Un giorno Vladimir Vladimirovič™ Putin sedeva nel suo studio e leggeva su Twitter la conversazione del deputato della Duma Alelsandr Evseevič Chinštein con se stesso. A un tratto le imponenti porte dello studio si spalancarono e fece il suo ingresso un corriere militare.
– Posta! – disse il corriere, porgendo a Vladimir Vladimirovič™ un vassoio d'argento con su incise le aquile a due teste.
Sul vassoio c'era una busta azzurra.
Vladimir Vladimirovič™ prese la busta e fece un brusco cenno con il capo.
Il corriere uscì.
Vladimir Vladimirovič™ strappò la busta, estrasse una lettera, la spiegò.
– Vi prego di leggere questa lettera – lesse Vladimir Vladimirovič™. – Questa lettera è apparsa qualche anno fa a Londra. Da allora ha fatto cinque volte il giro completo del mondo. È stata scritta da un bambino australiano, Julian, che ha deciso di donare la felicità a tutti.
Vladimir Vladimirovič™ sospirò.
– Per ottenere la felicità – continuò a leggere Vladimir Vladimirovič™ – Dovete subito spedire cinque bei telegrammi diplomatici.
Vladimir Vladimirovič™ fece un altro sospiro. Era sul punto di gettar via la lettera quando lesse la frase successiva.
– Vi prego, non cestinate questa lettera! – recitava la frase successiva. – Perché questa è una storia vera. Michael Jackson non ha spedito i telegrammi ed è morto. Mark Zuckerberg li ha spediti a tutti su Facebook e ha fatto un miliardo di dollari.
Vladimir Vladimirovič™ interruppe la lettura e gettò uno sguardo malinconico alla finestra. Fuori era grigio e umido.
– Se spedirete subito cinque bei telegrammi diplomatici – riprese a leggere Vladimir Vladimirovič™. – Tra un anno riceverete duecentocinquantamila bei telegrammi diplomatici. E se manderete una lettera alla vostra metà tra due anni sarete felici.
– Ma no – borbottò Vladimir Vladimirovič™. - Non può essere così semplice.
Vladimir Vladimirovič™ prese la busta che conteneva la lettera e lesse l'indirizzo del mittente. C'era scritto: "Mosca. Cremlino. Presidente della Federazione Russa".
Vladimir Vladimirovič™ posò lentamente la busta sulla scrivania e chiuse gli occhi.
Fuori nevicava.
Vladimir Vladimirovič™ aprì gli occhi. Erano più freddi della neve.
Vladimir Vladimirovič™ aprì una scatola e prese un foglio di carta.
Vladimir Vladimirovič™ sfilò la penna dal taschino della giacca.
– Purtroppo sono costretto a dire ciò che per tanto tempo non ho avuto il coraggio di confessare neanche a me stesso – scrisse Vladimir Vladimirovič™. – Penso di essere gravemente malato. Ogni quattro anni ho dei forti attacchi, in seguito ai quali non ricordo niente e non so quello che faccio.
Vladimir Vladimirovič™ rilesse quello che aveva scritto, ne fu soddisfatto e proseguì.
– Ne sono inorridito – scrisse Vladimir Vladimirovič™. – E solo ora comprendo che devo assolutamente curarmi. Voglio personalmente e pubblicamente chiedere scusa a tutti i cittadini russi e ai paesi amici. Sono desolato per l'accaduto. Comprendo che in una situazione simile non parrà così rilevante, ma per me è un primo passo verso la guarigione.
Vladimir Vladimirovič™ rifletté per qualche istante.
– Vi assicuro che non sto bene – proseguì Vladimir Vladimirovič™. – Chiedo scusa a tutti coloro che ho contrariato con questa condotta inadeguata. Non so come mi sia possibile continuare a vivere.
Vladimir Vladimirovič™ rilesse tutto dall'inizio alla fine.
E poi aggiunse in lettere maiusole:
NON MI RICORDO PERCHÉ L'HO FATTO PRESIDENTE.
Link: Владимир Владимирович™
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