anni, e forse addirittura a sette. Ne ha perfino spiegato il perché, e ha cominciato a lasciarsi andare e a rilassarsi mentre la conversazione volgeva al termine.
Forse era perché si era aspettato altre domande oltre a quella di protocollo sul destino di Andrej Lugovoj, come pure le domande rituali sull'omicidio di Anna Politkovskaja, sulla Cecenia e Beslan. Domande che non sono mai arrivate. I giornalisti erano interessati ad altro. Il collega giapponese si è lamentato che il bando dell'esportazione della polpa di granchio significa che i giapponesi non potranno disporre di polpa di granchio sufficiente per il sushi, anche se il presidente ha dichiarato di preferire di gran lunga il tonno.
Alla fine il signor Putin ha esercitato la propria autorità per portare al termine la conversazione, poco dopo la mezzanotte. Il signor Aust di
Der Spiegel è corso dai suoi colleghi al secondo piano, intenti a dettare furiosamente per l'edizione di lunedì le risposte del presidente al loro direttore.
All'uscita tutti hanno nuovamente concordato sull'embargo fino a lunedì mattina, e tutti hanno nuovamente guardato male il signor Aust.
Il giorno successivo, il sito internet di
Der Spiegel preannunciava l'intervista, di fatto pubblicando estesamente le risposte del signor Putin alle questioni più calde e violando così l'accordo. Alla mossa tedesca hanno subito reagito i giornalisti del
Corriere della Sera, che domenica hanno deciso di offrire la versione completa della conversazione. Alla fine, solo il coraggioso servizio stampa del presidente russo è riuscito a rispettare l'embargo quasi fino a lunedì.