Brividi di bella scrittura, ispirata imitazione dei modelli! O lieve, promettente, spietatamente attento fiore d'autunno inodore, bagliore di vetro in un caleidoscopio, stile delle libere associazioni! E voi, mele al forno lasciate a raffreddare, massime metafisiche. Ma in questa città sull'oceano, quanto ti svegli all'alba in una corrente d'aria fredda, puoi solo raccontare storie: così, se il vento spegne la candela, il mattino dopo puoi ricominciare da una frase lasciata a metà.
È stata una serata densa, pungente; ma
adesso sono le due di notte, è quasi mattina; sulla città si
stendono la garza e il soffice sale del coprifuoco, le vie sono
tranquille. Arcieri nubiani, ombre di lontane steppe silenziose si
curvano sui muri, occhi felini d'ottone osservano i passi
nell'oscurità – tu, vittima antelucana che turbi la pace! – una
pallottola, come una vedova, geme, si allontana nell'abisso dei vicoli,
un grido e poi ancora il silenzio. Il morto punta gli occhi sulla
luna oceanica che si erge traballante sopra la città, gli occhi
ricordano vagamente uno sguardo; il comandante della pattuglia fa
scattare l'accendino, si china – così quell'ufficiale dimostra
ventidue anni, è uno del posto, pallido e tremante come una ninfa
delle fognature; il fioco scintillio degli stivali, gli anni dorati
della vita studentesca, la lontana Uppsala, l'umanesimo, le
discussioni, Platone, Fichte, – l'adolescenza e la giovinezza,
nemici! L'ufficiale si raddrizza e con un gesto ordina il dietrofront
alla pattuglia – il serpente di fidanzamento al dito, l'elastico
gemito del cinturone, il gemito dell'innocenza nei letti caldi e
merlettati dell'oceano, patria, sposa, selciato notturno.
Mezz'ora prima che questo accadesse ero
stato svegliato da uno spiffero gelido nella mia stanza, al mio
piano; l'amico che si era fermato a dormire si mosse nel sonno, la
coperta scivolò sul pavimento; l'anima, tiepida, giovane, goffa, lo
avvolgeva, come ripetendo l'acquerello delle fragili membra, il
ventre, il triangolo dell'abbronzatura dove c'era lo scollo
della camicia; lo svegliai: "È ora". In silenzio, come
tutti gli animali notturni, uscì – e sbrigativo e silenzioso fu il
congedo sulla soglia – la porta d'ingresso sbatté; e lì, dove i
volantini fremevano sui muri con le ali di sofismi predatori, dove la
luna lasciava cadere giù nei vicoli perpendicolari raggi invisibili,
là nel buio lo accolse anche la pallottola felina della pattuglia.
Lo spiffero che scorrazzava nella stanza trovò infine una via
d'uscita e si tuffò fuori, nell'oceano, nel cielo basso, e le tende
si gettarono al suo inseguimento lanciando un disperato allarme.
Ascoltammo la musica, preparammo il tè
in bicchieri di vetro; quasi alla cieca, a luce spenta, dialogammo
sulle carte, gli assi logori e il castello di carte, carcasse di
simboli, – tutto quel che è rimasto di lui sul tavolo, tra le
tazze e i petali di primula; beata mancanza di costrizioni! L'arte di
costruire con sovrano distacco un castello di carte quando
tutt'attorno scintillano i pugnali del poker, si intrecciano come
serpi i neri cappi della divinazione! L'arte di esser fuori
dell'arte: questo lo fu sempre, il mio amico che se ne andò senza
aspettare il mattino. Io mi addormentai e sognai che con un rasoio
tagliavo a grosse fette pergamene pesanti
e oleose di Couperin, e intanto rigiravo distrattamente tra le
dita scatole musicali di Rameau piene di spilli, e all'improvviso mi
svegliai urlando e piangendo lacrime disperate. Le scatole caddero
sul pavimento accanto al letto, andando in mille pezzi. Rimasi a
lungo a guardarle, a osservare con il capo chino il collo piegato
dell'uccellino meccanico.
Anima, anima che ti sei ritrovata d'un
tratto liberata sui Troni di Luce, anima dolce e sciocca! A chi
potrai insegnare i tuoi aforismi febbrili? A chi serviranno le tue
libere associazioni, quel mucchio di illusioni avvizzite che avevi
preso a noleggio chissà quando? Non piangere, non sperare. Racconta
la tua storia, anima in fuga; solo racconta la tua storia.
Originale: "Озноб изящного писательства...", Снятие Змия со креста, 2003.
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