In qualche modo le cose cominciano.
Per me, è cominciata così.
Ho un ricordo molto vivo dei film visti da bambina, quando i miei lavoravano fino a tardi e Antonia si addormentava sulla sedia in cucina con il televisore acceso. A volte mi sembra che gli anni successivi, dell'adolescenza e della prima età adulta, siano stati una ricostruzione furiosa di quei film senza titolo, mal capiti o fraintesi, divorati ad occhi spalancati e con il volume al minimo.
Se ho amato il cinema prima dei ragazzi e della musica è merito di un contagio, di uno sguardo fatale e casuale, in una di quelle sere silenziose in cui al desiderio che i miei tornassero presto seguiva la preoccupazione di non riuscire a vedere la fine del film.
François Truffaut è stato il regista di quel contagio, e il film I quattrocento colpi.
Truffaut per me è stato l'amore, la carnalità, il gioco, il macabro, lo scherzo, l'amarezza. I suoi maestri sono diventati i miei, ho scoperto il grande cinema americano ed europeo anche attraverso i suoi occhi, ho mandato a mente la lezione di Hitchcock e di Ray, di Gance e Ophüls. Truffaut è stato critico, polemico, bibliofilo, trasgressivo, convenzionale, romantico, cinico, dongiovanni, feticista, voyeur e tantissime altre cose. L'ho tradito, discusso e abbandonato molte volte, poi, come si fa con quello che si ama veramente.
Quella notte fatale, mentre la stufa si stava raffreddando, io sognai Doinel che accendeva una candela davanti al ritratto di Balzac, e io ero Doinel.
Per me, così è cominciata.
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