Auditorium di Ramadi. Gli arabi sunniti dicono di esser lì per un unico motivo, e cioè sentir parlare di ritiro statunitense. I militari americani invece sono lì per incoraggiare i capi tribali a entrare nell'esercito iracheno.
"Incredibile", commenta il capitano Nash, comandante dei marines a Ramadi, riferendosi ai capi sunniti che affollano la sala. "Sono venuti, e non avevo mai assistito a una cosa del genere." Un giornalista iracheno gli ha risposto: "Ai tempi di Saddam avrebbero sacrificato una pecora per visite come questa. Oggi penso che potrebbero macellare voi."
Frasi notevoli pronunciate dai leader sunniti:
"Vogliamo il ritiro."
"Crediamo che questa sia un'occupazione illegittima, e che la resistenza sia legittima."
"Rendiamo onore al popolo americano perché dopo aver visto la televisione via satellite sappiamo che è pronto ad andarsene."
"La gente di Fallujah ama Cindy Sheehan."
Frasi notevoli pronunciate dagli ufficiali statunitensi e iracheni:
"Siamo coinvolti nel problema del ritiro."
"La cosa migliore che possiate fare è convincere i vostri figli a entrare nell'esercito e nella polizia." Eccetera.
Tradurre è un po' tradire, e il fatto che gli interpreti degli Stati Uniti siano stati accuratamente scelti tra arabi non iracheni accentua il problema e favorisce le incomprensioni: mentre in sala si alzano le grida di insoddisfazione e qualcuno comincia a puntare loro il dito contro, gli americani sono ancora convinti che si tratti "di un incontro molto utile".
Dice il brigadier generale Williams della seconda divisione dei marines:
"Siamo qui per risolvere i problemi. Sono problemi complessi. Non esistono soluzioni facili, ma esistono delle soluzioni."
Traduzione dell'interprete, un libanese ormai stanco dopo cinque ore di estenuanti colloqui: "Non ho tempo da perdere. Anche se voi avete tempo da perdere, non è giornata."
"Può funzionare," ha commentato un generale iracheno, comandante dell'esercito già ai tempi di Saddam, a incontro terminato.
In effetti, i marines non hanno fatto la fine della pecora.
Fonte: "U.S. Debate on Pullout Resonates As Troops Engage Sunnis in Talks", Washington Post.
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giovedì, dicembre 01, 2005
Un incontro costruttivo
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martedì, novembre 29, 2005
I SEALS lo facevano meglio
Questi sono lunghi estratti da una recente intervista di Amy Goodman di Democracy Now a Tony Lagouranis, ex-specialista addetto agli interrogatori dell'esercito americano. Una decina di giorni fa l'ho tradotta velocemente per farla leggere a un amico. Pensavo che presto ne avrebbero parlato giornali e blog, ma non ha ricevuto l'attenzione che avrebbe meritato (o almeno, non in Italia). Per questo oggi ho deciso di riportarne sul blog alcune parti, soprattutto quelle in cui Lagouranis descrive alcune tecniche di interrogatorio, quello che vide a Fallujah e i metodi usati dai marines Force Recon alla base di North Babel.
GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?
LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.
GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?
LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?
LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.
GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?
LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.
GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?
LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.
GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?
LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.
GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?
LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.
GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?
LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.
[...]
GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?
LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.
[...]
GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Cosa faceva laggiù?
LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.
GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?
LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.
GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?
LAGOURANIS: 500.
GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?
LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.
GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?
LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.
GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?
LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.
GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?
LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...
GOODMAN: E lei cosa diceva?
LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.
GOODMAN: E le donne e i bambini?
LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.
GOODMAN: Ne avete discusso?
LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.
GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?
LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.
GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?
LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.
[...]
A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.
GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?
LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.
GOODMAN: E cosa raccontavano?
LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.
GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?
LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.
GOODMAN: Perché era bollente?
LAGOURANIS: Esatto.
GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?
LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.
GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?
LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...
GOODMAN: Che intende dire?
LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.
GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?
LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.
[...]
GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?
LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.
GOODMAN: Be'..
LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.
GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?
LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.
Fonte: Democracy Now!
--------------------------------------------
Perché voi valete:
Palette Model'Eyes con quattro ombretti e una base per attenuare le occhiaie e illuminare lo sguardo, mascara Extreme ("extension immediata"), fondotinta Sensual Clone, fard Joues Contrast rosa, sulle labbra Wet Cream Lipgloss n° 13.
GOODMAN: Tony, può parlarci dell'uso dei cani?
LAGOURANIS: Usavamo i cani nel centro di detenzione di Mosul, che si trovava all'aeroporto di Mosul. Mettevamo il prigioniero in un container. Lo tenevamo sveglio tutta la notte con musica e luci stroboscopiche, in posizioni di sforzo, e poi portavamo dentro i cani. Il prigioniero era bendato e non poteva sapere cosa stava succedendo, ma noi tenevamo a bada il cane. Veniva tenuto al guinzaglio da un addestratore, e aveva una museruola, così non poteva fare del male al prigioniero. È stata la sola volta che ho visto usare cani in Iraq.
GOODMAN: Il prigioniero sapeva che il cane portava la museruola?
LAGOURANIS: No, perché era bendato. Il cane abbaiava e saltava addosso al prigioniero, e il prigioniero non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
GOODMAN: Cosa pensava di questa pratica?
LAGOURANIS: Be', sapevo che rischiavamo di passare il limite, e controllavo le regole da rispettare durante gli interrogatori che mi erano state date dall'unità con cui lavoravo, cercando di capire cosa fosse legale e cosa non lo fosse. Secondo queste regole di ingaggio, era legale. Per cui, quando mi ordinavano di farlo dovevo farlo. Sa, per quanto riguarda quel che io ne pensavo, e se pensavo che fossero buone pratiche di interrogatorio, no, non lo credevo proprio. Non abbiamo mai ricavato alcuna informazione utile.
GOODMAN: A questo punto, quando lei si trovava là, vennero fuori le foto. O per lo meno cominciarono a circolare tra i soldati. Vide quelle foto?
LAGOURANIS: Vidi solo le foto che uscirono sulla stampa. Ero là a usare i cani proprio quando è scoppiato lo scandalo. Ma non credo che quelle foto circolassero tra i soldati. Voglio dire, io di certo non le ho viste prima che le mostrassero a 60 minutes.
GOODMAN: E quando le ha viste, e lei stesso era impegnato in quella pratica, quali furono i suoi pensieri?
LAGOURANIS: Credo che la mia prima reazione sia stata che si trattasse di mele marce, e questa era la linea ufficiale della Casa Bianca, e sa, è strano che non le avessi collegate con quello che facevamo noi. Usavamo metodi piuttosto violenti con i prigionieri. Avevo visto altre unità usare metodi severi, ma non li collegai allo scandalo. Era come se... non lo so, perché. Non lo so.
GOODMAN: Cosa intende per metodi piuttosto violenti?
LAGOURANIS: Be', eravamo un centro di detenzione militare, e ricevevamo i prigionieri da altre unità che arrestavano delle persone laggiù. Per esempio i Navy SEALS.
Quando interrogavano, i Navy SEALS usavano acqua ghiacciata per abbassare la temperatura del corpo del prigioniero e gli misuravano la temperatura per via rettale, per essere sicuri che non morisse. Io questo non l'ho visto, ma mi è stato detto da molti, moltissimi prigionieri che erano stati nel campo dei SEAL, e l'ho anche sentito raccontare da una guardia che lavorava da noi, e che era stata presente a un interrogatorio dei SEAL.
GOODMAN: Dov'era il campo dei SEAL?
LAGOURANIS: Nello stesso posto. All'aeroporto di Mosul, ma io personalmente non ci sono mai entrato.
GOODMAN: Voi usavate l'ipotermia negli interrogatori?
LAGOURANIS: Sì. Sì, usavamo tantissimo l'ipotermia. Era molto feddo a Mosul, e così... e inoltre pioveva tanto, e così potevamo tener fuori i prigionieri, che indossavano tute di poliestere e si bagnavano e congelavano. Ma noi non inducevamo l'ipotermia con l'acqua gelata come facevano i SEALS. Però, sa, forse i SEALS lo facevano meglio di noi, perché controllavano perfino la temperatura con il termometro, mentre noi non lo facevamo.
[...]
GOODMAN: Ha detto che è stato coinvolto in abusi. Quali sono stati gli abusi più eclatanti?
LAGOURANIS: Be', come ho detto, a Mosul ho usato i cani e l'ipotermia, ho usato la privazione del sonno, l'isolamento, la manipolazione della dieta, sa, tutto questo è abuso secondo il manuale e la dottrina dell'esercito e certamente secondo le convenzioni di Ginevra.
[...]
GOODMAN: Lei è stato a Fallujah?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Cosa faceva laggiù?
LAGOURANIS: Il mio compito a Fallujah consisteva nel perquisire i vestiti e le tasche dei cadaveri che raccoglievamo dalle strade, e che poi portavamo in un magazzino; io li perquisivo e cercavo di identificarli e di raccogliere qualsiasi informazione avessero addosso.
GOODMAN: Perché lei parlava l'arabo?
LAGOURANIS: Sì. Sì. Ecco perché mi ci mandarono.
GOODMAN: Quanti cadaveri ha perquisito?
LAGOURANIS: 500.
GOODMAN: Può parlare di quest'esperienza?
LAGOURANIS: Certo. Voglio dire, sa, ovviamente fu tremendo, con questi corpi che erano stati sulla strada sotto il sole per giorni, qualche volta per dieci giorni prima che li raccogliessimo. Erano stati mangiati dai cani, dagli uccelli e dai vermi, e l'esercito pensava... veramente non era l'esercito, ma era il Dipartimento della Difesa che aveva mandato questi strumenti elettronici per fare la scansione della retina e prendere le impronte digitali, ma era impossibile perché questa gente... non aveva più gli occhi. Non aveva più delle impronte digitali.
E non potevamo neanche seppellire i prigionieri, perché non si era ancora deciso come farlo, e così venivano ammucchiati nel magazzino a Fallujah, dove mangiavamo e dormivamo, in compagnia di tutti quei cadaveri.
GOODMAN: Cosa significa che non avevano occhi, che non avevano impronte digitali? Erano corpi carbonizzati?
LAGOURANIS: Be', certo, alcuni di essi erano carbonizzati. Voglio dire, alcuni non avevano più le braccia, ed erano così decomposti che gli occhi non c'erano più. Erano rimaste le orbite vuote, con dentro i vermi.
GOODMAN: Ultimamente abbiamo fatto un servizio sull'uso del fosforo bianco, “Whiskey Pete,” come credo sia chiamato dai soldati. È appena uscito un documentario che parla di quest'uso, non per illuminare il cielo, ma per bruciare, carbonizzare le vittime di Fallujah quando lei si trovava là. Lei ha visto qualcosa?
LAGOURANIS: No, non che io sappia. Non lo so. Ne ho sentito parlare solo recentemente, probabilmente da voi, ma non ne so niente.
GOODMAN: Lei dice di aver dormito in questo magazzino con i cadaveri?
LAGOURANIS: Sì.
GOODMAN: Può parlarne? E chi pensa fossero quei morti?
LAGOURANIS: Be', molti di loro erano sicuramente insorti. Sa, molti erano armati. Avevano bombe a mano, giubbotti antiproiettili. Ma tanti di loro non lo erano. C'erano donne e bambini, vecchi, ragazzi. E quindi è difficile dirlo. Penso che inizialmente bisognasse trovare combattenti stranieri. Si doveva provare che c'erano molti combattenti stranieri, a Fallujah. Ecco quindi perché eravamo lì. Solo che molti di loro non avevano documenti identificativi. Forse la metà aveva documenti identificativi, e i documenti stranieri erano pochissimi. C'erano alcuni che lavoravano con me che cercavano di inventarsi le informazioni, per esempio se addosso a una persona si trovava un Corano e quel Corano era stato stampato in Algeria, quella persona veniva identificata come algerina. Oppure c'erano uomini vestiti con camicia bianca e pantaloni kaki e allora si diceva che era la divisa di Hezbollah e li si classificava come libanesi, e questo era ridicolo, ma sa...
GOODMAN: E lei cosa diceva?
LAGOURANIS: Be', ero solo uno specialista, e così ho cercato di dire qualcosa al sergente responsabile, ma, sa, mi sono preso una strigliata e mi ha rimesso al mio posto. Disse, questo non spetta a te. Io dico che è libanese, ed è libanese. Punto.
GOODMAN: E le donne e i bambini?
LAGOURANIS: Non lo so. Non lo so proprio. Ho trovato bambini completamente bruciati. Non lo so. Non so cosa dire. C'erano donne e bambini.
GOODMAN: Ne avete discusso?
LAGOURANIS: No. Semplicemente ne prendevamo atto. Oh, Dio, un bambino morto. Una donna. Non ne parlavamo.
GOODMAN: Quante persone lei stima siano morte a Fallujah?
LAGOURANIS: Non ne ho idea. Non lo so. Ho sentito dai marines la cifra di 10.000, ma non so se è esatta.
GOODMAN: E sarebbe in grado di dire quanti di questi erano ciò che l'esercito americano chiama "insorti"?
LAGOURANIS: Penso che probabilmente... dei 500 corpi che abbiamo trovato, direi che circa il 20% aveva con sé delle armi. Ma non lo so. Immagino che la maggior parte delle persone che non intendevano restare a combattere abbiano lasciato Fallujah. Ma non sono in grado di giudicare.
[...]
A un certo punto dell'intervista Lagouranis afferma di aver visto le peggiori prove di abusi e torture a North Babel, tra l'agosto e l'ottobre del 2004 e quindi molto dopo lo scandalo di Abu Ghraib. Le tattiche violente non venivano impiegate in prigione, ma i marines entravano nelle case e torturavano sul posto i sospetti. Lì succedeva molto di peggio: spaccavano ossa, schiacciavano piedi, ustionavano.
GOODMAN: Può ripetere quello che vide a Babel? Quali erano le unità coinvolte, e cosa facevano?
LAGOURANIS: Be', io interrogavo nel carcere della Base operativa avanzata, CALSU. Da me arrivavano i prigionieri che erano stati arrestati dai marines Force Recon, e loro - ogni volta che i Force Recon andavano a fare un'incursione, tornavano con prigionieri pieni di lividi e con le ossa rotte, a volte con delle bruciature. Erano molto violenti con questa gente, e io chiedevo ai prigionieri cos'era successo, sa, da dove venivano quelle ferite, e loro mi dicevano che era successo dopo la cattura, quando erano legati e ammanettati e interrogati dai marines.
GOODMAN: E cosa raccontavano?
LAGOURANIS: Erano presi a pugni, a calci, sa, colpiti con il retro di un'accetta. Uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee. Io controllavo queste storie con quelle dei loro compagni, ed erano coerenti. Così, tendevo a credere a quello che mi raccontavano.
GOODMAN: Cosa significa che uno fu costretto a sedersi sul tubo di scarico di un humvee? Che cosa gli accadde?
LAGOURANIS: Be', aveva una vescica gigantesca, un'ustione di terzo grado sulla parte posteriore della gamba.
GOODMAN: Perché era bollente?
LAGOURANIS: Esatto.
GOODMAN: E a quel punto, lei doveva interrogarli?
LAGOURANIS: Esatto. Io dovevo interrogarli. Proprio così.
GOODMAN: E come faceva, con queste persone di fronte a lei con le ossa rotte, prese a calci e a pugni, ustionate?
LAGOURANIS: Be', sa, a quel punto dell'anno avevo già rinunciato a usare tattiche violente, e così cercavo di conquistarmi la loro fiducia, dicendo loro che li avrei aiutati ad uscire di lì, cosa che all'epoca invece non ero in grado di fare perché tutti quelli che venivano arrestati, colpevoli e innocenti, finivano ad Abu Ghraib comunque. Ma...
GOODMAN: Che intende dire?
LAGOURANIS: Be', sa, gli addetti agli interrogatori - io sono il solo che parla con questo tizio. Non ci sarà un ufficiale, a parlare con lui. La persona che decide se lasciarli andare o tenerli non è quella che li interroga. E così la mia raccomandazione dovrebbe valere qualcosa, ma non era così alla Base operativa avanzata CALSU. Praticamente per loro chiunque arrivasse lì era un terrorista, era colpevole e doveva finire ad Abu Ghraib.
GOODMAN: E lei a quali conclusioni giunse?
LAGOURANIS: Che un 98% di queste persone non aveva fatto niente. Voglio dire, prendevano la gente per i motivi più stupidi come - c'è questo tizio che hanno preso, lo hanno fermato a un posto di blocco, un controllo di routine, e aveva una vanga nel bagagliaio e un cellulare in tasca. Allora dissero, ecco, puoi usare la vanga per seppellire una bomba e usare il cellulare per farla esplodere. Non aveva esplosivi, in macchina, non aveva armi, niente di niente. Non avevano alcun motivo per credere che fosse un terrorista tranne la vanga e il cellulare. Questo era il genere di persone che arrestavano.
[...]
GOODMAN: C'è un termine del linguaggio militare ma anche di quello civile, Tony: "coraggio morale". Può dirci quale significato ha per lei?
LAGOURANIS: Non so proprio se sono la persona giusta per parlarne. Non lo so.
GOODMAN: Be'..
LAGOURANIS: Sì, mi sento come se non ne avessi avuto abbastanza, laggiù, capisce? Non lo so.
GOODMAN: Quando si guarda indietro, adesso, cosa vorrebbe aver fatto?
LAGOURANIS: Sa, siamo stati addestrati per condurre interrogatori in accordo con le Convenzioni di Ginevra con prigionieri di guerra nemici. E ci siamo addestrati con dei giochi di ruolo in cui usavamo un prigioniero di guerra convenzionale e anche un terrorista, e li trattavamo entrambi come se fossero prigionieri di guerra nemici. Non ci era consentito passare il limite. Quindi, non so perché ho permesso all'esercito di ordinarmi di andare contro il mio addestramento, contro il mio buon senso e contro i miei principi morali. Ma l'ho fatto. Avrei potuto semplicemente dire di no.
Fonte: Democracy Now!
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Perché voi valete:
Palette Model'Eyes con quattro ombretti e una base per attenuare le occhiaie e illuminare lo sguardo, mascara Extreme ("extension immediata"), fondotinta Sensual Clone, fard Joues Contrast rosa, sulle labbra Wet Cream Lipgloss n° 13.
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martedì, novembre 22, 2005
Il fosforo bianco sono gli altri
Per minimizzare l'impatto politico delle rivelazioni sull'uso del fosforo bianco a Fallujah da parte dell'esercito americano, il Pentagono ha sostenuto che le munizioni al fosforo sono legali perché non sono tecnicamente "armi chimiche."
Gabriele Zamparini dà notizia di un documento del Pentagono risalente al 1995 intitolato “Possible Use of Phosphorous Chemical”, che descrive l'uso che Saddam Hussein fece del fosforo bianco contro i curdi. Il documento, ripreso anche da Think Progress, sarebbe questo.
Vi si legge:
"L'Iraq potrebbe aver impiegato armi chimiche al fosforo contro la popolazione curda in aree lungo i confini tra Iraq, Iran e Turchia. […]
Alla fine di febbraio del 1991, dopo la schiacciante vittoria delle forze della coalizione in Iraq, i ribelli curdi intensificarono la loro lotta contro l'esercito iracheno nell'Iraq settentrionale. Durante la brutale repressione che seguì alla sollevazione curda, le forze irachene leali al presidente Saddam (Hussein) potrebbero aver usato arme chimiche al fosforo bianco (WP) contro i ribelli curdi e la popolazione delle province irachene di Erbil (GEOCOORD:3412N/04401E) (nei pressi del confine iraniano) e Dohuk (GEOCOORD:3652N/04301E) (nei pressi del confine iracheno). [sic. qui dovrebbe stare scritto confine turco, credo]"
Se questo documento è autentico, ne possiamo dedurre che il Pentagono definisce il fosforo bianco un'arma chimica quando viene usata dal nemico.
La gente di Fallujah, naturalmente, sarebbe morta comunque, anche usando mezzi convenzionali. È importante, allora, che siano state usate anche armi chimiche? Sì, lo è. Come scrive oggi George Monbiot sul Guardian "chiunque abbia visto le foto di reduci della prima guerra mondiale resi ciechi dalle armi chimiche comprenderà le ragioni della legge internazionale, e i pericoli impliciti nella sua violazione." Ma, aggiunge, "non dobbiamo dimenticare che l'uso di armi chimiche è stato un crimine di guerra all'interno di un crimine di guerra all'interno di un altro crimine di guerra. L'invasione dell'Iraq e l'attacco di Fallujah sono stati atti d'aggressione illegali. Prima di attaccare Fallujah, i marines impedirono di lasciare la città agli uomini in grado di combattere. Anche molte donne e bambini rimasero: il corrispondente del Guardian ha stimato che in città restarono tra i 30.000 e i 50.000 civili. I marines trattarono Fallujah come se i suoi unici abitanti fossero i combattenti. Rasero al suolo migliaia di edifici, negarono illegalmente l'accesso alla Mezzaluna Rossa irachena e secondo lo special rapporteur dell'ONU, usarono 'la fame e la mancanza d'acqua come armi contro la popolazione civile.'"
Monbiot ricorda un'altra cosa importante, e cioè che "su un'arma d'assalto usata dai marines erano montate delle testate contenenti 'circa un 35% di esplosivo termobarico e un 65% di esplosivo standard.'" Le utilizzarono per causare il crollo dei tetti e schiacciare gli insorti asserragliati, e lo fecero ripetutamente: "L'impiego di esplosivo per sgombrare le case fu enorme. Un articolo pubblicato nel 2000 descrive gli effetti che queste armi provocarono quando furono usate dai russi a Grozny. Le armi termobariche o fuel-air, secondo questo articolo, formano una nuvola di gas volatili o di esplosivi finemente polverizzati. 'Questa nuvola successivamente si incendia e risucchia l'ossigeno dell'area circostante. La mancanza d'ossigeno crea un'enorme pressione... chi si trova sotto questa nube muore letteralmente schiacciato. Al di fuori di quest'area l'onda d'urto viaggia a circa 3000 metri al secondo... Di conseguenza, un esplosivo fuel-air può avere gli effetti di un'arma tattica nucleare senza provocare radiazioni... Chi si trova direttamente sotto la nuvola muore incenerito o a causa della pressione. Chi si trova ai margini può riportare ferite molto gravi: ustioni, fratture, contusioni, cecità. La pressione può inoltre causare embolia, commozioni cerebrali, emorragie interne multiple al fegato e alla milza, collasso dei polmoni, rottura dei timpani e spostamento degli occhi dalle orbite.'"
Conclude Monbiot che "è molto difficile capire come si siano potute usare queste armi a Fallujah senza uccidere dei civili."
Dunque il problema diventa: "esiste un crimine che le forze della coalizione non abbiano commesso in Iraq?". Esiste?
Make up
Armi segrete: lucidalabbra Phyto-Lip n. 1, fondotinta mousse Matte Soufflé n. 620, cipria multicolor: Météorites Poudre Pressée, col. Winter Radiance (WR).
Gabriele Zamparini dà notizia di un documento del Pentagono risalente al 1995 intitolato “Possible Use of Phosphorous Chemical”, che descrive l'uso che Saddam Hussein fece del fosforo bianco contro i curdi. Il documento, ripreso anche da Think Progress, sarebbe questo.
Vi si legge:
"L'Iraq potrebbe aver impiegato armi chimiche al fosforo contro la popolazione curda in aree lungo i confini tra Iraq, Iran e Turchia. […]
Alla fine di febbraio del 1991, dopo la schiacciante vittoria delle forze della coalizione in Iraq, i ribelli curdi intensificarono la loro lotta contro l'esercito iracheno nell'Iraq settentrionale. Durante la brutale repressione che seguì alla sollevazione curda, le forze irachene leali al presidente Saddam (Hussein) potrebbero aver usato arme chimiche al fosforo bianco (WP) contro i ribelli curdi e la popolazione delle province irachene di Erbil (GEOCOORD:3412N/04401E) (nei pressi del confine iraniano) e Dohuk (GEOCOORD:3652N/04301E) (nei pressi del confine iracheno). [sic. qui dovrebbe stare scritto confine turco, credo]"
Se questo documento è autentico, ne possiamo dedurre che il Pentagono definisce il fosforo bianco un'arma chimica quando viene usata dal nemico.
La gente di Fallujah, naturalmente, sarebbe morta comunque, anche usando mezzi convenzionali. È importante, allora, che siano state usate anche armi chimiche? Sì, lo è. Come scrive oggi George Monbiot sul Guardian "chiunque abbia visto le foto di reduci della prima guerra mondiale resi ciechi dalle armi chimiche comprenderà le ragioni della legge internazionale, e i pericoli impliciti nella sua violazione." Ma, aggiunge, "non dobbiamo dimenticare che l'uso di armi chimiche è stato un crimine di guerra all'interno di un crimine di guerra all'interno di un altro crimine di guerra. L'invasione dell'Iraq e l'attacco di Fallujah sono stati atti d'aggressione illegali. Prima di attaccare Fallujah, i marines impedirono di lasciare la città agli uomini in grado di combattere. Anche molte donne e bambini rimasero: il corrispondente del Guardian ha stimato che in città restarono tra i 30.000 e i 50.000 civili. I marines trattarono Fallujah come se i suoi unici abitanti fossero i combattenti. Rasero al suolo migliaia di edifici, negarono illegalmente l'accesso alla Mezzaluna Rossa irachena e secondo lo special rapporteur dell'ONU, usarono 'la fame e la mancanza d'acqua come armi contro la popolazione civile.'"
Monbiot ricorda un'altra cosa importante, e cioè che "su un'arma d'assalto usata dai marines erano montate delle testate contenenti 'circa un 35% di esplosivo termobarico e un 65% di esplosivo standard.'" Le utilizzarono per causare il crollo dei tetti e schiacciare gli insorti asserragliati, e lo fecero ripetutamente: "L'impiego di esplosivo per sgombrare le case fu enorme. Un articolo pubblicato nel 2000 descrive gli effetti che queste armi provocarono quando furono usate dai russi a Grozny. Le armi termobariche o fuel-air, secondo questo articolo, formano una nuvola di gas volatili o di esplosivi finemente polverizzati. 'Questa nuvola successivamente si incendia e risucchia l'ossigeno dell'area circostante. La mancanza d'ossigeno crea un'enorme pressione... chi si trova sotto questa nube muore letteralmente schiacciato. Al di fuori di quest'area l'onda d'urto viaggia a circa 3000 metri al secondo... Di conseguenza, un esplosivo fuel-air può avere gli effetti di un'arma tattica nucleare senza provocare radiazioni... Chi si trova direttamente sotto la nuvola muore incenerito o a causa della pressione. Chi si trova ai margini può riportare ferite molto gravi: ustioni, fratture, contusioni, cecità. La pressione può inoltre causare embolia, commozioni cerebrali, emorragie interne multiple al fegato e alla milza, collasso dei polmoni, rottura dei timpani e spostamento degli occhi dalle orbite.'"
Conclude Monbiot che "è molto difficile capire come si siano potute usare queste armi a Fallujah senza uccidere dei civili."
Dunque il problema diventa: "esiste un crimine che le forze della coalizione non abbiano commesso in Iraq?". Esiste?
Make up
Armi segrete: lucidalabbra Phyto-Lip n. 1, fondotinta mousse Matte Soufflé n. 620, cipria multicolor: Météorites Poudre Pressée, col. Winter Radiance (WR).
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