A Mirulandia non ci facciamo mancare niente. Abbiamo un signor gatto di nome G., un ex-pastore del Caucaso di nome Poligraf che brontola, scrive, legge e sa far di conto, tanti libri ovunque e ultimamente una foresta di rampicanti che studiano diligentemente da piante assassine.
Quello che non sapete è che da qualche mese abbiamo anche un Guru del Cibo. Il Guru del Cibo prima di conoscermi non sapeva di esserlo. Il Guru del Cibo, del resto, non sapeva neanche del mio rapporto disinvolto con il cibo. Per lui "Non mangio" era "Non sto mangiando in questo momento" e comunque sempre: "Mangio dopo".
Poi, alle due e un quarto di un freddo pomeriggio di gennaio, per puro caso si svolse questo dialogo:
– Che fai, mangi?
– No, non mangio.
– Non mangi. Non dirmi che hai ancora la cucina ingombra di pacchi per il trasloco.
– Non pranzo.
– Oggi?
– Mai, da circa sei mesi. Ceno.
– Ah.
– Ma poco.
È una di quelle cose che prima o poi bisogna dire. E come si fa a dirlo, senza dirlo?
Per decenni avevo digiunato in libertà per periodi più o meno lunghi, mentre tutti facevano educatamente finta di nulla. Di nulla, mentre la mattina mi vedevano aggiungere lo zucchero a milligrammi nel caffè (ogni mattina, la scoperta dello zucchero, con M. che commentava a bassa voce: "Quanto ne mette, oggi? Io scommetto su un quarto di cucchiaino") e staccare briciole da una brioche, quando assistevano alla lenta agonia di pizze martoriate e lasciate a raffreddare, quando magicamente le porzioni nel loro piatto raddoppiavano mentre le mie scomparivano, quando si accontentavano di un "passo dopo cena, mangio qualcosa prima" sapendo che quel qualcosa era un pacchetto di crackers o mezzo barattolo piccolo di Pringles. Poi arrivava l'estate e cominciava l'epoca dei cinque pomodorini a pranzo, una pesca nel pomeriggio. Ero felice. Non mangiare non era un modo per attirare l'attenzione, semmai il contrario. Io aspiro all'invisibilità. Per come la vedo io, chi non mangia è invisibile. Dimenticarsi di mangiare è sublime, ci vogliono anni di esercizio. Poi, per sembrare normali, si può sempre parlare di dieta.
Gennaio: tre mandarini nel pomeriggio e più tardi con calma un caffè. Felice.
– Così stanno le cose.
– Ah.
Pochi secondi di silenzio (tanto per riunire gli argomenti) e: "Lo stomaco si abitua a tutto, ma questo non ti fa bene"... "Lo stimolo della fame non è l'unico segnale da ascoltare"... "Dici di stare bene perché non vedi e non senti gli effetti nefasti"... Sì, usò la parola nefasti. Tutte cose già sentite, ovviamente.
– Lo sai cosa succede quando digiuni?
– Cosa succede, scommetto che lo stomaco si mangia da solo.
– Il tuo corpo si cannibalizza. Prima cerca i carboidrati, li esaurisce e passa ai grassi...
– Se non trova i grassi, viene a cercare il cervello con una P38?
– ... ma le persone come te [le persone come me!] praticamente non hanno riserve, e quindi passa alle proteine. E quali sono gli organi che vengono danneggiati?
– A questo punto il cervello di sicuro se la passa male.
– FEGATO e MILZA.
– I reni, tutto a posto?
– Ommadò.
Seguì la prima di una lunghissima serie di trattative estenuanti (carboidrati a pranzo, proteine a cena), di concessioni a denti stretti e di scuse surreali. Lui non lo sapeva ancora, ma aveva fatto l'upgrade da amico a pesante, didascalico, insistente Guru del Cibo. Potevo indicargli la via d'uscita più breve da Mirulandia oppure assecondarlo con il rischio di covarmi un transfert con i fiocchi. Il transfert tutto sommato poteva essere un diversivo.
[continua]
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