E allora io pensai di nuovo a Estridentópolis, ai suoi musei e ai suoi bar, ai suoi teatri all'aperto e ai suoi giornali, alle sue scuole e ai suoi dormitori per poeti erranti, a quei dormitori dove avrebbero dormito Borges e Tristan Tzara, Huidobro e André Breton. E rividi sua eccellenza il generale mentre parlava con noi, lo rividi mentre beveva appoggiato alla finestra, lo vidi ricevere Cesárea Tinajero che arrivava con una lettera di raccomandazione di Manuel, lo vidi leggere un libricino di Tablada, forse quello in cui don José Juan dice: "Sotto il celeste tremore / delira per l'unica stella / il cantico dell'usignolo". Come dire, ragazzi, dissi, che vedevo gli sforzi e i sogni, tutti confusi in un unico fallimento, e che questo fallimento si chiamava allegria.
Roberto Bolaño, I detective selvaggi, Sellerio 2003. Traduzione di Maria Nicola.
Incongruamente e fuori tempo massimo, esigo il mio fallimento fatto di sogni e sforzi, il mio personale comma 22, il tonfo allegro da circo o comica o cartone animato con braccia roteanti e piedi che pedalano nel vuoto prima della caduta, e la gente che fa oh e subito dopo però si mette a ridere. Lo voglio così tanto da rischiare il peggio che mi possa capitare: non fallire affatto.
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