Ho appena festeggiato le Giornate di Primavera dell'Emicrania.
Il mio mal di testa si distingue in emicrania con Laura e senza Laura; Laura essendo un'amica di mia madre, quella che fa la grappa di grano, si cura con le erbe svedesi e passa buona parte del tempo a fissare i cristalli o ad arare un giardinetto zen che ha la stessa forma e apparentemente lo stesso contenuto della cassettina igienica del signor G. Laura ha una missione, disintossicarmi dai farmaci antiemicranici a colpi di Reiki, e non è bene. In questo caso per fortuna l'emicrania era senza Laura, in vacanza alle terme dalle parti di Maribor. Non sono mancati tuttavia i consigli disperati degli amici ("stenditi a letto al buio", "cerca di stare immobile", "immergi le mani nell'acqua fredda" e la sensazionale new entry di quest'anno: "hai provato a tenere sulla fronte quel blocco di ametista che ti hanno regalato?"), assecondati al telefono mentre mi trascinavo in pigiama e calzettoni antiscivolo tra lo studio e la cucina mormorando "sì sì, ora lo faccio" e sorseggiando tazze di infusi amarissimi. In realtà l'unico rimedio conosciuto è costituito dall'inviso antiemicranico, il Difmetre. Il Difmetre è molto più di un cocktail di indometacina e caffeina: è una divinità capricciosa che durante le Emicranie di Primavera agisce a caso, a volte sì e a volte no, basandosi su complicati calcoli astrali, sull'avvicendarsi dell'ora legale e di quella solare, sulle fasi lunari, sulle condizioni di luce e umidità e sul mio personale carisma del momento. Se questa roulette russa farmacologica non funziona, tanto vale picchiare la testa contro il blocco d'ametista fino a perdere conoscenza.
Sono ormai passati i tempi in cui mi piaceva pensare che le Giornate dell'Emicrania fossero una condizione sciamanica durante la quale i Padri della Rivoluzione sceglievano di mettersi in contatto con me: più banalmente si tratta di uno stato allucinatorio doloroso ed estremamente ricettivo, e va preso come tale. Mi sono accorta che in queste condizioni riesco ad assorbire qualsiasi nozione con pochissimo sforzo: ricordo una primavera di cinque anni fa in cui mi addormentai con il televisore acceso e appresi passivamente le abitudini riproduttive dei marsupiali, il metodo di distillazione del Calvados e la storia della Coppa Davis. Mi svegliai che sapevo anche dire "Tafadhali niletee chakula moto haraka. Nina njaa sana!" "Mi porti in fretta, la prego, del cibo caldo. Ho molta fame!". In swahili.
Quest'anno ne ho approfittato per perfezionare la mia imitazione di Silvio Berlusconi ma soprattutto per mandare a memoria 50 specie di alberi e arbusti in quattro lingue.
Oggi l'emicrania di primavera è sotto controllo, Laura torna dalle terme, ho perso un chilo, ho perso l'ametista, ho due occhiaie interessanti e sono finalmente quasi certa che l'albero che vedo dalla finestra è un tiglio comune (tilleul à large feuilles, large-leaved lime, Tilia platyphyllos Scop.). Fiorirà a giugno.
Nessun commento:
Posta un commento