È l'estate del 1989. Sono nella città di G., in piazza del Municipio, all'uscita di via Garibaldi. Nel sole di giugno osservo i tavolini all'aperto del bar che nel 1989 è ancora il bar gelateria Boni, diretto concorrente del bar gelateria De Rocco. A uno di questi tavoli sono seduti Achille Occhetto e Bettino Craxi. Mi avvicino, chiedo permesso e mi siedo accanto a loro (evidentemente ci conosciamo). Ordino due palline di gelato con la panna e l'amarena (anzi, una "berlina all'amarena", perché è il 1989 e siamo nella città di G.). Poi, con molta calma ("permette, compagno Occhetto?"), espongo freddamente a Bettino Craxi quello che penso di lui e che da anni vorrei dirgli. Il discorso mi riesce bene come solo nei sogni può accadere (quante volte ho socializzato in lingue sconosciute, in fase rem?). Tanto che lui rimane senza parole, si alza e si allontana a capo chino, forse per furbizia. Il compagno Occhetto ed io ci scambiamo uno sguardo stralunato.
Poi lui si alza - solo adesso mi accorgo che indossa un cappotto pesante, nonostante la bella stagione - e dice: "Devo assentarmi per qualche minuto. Sarebbe così gentile da tenermi il colbacco?". "Ma certo", rispondo.
Rimango seduta al tavolino del bar Boni, con il colbacco in grembo, a guardare l'orologio del Municipio. La berlina si sta squagliando, mi sudano le mani. Il tempo passa così, fino al risveglio.
Il racconto di questo sogno suscitò grandi risate tra gli amici di allora, alcuni dei quali odiosamente socialisti, e anche qualche pacca sulla spalla; del resto, poco tempo prima avevo sognato di volare di notte su Porto Marghera come una specie di Superman proletario, e questo non giocava a mio favore.
Qualche volta ci ripenso.
Ho smesso con i voli notturni su Marghera: era una cosa che non poteva durare.
Ma liberarsi del colbacco, capite, è tutta un'altra storia.
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