MOTHO KE MOTHO KA BATHO BABANG
(Una persona è una persona perché ci sono altre persone)
Se allungo lo specchio fuori della finestra vedo
chiaramente fino in fondo al corridoio.
Laggiù c'è una persona.
Un prigioniero che lucida una maniglia.
Nello specchio lo vedo che vede
la mia faccia nello specchio.
Vedo le punte delle dita della mano libera
Riunirsi a formare
Un oggetto grande come un distintivo
Che gli sale su fino alla fronte
Sede di un berretto immaginario.
(Vuol dire: Un guardiano.)
Due dita si allungano a “v”
E tremano come due antenne.
(Lo stanno guardando.)
Un dito della mano libera traccia una lancetta di orologio che compie un arco
Sul polso del braccio che sta lucidando senza
Interrompere il ritmo lento del suo lavoro.
(Più tardi. Forse più tardi possiamo parlare.)
Ehi! Che cazzo fai?
- una voce da dietro l'angolo.
No, baas, sto solo lucidando.
Mi volta le spalle, ora vedo
La mano libera, quella loquace,
scivolargli quieta dietro la schiena
- Forza fratello, dice,
Dentro il mio specchio,
Un pugno nero.
Da Inside (1983), pubblicato in Italia da Supernova, Venezia 1991.
Jeremy Cronin, nato nel 1949, comunista, scrittore e attivista sudafricano bianco, ha partecipato alle lotte degli anni Settanta e Ottanta contro l'apartheid; ha composto le poesie della raccolta Inside (Dentro) durante gli anni di carcere nella prigione municipale di Pretoria. È attualmente vice ministro dei trasporti della Repubblica Sudafricana.
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giovedì, febbraio 11, 2010
lunedì, aprile 27, 2009
Di grotte e linguisti
LA GROTTA
Voglio che tu
soppesi distinguendo
suono
da suono
che onori parlando
(e a volte scartando)
e scavi, tossisca
breccia, roccia, sedimento
strato dopo strato
in questa
bocca o
grotta della parola
radici, ossa d'uccelli,
gusci di significato
lasciati nelle nostre bocche
da millenni di
occupazione umana.
CAVE-SITE
I want you
to prise carefully
sound
from sound
to honour by speaking
(and sometimes to discard)
to lift, cough
breccia, rock, sediment
layer through layer
in this
mouth or
cave-site of word
roots, birdbone,
shells of meaning
left in our mouths
by thousands of years of
human occupation.
Jeremy Cronin, "Cave-Site", Venture to the interior
***
Due etnografi girano il mondo - dall'India alla Bolivia alla Siberia all'America - alla ricerca di lingue in pericolo e in via d'estinzione: il documentario The Linguists, della durata di poco più di un'ora, è disponibile per intero almeno per qualche giorno qui: http://www.babelgum.com/html/clip.php?clipId=3016880. Se capite almeno un po' l'inglese (ma molte situazioni si basano sull'incontro con lingue a malapena comprensibili, e sulla constatazione ironica e a tratti struggente della difficoltà di comunicazione) ve lo consiglio, a me è piaciuto molto.
via Languagelog
Voglio che tu
soppesi distinguendo
suono
da suono
che onori parlando
(e a volte scartando)
e scavi, tossisca
breccia, roccia, sedimento
strato dopo strato
in questa
bocca o
grotta della parola
radici, ossa d'uccelli,
gusci di significato
lasciati nelle nostre bocche
da millenni di
occupazione umana.
CAVE-SITE
I want you
to prise carefully
sound
from sound
to honour by speaking
(and sometimes to discard)
to lift, cough
breccia, rock, sediment
layer through layer
in this
mouth or
cave-site of word
roots, birdbone,
shells of meaning
left in our mouths
by thousands of years of
human occupation.
Jeremy Cronin, "Cave-Site", Venture to the interior
***
Due etnografi girano il mondo - dall'India alla Bolivia alla Siberia all'America - alla ricerca di lingue in pericolo e in via d'estinzione: il documentario The Linguists, della durata di poco più di un'ora, è disponibile per intero almeno per qualche giorno qui: http://www.babelgum.com/html/clip.php?clipId=3016880. Se capite almeno un po' l'inglese (ma molte situazioni si basano sull'incontro con lingue a malapena comprensibili, e sulla constatazione ironica e a tratti struggente della difficoltà di comunicazione) ve lo consiglio, a me è piaciuto molto.
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venerdì, marzo 23, 2007
Di premi, santi, poeti, alberi e foto mai scattate
Insomma, eccomi: un donnino di formato tascabile, sconosciuto alla maggioranza dei presenti e premiato per un blog. Sul manifesto stavo in mezzo ai nomi di persone di ben altro spessore e impegno; insomma, sembravo un fotomontaggio.
In più sono un animale timido, e avevo deciso solo all'ultimo di andarci sul serio e di approfittarne per rivedere Napoli.
Mia suocera, senza peraltro capire di che si trattasse, mi aveva comunicato:
1. "La Chiesa dell'Incoronata! Mia madre era devota alla Madonna dell'Incoronata!" (naturalmente sarebbe stato lo stesso se avessi nominato la Madonna della Sfogliatella o Santa Maria della Burrata).
2. "Pregherò Sant'Espedito, non si sa mai". Sant'Espedito è il santo personale di mia suocera, quello delle cause urgenti e disperate. Capirete che siamo in pieno paganesimo di ritorno.
Fratellobbuono aveva commentato: "Ma dai, ci sarà un bambino che ti accompagnerà a ritirare il premio? Bellissimo. Sarà più alto di te, come faranno a capire la differenza?"
La mia amica Damiana: "Guarda che se andiamo negli Stati Uniti la devi dichiarare, la Mezzaluna. C'è il rischio che non ti facciano entrare, io per sicurezza ti farei viaggiare in stiva" e "Quand'è che vinci il Big Ben d'Oro? A Londra ti ci accompagno, sai".
Poligraf: "Signora Miru, lo sa che per il volo Trieste-Napoli usano un Canadair? Di quelli che spengono gli incendi sul Carso, sicuro. Viaggi leggera, mi raccomando".
Lì alla Chiesa dell'Incoronata il clima era bello, erano tutti rilassati, c'era pure della buona musica. E io che dovevo fare? Ho parlato velocissimo (credo di aver nominato pure voi, e il fatto che nel tempo si è formata una specie di comunità affettiva, non gerarchica, poco virtuale, e che il blog è il prodotto di tutto questo), e poi ho letto una poesia di Jeremy Cronin.
Jeremy Cronin è un sudafricano bianco che ha partecipato alle lotte degli anni Settanta e Ottanta contro l'apartheid; ha composto le poesie della raccolta Inside/Dentro durante gli anni di carcere nella prigione municipale di Pretoria. Ho scelto una di queste, perché il 21 marzo era la giornata internazionale contro il razzismo, perché Jeremy Cronin merita di essere conosciuto, perché parla di lotta, di resistenza, della necessità di ricordare, della condivisione di codici comuni, di affetto per i compagni.
È, molto semplicemente, una poesia che descrive una foto mai scattata accanto a un albero che non c'è più.
Il contesto: in Sud Africa i prigionieri politici non avevano la possibilità di ricevere notizie dall'esterno, e imparavano presto a ipotizzare elaborate (e spesso fantasiose) versioni su quello che accadeva fuori, soprattutto osservando attentamente le espressioni e i comportamenti dei carcerieri.
Un giorno i guardiani sradicarono un albero di fico che stava al centro del cortile dell'aria. I prigionieri accolsero quell'atto brutale, gratuito e inutile come il segno che fuori era accaduto qualcosa di importante. Solo un anno dopo riuscirono a capire di che si trattava.
Da allora, il posto dove un giorno c'era stato quell'albero è diventato il punto in cui si celebravano anniversari importanti come il primo maggio, il Giorno di Soweto, il Giorno degli Eroi, e l'anniversario stesso dell'eliminazione dell'albero.
Foto di gruppo a Pretoria Local nell'occasione di un quarto anniversario (mai scattata)
Un albero divelto lascia
dietro a sé un buco per terra
Ma pochi mesi dopo
Dovevi essere tu a sapere
che lì era cresciuto qualcosa.
E una persona divelta?
Lascia un buco anche quella, penso, ma poi
qualche anno dopo...
Eccoci qui
seduti in cerchio,
Per lo più in braghette, alcuni scalzi,
Attorno al punto dove quattro anni prima
Quando le truppe sudafricane furono respinte davanti a Luanda
Il nostro fico venne abbattuto
per ripicca. - Quello è Raymond
Che mi fa segno, indicandomi
Dave K che guarda pensoso
Verso l'obiettivo. Denis siede su una lattina
Di petrolio capovolta. Quando l'istantanea fu scattata
Doveva aver fatto
17 anni della sua prima
Condanna all'ergastolo.
Dietro, David R sta dicendo
Qualcosa a John, che guarda Tony che
Scuote la mano di scatto
per cui in parte è mossa.
Eccoci, sette di noi
(ma perché quel sorriso?)
Sette di noi, seduti in cerchio,
Il posto vuoto al centro
indica quello che è successo
Ben fuori dalla cornice della foto.
Allora SORRIDI adesso, sta' fermo e
clic
Le do un nome: Luanda.
Perché certo un albero divelto
lascia dietro a sé un buco per terra.
Qualche anno dopo
Dovevi essere tu a sapere
che un tempo era qui. E una persona?
Eccoci
seduti nel nostro cerchio, sorridenti,
per lo più in braghette,
alcuni scalzi.
Jeremy Cronin, Inside/Dentro, pubblicato in Italia da Supernova nel 1991, a cura di Armando Pajalic.
Questo è più o meno quello che ho farfugliato nella luce calante del pomeriggio, con l'aiuto di Sant'Espedito. Sono una causa urgente e disperata, io.
In più sono un animale timido, e avevo deciso solo all'ultimo di andarci sul serio e di approfittarne per rivedere Napoli.
Mia suocera, senza peraltro capire di che si trattasse, mi aveva comunicato:
1. "La Chiesa dell'Incoronata! Mia madre era devota alla Madonna dell'Incoronata!" (naturalmente sarebbe stato lo stesso se avessi nominato la Madonna della Sfogliatella o Santa Maria della Burrata).
2. "Pregherò Sant'Espedito, non si sa mai". Sant'Espedito è il santo personale di mia suocera, quello delle cause urgenti e disperate. Capirete che siamo in pieno paganesimo di ritorno.
Fratellobbuono aveva commentato: "Ma dai, ci sarà un bambino che ti accompagnerà a ritirare il premio? Bellissimo. Sarà più alto di te, come faranno a capire la differenza?"
La mia amica Damiana: "Guarda che se andiamo negli Stati Uniti la devi dichiarare, la Mezzaluna. C'è il rischio che non ti facciano entrare, io per sicurezza ti farei viaggiare in stiva" e "Quand'è che vinci il Big Ben d'Oro? A Londra ti ci accompagno, sai".
Poligraf: "Signora Miru, lo sa che per il volo Trieste-Napoli usano un Canadair? Di quelli che spengono gli incendi sul Carso, sicuro. Viaggi leggera, mi raccomando".
Lì alla Chiesa dell'Incoronata il clima era bello, erano tutti rilassati, c'era pure della buona musica. E io che dovevo fare? Ho parlato velocissimo (credo di aver nominato pure voi, e il fatto che nel tempo si è formata una specie di comunità affettiva, non gerarchica, poco virtuale, e che il blog è il prodotto di tutto questo), e poi ho letto una poesia di Jeremy Cronin.
Jeremy Cronin è un sudafricano bianco che ha partecipato alle lotte degli anni Settanta e Ottanta contro l'apartheid; ha composto le poesie della raccolta Inside/Dentro durante gli anni di carcere nella prigione municipale di Pretoria. Ho scelto una di queste, perché il 21 marzo era la giornata internazionale contro il razzismo, perché Jeremy Cronin merita di essere conosciuto, perché parla di lotta, di resistenza, della necessità di ricordare, della condivisione di codici comuni, di affetto per i compagni.
È, molto semplicemente, una poesia che descrive una foto mai scattata accanto a un albero che non c'è più.
Il contesto: in Sud Africa i prigionieri politici non avevano la possibilità di ricevere notizie dall'esterno, e imparavano presto a ipotizzare elaborate (e spesso fantasiose) versioni su quello che accadeva fuori, soprattutto osservando attentamente le espressioni e i comportamenti dei carcerieri.
Un giorno i guardiani sradicarono un albero di fico che stava al centro del cortile dell'aria. I prigionieri accolsero quell'atto brutale, gratuito e inutile come il segno che fuori era accaduto qualcosa di importante. Solo un anno dopo riuscirono a capire di che si trattava.
Da allora, il posto dove un giorno c'era stato quell'albero è diventato il punto in cui si celebravano anniversari importanti come il primo maggio, il Giorno di Soweto, il Giorno degli Eroi, e l'anniversario stesso dell'eliminazione dell'albero.
Foto di gruppo a Pretoria Local nell'occasione di un quarto anniversario (mai scattata)
Un albero divelto lascia
dietro a sé un buco per terra
Ma pochi mesi dopo
Dovevi essere tu a sapere
che lì era cresciuto qualcosa.
E una persona divelta?
Lascia un buco anche quella, penso, ma poi
qualche anno dopo...
Eccoci qui
seduti in cerchio,
Per lo più in braghette, alcuni scalzi,
Attorno al punto dove quattro anni prima
Quando le truppe sudafricane furono respinte davanti a Luanda
Il nostro fico venne abbattuto
per ripicca. - Quello è Raymond
Che mi fa segno, indicandomi
Dave K che guarda pensoso
Verso l'obiettivo. Denis siede su una lattina
Di petrolio capovolta. Quando l'istantanea fu scattata
Doveva aver fatto
17 anni della sua prima
Condanna all'ergastolo.
Dietro, David R sta dicendo
Qualcosa a John, che guarda Tony che
Scuote la mano di scatto
per cui in parte è mossa.
Eccoci, sette di noi
(ma perché quel sorriso?)
Sette di noi, seduti in cerchio,
Il posto vuoto al centro
indica quello che è successo
Ben fuori dalla cornice della foto.
Allora SORRIDI adesso, sta' fermo e
clic
Le do un nome: Luanda.
Perché certo un albero divelto
lascia dietro a sé un buco per terra.
Qualche anno dopo
Dovevi essere tu a sapere
che un tempo era qui. E una persona?
Eccoci
seduti nel nostro cerchio, sorridenti,
per lo più in braghette,
alcuni scalzi.
Jeremy Cronin, Inside/Dentro, pubblicato in Italia da Supernova nel 1991, a cura di Armando Pajalic.
Questo è più o meno quello che ho farfugliato nella luce calante del pomeriggio, con l'aiuto di Sant'Espedito. Sono una causa urgente e disperata, io.
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