La mia ex suocera divide confidenzialmente (cioè all'insaputa della sposa, per la quale ha sempre comunque parole sentitamente affettuose, compensando i chili di troppo con il "bel visetto", l'eccessiva magrezza con il "bel personale" e i nasi da aquilotto con un vago e sempre in voga "incarnato trasparente") i matrimoni in:
1. è da cappello.
2. non è da cappello.
Io ne imitavo la cantata milanese rallegrando il tavolo "dei giovani" già durante il primo giro di sorbetti.
Naturalmente:
1. la felicità di occupare un posto sotto un cappello;
2. di riempirne il vuoto o piuttosto di svuotarne il pieno;
3. di creare tramonti sul Nilo sistemandosi controluce con uno spritz Aperol in una mano e un canapè nell'altra;
4. di accogliere faune tropicali e microclimi, posticini per api operose o subdole zanzare, nebbie padane, arcobaleni e temporali;
5. di aggirarsi tra altri animali piumati e fioriti, timidi o appariscenti, e riconoscersi con sprezzatura in quella abissale e gloriosa noia che è il matrimonio da cappello.
sono tutte cose che non evocano scene di lotta di classe come pensavo io, né snobismi come pensavo sempre io (che a quel punto ero un genio).
Ma altro.
Su questo ha sempre avuto ragione lei.
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