"E questa è la signora Marega"
dice mia zia, indicandomi la vecchia. "Aspetta il Pepi. Che
dovrebbe arrivare tra un momento, sa, signora Marega? Perché aveva
un impegno urgente ma arriva subito."
Seguo mia zia in cucina.
"Impegno urgente?"
"In privata, come al solito. Mi hai
portato le spese mediche, nini? Vai che adesso arrivo."
Torno un po' svogliatamente in salotto.
La vecchia è seduta sotto il quadro grande, quello che sembra un
cielo di Dugo ma è in realtà un Vittorelli, cioè un Dugo
terrestre, svuotato di solitudini romantiche e di presagi
di mortalità. Dopo una serie interminabile di barche a vela su mare
in tempesta, di placide marine, di fiori fiamminghi, mio padre aveva
deciso di mettersi in cuor suo a bottega da un vivente, meglio se
coetaneo, meglio se conterraneo. Forse per l'orizzonte comune, forse
per comodità: l'idea di avere l'ignaro maestro vicino, a portata di
sguardo. Che pastelli usi, fantasticava di chiedergli. A quanto lo
fanno il Classico Maimeri da 60 al Centro Colori? I cieli del
Vittorelli sono cieli verosimili, fotografici, percorsi da sbuffi
euforici di nuvole bianche, grigie o rosate a seconda della
stagione e delle perturbazioni, bernaccate dell'anima, campiture
d'azzurro in cui si intuisce il profumo di una grigliata mista nel giorno che
si spegne. Vieni Elio che c'è Barnaby. Aspetta che catturo l'ultima
luce, Lina.
L'ultima luce si irradia proprio sopra
la testa della vecchia che adesso mi sta osservando con gli occhi a
fessura e un mezzo sorriso.
"Lei è la nipote."
"Sì."
"Anch'io ho una nipote, qui."
"Lei vive a Gorizia?"
"Non ancora" dice. "Ma presto.
Aspetto giusto il Pepi."
"La accompagna a veder case?"
"Oh signorina, signorina" fa un
sorriso segreto, malizioso. "Mi accompagna a veder tombe."
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